interventi
18 dicembre 2001

Come è finito il processo in primo grado del caso Porto Marghera ormai è noto a tutti. Il giudice ha deciso per l'assoluzione di tutti i testi per i vari reati ascritti in considerazione del fatto che:

a) per quanto riguarda le patologie mortali da cloruro di vinile monomero, sarebbero da imputarsi ad una sostanziale carenza di informazioni che non hanno permesso, almeno del primo periodo, un'adeguata prevenzione. Solo quando lo Stato si è espresso per una qualche forma di tutela obbligata, allora le industrie hanno operato per mettersi nelle condizioni di assicurare ai lavoratori le necessarie protezioni...ma ormai il male era già fatto;

b) per quanto riguarda invece gli effetti ambientali prodotti da decenni di chimica pesante nell'area lagunare, questi sarebbero stati prodotti in un periodo durante il quale non vigevano le regole di protezione che conosciamo oggi e quindi, il disastro, posto che ci sia effettivamente (per questo ci sono le linee guida dell'OMS), non può imputarsi alle responsabilità delle imprese che hanno scaricato di tutto a Marghera, ma evidentemente alle classi politiche che hanno governato senza la sensibilità necessaria per garantire un futuro all'ambiente in cui si deve vivere.

Sulla sentenza molte sono state le voci e i commenti e, probabilmente, altrettante saranno, le critiche o ipercritiche, nel corso degli anni che attendono i ricorrenti, i magistrati, le parti civili, lo Stato, prima di arrivare alla conclusione di tutti i gradi del processo. Ognuno è in grado di farsi un'opinione in proposito. Se ne riparlerà alla prossima tappa.

Quello che oggi preme invece chiedersi è se la situazione di forte compromissione delle componenti ambientali in quel di Marghera ha qualche possibilità di essere, se non ridimensionata, almeno mitigata. Cioè la discussione è questa: posto che con l'esito del processo non si sono ottenute le "carte giuste" per andare ad un tavolo di trattativa che mettesse le varie articolazioni del governo locale e nazionale in una posizione di forza nei confronti dei "perdenti", c'è qualche remota possibilità che il lungo percorso del risanamento dell'area inizi effettivamente? E' da premettere che numerosi interventi tampone sono stati comunque realizzati, una visita al sito della Provincia di Venezia o del Magistrato delle Acque risulterà chiarificatoria in questo senso, ma la dimensione delle cose da fare è talmente soverchiante che, in percentuale, si tratta di un progresso minimo.

Per capire quale futuro attende Porto Marghera non rimane quindi che cogliere l'avvicendarsi degli eventi seguendo le notizia laddove si formano su basi concrete, più vicine possibile cioè ai soggetti istituzionali che si devono esprimere, in Parlamento. Qui raccogliamo, da un audizione in Commissione Ambiente del Ministro Matteoli del 14 novembre scorso, le prime avvisaglie di quello che è stata e sarà la contrattazione tra le parti, nella fase post-sentenza.

Lo sconcerto che l'opposizione ha dedicato alla vicenda si forma in particolare sull'accordo strappato in extremis alla Montedison, 48 ore prima delle parole del giudice, per un risarcimento per danno ambientale di 575 miliardi da trasferire agli organi dello stato perchè si attuino le bonifiche sui siti di questa proprietà.

ALTERO MATTEOLI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

La vicenda di Porto Marghera non si conclude con la sottoscrizione di questo accordo, intervenuto, come detto, tra Presidenza del Consiglio, Ministero dell'ambiente e una parte delle imprese coinvolte nel danno ambientale. Si tratta di un accordo maturato durante una lunghissima trattativa, che deve ancora concretizzarsi nei fatti (ma ciò sicuramente avverrà). A tal proposito, devo anche ringraziare l'opposizione che ha posto, di fronte al raggiungimento di questo accordo, dei quesiti in termini più che civili; siamo inoltre tutti consapevoli che, per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, si è concluso un accordo che consente allo Stato di incamerare una cifra cospicua a titolo di risarcimento del danno ambientale, che permetterà di bonificare larga parte del territorio interessato da tale danno. Come è apparso sulla stampa nazionale, è stata sottoscritta una transazione tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e la società Montedison in riferimento al procedimento penale contro Eugenio Cefis più trenta.
Chi come me ha qualche anno ricorderà, all'inizio degli anni settanta, le polemiche suscitate dalle vicende della Montedison e del suo presidente Eugenio Cefis circa l'inquinamento dei fanghi di Scarlino e di Porto Marghera. La legge n. 319 del 1976, cosiddetta legge Merli, nonostante la rigidità di alcuni parametri, era nata, in qualche modo, anche per aiutare la Montedison.
L'accordo contenuto nella transazione prevede lo stralcio della posizione di parte civile della Presidenza del Consiglio e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio per ogni conseguenza derivante dal processo indicato, che si è concluso in primo grado con la completa e totale assoluzione degli imputati da tutte le accuse loro mosse. È bene ricordare, anche se già è noto, che la sentenza si è avuta dopo l'accordo; l'accordo, infatti, è intervenuto 48 ore prima della sentenza.
Al riguardo, si osserva che, a fronte dello stralcio della posizione processuale dell'amministrazione, la società Montedison ha già versato in conto entrate del Ministero dell'ambiente, secondo le norme di contabilità generale dello Stato, oltre al rimborso delle spese processuali sostenute, anche 25 miliardi di lire, che saranno utilizzati per la creazione di piani e programmi nell'anno finanziario 2002; in particolare, una quota rilevante verrà utilizzata per garantire la diffusione di una più adeguata cultura ambientale.
Inoltre, la Montedison si è impegnata ad erogare ulteriori 550 miliardi a totale copertura dei costi previsti dal magistrato delle acque di Venezia per la completa realizzazione di dieci interventi di bonifica, secondo le priorità previste dall'accordo di programma per la chimica di Porto Marghera, sottoscritto in data 21 ottobre 1998 ed approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 febbraio 1999, nell'area immediatamente circostante l'insediamento industriale in argomento.
L'erogazione della somma avverrà su capitoli di bilancio di pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, a seguito dell'approvazione dei relativi progetti. La circostanza ha rappresentato per noi motivo di discussione ma, fin dal primo momento, io ho preteso ciò affinché vi sia da parte del Ministero dell'ambiente un controllo anche sulla spesa della somma. Praticamente, in tal modo, essa viene gestita o, meglio, transita anche dal Ministero dell'ambiente.
....Si ritiene altresì che sia di particolare interesse la constatazione che il danno ambientale, per il quale si chiedeva un ristoro processuale alla società Montedison, è stato, pure in assenza di una sentenza assolutoria, risarcito in misure e tempi finora assolutamente sconosciuti dall'ordinamento giuridico e dalla giurisprudenza di questo paese: basterà, infatti, ricordare, in proposito, che il processo del Vajont si è concluso, ad oltre trent'anni dal tragico evento, con il versamento di cento miliardi a titolo di risarcimento completo e totale dei danni prodotti, e ciò a seguito di sentenza penale di condanna, ad oggi assente nel procedimento penale contro i dirigenti della Montedison. In realtà, quando abbiamo sottoscritto l'accordo, l'esito della sentenza non lo conoscevamo. Però, a maggior ragione dopo l'esito della sentenza, sono soddisfatto di aver potuto raggiungere tale accordo. Nel merito della sentenza non entro, non sono mai voluto entrare e mai entrerò. Il nostro ordinamento prevede tre gradi di giudizio, vi saranno altre fasi ma non ho mai commentato una sentenza e, quindi, non lo farò neanche ora.

Questo primo passo è importante. Nonostante l'assoluzione di "Eugenio Cefis più trenta" la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell'Ambiente avrebbero portato a casa una somma rilevante che sarà tutta impegnata per il risanamento dell'area. Come vedremo più avanti la contestazione riguarda l'entità della somma, cioè la sproporzione tra quella concordata nella trattativa e quella richiesta in sede processuale dall'Avvocatura dello Stato, dell'ordine di 70mila miliardi (in realtà è esattamente quanto viene fuori da un banale calcolo delle tonnellate di materiale tossico da rimuovere). Alla luce del fatto che cifre così esorbitanti porrebbero un quesito piuttosto serio sulla sostenibilità economica della transizione anche se a carico di un colosso industriale come Montedison (il bilancio dell'intero gruppo Montedison nel mondo, infatti, è inferiore di un terzo, 28.000 miliardi di ricavi l'anno scorso, mentre quello dell'Enichem è in perdita per un centinaio di miliardi), c'è da chiedersi se potrà mai esservi decisione di stanziamento per Porto Marghera pari a quella di tre Finanziarie da parte di uno qualsiasi dei prossimi Governi.

Ma ritornando alla transizione come giudicare questo accordo sul filo di lana? Semplicemente portandolo a confronto con ciò che non si è ottenuto sul altro versante, in particolare Enichem: 1500 miliardi di carta - nel senso che stanno scritti sui documenti - sono i miliardi di lire che alcune aziende che operano nell'area, in primo luogo l'Enichem, avevano accettato di stanziare con la firma dell'"Integrazione all'accordo di programma sulla chimica a Porto Marghera" nell'ottobre del 1998. Alla richiesta del ministro dell'Ambiente, Altero Matteoli, di contribuire alla prima tranche del risanamento con 400 miliardi di lire, 207 milioni di euro, l'Enichem non ha finora risposto, nemmeno di fronte alla minaccia di un ricorso in appello da parte del ministero. Perché non di una gentile elargizione si tratterebbe, ma di una parte nemmeno tanto elevata della quota di riparazione del danno ambientale che secondo l'Avvocatura dello Stato spetta all'azienda. A latere del processo e dello stato di avanzamento del master plan succede anche che Enichem sta andando alla trattativa con gli arabi della Sabic per la cessione del 51 per cento dell'intera società, un'operazione da 3500 miliardi. Per quanto riguarda le regole non cambierebbe assolutamente nulla perché nella trattativa Enichem ha messo come pregiudiziale il rispetto degli accordi.

ALTERO MATTEOLI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

Da ultimo, si fa presente che non vi è alcun accordo con l'Enichem. Leggo sui giornali che è in corso una trattativa tra Enichem ed il Ministero dell'ambiente: è totalmente falso. Allo stato, il Ministero dell'ambiente non ha alcuna trattativa in corso con l'Enichem e non ha alcuna intenzione di iniziarla. Certo, davanti ad una specifica richiesta, ci metteremmo, così come si è fatto con Montedison, intorno ad un tavolino. Ma, allo stato, alle 14,45 di oggi, il Ministero dell'ambiente non ha avuto alcun rapporto con Enichem per avviare una trattativa; evidentemente, l'Enichem fa una scelta diversa. Ciò, del resto, andrebbe chiesto all'Enichem e non a me. È stato dato mandato all'Avvocatura dello Stato di procedere all'azione di risarcimento di danno ambientale nei confronti dell'Enichem.
Due punti fondamentali dell'accordo mi hanno convinto: il versamento al Ministero dell'ambiente e la circostanza che siano stati individuati, nell'accordo, precisi lavori di bonifica: gli stessi che il magistrato delle acque aveva richiesto per poter bonificare un certo territorio, soprattutto per quanto riguarda alcuni canali che avevano raggiunto un grado di inquinamento notevolissimo. Ho concluso la mia esposizione e resto a disposizione per eventuali domande.

Marghera è nata ai primi del ‘900 con gli investimenti dei conti Volpi (gli stessi che avevano costruito la diga del Vaiont: dice nulla questa coincidenza?) e delle altre grandi famiglie della finanza. Un porto comodo e sicuro, cioè Venezia, il bacino di consumo rappresentato dall’Alta Italia e dalla Baviera. Sulle circostanze storiche che hanno portato alle estreme conseguenze un modello di sviluppo fondato sulla distruzione delle risorse molto hanno da portare i documenti storici in termini di testimonianza, ma poco sul che fare. Possiamo scrivere pagine e pagine sulle presunte responsabilità, ma l'unica differenza tra Marghera e le altre è che nella prima si è concentrato un coacervo di attività inquinanti che non ha rivali nel resto del paese e che, fatte le dovute proporzioni, come coacervo, si è dimostrato del tutto insensibile alle problematiche ambientali alla pari degli altri distretti industriali. Solo quando le pressioni delle anticamere ambientaliste sono riuscite a porre il tema all'ordine del giorno, quando le prime sentenze sono riuscite a scuotere il muro di indifferenza sorto attorno agli impianti, allora le cose hanno cominciato a prendere un altro verso. Per questo non vale perdersi in discussioni sterili prendendo a pretesto, come fa qualche parlamentare, il piano regolatore del comune di Venezia che, emanato nel 1962, è rimasto in vigore fino agli inizi degli anni novanta e il quale recita:".. nella zona industriale di Porto Marghera, troveranno posto prevalentemente quegli impianti che diffondono nell'aria fumo, polvere o esalazioni dannose alla vita umana, che scaricano nell'acqua sostanze velenose, che producono vibrazioni o rumori." Testi dello stesso genere, con i medesimi contenuti, basati sul principio del "fatti più in là" dichiarato all'indirizzo dell'impresa poco gradita, sono ancora del tutto presenti nei piani regolatori di mezza Italia (l'altra metà è quella che non possiede uno straccio di piano, per intenderci), e quindi non c'è scandalo in questo, ma solo stimolo per cambiare.

E' giusto allora tornare sui termini dell'accordo e su quanto si riuscirà a fare con la somma raccolta.

ERMETE REALACCI.

.... vorrei sollevare due questioni, signor ministro.
La prima riguarda l'entità del patteggiamento intervenuto con la Montedison; posso condividere con lei una sospensione del giudizio sull'entità del danno calcolata in sede processuale, specie in considerazione del fatto che è ovvio a tutti che sostenere la tesi di un danno così ingente - mi sembra fossero 70.000 miliardi - equivale a chiedere lo scioglimento della società, di qualsiasi società italiana. Non vi è in Italia, credo, alcuna società che sia in grado di far fronte ad un tale esborso.
....A parte i riflessi occupazionali, diventerebbero una sorta di "arma di fine mondo". Quindi posso comprendere che la valutazione fosse da sottoporre a vaglio critico, per la sua praticabilità e non per ragionamenti di principio. Mi chiedo però dove siano le verifiche circa la circostanza che i soldi che ora la Montedison impegna siano sufficienti a ripristinare effettivamente il danno causato. Da tale punto di vista, signor ministro, le chiedo di poter ricevere copia integrale dell'accordo, per poterlo valutare, considerato che non mi risulta che tale accordo sia stato, a tutt'oggi, reso pubblico. Mi è sembrato di capire, signor ministro, che lei abbia anche detto che l'accordo implica il fatto che il Ministero dell'ambiente non sarà più presente in fase di appello. ....... Ciò, a mio avviso, al di là degli aspetti penali, sarebbe giustificabile solo a fronte della certezza che alla cifra versata corrisponda effettivamente un ripristino, se non totale, almeno avanzato delle condizioni preesistenti al danno. Su ciò, francamente, credo sia lecito nutrire più di un dubbio.

Qui si tocca il punto più delicato della questione. Se cioè la transizione valga l'abbandono del processo d'appello. In forza di questo accordo l'avere perso ogni possibilità di incamerare altri risarcimenti da parte Montedison può reggere solo a fronte di un'esatta quantificazione dei costi imputabili alle bonifiche e alla sua corrispondenza con i 575 miliardi ricevuti in cambio. Risponde il Ministro.

ALTERO MATTEOLI, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio.

Quando abbiamo sottoscritto questo accordo ero conscio della possibilità che esso potesse venire interpretato a seconda delle parti politiche. A mio avviso, in questa vicenda, va riconosciuto del merito all'attuale Governo; dico ciò anche in seguito alle parole dell'Avvocato dello Stato, il quale mi ha riferito che per la prima volta egli ha contribuito a sottoscrivere un atto di questa natura che permette allo Stato di intascare tale cifra: non essendovi mai riuscito in vent'anni, era lieto di aver potuto sottoscrivere un tale atto prima di andare in pensione. ....A chi sostiene che l'accordo poteva essere migliore - magari chiedendo mille o 10 mila miliardi - rispondo che tutto è possibile ma quando si fa una mediazione, sedendosi intorno al tavolo per raggiungere un accordo, bisogna sapere che si è in due. Tutto sommato era interesse personale del sottoscritto, come ministro dell'ambiente, e tralasciando l'interesse del Governo, auspicare che l'accordo non si realizzasse per poter continuare ad affermare che avremmo voluto 70 mila miliardi; così facendo, però, avremmo preso in giro 60 milioni di italiani in quanto quei 70 mila miliardi non sarebbero mai giunti nelle casse dello Stato. Io che sono pragmatico ho ritenuto che, nell'interesse generale del paese, fosse necessario raggiungere un accordo e portare a casa 575 miliardi.
L'onorevole Vianello chiede perché non si sia sottoscritto l'accordo, incamerando i 575 miliardi, e stabilendo, però, che li avremmo spesi come più ritenevamo opportuno. Innanzitutto preciso che l'accordo in realtà parla di 550 miliardi, in quanto 25 miliardi sono destinati al Ministero per l'ambiente e saranno spesi per promuovere una maggior cultura ambientale. I restanti 550 miliardi sono destinati, invece, alle opere da compiere. Abbiamo perso, mi sia consentito dirlo, molto tempo a discutere se i lavori da realizzare andassero inseriti o meno nell'accordo: abbiamo preferito farlo, considerato che, il magistrato alle acque, aveva più volte sottolineato la priorità di tali opere per il raggiungimento di un risanamento completo.
Se così non avessimo fatto molto probabilmente l'onorevole Vianello, o qualcun altro, avrebbero potuto domandare come mai si era sottoscritto un accordo per 550 miliardi senza indicare le opere, e forse si sarebbe ipotizzato che la Montedison intendeva prenderci in giro realizzando le opere che più preferiva. Ho ritenuto che vi fosse la necessità di inserire nell'accordo le opere da compiersi - lo ha voluto il Ministero dell'ambiente - e ciò per avere delle basi certe. Nell'accordo, che mi procurerò di farvi avere, sono elencate 9 opere, per ognuna delle quali viene stabilito l'ammontare della somma destinata, fino a raggiungere l'ammontare totale di 550 miliardi.

Ho ritenuto opportuno sottolineare, nella mia relazione iniziale, che su questa operazione vi è il controllo del Ministero dell'ambiente; rammento, inoltre, che i fondi vengono versati in un capitolo del ministero il quale pagherà solamente in presenza di lavori compiuti secondo il progetto. Più di ciò francamente non ritengo fosse possibile ottenere.

Come abbiamo avuto modo di leggere i 575 miliardi serviranno a risanare 9 aree. I siti individuati sarebbero i seguenti: primo tratto sponda ovest del canale San Leonardo (25,1 miliardi), secondo tratto sponda ovest del canale San Leonardo (18,4 miliardi), canale industriale ovest sponda est (105,6 miliardi), canale Brentelle Vittorio Emanuele (171,2 miliardi), sponda lagunare area ex Esso (11,1 miliardi), canale Luxore Brentelle (71,7 miliardi), sponda ovest Isola serbatoio petroliferi (33,1 miliardi), area Pili (42 miliardi), sponde e fondali darsena della Rana (21,2 miliardi).

In realtà uno dei parlamentari presenti ha avuto a che discutere sul contenuto del lodo intercorso in quanto " ..non si tratta di vere e proprie aeree ma di canali, di marginamenti lagunari". Inoltre non è chiaro perchè la base di condivisione si sia sviluppata solo su questi marginamenti lagunari quando Montedison è stata vecchia proprietaria di tutto il petrolchimico.

A questo punto servirebbe conoscere meglio qual'è l'estensione dei siti rimanenti. In realtà la situazione è molto particolare. Secondo una documentazione fotografica del 1955 il petrolchimico è stato costruito su un terreno destinato ad uso agricolo mentre secondo Enichem sarebbe cresciuto sopra casse di colmata, che sono dei diaframmi in cemento o in pietra sui quali venivano gettati dei residui.

Secondo l'inchiesta del magistrato Felice Casson le discariche rinvenute sono quelle descritte alla seguente tabella:

Interno stab. Enichem 341.000 mc di amine aromatiche, solventi aromatici, Pcb, metalli
Ecomed/ex Montedison un’area di 10.000 mq coperta da amine, solventi, Pcb, metalli
Interno stab. Ecomed 1.340 mc amine aromatiche, solventi aromatici, Pcb, metalli
Enichem agricoltura 40.000 mc fosfogeni, fanghi addolcimento acque, catalizzatori
Canale Lusore-Bretelle 15.000 mc fanghi di fondo canale contaminati da clorurati e mercurio
Ricettore rifiuti impianti Agrimont 40.000 mc di composti dell’arsenico e metalli
Ricettore rifiuti impianti Agrimont-Campaccio 12.000 mc di composti dell’arsenico e metalli
Montefibre 4.800 mq coperti da rifiuti tossico-nocivi
Venezia-S.Giuliano discarica pubblica 1.800.000 mc di Rsu, rifiuti speciali e rifiuti tossico-nocivi
Venezia-Pili 300.000 mc di gessi e fanghi industriali speciali e tossico-nocivi
Mira-Dogaletto 1.000.000 mc di terreni e gessi industriali contaminati da idrocarburi clorurati e metalli pesanti
Venezia-Marghera discarica "40 ettari" 600.000 metri cubi di residui industriali speciali vari
Marghera-via Bottanigo 20.000 mc di residui industriali tossico-nocivi
Marghera-area Sordon 40.000 tonnellate di residui di mercurio, cobalto, vanadio
Venezia-Malcontenta-Moranzani 600.000 mc di calce spenta, nerofumo da produzione di acetilene, peci, fluorogeni
Discarica ex Rasego Campagna Lupia 3.000 mc di residui lavorazioni industriali Ipa
Venezia-Fusina Discarica Ausimont 100.000 mc di residui industriali
Mira-Malpaga 100.000 mc si rifiuti industriali e rifiuti tossico-nocivi

Il totale presunto espresso in unità di volume di rifiuti pericolosi è pari a 5.000.000 di mc.

Per avere un'idea di qual'è il livello di compromissione basti sapere che il Comune di Venezia ha lavorato due anni per presentare il "Piano generale d'indagine dei suoli e delle falde dell'area chimica di Porto Marghera". La superficie interessata è di oltre mille ettari, circa la metà dell'intera area industriale. Complessivamente l'indagine ha riguardato le aree occupate dalle 17 aziende che hanno sottoscritto l'accordo per la chimica, in base al quale hanno assunto l'impegno di compiere una ricerca sullo stato di salute dei propri terreni su una maglia passo 100. Alla fine sono stati individuati 2000 punti, ognuno dei quali costituisce una stazione di rilevamento. In cifre le 17 aziende interessano una superficie totale di circa 847 ettari, pari al 40% dell'intera zona industriale di Porto Marghera. Di questi 847 ettari, il 16% è stato stralciato in quanto già soggetto ad opere di bonifica ambientale, è stato indagato il restante 84%. pari a 708 ettari. Ai 708 ettari, ne vanno sommati altri 500, già interessati alle opere di risanamento, complessivamente sono quindi circa 1100 gli ettari presi in esame per gli interventi di pulizia. Ma non è tutto, perché, bisogna aggiungere anche i 270 ettari dei canali industriali indagati. La somma totale della superficie oggetto dell'indagine eseguita dal Comune sale quindi a quota 1370 ettari, pari al 65% del totale dell'area industriale.

Uno studio dell'Autorità portuale ha già accertato che dai quei canali dovranno essere asportati un milione e 600 mila metri cubi di sedimenti inquinati. Lo studio ha accertato che un milione e 600 metri cubi di rifiuti sono definiti «critici», e classificati come materiale «oltre C», nella speciale tabella che identifica il livello d'inquinamento dei sedimenti. Tali fanghi per legge debbono essere opportunamente smaltiti, a seconda del grado di compromissione, mentre i sedimenti classificati come «Ad e B» non sono considerati pericolosi e subiranno un trattamento diverso. Complessivamente saranno prelevati circa 6 milioni di metri cubi di materiale, perciò circa 4,4 milioni rientreranno nella categoria «Ad e B».

Da questi pochi dati già si capisce la ciclopica opera di pulizia che aspetta Porto Marghera, un intervento che non ha precedenti in Italia. I costi della bonifica sono di difficile quantificazione, c'è chi ha azzardato mille miliardi, chi duemila. Lo stesso per i tempi. Tutti concordano nel dire che serviranno almeno dieci anni, ma potrebbero essere molti di più.Quello di cui avere maggiore timore in questo periodo è che non si veda ancora il traguardo perchè le opere inizino. Sarà strategico per il raggiungimento dell'obiettivo che tutte le forze politiche, di maggioranza e opposizione, a livello nazionale e locale, collaborino efficacemente in funzione dello scopo comune.

 

 

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