chiarimenti
25 ottobre 2004

E' sempre problematico sostenere una tesi circa le modalità di applicazione di una norma ambientale senza sollevare qualche critica. Nella materia dei rifiuti il rischio di incorrere in giudizi severi è altissimo, sia a torto che a ragione, da una parte perché la lettura tecnica di una disposizione spesse volte non coincide con quella giuridica, dall'altra perché i continui interventi modificativi hanno talmente snaturato lo spirito della legge da non poter più distinguere il falso dal vero, o meglio, laddove si disponga di una grande abilità nel collegare le varie parti del puzzle (quelle che servono naturalmente per i propositi che si intende sostenere), da poter dimostrare una cosa e il suo contrario.

Pertanto i chiarimenti che seguono muovono dalla volontà di porre un argine allo spaesamento di molti lettori. Questo tuttavia non può impedire che, usciti da qui, le poche certezze acquisite abbiano vita breve.

1. Ringraziando anticipatamente dell'aiuto fornito volevo chiederle questa informazione. Nel caso in cui una azienda si scorpori in due societa' (aventi 2 ragioni sociali) credo che anche i rifiuti prodotti debbano essere trattati separatamente. Per cio' che concerne il deposito temporaneo dei rifiuti, potrebbe essere unico con una semplice linea di demarcazione oppure ve ne debbono essere due ben distinti. E' prevista legalmente una distanza ? Vi sono differenze in questo contesto se i rifiuti sono pericolosi / non pericolosi o anche  da recuperare / smaltire ? Grazie e cordiali saluti.

Sotto molti aspetti il deposito temporaneo è ancora una nozione immersa nella foschia, il che giustifica la possibilità che se ne dica a sproposito. Tuttavia in questo caso non paiono esservi molti dubbi. Se le società sono due, diritti e doveri saranno stati ovviamente suddivisi per ogni ordine e grado, fino alla definizione delle proprietà catastali appartenenti all'una e all'altra. Poiché i rifiuti prodotti sono necessariamente da ricondurre alla nuova impresa che ha acquisito i locali da cui questi hanno origine evidentemente il loro deposito temporaneo dovrà rimanere all'interno delle aree di proprietà così come è risultato dallo scorporo societario. Pertanto non è una linea di demarcazione che li deve distinguere, ma ogni deposito dovrà rimanere all'interno del perimetro aziendale che li ha prodotti. Certo potrebbe capitare che i due depositi possano trovarsi a breve distanza, senza che vi sia un segno tangibile che distingua dove finisca la proprietà dell'uno e inizi quella dell'altro. A questo punto occorre intervenire perché non possano esistere rischi di sconfinamento, magari con l'interposizione di muri o recinzioni. Si dice questo naturalmente non perché lo dica la norma in modo esplicito, ma perché deriva dall'ovvia considerazione che se il soggetto gestore del primo deposito è in qualche modo inadempiente anche il soggetto gestore del secondo, in termini sanzionatori, può risentirne le conseguenze.

Riguardo al fatto che vi siano rifiuti tra loro incompatibili sotto il profilo delle caratteristiche chimico-fisiche (per es, acidi e basi forti) non è fatto da sottovalutare. A maggior ragione, se vi sono rifiuti suscettibili di reagire pericolosamente tra loro, occorre quindi che una delle due proprietà li allontani.

Riguardo invece al diverso regime al quale i rifiuti prodotti sono sottoposti la domanda dovrebbe in realtà essere posta indipendentemente dalla compresenza di due depositi appartenenti a proprietà diverse. Ce la si dovrebbe porre anche solo per un solo deposito nel quale coesistono i due regimi. Anche qui le norme non aiutano. Se in uno stabilimento parte dei rifiuti prodotti possono essere recuperati e parte no, il sistema organizzativo che ne ha analizzato a monte la gestione dovrebbe essersi posto l'obiettivo di evitare che tra loro vengano erroneamente scambiati. Se si rimane inoltre alla vigente interpretazione della nozione di rifiuto quello recuperato non occorre che venga registrato in carico-scarico, sarebbe una contraddizione in termini. Ragione di più per mantenerli separati.

2. La figura dell'intermediario nella compilazione del registro di carico/scarico dei rifiuti, può coincidere con quella del trasportatore?

Anche la figura dell'intermediario si trova in una sorta di limbo. Non è ancora stato emanato il decreto per l'istituzione della sezione speciale dell'Albo dedicato a tale professione, a quanto risulta. Pertanto è come se non esistessero, nel senso che le generalità dell'intermediario possono anche comparire nel formulario di trasporto rifiuti, ma non si sa bene che farne in quanto soggetto non riconosciuto in termini autorizzativi. Ma la domanda riguarda il registro. Le ipotesi sono due. Il registro dell'impresa di trasporto è materialmente compilato dall'intermediario il quale svolge un servizio equivalente a quello di una società di consulenza, di mero supporto amministrativo: non si vede quale possa essere il problema, salvo l'aspetto delle formalità che non sarebbero proprio così. L'intermediario figura come soggetto trasportatore ma nella realtà sono due società diverse, delle quali la prima non è in possesso di alcuna iscrizione all'Albo, allora qualche dubbio sovviene. La questione dovrebbe essere posta all'amministrazione territorialmente competente.

3. Vorrei alcuni chiarimenti sull'art. 36 del D.Lg.vo 152/99. In particolare vorrei formulare la seguente domanda: nel caso in cui alcuni rifiuti quali la pulizia di fognature, percolato di discarica etc., venisse trasportata ad un impianto di depurazione per il trattamento, ciò che entra in fognatura deve comunque rientrare nei valori previsti dalla tabella 3 dell'allegato 5 del suddetto decreto?

Intanto la pulizia di fognature non è la stessa cosa del percolato di discarica. C'è una serie di rifiuti allo stato liquido che possono essere avviati ad impianti di trattamento acque reflue urbane senza particolari obblighi, ma per il resto non è così. Secondo l'art.36 del D.Lgs 152/99

3. Il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all'autorità competente ai sensi dell'articolo 45 è, comunque, autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate che rispettino i valori limite di cui all'articolo 28, commi 1 e 2 e purché provenienti dal medesimo ambito ottimale di cui alla legge 5 gennaio 1994, n. 36:

a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;

b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi del comma 4 dell'articolo 27;

c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l'ulteriore trattamento dei medesimi risulti tecnicamente o economicamente irrealizzabile.

Pertanto le condizioni per il trattamento di queste tipologie di rifiuto sono: la comunicazione, le capacità depurative adeguate, il rispetto dei valori limite stabiliti per categoria d'impianti nell'allegato 5 alla legge. Nelle tipologie di rifiuti liquidi di cui alle lettere a), b) e c) solo per la prima è richiesto il rispetto dei limiti per lo scarico in fognatura. Per le altre due il requisito è di ordine descrittivo. A questo punto sorge il dubbio: e se si analizzano i rifiuti costituiti dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche, i tipici fanghi di fossa settica, questi rispettano i limiti per lo scarico in fognatura?

Occorre prima conoscere i contenuti di questo regolamento che ogni servizio idrico integrato (ex gestore pubblico) dovrebbe aver aggiornato alla luce del nuovo D.Lgs 152/99. Molto presumibilmente un fango di fossa settica rispetta i limiti per lo scarico in fognatura, non foss'altro per la diluizione con acqua necessariamente attuata dall'espurghista per rimuovere i solidi adesi alle pareti della fossa. E' evidente che se la fossa settica contiene fanghi di natura incerta perché il sistema stesso è stato utilizzato per trattamenti diversi rispetto alle acque domestiche la questione non si pone solo in termini di analisi, ma anche di violazione in materia di rifiuti. E' stato conferito un rifiuto che non è tra quello ammissibili previa comunicazione.

Per il percolato di discarica invece il problema è più complesso. Evidentemente occorre prima definirne la compatibilità con il processo di depurazione biologica di un impianto per il trattamento di acque reflue urbane. Contenendo metalli che potrebbero accumularsi nei fanghi dell'impianto e renderli inidonei al riutilizzo agronomico il percolato andrà pre-trattato in un impianto di tipo chimico-fisico per ridurne la concentrazione. Pe ricevere percolati l'impianto andrà invece appositamente autorizzato ai sensi del D.Lgs 22/97. Inoltre per i limiti dei metalli e delle altre sostanze pericolose contenute c'è da considerare l'applicazione dell'allegato B del recente Decreto 6 novembre 2003, n. 367 "Regolamento concernente la fissazione di standard di qualità nell'ambiente acquatico per le sostanze pericolose" di cui abbiamo parlato ampiamente nei numeri scorsi.

4. Per quanto riguarda la gestione degli impianti di depurazione che producono fanghi classificati come non pericolosi, ogni quanto devono essere smaltiti? Vi ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti.

E' un problema. In generale individuare qual è il momento in cui si forma il rifiuto è relativamente semplice, diverso è organizzarsi in modo da effettuare la registrazione di carico-scarico in quanto, per il carico, dobbiamo disporre della possibilità di misurare la quantità che è stata prodotta. Per misurarla abbiamo bisogno di un'area, un contenitore, un sistema di misura. A questo punto, dal momento che è stato registrato il carico, inizia il conteggio. Le modalità di smaltimento dei rifiuti sono state, in un certo senso, forzatamente inserite in una logica spazio-temporale che è quella disegnata dall'art.6 lettera m) del D.Lgs 22/97. Trattandosi di rifiuti non pericolosi le possibilità sono o di smaltire al raggiungimento dei 20 mc o di effettuare un conferimento con periodicità trimestrale e comunque almeno una volta l'anno.

Ma, qui sta il problema, qual è il momento in cui dobbiamo registrare in carico i fanghi prodotti dall'impianto di depurazione? Le opzioni sono due: se la destinazione finale del fango è ad una operazione di recupero o smaltimento autorizzata (o iscritta) ai sensi degli artt.27, 28 (o 33) del DL.gs 22/97 allora si rientra in una situazione ordinaria come quella sopra. Se invece si intende effettuare lo spandimento in agricoltura del fango potendone disporre dell'autorizzazione rilasciata in qualità di utilizzatore ai sensi dell'art.9 del D.Lgs 99/92 allora occorre terminare prima il trattamento del fango stesso. Cosa si intende per trattamento? Non è per niente chiaro. La definizione dice: i fanghi sottoposti a trattamento biologico, chimico o termico, a deposito a lungo termine ovvero ad altro opportuno procedimento, in modo da ridurre in maniera rilevante il loro potere fermentiscibile e gli inconvenienti sanitari della loro utilizzazione. L'efficacia del trattamento non può essere determinata in quanto il decreto non fornisce gli strumenti per poterla misurare. In letteratura e nella prassi le modalità sono numerose, tuttavia non essendo normate, hanno un valore solo indicativo. Da questo punto di vista occorrerà attendere la revisione della direttiva fanghi che in termini di bozza è giunta alla terza versione. Qui, all'allegato I, sono descritte varie modalità di trattamento.

Arrivando in fondo al problema: i fanghi vanno smaltiti con le periodicità fissate dalla lettera m) dell'art.6 del D.Lgs 22/97, se si intende farne un uso agronomico occorre prima sottoporli ad un trattamento ed essere autorizzati ai sensi dell'art.9 del D.Lgs 99/92.

5. Salve, sono un consulente per la gestione dei rifiuti e dirigente rischio amianto di ( ). Un cliente che ha due aziende agricole mi ha posto il solito quesito sullo smaltimento delle acque olearie (frantoi). Spesso è accaduto che alcuni comuni hanno autorizzato i frantoi a riversare su terreno le acque olearie. Cosa si può fare per impedire tutto ciò ?

Riguardo allo scarico delle acque di vegetazione di frantoi l'autorizzazione del Sindaco è perfettamente legittima, basta richiamare la sentenza della Corte di Cassazione 3 ottobre 2003, n. 37562:

Le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive, che non hanno subito alcun trattamento, né ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la diluizione della pasta ovvero per la lavatura degli impianti non sono rifiuti ex articolo 1 della legge n. 574 del 1996 e possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso spandimento controllato su terreni adibiti ad uso agricolo, purché autorizzato dal Sindaco del Comune e ciò nei tempi, modi e quantitativi previsti.

L'interessato (lo stesso titolare del frantoio oleario o terzi proprietari dei terreni), ove sia stato autorizzato dal Sindaco, non è soggetto alla normativa sui rifiuti anche per la fase del trasporto, se risulta in modo certo ed obiettivo la destinazione al riutilizzo, anche alla luce dell'articolo 14 della Dl n. 138 del 2002.

6. e lo smaltimento dei rifiuti che potrebbero essere prodotti da aziende che coltivano e producono vino?.

Per quanto riguarda lo scarico sul suolo di reflui prodotti da aziende vitivinicole oggi non sarebbe ammesso, in quanto manca ancora il decreto interministeriale da emanarsi ai sensi dell'art.38 del D.Lgs 152/99. Poiché le vie dell'interpretazione sono infinite può darsi benissimo che qualche scarico sia ancora in esercizio nonostante il divieto, probabilmente grazie alla questione delle proroghe per i rinnovi autorizzativi. Tuttavia stiamo parlando di scarichi e non di rifiuti. In teoria il medesimo refluo, con la medesima composizione, potrebbe essere oggetto di domanda di autorizzazione ai sensi degli artt.27, 28 del D.lgas 22/97 per l'effettuazione di uno spandimento a beneficio dell’agricoltura (R10).

7. Ancora, un'azienda agricola di allevamento di galline, che produce solo uova è tenuta a smaltire i resti del guscio delle uova? Grazie della vostra attenzione.

I resti del guscio delle uova sono un rifiuto speciale. Lo smaltimento può avvenire dietro convenzione con il servizio pubblico in quanto la tipologia è riconducibile all'urbano. Ci sono alternative allo smaltimento, per es. come destinazione all'alimentazione animale? Si, se qualche decreto lo prevede espressamente.

8. Secondo l'art.57 del D.Lgs 22/97 i rifiuti tossici e nocivi del D.P.R. 10 settembre 1982 n° 915 sono ora rifiuti pericolosi. Quindi la Delibera C.I. 27 luglio 1984 (Disposizioni per la prima applicazione dell'articolo 4 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, concernente lo smaltimento dei rifiuti) che serve alla classificazione dei rifiuti in tossici e nocivi, è ancora vigente?

Le incertezze in materia di rifiuti toccano vette inarrivabili quando si parla di classificazione. La risposta è negativa da questo punto di vista, tuttavia chi scrive corre il rischio di essere in minoranza. Vediamo di esporre i motivi per cui si ritiene non più applicabile la delibera ricordata, almeno per questo aspetto. Bisogna ricordare cosa dice l'art.57 del D.Lgs 22/97:

Art. 57 - Disposizioni transitorie

1. Le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto. A tal fine ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi.

E' necessario tener conto del fatto che quando si scrive il decreto Ronchi si sa per certo che lo stesso non sarà attuabile immediatamente, avendo questo previsto l'emanazione di un elevato numero di decreti per l'introduzione di norme e regole di carattere tecnico. Tuttavia una cosa è già certa, la classificazione dei rifiuti cambia profondamente. In particolare cambia proprio il concetto di pericolosità.

Il nostro sistema claaaificativo era basato sui criteri stabiliti al capitolo 1, punto 1.2, della Delibera 27 luglio 1984:

1.2 - CLASSIFICAZIONE DEI RIFIUTI SPECIALI IN TOSSICI E NOCIVI.

Sono rifiuti tossici e nocivi i rifiuti speciali di cui all'art. 2, quarto comma, punti 1), 2) e 5) del decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982:

1) che contengono una o più delle sostanze indicate nella tabella 1.1. in concentrazioni superiori ai valori di concentrazione limite (CL) indicati nella tabella stessa e/o una o più delle altre sostanze appartenenti ai 28 gruppi di cui all'allegato al decreto del Presidente della Repubblica n. 915/1982 in concentrazione superiori ai valori di CL ricavati dall'applicazione dei criteri generali desunti dalla tabella 1.2. Qualora un rifiuto contenga due o più sostanze di cui all'allegato sopracitato, ciascuna in concentrazione inferiore alla corrispondente CL, sarà classificato come tossico e nocivo se la sommatoria dei rapporti tra la concentrazione effettiva di ciascuna sostanza e la rispettiva CL risulta maggiore di 1. nel calcolo della sommatoria non si terrà conto delle sostanze presenti nei rifiuti in concentrazioni inferiori a 1/100 delle rispettive CL;2) che figurano nell'elenco 1.3, provenienti da attività di produzione o di servizi, salvo che il soggetto obbligato dimostri che i rifiuti non sono classificabili tossici e nocivi ai sensi del precedente punto 1).
Ai fini della classificazione le concentrazioni effettive di cui sopra debbono essere determinate su rifiuto tal quale così come si forma, ed è vietata qualsiasi forma di diluizione, anche se ottenuta per miscelazione con altri rifiuti.

In particolare i criteri generali generali per quelle 28 categorie di sostanze che non possiedono un limite espresso sono desunti dalla direttiva 67/548/CEE, la direttiva madre in materia di etichettatura, classificazione, imballaggio delle sostanze e dei preparati pericolosi.

TABELLA 1.2.

CATEGORIA

CONCENTRAZIONE LIMITE NEL RIFIUTO CL

CL in mg/kg

Molto tossiche

500

Tossiche

5.000

Nocive

50.000

 

Ora il nuovo sistema di classificazione introdotto dal D.Lgs 22/97 che proviene dalle direttive CEE 91/156, 91/689 e 94/62 non tiene in alcun conto la normativa sull'etichettatura di sostanze e preparati pericolosi (questo fino alla Decisione della Commissione del 3 maggio 2000 n° 547) essendosi basato esclusivamente sulla sommaria descrizione del rifiuto accompagnata univocamente ad un codice numerico di 6 cifre. Sono pericolosi i rifiuti non domestici precisati nell’elenco di cui all’allegato D sulla base degli allegati G, H ed I. Pertanto è sufficiente attribuire un codice asteriscato al rifiuto perché questo sia considerato pericoloso, indipendentemente dalla concentrazione di una o più sostanze pericolose contenute nel rifiuto stesso. Nel nostro Paese molti nostalgici rimpiangono il sistema di classificazione precedente, indiscutibilmente più concreto.

Le cose rimangono tali per circa tre anni e poi la Commissione Ue ha un ripensamento. Con la Decisione del 3 maggio 2000 n° 547 torna all'antico, anche se non completamente. Infatti, dopo un riesame tra i diversi stati membri, associazioni, utenti e cittadini, ripubblica il catalogo europeo dei rifiuti con una modifica importante: l'inserimento di circa 100 voci a specchio, circa un centinaio di codici uguali, ma diversi per un particolare, quello di contenere o meno sostanze pericolose. Ritorna cioè in auge la classificazione ai sensi della direttiva madre 67/548/CEE.

Articolo 2

Si ritiene che i rifiuti classificati come pericolosi presentino una o più caratteristiche indicate nell'allegato III della direttiva 91/ 689/CEE e, in riferimento ai codici da H3 a H8 e ai codici H10 (6) e H11 del medesimo allegato, una o più delle seguenti caratteristiche:

— punto di infiammabilità = 55 °C,

— una o più sostanze classificate (1) come molto tossiche in concentrazione totale = 0,1 %,

— una o più sostanze classificate come tossiche in concentrazione totale = 3 %,

— una o più sostanze classificate come nocive in concentrazione totale = 25 %,

— una o più sostanze corrosive classificate come R35 in concentrazione totale = 1 %,

— una o più sostanze corrosive classificate come R34 in concentrazione totale = 5 %,

— una o più sostanze irritanti classificate come R41 in concentrazione totale = 10 %,

— una o più sostanze irritanti classificate come R36, R37, R38 in concentrazione totale = 20 %,

— una o più sostanze riconosciute come cancerogene (categorie 1 o 2) in concentrazione totale = 0,1 %,

— una o più sostanze riconosciute come tossiche per il ciclo riproduttivo (categorie 1 o 2) classificate come R60 o R61 in concentrazione totale = 0,5 %,

— una o più sostanze riconosciute come tossiche per il ciclo riproduttivo (categoria 3) classificate come R62 o R63 in concentrazione totale = 5 %,

— una o più sostanze mutagene della categoria 1 o 2 classificate come R46 in concentrazione totale = 0,1 %,

— una o più sostanze mutagene della categoria 3 classificate come R40 in concentrazione totale = 1 %.

La classificazione UE è tuttavia meno restrittiva della nostra. Basta mettere a confronto le conclentrazioni limite per le stesse categorie di pericolosità:

.

Delibera 27 luglio 1984 tabella 1.2

CL in mg/kg

Decisione 3 maggio 2000 n°542 art.2

CL in mg/kg

Molto tossiche

500

1.000

Tossiche

5.000

30.000

Nocive

50.000

250.000

Probabilmente ritenendo di porre un'ulteriore misura restrittiva molte amministrazioni sia regionali che provinciali (in particolare in Lombardia) a volte rilasciano provvedimenti per operazioni di recupero o smaltimento di rifiuti non pericolosi aggiungendo la seguente prescrizione "devono rispettare i limiti previsti dalla tabella 1.1 della D.C.I. 27 luglio 1984 per quanto attiene i rifiuti non tossici e nocivi". In sostanza nel sistema di classificazione introdotto con la Decisione 542/2000 queste amministrazioni hanno dato alla luce una nuova categoria di rifiuti, i "rifiuti non pericolosi non tossici e nocivi". Come già detto si tratta di un errore, magari compiuto in buona fede, con intenti positivi, ma pur sempre un errore.

Sono già stati illustrati i rischi derivanti da questa illusoria prescrizione restrittiva qualora l'autorizzazione riguardi operazioni di miscelazione tra rifiuti non pericolosi e altri rifiuti, sostanze e materiali di natura inerte. Considerato che il processo di miscelazione non ha alcuna efficacia inertizzante, se si prevede di destinare il prodotto finale dalla miscelazione ad un recupero ambientale, tale autorizzazione finisce per rendere ammissibile la diluizione degli inquinanti e, insieme, cosa più grave ancora, la loro libera diffusione nell'ambiente.

9. Lo spandimento dei fanghi in agricoltura come deve essere autorizzato? C'è qualche sentenza in proposito? Grazie anticipatamente.

Anche qui si registrano differenze tra una regione e l'altra. Il D.Lgs 92/99 "Attuazione della direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura" prevede che i fanghi degli impianti di depurazione di acque reflue urbane ed assimilabili siano rifiuti sino al momento di decidere la loro destinazione finale. In sostanza tutte le fasi dalla produzione al trasporto sono regolamentate dal D.Lgs 22/97.

A questo punto c'è un bivio. Se i fanghi hanno le caratteristiche idonee per il riutilizzo agronomico allora possono essere autorizzati per lo spandimento sul suolo ai sensi dell'art.9 del D.Lgs 99/92, in caso contrario devono essere smaltiti attraverso conferimento a discariche o inceneritori.

Anche qui è la Lombardia fare la differenza: con la "Delibera 30 dicembre 2003 - n. 7/15944 in materia di approvazione dei progetti ed autorizzazione alla realizzazione degli impianti ed all’esercizio delle inerenti operazioni di messa in riserva (R13), trattamento/condizionamento (R3) e spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura (R10) di rifiuti speciali non pericolosi" anche lo spandimento rientra nel campo di applicazione del D.Lgs 22/97 e cioè nell'operazione R10. I requisiti per lo spandimento sono un assemblaggio tra le disposizioni del D.Lgs 99/92 e quelle della Deliberazione C.I. 27 luglio 1984 per i rifiuti tossici e nocivi (come visto sopra " i rifiuti speciali ritirabili e trattabili devono avere concentrazioni limite inferiori a quelle previste dal paragrafo 1.2 della deliberazione C.I. 27 luglio 1984 per i rifiuti tossici e nocivi").

Come in tutte le cose occorre conoscere bene l'applicazione delle disposizioni vigenti nel territorio in cui si risiede. Non voler tener conto di queste differenze porta poi a creare casi inesistenti, con l'unico effetto di creare inutili allarmi nella collettività e far passare un brutto periodo a coloro che si dovessero trovare nel mezzo.

Non si è a conoscenza di sentenze in merito, però si può provare con altri siti che si occupano di diritto ambientale.

10. Si può bruciare l'imballaggio di scarto fatto di plastica e cartone in una normale caldaia per la produzione di acqua calda di stabilimento senza che sia autorizzata per le emissioni in atmosfera? Sostengono che si tratti di inquinamento poco significativo. Grazie per l'aiuto.

Assolutamente no. Come per incenerire anche a fini energetici qualsiasi altro rifiuto ci vuole l'autorizzazione ai sensi degli artt.27, 28 del D.Lgs 22/97. Ricompresa in questa dovrebbe essere anche l'autorizzazione per le emissioni in atmosfera ai sensi degli artt. 6 o 15 del DPR 24 maggio 1988 n°203. L'unica voce che escluderebbe l'applicazione del decreto in materia di inquinamento prodotto da impianti industriali è che si tratti di un impianto la cui attività rientra in quelle c.d. poco significative, in questo caso "impianti termici" con potenzialità inferiore a quella determinata in base al combustibile utilizzato. Ma si tratta di un errore in questo caso. C'è un co-combutibile in più il quale peraltro genera sostanze pericolose nelle emissioni, modificandole quali e quantitativamente.

 

 

 

 

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