leggi e sentenze
25 gennaio 2006

Due buone notizie sul fronte della normativa rumore. I giudici amministrativi riconoscono sempre più spesso essere un errore la disapplicazione del limite differenziale nell'ambito di controversie relative ad inquinamento da rumore, proprugnato in passato in diverse occasioni e avvallato da ultimo dal Consiglio di Stato. Nonostante un intervento chiarificatore del Ministero dell'Ambiente, già commentato su questo sito, qualcuno si ostinava ancora a perseguire una lettura distorta dell'art. 6 della l. n. 447/95 secondo la quale nei Comuni dove non è è stata effettuata la zonizzazione non sono applicabili i limiti differenziali di cui all’art. 4 del D.P.C.M. 14.11.1997 ma solo i limiti assoluti.

Oggi invece arrivano due nuove sentenze che ristabiliscono la corretta applicazione della norma.

La prima (n. 174/2005) ci viene da quel di Trento dove il T.A.R. affrOnta la vicenda relativa ad un esercizio pubblico particolarmente rumoroso.

Il Collegio ritiene, infatti, di dover disattendere l’invocato insegnamento del Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV, 18 febbraio 2003, n. 880), fatto proprio dalla giurisprudenza di numerosi TAR, secondo il quale il limite differenziale non è applicabile nei Comuni che non hanno ancora provveduto a predisporre il piano di zonizzazione.

Nella predetta sentenza il Consiglio di Stato ha, invero, osservato che: Il sistema previsto dall'art. 6 della l. n. 447 del 1995 (legge quadro sull'inquinamento acustico) presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed è onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, evidenziando come questi costituiscano strumento necessario ad individuare sia quelle aree sulle quali possono essere consentiti più elevati strumenti di rumorosità ovvero gli spazi necessari a garantire un adeguato abbattimento del rumore stesso, in relazione alle sorgenti sonore presenti ed ai livelli di rumorosità da esse prodotte, sia le eventuali "fasce- cuscinetto" tra zone diversamente classificate.

……

La natura di legge quadro della 447/95 e la previsione di numerose norme secondarie di attuazione hanno comportato la predisposizione di un regime transitorio, che ha trovato disciplina nell’art. 15 della cit. l. n. 447/95, in forza del quale è stato previsto che, sino all’adozione dei provvedimenti e dei regolamenti attuativi, trovano applicazione le

disposizioni di cui al D.P.C.M. 1.3.1991.

Il principale strumento attuativo della legge quadro è stato adottato con il D.P.C.M. 14.11.1997, che contiene la determinazione dei valori limite, sulla base di una classificazione del territorio dei comuni in sei classi.

Con riguardo al limite differenziale si conferma il limite di 5 dB per il periodo diurno e di 3 dB per quello notturno, stabilendo che detti valori non si applicano alle aree esclusivamente industriali.

Così ricostruito il complessivo regime normativo, va osservato che il problema ermeneutico all’esame discende dal fatto che l’art. 8 del D.P.C.M. 14.11.1997, nel regolare il regime transitorio, richiama solo il 1° comma dell’art. 6 del D.P.C.M. 1991 e non fa cenno al contenuto del 2°, che disciplina il rispetto del limite differenziale, in tal modoaccreditando, sotto il profilo meramente letterale, l’interpretazione prevalente, secondo cui siffatto limite non deve essere rispettato sino a quando non sia intervenuta la classificazione acustica del

territorio comunale.

Va rilevato che tale opzione ermeneutica si scontra però con l’inquadramento sistematico, posto che:

1) opera un arretramento della tutela rispetto alla normativa a suo tempo posta dal D.P.C.M. 1.3.1991;

2) non tiene conto del fatto che l’applicazione del limite differenziale è espressamente prevista dalle sopra richiamate disposizioni della l.n. 447/95;

3) la norma di rango legislativo che disciplina il regime transitorio (l’art. 15 della l. n. 447/95) non opera alcun riferimento alla dilazione dell’utilizzo del criterio differenziale;

4) che il D.P.C.M. - in quanto avente natura regolamentare - non ha il potere di introdurre modifiche al regime previsto dalla norma primaria.

Pertanto, reputa il Collegio che è la norma di rango secondario che deve essere interpretata alla luce di quella di rango primario. Va soggiunto che già in precedenza era stato osservato dalla giurisprudenza (cfr. TAR Umbria 23.4.2001 n. 236 ) che sia il decreto del 1991, sia quello successivo del 1997 rendono ben chiara l’idea che per le aree non esclusivamente industriali (come quella di specie) non è stata affatto delineata una soluzione di continuità in

ordine al cumulo dei due criteri di valutazione di cui si discute ("criterio differenziale" e "criterio assoluto").

Infatti, a parte la perfetta corrispondenza letterale delle due norme in rassegna (2° co. dell’art. 6 del decreto del 1991 e 1° co. dell’art. 4 del decreto del 1997) che già chiaramente fa propendere per la delimitazione del divieto di cumulo dei due criteri solo per le aree industriali (e, quindi, non per le altre), vi è da dire che sotto il profilo logico e teleologico è del tutto irragionevole pensare che il "criterio differenziale" già operante in base al decreto del 1991 possa essere stato congelato durante il periodo transitorio (di carenza di zonizzazione), pur in presenza di una situazione urbanistica e (soprattutto) di una esigenza di tutela della salute pubblica, assolutamente identiche durante il periodo di riferimento (e cioè dal 1991 al 1998).

…..

Riassuntivamente, il Collegio reputa che ancorché l'art. 8 del D.P.C.M. 14 novembre 1997 stabilisca che "in attesa che i comuni provvedano agli adempimenti previsti dall'art. 6, comma 1, lettera a) della legge n. 447 del 1995 (legge quadro), si applicano i limiti di cui all'art. 6, comma 1 del D.P.C.M. 1 marzo 1991". deve essere affermato che il richiamo ai soli limiti assoluti (previsti dal citato art. 6, comma 1, del D.P.C.M. 1 marzo 1991) non esclude l'applicabilità dei limiti differenziali di cui al comma 2, che non è stato esplicitamente abrogato, in quanto questi rispondono ad una ratio normativa specifica cautelativa, anche in conformità a quanto disposto nell'art. 15, comma 1 della legge n. 447 del 1995.

Venendo ora alla disamina della fattispecie all’esame il Collegio osserva che, pur prendendo atto della circostanza che il Comune di Andalo non ha effettuato la zonizzazione acustica, risulta decisiva l’ulteriore considerazione che, non essendo l’area dove insiste il pubblico esercizio gestito dalla ricorrente urbanisticamente classificata di tipo esclusivamente industriale, la stessa non poteva ragionevolmente sottrarsi al regime dei "valori limite differenziali".

La seconda occasione di giudizio sull'applicazione del limite differenziale si è presentata " a Castrignano del Capo sempre a partire dal disturbo prodotto da un esercizio pubblico c.d. Disco Bar.

Il T.A.R. PUGLIA, Lecce, Sez. I, con sentenza n. 488 del 24 gennaio 2006 si esprime quindi sul ricorso argomentato, tra le altre questioni, anche sull'inapplicabilità del limite differenziale.

Sul punto, il Collegio – pur consapevole dell’esistenza di un consistente contrario orientamento giurisprudenziale – è convinto che la piena operatività del criterio dei valori limite differenziali di immissione (peraltro, applicato correntemente nella prassi delle rilevazioni fonometriche effettuate dall’A.R.P.A. sull’intero territorio nazionale) anche nei Comuni privi della "zonizzazione acustica" risponda perfettamente allo spirito della vigente normativa in tema di inquinamento acustico, oltre che ai principi costituzionali ed alla ragionevolezza.


Infatti, considerato che (mentre i limiti assoluti d’immissione hanno la finalità primaria di tutelare dall’inquinamento acustico l’ambiente inteso in senso ampio) i valori limite differenziali, facendo specifico riferimento al rumore percepito dall’essere umano, mirano precipuamente alla salvaguardia della salute pubblica e che (già prima dell’entrata in vigore della Legge 26 Ottobre 1995 n° 447 e del conseguente D.P.C.M. 14 Novembre 1997) l’art. 6 del D.P.C.M. 1° Marzo 1991 prevedeva l’applicazione sia di limiti massimi in assoluto (primo comma) sia di valori limite differenziali per le zone non esclusivamente industriali (secondo comma), si deve necessariamente concludere che la disposizione transitoria dettata dall’art. 8 del citato D.P.C.M. 14 Novembre 1997 (che testualmente si limita soltanto a prevedere l’applicazione – sino all’avvenuta zonizzazione di cui all’art. 6 lettera "a" della Legge n° 447/1995 – dei limiti assoluti di accettabilità di immissione sonora previsti dal primo comma dell’art. 6 del predetto D.P.C.M. 1° Marzo 1991) non può essere correttamente interpretata (tenuto conto delle finalità di forte tutela del bene salute complessivamente perseguite dalla Legge quadro sull’inquinamento acustico e dalla normativa regolamentare di attuazione del 1997) nel significato (peraltro clamorosamente contrastante con l’art. 32 della Carta Costituzionale) di escludere del tutto l’operatività del criterio dei valori limite differenziali d’immissione (contemplato dall’art. 4 del D.P.C.M. 14 Novembre 1997 e, come detto, già fissato dal secondo comma dell’art. 6 del D.P.C.M. 1° Marzo 1991), nel territorio di quei Comuni che non abbiano ancora provveduto all’approvazione del c.d. piano di zonizzazione acustica.

Per le ragioni sopra illustrate il ricorso (compresi i motivi aggiunti) deve essere respinto.

 

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