chiarimenti
|
4
luglio 2003
|
Ho letto il vostro interessantissimo articolo sulla pericolosita' dei veicoli a fine vita e avrei alcune domande da farvi in riguardo. Io abito in campagna e difianco alla mia casa sorge da 10 anni una depositeria giudiziaria con l'autorizzazione del comune ormai scaduta da un mese. L'autorizzazione era per la costruzione di un deposito auto. L'assessorato all'urbanistica mi ha detto di fare un esposto al comune perche non solo l'autorizzazione è scaduta ma era un'autorizzazione precaria a norma ART. 56. L.R. 56/77. Nella depositeria inoltre ci sono parecchi veicoli stargati, alcuni semi demoliti, pezzi di ricambio e macchine con targhe che all'ACI non risultano sotto sequestro. Domande (mi scuso se sono troppe): il propietario è in violazione del D.Ivo 22/77, cioè, a parte alcune macchine sequestrate, gli altri non sono considerati rifiuti? Non esiste una legge che richiede che i depositi di macchine abbiano una pavimentazione in cemento? Se un ditta vuole convertire un deposito di macchine a una depositeria giudiziaria, a chi deve chiedere l'autorizzazione? Vi ringrazio anticipatamente e vi porgo i miei più cordiali saluti.
Riprendiamo l'argomento su sollecitazione del lettore, anche perché la descrizione del fatto che lo tocca personalmente mette in luce uno degli effetti perversi di questa insostenibile vertenza sulla definizione di rifiuto. Per quanto riguarda le depositerie giudiziarie non si tratta altro che di centri di raccolta di veicoli abbandonati i quali, una volta sottoposti a sequestro, rimangono in questa sede per il tempo necessario ad accertare la possibile identificazione di un proprietario che provvede a farne reclamo. Il termine di mora è di 60 giorni prima di poter considerare lo stesso veicolo "cosa abbandonata ai sensi dell’articolo 923 del codice civile". Il DM n. 460/99 regolamenta tutta la prassi amministrative che deve essere seguita per poter dichiarare il veicolo non più bene mobile circolante su strada, ma rifiuto a tutti gli effetti. Dopodichè , il centro di raccolta "procede alla demolizione e al recupero dei materiali, previa cancellazione dal pubblico registro automobilistico (P.R.A.) ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 103 del decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285".
Il proprietario/gestore del centro di raccolta svolge quindi una funzione di custodia delle cose sequestrate che gli viene remunerata attraverso la stipula di un contratto con la pubblica amministrazione, per es. il Prefetto, all'interno del quale vengono stabilite condizioni e tariffe per il servizio reso. Dovremmo presupporre che tra le condizioni del contratto vi sia l'assicurazione riguardo alla sussistenza dei requisiti ambientali e delle autorizzazioni di tipo edile -urbanistiche necessarie per svolgere tale tipo di attività, ma, come si capisce dal tenore dei quesiti posti, avviene invece che in queste depositerie possano mancare le più elementari cautele, per non dire peggio. Il fatto è che il disinteresse della pubblica amministrazione contraente nei confronti delle condizioni strutturali e gestionali della depositeria è direttamente proporzionale alle dimensioni del fenomeno dei veicoli abbandonati. Oltre a dover sostenere costi sempre maggiori per la custodia ai quali si accompagnano gli immaginabili ritardi nell'esecuzione dei pagamenti, il fattore numerico diventa così esorbitante da trasformarsi in vera e propria emergenze, davanti alla quale, ormai è noto, le preoccupazioni riguardo al rispetto delle regole sono, per così dire, "cedevoli".
Il caso delle depositerie giudiziarie è scoppiato fragorosamente in quel di Napoli nel giugno del 2001. Dovendo discutere della legittimità del sequestro preventivo di aree destinate alla raccolta dei veicoli abbandonati, "su terreno non impermeabilizzato, dove erano stati accumulati circa diecimila auto e settemila motoveicoli, anche sovrapposti l'uno all'altro, senza l'adozione di alcun accorgimento per evitare lo sversamento di oli ed altre sostanze inquinanti, assieme a rifiuti di vario tipo quali parti di veicoli arrugginiti, materiale ferroso, accumulatori usati, ferodi di vari tipi e carcasse privi di parti meccaniche e di carrozzeria, donde la configurabilità dei reati ipotizzati (articolo 51 Dlgs n. 22/1997 e articolo 335 C.p.)" il Tribunale di Napoli rigettava l'impugnazione nonostante la questione fosse già stata sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione la quale concludeva con sentenza del 27 gennaio 2000, Cavagnoli: " i motoveicoli ed autoveicoli sottoposti a sequestro giudiziario o amministrativo, e pertanto affidati ad un custode, non possono concettualmente rientrare nella nozione di "rifiuto" così come definita dall'art. 6, 1° comma, lett. a) D.Lgs. n. 22/1997. Ed invero tali beni sono vincolati in maniera reale alla disponibilità dell'autorità giudiziaria o amministrativa e non possono essere oggetto di alcuna attività da parte dei custodi diretta alla loro dispersione o distruzione. Ne consegue che le aree in cui sono conservati gli autoveicoli ed i motoveicoli oggetto di sequestro non possono essere inquadrate nel novero delle discariche abusive di rifiuti".
Tuttavia la Corte di Cassazione, di nuovo appellata dal gestore insoddisfatto della sentenza del Tribunale di Napoli, concludeva salomonicamente sostenendo che sì i motoveicoli ed autoveicoli sottoposti a sequestro giudiziario o amministrativo, e pertanto affidati ad un custode, non possono concettualmente rientrare nella nozione di "rifiuto" così come definita dall'art. 6, 1° comma, lett. a) D.Lgs. n. 22/1997, ma che, nel caso in questione, si aggiungevano rifiuti di vario tipo che, sebbene discendenti dai veicoli, non petevano ritenersi soggetti allo stesso tipo di indisponibilità, per cui si confermava l'ordinanza di sequestro avvalorandola come riguardante i rifiuti veri e propri e non il resto dei veicoli presenti.
Dalla lettura di questi dispositivi si traggono pertante alcune (amare) riflessioni. La prima è che le depositerie giudiziarie non necessitano di alcuna autorizzazione ai sensi del D.Lvo 22/97, almeno fino a quando l'attività svolta è quella di mera custodia di cose sequestrate, senza che si producano altri rifiuti, nemmeno a causa di negligenza. Sebbene i rischi di corrosione, collassamento, sversamento ecc ecc. delle diverse componenti degli autoveicoli siano esattamente gli stessi di quelli di un centro autorizzato ai sensi degli art..27, 28, 33 del decreto citato la depositeria giudiziaria è esente da qualsiasi tipo di controllo preventivo e periodico non essendo richiesto il rispetto di alcun requisito né di natura strutturale che gestionale.
La seconda è che tale sconcio sia non solo ammesso, ma adirittura sottoscritto da una pubblica amministrazione che, come parte contraente, è incapace di stabilire tra le condizioni del servizio anche quel minimo di garanzie a salvaguardia dell'ambiente che dovrebbero invece essere di default in qualsiasi rapporto intrattenuto con il privato.
La terza, che è l'osservazione che si ripete inesorabilmente ogni qualvolta si debba incappare nella vexata quaestio della nozione di rifiuto, dove si sottolinea questa perversione tutta italiana di discutere "in astratto" rendendo dirimente una interpretazione autentica perché se non si applica questa disciplina quello che ci attende è: il nulla!
Se, per ipotesi cioè, non si rientra nel campo di applicazione dei rifiuti, non abbiamo neanche un minimo corrispettivo nel nostro ordinamento che ci permetta in ogni caso di assicurare analoghe forme di tutela nei confronti di un deposito di …..materie prime. Il paradosso della vicenda è anche questo, il fatto cioè che nessuno pensi comunque a stabilire le regole tecniche per costruire e gestire "magazzini" all'aperto di beni sempre suscettibili di inquinare le acque ed il suolo.