leggi
e sentenze
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28
maggio 2006
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Ebbene il decreto legislativo riguardante "Norme in materia ambientale" (che curiosamente corrisponde come numero. Il 152, al "vecchio" testo unico sulle acque) è stato pubblicato sulla G.U. n°96 del 14 aprile 2006 e quindi è legge a tutti gli effetti. La confusione amministrativa nel paese è a livelli di pericolosità tale da giustificare provvedimenti risolutivi da parte del neo Ministro all’Ambiente e Territorio, provvedimenti di cui non si vedono ancora bene i contorni né quando avranno (e come) efficacia. In questo stato di sospensione in cui le amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente non sanno bene cosa fare per cui, nell’incertezza, incrociano le braccia in attesa di una illuminazione, chi ci rimette non è solo l’ecosistema, come si potrebbe bene immaginare, ma anche un altro "sistema", quello delle imprese. Sebbene Confindustria si esprima per il mantenimento di questo codice per gli innegabili vantaggi che ne deriveranno in termini di sburocratizzazione e quindi per l’economia generale, la base mugugna a causa dell’improvvisa perdita di riferimenti che ha causato la sua entrata in vigore. Laddove serve avere un’autorizzazione per realizzare o modificare un impianto produttivo tutto si ferma per mancanza di deleghe, competenze, organici, indirizzi e quant’altro, lasciando l’imprenditore nel dubbio se procedere senza titoli rischiando inevitabili denunce o aspettare perdendo i tempi rapidissimi del mercato.
Nell’improbo lavoro di lettura del decreto, premettendo che molte domande rimarranno comunque senza risposta, proviamo ad affrontare una delle discipline che ha subito la maggiore revisione, ma che, per la sua specializzazione rischia di rimanere la cenerentola del gruppo, dimenticata in favore di altre (acque, rifiuti) più facilmente "aggredibili" dai tanti addetti ai lavori.
Sia chiaro comunque che le difficoltà di lettura nascono anche dalle innumerevoli carenze del testo, che non sono solo tecnico-legislative (e già ce ne sarebbe abbastanza). Così come è nato questo codice, attraverso un copia-incolla privo di metodo e a volte di merito, non potevano che raccogliersi gli effetti visibili a tutti, dalla assenza di nessi e continuità nell’espressione, a perifrasi prive di logica, ad errori di punteggiatura e di grammatica. Insomma agli "esperti" estensori del testo, compresi i saggi che lo hanno validato, possiamo rimproverare una generale mancanza di pudore.
I considerando
Ogni qualvolta si esamina un nuovo decreto, salvo eccezioni, occorre partire dalle premesse al testo per capire in base a quali disposti è stato emanato. Le direttive UE hanno anche i "considerando", cioè i motivi e gli obiettivi che ci si prefigge nel predisporre la norma in questione, il che aiuta notevolmente quando si cerca di intepretarne il senso. Nel nostro Paese non esiste questa buona abitudine quindi dobbiamo accontentarci di vedere quali sono le basi di diritto che sono state ritenute fondanti per l’emanazione del decreto. Nel nostro caso ci servirebbe comprendere se il testo recepisce le direttive UE in materia di inquinamento dell’aria.
I "visti" in apertura al decreto che si legano alla tematica dell’aria riguardano:
- la direttiva 84/360/CEE del Consiglio, del 28 giugno 1984, concernente la lotta contro l'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali;
- la direttiva 94/63/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre
1994, sul controllo delle emissioni di composti organici volatili (COV) derivanti
dal deposito della benzina e dalla sua distribuzione dai terminali alle stazioni
di servizio;
- la direttiva 1999/13/CE del Consiglio, dell'11 marzo 1999, concernente la limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all'uso di solventi organici in talune attivita' e in taluni impianti;
- la direttiva 1999/32/CE del Consiglio, del 26 aprile 1999, relativa alla
riduzione del tenore di zolfo di alcuni combustibili liquidi e recante modifica
della direttiva 93/12/CEE;
- la direttiva 2001/80/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2001, concernente la limitazione delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione.
La prima domanda che sorge spontanea è: il decreto costituisce attuazione
delle direttive menzionate? Questo non si dice in alcuna parte del testo ed
è legittimo il dubbio, non solo per quelle che erano già state
recepite nel nostro ordinamento, ma per quelle ancora da recepire. Si sta
parlando in particolare della 2001/80/CE sui grandi impianti di combustione,
il cui schema di recepimento era già stato presentato alle Regioni
nel corso del 2005 e che non è mai stato emanato. Da una prima lettura
parrebbe che questo sia finito nella parte quinta e nell’allegato alla parte
quinta al decreto, ma la ricostruzione è ostacolata dal modo in cui
i suoi contenuti si sono "diffusi", a volte indistintamente, nell’articolato.
Le abrogazioni
Se si vuole capire cosa comporta l’emanazione del D.Lvo 152 bisogna cominciare dalla fine della parte quinta, dove si tratta delle abrogazioni. L'interrogativo che si pone è se il contenuto dei decreti abrogati è finito nel nuovo testo unico o è stato lasciato al suo destino. A qualcuno di questi interrogativi si può già rispondere, per gli altri occorre il tempo di rendersene conto, cioè al momento in cui verrà necessario e si cercherà senza successo quella disposizione che prima era presente e ora non più.
Quello che abbiamo perso per strada, e non si è ancora sicuri di poter rivedere in altre forme, è:
a) il decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203 in "attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183";
b) l'articolo 4 della legge 4 novembre 1997, n. 413, "Misure urgenti
per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico da benzene" il quale
prevedeva che" le disposizioni previste dalla direttiva 94/63/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 1994, relative al
controllo del le emissioni di composti organici volatili negli impianti di
deposito delle benzine presso i terminali, nelle operazioni di caricamento
e scaricamento di cisterne mobili presso i terminali, nelle cisterne mobili,
nel caricamento degli impianti di deposito presso le stazioni di servizio,
secondo le modalita' e il calendario fissati dalla stessa direttiva."
c) l'articolo 12, comma 8, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387
in "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato
interno dell'elettricità" il quale disponeva che: "8. Gli
impianti di produzione di energia elettrica di potenza complessiva non superiore
a 3 MW termici, sempre che ubicati all'interno di impianti di smaltimento
rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione
e biogas, nel rispetto delle norme tecniche e prescrizioni specifiche adottate
ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell'articolo 31 del decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22, sono, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203,
attivita' ad inquinamento atmosferico poco significativo ed il loro esercizio
non richiede autorizzazione. E' conseguentemente aggiornato l'elenco delle
attivita' ad inquinamento atmosferico poco significativo di cui all'allegato
I al decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1991."
d) il decreto del Ministro dell'ambiente 10 marzo 1987, n. 105 "Limiti alle emissioni nell'atmosfera da impianti termoelettrici a vapore" che rappresenta il primo provvedimento italiano in materia di grandi impianti di combustione.
e) il decreto del Ministro dell'ambiente 8 maggio 1989: "Limitazione
delle emissioni nell'atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti
di combustione."
f) il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 21 luglio 1989: "
Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni, ai sensi dell'art. 9 della
legge 8 luglio 1986, n. 349, per l'attuazione e l'interpretazione del decreto
del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, recante norme in materia
di qualità dell'aria relativamente a specifici agenti inquinanti e
di inquinamento prodotto da impianti industriali."
g) il decreto del Ministro dell'ambiente 12 luglio 1990: "Linee guida
per il contenimento delle emissioni degli impianti
industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione."
h) il decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1991: "Modifiche
dell'atto di indirizzo e coordinamento in materia di emissioni poco significative
e di attività a ridotto inquinamento atmosferico, emanato con decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 21 luglio 1989"
i) il decreto del Ministro dell'ambiente 21 dicembre 1995: "Disciplina
dei metodi di controllo delle emissioni in atmosfera degli impianti industriali."
l) il decreto del Ministro dell'ambiente del 16 maggio 1996: "Requisiti
tecnici di omologazione e di installazione e procedure di controllo dei sistemi
di recupero dei vapori di benzina prodotti durante le operazioni di rifornimento
degli autoveicoli presso gli impianti di distribuzione carburanti."
m) il decreto del Ministro dell'ambiente 20 gennaio 1999, n. 76: "Regolamento
recante norme per l'installazione dei dispositivi di recupero dei vapori di
benzina presso i distributori."
n) il decreto del Ministro dell'ambiente 21 gennaio 2000, n. 107: "Regolamento
recante norme tecniche per l'adeguamento degli impianti di deposito di benzina
ai fini del controllo delle emissioni dei vapori."
o) il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio 16
gennaio 2004, n. 44: "Recepimento della direttiva 1999/13/CE relativa
alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili di talune attivita'
industriali, ai sensi dell'articolo 3, comma 2, del decreto del Presidente
della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203."
Dalla lettura dell’elenco il dubbio si rafforza. Le abrogazioni riguardano
decreti che recepiscono direttive UE i cui riferimenti non sono presenti nelle
premesse al testo unico. Sono le direttive 80/779, 82/884 e
85/203 .
Oltre a queste vi sono altre abrogazioni che si definiscono nei titoli II e III della parte V. Nel titolo II in particolare si abroga la storica legge antismog, 13 luglio 1966 n°615 e relativo regolamento di attuazione, limitatamente agli impianti termici, il D.P.R. 22 dicembre 1970 n° 1391. Non è quindi abrogato l’altro regolamento, il D.P.R. 15 aprile 1971 n° 322, limitatamente al settore delle industrie. Nel titolo III in particolare si abroga il D.P.R. 8 marzo 2002 che riguarda la disciplina delle caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell'inquinamento atmosferico, nonche' delle caratteristiche tecnologiche degli impianti di combustione, e la legge 6 maggio 2002 che ha classificato il pet-coke come combustibile. Per gli impianti termici che sono autorizzati ai sensi delle norme abrogate, le stesse rimangono in vigore fino al rinnovo dell’autorizzazione.
A parte questa eccezione, diversamente da altre parti del codice, dove si stabiliscono disposizioni transitorie che mantengono in auge i decreti abrogati, o parte di questi, nel caso della disciplina delle emissioni tutte le norme sopra menzionate cessano di avere efficacia dalla data di entrata in vigore del D.Lvo 152/06, cioè dal 29 aprile. Come conseguenza cessano di avere efficacia le deleghe che le Regioni hanno riconosciuto alle Province in materia di autorizzazioni alle emissioni in atmosfera, con il caos che abbiamo detto.
Un acceso dibattito si è inoltre aperto sulle disposizioni regionali che, in applicazione del D.P.R. 24 maggio 1988 n°203, hanno dettato in questi anni regole sul proprio territorio per l’attuazione delle norme in materia di tutela dell’aria dall’inquinamento atmosferico degli impianti industriali, in particolare per gli impianti nuovi, modificati o trasferiti. Qualora queste siano basate su criteri di "migliore tecnologia disponibile" non vi dovrebbe essere dubbio alcuno che siano a tutt’oggi valide.
I titoli
La parte quinta è divisa in titoli. Ogni titolo tratta un argomento specifico, in pratica nei titoli sono finiti parti dei decreti abrogati, salvo che per gli aspetti generali, comuni a tutti, che si ritrovano nel titolo I. Tuttavia la normativa sui grandi impianti di combustione e sulle emissioni di solventi da attività industriali (D.M. 44/05), da operazioni di rifornimento degli autoveicoli presso gli impianti di distribuzione carburanti e da impianti di deposito di benzina è aggregata sempre al titolo I. Nel titolo II si tratta delle disposizioni sugli impianti termici civili, nel titolo III dei combustibili convenzionali e non. Tuttavia mentre per il titolo II le definizioni sono inserite nel titolo stesso, per il titolo III si deve fare riferimento a quelli generali del titolo I più quelle specifiche inserite nel titolo stesso. Stesso problema si presenta per le competenze, le procedure, i controlli, le sanzioni: ogni titolo ne contiene in parte e in parte si rinvia al titolo I.
I titoli fanno poi riferimento agli allegati alla parte quinta. Negli allegati trovano sede il resto dell’articolato di leggi e decreti abrogati. Pertanto per comprendere come si applica la disciplina delle emissioni nei diversi casi occorre leggersi il titolo I per gli aspetti generali o specifici sugli argomenti citati, il titolo II o III per le disposizioni specifiche sugli impianti termici ed i combustibili, e infine l’allegato corrispondente a ognuno di questi temi. Se questi sono i pregi di un testo unico….
Le definizioni
A questo punto inizia l‘esame vero e proprio della parte quinta del decreto. Per capire quali siano le modifiche (che cosa abbiamo perso o guadagnato) occorre confrontare il "vecchio" con il "nuovo". Vediamo le più importanti.
D.LGS. 152/06 |
D.P.R. 203/88 |
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Definizioni |
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Art 268 1.
Ai fini del presente titolo si applicano le seguenti definizioni: |
Art.2 Ai
fini del presente decreto si intende per:
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I principi ispiratori sono importanti nelle leggi, servono soprattutto al momento di esprimere un giudizio su comportamenti omissivi o commissivi, molto meno nella pratica quotidiana. Il bisogno di modificare la definizione di "inquinamento atmosferico" proprio non si vedeva, possiamo solo registrare che questa è modificata in quanto assume la salute dell’uomo come principale parametro di riferimento, il bene ambiente passa in secondo piano, in ossequio alla visione antropocentrica del Ministro che ha voluto rivedere la normativa ambientale. Peraltro, nonostante questo, c’è un evidente scarsa considerazione della salute umana in quanto la definizione scatta solo quando le sostanze emesse costituiscano un pericolo, non più il solo pregiudizio per la salute stessa, peraltro nemmeno il pregiudizio indiretto considerato nella vecchia norma. Per un esempio terra terra: l’anidride carbonica emessa a seguito di un processo di combustione non può essere considerata un pericolo per la salute umana, quando invece è riconosciuto che ha conseguenze sul clima planetario, conseguenze che "indirettamente" potrebbero anche procurare qualche "pregiudizio" alla nostra sopravvivenza. Altro esempio: le sostanze odorigene. Che costituiscano un pericolo no, mentre è evidente che dei disagi ne creano.
D.LGS. 152/06 |
D.P.R. 203/88 |
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Definizioni |
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b) emissione: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico; q) valore limite di emissione: il fattore di emissione, la concentrazione, la percentuale o il flusso di massa di sostanze inquinanti nelle emissioni che non devono essere superati;
aa)
migliori tecniche disponibili: la più efficiente ed avanzata
fase di sviluppo di attività e relativi metodi di esercizio indicanti
l'idoneità pratica di determinate tecniche ad evitare ovvero,
se ciò risulti impossibile, a ridurre le emissioni; a tal fine,
si intende per: 2) disponibili: le tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l'applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell'ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché il gestore possa avervi accesso a condizioni ragionevoli; 3) migliori: le tecniche più efficaci per ottenere un elevato livello di protezione dell'ambiente nel suo complesso.
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4. Emissione: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico. 6. Fattore di emissione: la quantità di sostanza inquinante emessa riferita al processo produttivo considerato nella sua globalità e nelle sue fasi tecnologiche; si esprime in termine di massa inquinante emessa, rapportata alla massa di prodotto o materia prima impiegata, o comunque ad altri parametri idonei a rappresentare il settore produttivo in esame. 7. Migliore tecnologia disponibile: sistema tecnologico adeguatamente verificato e sperimentato che consente il contenimento e/o la riduzione delle emissioni a livelli accettabili per la protezione della salute e dell'ambiente, sempreché l'applicazione di tali misure non comporti costi eccessivi. 8. Valore limite di emissione: la concentrazione e/o la massa di sostanze inquinanti nella emissione degli impianti in un dato intervallo di tempo che non devono essere superate.
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Queste definizioni nel nuovo testo unico sono state meglio specificate, ma il significato rimane il medesimo. Per migliori tecniche si è presa a prestito quanto contenuto nel testo della direttiva 96/61, meglio conosciuta come direttiva IPPC.
Quello che ha cambiato notevolmente significato è la nuova definizione di impianto.
D.LGS. 152/06 |
D.P.R. 203/88 |
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Definizioni |
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h) impianto: il macchinario o il sistema o l'insieme di macchinari o di sistemi costituito da una struttura fissa e dotato di autonomia funzionale in quanto destinato ad una specifica attività; la specifica attività a cui é destinato l'impianto può costituire la fase di un ciclo produttivo più ampio; Art.270 5. In caso di emissioni convogliate o di cui è stato disposto il convogliamento, ciascun impianto o macchinario fisso dotato di autonomia funzionale, anche individuato ai sensi del comma 4, deve avere un solo punto di emissione, fatto salvo quanto previsto nei commi 6 e 7. Salvo quanto diversamente previsto da altre disposizioni del presente titolo, i valori limite di emissione si applicano a ciascun punto di emissione. 6. Ove non sia tecnicamente possibile assicurare il rispetto del comma 5, l'autorità competente può autorizzare un nuovo impianto o macchinario fisso dotato di autonomia funzionale avente più punti di emissione. In tal caso, i valori limite di emissione espressi come flusso di massa, fattore di emissione e percentuale sono riferiti al complesso delle emissioni dell'impianto o del macchinario fisso dotato di autonomia funzionale e quelli espressi come concentrazione sono riferiti alle emissioni dei singoli punti, salva l'applicazione dell'articolo 271, comma 10. 7. Ove non sia tecnicamente possibile assicurare il rispetto del comma 5, l'autorità competente può autorizzare il convogliamento delle emissioni di più nuovi impianti o macchinari fissi dotati di autonomia funzionale in uno o più punti di emissione comuni, anche appartenenti ad impianti anteriori al 2006 ed al 1988, purché le emissioni di tutti gli impianti o di tutti i macchinari fissi dotati di autonomia funzionale presentino caratteristiche chimico-fisiche omogenee. In tal caso a ciascun punto di emissione comune si applica il più severo dei valori limite di emissione espressi come concentrazione previsti per i singoli impianti o macchinari fissi dotati di autonomia funzionale
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9. Impianto: lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale.
Ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, si intende per impianto lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico, ad esclusione di quelli destinati alla difesa nazionale. Uno stabilimento può essere costituito da più impianti. Il singolo impianto all'interno di uno stabilimento è l'insieme delle linee produttive finalizzate ad una specifica produzione. Le linee produttive possono comprendere a loro volta più punti di emissione derivanti da una o più apparecchiaturee/o da operazioni funzionali l ciclo produttivo. (DPCM 21/7/89) |
Nel prospetto soprariportato si sono messe a confronto non solo le due definizioni, ma anche le istruzioni sul come applicarle. Le modifiche non sono avvenute a caso, in quanto dalla corretta applicazione del termine "impianto" dipendono i limiti da applicare. I conflitti generati dalla normativa in essere, ora abrogata, erano legati alla considerazione dell’inquinamento prodotto complessivamente da uno stabilimento, fosse composto da uno o più impianti, attraverso i suoi punti di emissione. Poiché i limiti in concentrazione si misurano al camino questi dovrebbero essere correlati al flusso di massa dell’impianto: cioè limiti proporzionalmente più bassi all’aumentare dell’inquinamento complessivo.
Ciò in realtà non è mai avvenuto perché nel decreto che doveva fissare le "Linee guida per il contenimento delle emissioni", il D.M. 12 luglio 1990, i criteri contenenti indicazioni sulla migliore tecnologia disponibile relativamente ai sistemi del contenimento delle emissioni, che sono stati adottati in considerazione dell’evoluzione tecnica del settore solo in termini di enunciato (tanto più che, a distanza di 15 anni, sono ancora gli stessi), sono definiti a prescindere dal processo ai quali occorrerebbe applicarli.
In effetti se si chiede di adottare le migliori tecniche (di abbattimento) ad un determinato processo industriale il limite tecnicamente da considerare è il valore emesso con il sistema depurativo in funzione nelle normali condizioni di marcia: se la sua efficienza viene garantita attraverso una gestione ottimale, il valore massimo non sarà mai superato. Così non è. I limiti fissati sono spesso talmente alti da non richiedere MTD.
Infatti nella prima parte del D.M. 12/07/90 i valori limite sono stati fissati attraverso un’operazione di tipo aritmetico, che non ha nulla a che fare con l’applicazione dell’una o l’altra migliore tecnica, mentre nella seconda si può capire come siano stati accolti i molti suggerimenti delle varie lobbies che hanno operato ai tavoli ministeriali di quegli anni.
Fortunatamente per l’ambiente il D.M. citato riguardava solo gli impianti esistenti alla data di entrata in vigore del D.P.R. 24 maggio 1988, cioè il 1° luglio dello stesso anno. Le Regioni, almeno quelle più sensibili e consapevoli, hanno potuto legiferare in materia di impianti nuovi, modifiche e trasferimenti, adottando tutt’altri criteri ben più incisivi sull’inquinamento industriale.
Ora, con la nuova definizione, si rimescolano le carte. E’ evidente che eliminando il riferimento allo stabilimento o altro impianto fisso si perde di vista il quantitativo emesso complessivamente, l’attenzione si concentra sul singolo macchinario. Il perché di questa modifica si deve leggere in controluce con un intervento rilevatore nell’allegato alla parte quinta del testo unico.
Nell’allegato I all’allegato V, parte I disposizioni generale, comma terzo si dice:
3. Nei casi in cui le parti II e III stabiliscano soglie di rilevanza delle emissioni, i valori di emissione devono essere rispettati solo se tali soglie sono raggiunte o superate.
Questa è una assoluta novità, nel vecchio D.M. 12/7/90 nulla si diceva a riguardo, anche se si poteva arguire. Prendiamo a caso una delle tabelle della parte II, laddove si regolamentano le emissioni di sostanze di tossicità e cumulabilità particolarmente elevate:
. |
Soglia
di rilevanza |
Valore
di emissione |
Classe I |
0,02 g/h |
0,01 mg/Nm3 |
Classe II |
0,5 g/h |
0,5 mg/Nm3 |
Nella tabella compare appunto la dicitura "soglia di rilevanza" che costituisce una novità rispetto alla versione precedente, dove l’espressione era invece:
Per
le sostanze della tabella A2, i valori di emissione, che rappresentano
valori minimi e massimi coincidenti, sono: CLASSE
II |
Quello che era interpretabile nella prima versione, ora diventa invece acclarato. Se il flusso di massa dell’impianto non supera la soglia di rilevanza prevista nella tabella ai camini di emissione di sostanze tossicità e cumulabilità particolarmente elevate non si applica alcun limite!
Il carico inquinante emesso, c.d. flusso di massa, è rappresentato dalla sommatoria dei carichi inquinanti derivanti dalle singole emissioni che contengono le medesime sostanze, ottenuti moltiplicando la portata per la concentrazione misurata al camino per le ore giornaliere di funzionamento. Per verificare l’applicabilità del limite si devono misurare cioè nello stesso giorno le portate e le concentrazioni del medesimo inquinante da tutti i camini che lo emettono (cosa più facile a dirsi che a farsi). Se la somma espressa in g/ora non supera la soglia di rilevanza allora non c’è bisogno di adottare alcun impianto di abbattimento. E si sta parlando di sostanze come diossine e pcb’s sulle quali l’attenzione dovrebbe essere massima.
Qui si innesta appunto la nuova definizione di impianto: se l’impianto non è più lo stabilimento ma il singolo macchinario o l’insieme dei macchinari dedicati ad una specifica attività gli "addendi" dell’operazione aritmetica diminuiscono di conseguenza, con il risultato di non poter più raggiungere e superare la "soglia di rilevanza". Cio’ comporta che in più occasioni si proverà ad applicare la definizione di impianto ai singoli macchinari dediti ad una particolare lavorazione, potendo spezzettare un ciclo produttivo in tante filiere quanti sono i macchinari che lo compongono.
Si può comprendere come nelle istruzioni più avanti descritte, all’art.270, si cerchi di limitare il danno stabilendo che "i valori limite di emissione espressi come flusso di massa, fattore di emissione e percentuale sono riferiti al complesso delle emissioni dell'impianto o del macchinario fisso dotato di autonomia funzionale e quelli espressi come concentrazione sono riferiti alle emissioni dei singoli punti…" oppure prevedendo che "l'autorità competente può autorizzare il convogliamento delle emissioni di più nuovi impianti o macchinari fissi dotati di autonomia funzionale in uno o più punti di emissione comuni, anche appartenenti ad impianti anteriori al 2006 ed al 1988, purché le emissioni di tutti gli impianti o di tutti i macchinari fissi dotati di autonomia funzionale presentino caratteristiche chimico-fisiche omogenee. In tal caso a ciascun punto di emissione comune si applica il più severo dei valori limite di emissione espressi come concentrazione previsti per i singoli impianti o macchinari fissi dotati di autonomia funzionale…"
Ma il difetto è nella definizione, l’errore è già stato commesso. Inoltre, per tagliare la testa al toro, i correttivi non si applicano fino a quando non verrà emanato il solito decreto ministeriale con il quale sono stabiliti i criteri da utilizzare per la verifica della convogliabilità delle emissioni. Con un articolo si dà con l’altro si toglie.
Di innovativo nel T.U. ci sono le definizioni di emissioni diffuse, convogliate, convogliabili e totali.
c) emissione convogliata: emissione di un effluente gassoso effettuata attraverso uno o più appositi punti;
d) emissione diffusa: emissione diversa da quella ricadente nella lettera c); per le attività di cui all'articolo 275 le emissioni diffuse includono anche i solventi contenuti nei prodotti, fatte salve le diverse indicazioni contenute nella Parte III dell'Allegato III alla parte quinta del presente decreto;
e) emissione tecnicamente convogliabile: emissione diffusa che deve essere convogliata sulla base delle migliori tecniche disponibili o in presenza di situazioni o di zone che richiedono una particolare tutela;
f) emissioni totali: la somma delle emissioni diffuse e delle emissioni convogliate.
Poiché sono definizioni che mancavano nella legge-quadro del 1988 comporteranno qualche conseguenza, come quella di non poter più limitare le autorizzazioni alle sole emissioni convogliate, ma anche a quelle diffuse che verranno esaminate sotto il profilo della convogliabilità o, in caso tecnicamente non realizzabile, comunque sottoposte a controllo con misure alternative. Il problema delle emissioni diffuse esiste e non è di facile risoluzione. C’è un difetto all’origine che è l’obbligo di captazione degli inquinanti laddove questi si formano, regolamentato dalla disposizione in materia di igiene del lavoro. Posto che l’obbligo non è sempre rispettato, e quindi potrebbe essere comunque una conseguenza positiva, c’è il rischio di una sovrapposizione o di qualche antagonismo. I punti di riferimento sono diversi: da una parte si considerano i rischi per i lavoratori, dall’altra la fattibilità di un convogliamento, non c’è un raccordo tra gli Enti.
Abbiamo poi la follia di due definizioni di impianto esistente, quello in esercizio o costruito in tutte le sue parti o autorizzato prima del 1° luglio 1988 e quello che alla data del 29 aprile 2006 è autorizzato ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, purché in funzione o messo in funzione entro i successivi ventiquattro mesi. C’è un aggiunta per quegli impianti anteriori (?) al 1° luglio 1988 la cui autorizzazione è stata aggiornata ai sensi dell'articolo 11 del D.P.R. cioè: "Le prescrizioni dell'autorizzazione possono essere modificate in seguito all'evoluzione della migliore tecnologia disponibile, nonché alla evoluzione della situazione ambientale." Possiamo escludere che quest’ultimi siano un numero significativo, quindi concentriamoci sui primi. Perché questo artefatto della doppia data?
Il primo motivo è da ricercarsi nell’art.271: "I valori limite di emissione e le prescrizioni stabiliti nell'Allegato I si applicano agli impianti nuovi e agli impianti anteriori al 2006 esclusivamente nei casi espressamente previsti da tale Allegato." Scorrendo l’Allegato I l’unico caso espresso è quello degli impianti di combustione con potenza termica nominale inferiore a 50 MW che utilizzano biomasse, ma "autorizzati a partire dal 12 marzo 2002", data che ha probabilmente a che fare con il D.P.R. 8 marzo 2002.
Il secondo motivo si ritrova nell’art.273 dove si tratta dei grandi impianti di combustione, con potenza termica nominale superiore a 50 MW. I valori limite di emissione indicati nella sezione II dell’Allegato II si applicano subito per i nuovi impianti e a partire dal 1° gennaio 2008 per gli impianti anteriori al 29 aprile 2006 (sezione 6) e quelli anteriori al 1° luglio 2008 (sezione 6 e 7). C’è poi una disciplina transitoria diversa tra impianti esistenti al 1988 e al 2006 di cui vi risparmio la traduzione, c’è da farsi venire il mal di testa.
Salvo quindi per la tematica degli impianti di combustione per i nuovi impianti, modifiche e trasferimenti continua ad mancare il decreto promessoci fin dal lontano 1988. In sua assenza continuano quindi a valere i valori limite di emissione fissati dalle Regioni.
Per le definizioni, come si diceva all’inizio, non sono tutte presenti nel titolo I, ne troviamo altre sia nei titoli II e III che in tutti gli allegati. Si tratta nella sostanza delle definizioni previste in leggi e decreti emessi a seguito di recepimenti di direttive UE trasposte in modo diffuso in tutto il testo che tocca recuperare con una operazione di ricucitura ogniqualvolta si tratta di applicare una disposizione speciale.
Le competenze
Anche in questo caso sono definite autorità competenti diverse a seconda del titolo che si prende in considerazione. In termini generali:
o) autorità competente: la regione o la provincia autonoma o la diversa autorità indicata dalla legge regionale quale autorità competente al rilascio dell'autorizzazione alle emissioni e all'adozione degli altri provvedimenti previsti dal presente titolo; per le piattaforme off-shore e per i terminali di rigassificazione di gas naturale liquefatto off-shore, l'autorità competente è il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio; per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per gli adempimenti a questa connessi, l'autorità competente è quella che rilascia tale autorizzazione;
p) autorità competente per il controllo: l'autorità a cui la legge regionale attribuisce il compito di eseguire in via ordinaria i controlli circa il rispetto dell'autorizzazione e delle disposizioni del presente titolo, ferme restando le competenze degli organi di polizia giudiziaria; per gli impianti sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale e per i controlli a questa connessi, l'autorità competente per il controllo è quella prevista dalla normativa che disciplina tale autorizzazione.
A livello invece di discipline speciali nel titolo II, riguardo agli impianti termici civili, le competenze sono dei comuni aventi una popolazione superiore ai quarantamila abitanti e, nella restante parte del territorio, delle province.
Per il titolo III le autorità competenti sono quelle definite dal titolo I o dal titolo II a seconda della potenza termica nominale dell’impianto considerato.
Le esclusioni
Anche la disciplina sulle esclusioni è stata tutta rivoltata, per fare ordine bisogna lavorare parecchio.
D.LGS. 152/06 |
D.P.C.M.21/7/89 |
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Esclusioni |
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Art 267 ….. 2.
Sono esclusi dal campo di applicazione della parte quinta del presente
decreto gli impianti disciplinati dal decreto legislativo 11 maggio
2005, n. 133, recante attuazione della direttiva 2000/76/CE in materia
di incenerimento dei rifiuti. |
Art.1 1) ….. Sono
esclusi dal campo di applicazione del decreto del Presidente della Repubblica
n. 203 gli impianti termici non inseriti in un ciclo di produzione industriale
ivi compresi gli impianti inseriti in complessi industriali, ma destinati
esclusivamente a riscaldamento dei locali, nonché gli impianti
di climatizzazione, gli impianti termici destinati al riscaldamento
di ambienti, al riscaldamento di acqua per utenze civili, a sterilizzazione
e disinfezioni mediche, a lavaggio di biancheria e simili, all'uso di
cucine, mense, forni da pane ed altri pubblici esercizi destinati ad
attività di ristorazione. |
In effetti le norme ora si applicano anche agli impianti termici non inseriti in un ciclo di produzione industriale, ai sensi del titolo I o II. Tuttavia le esclusioni ora sono diventate "non autorizzazioni", o meglio impianti o attività in deroga.
Le attività in deroga
Sotto questo termine si rinvengono le disposizioni riguardanti le attività i cui impianti erano considerati emissioni poco significative o a ridotto inquinamento atmosferico. Per le prime non era richiesta l’autorizzazione all’esercizio, quindi non erano fuori dal campo di applicazione della legge, ma in una sorta di limbo che non si è mai capito bene cosa comportasse.
Per le seconde era ammessa una disciplina semplificata che prevedeva una determina regionale chiamata "autorizzazione generale" emessa per settore produttivo alla quale le imprese in questa ricadenti si conformavano mediante la presentazione di una domanda di autorizzazione su modello semplificato. Un silenzio-assenso in pratica.
Nel nuovo decreto si innova in questo modo. Alcune delle attività ad inquinamento poco significativo sono riportate al comma 14 dell.art.269. Non sono sottoposte ad autorizzazione, ma "l'autorità competente può prevedere, con proprio provvedimento generale, che i gestori degli impianti di cui al comma 14 comunichino alla stessa, in via preventiva, la data di messa in esercizio dell'impianto o di avvio dell'attività." Rimane quindi il limbo di cui si diceva, salvo la conoscenza nominale di queste attività, sempre che l’autorità lo richieda.
Come eccezione i gestori dei depositi di oli minerali, compresi i gas liquefatti "sono comunque tenuti ad adottare apposite misure per contenere le emissioni diffuse ed a rispettare le ulteriori prescrizioni eventualmente disposte, per le medesime finalità, con apposito provvedimento dall'autorità competente." Non è un’autorizzazione, ma comunque un provvedimento che deve essere emesso, il che fa pensare che sia necessaria anche una domanda o comunque una relazione che descriva l’attività e le misure prese per il contenimento delle emissioni diffuse. Non di limbo si tratta, ma di una nebbia fitta si.
Art.269 ……….. 14.
Non sono sottoposti ad autorizzazione i seguenti impianti: …… |
Un secondo
estratto di attività ad inquinamento poco significativo si trova all’art.272.
Art.272 5. Il presente titolo, ad eccezione di quanto previsto dal comma 1, non si applica agli impianti e alle attività elencati nella parte I dell'Allegato IV alla parte quinta del presente decreto. Il presente titolo non si applica inoltre agli impianti destinati alla difesa nazionale né alle emissioni provenienti da sfiati e ricambi d'aria esclusivamente adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambienti di lavoro. Agli impianti di distribuzione dei carburanti si applicano esclusivamente le pertinenti disposizioni degli articoli 276 e 277. |
Se il titolo I non si applica significa che sono escluse dal campo di applicazione. Mentre per gli impianti destinati alla difesa nazionale è una conferma, per gli sfiati adibiti alla protezione e alla sicurezza degli ambiente di lavoro è una novità. Novità negativa in quanto escono dal controllo emissioni che potrebbero contenere sostanze pericolose, non solo quelle presenti ordinariamente in questi sfiati, ma anche quelle che si potrebbero formare accidentalmente.
Infine l’elenco vero e proprio delle attività a inquinamento atmosferico poco significativo, che adesso il decreto ridenomina come attività le cui emissioni sono scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico, è il seguente. In rosso i nuovi arrivi e le modifiche, in blu le attività spostate al comma 14 o al comma 16 dell’art.269.
EMISSIONI POCO SIGNIFICATIVE
D.LGS 152/06 |
D.P.R. 25/7/91 |
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4. Elenco degli
impianti e delle attività:
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1. Pulizia a secco
di tessuti e pellami, escluse pellicce, pulitintolavanderie: per tali
impianti la condizione necessaria per essere inclusi nel presente elenco
è il ciclo chiuso. |
Di rilievo l’inserimento nelle attività scarsamente rilevanti degli allevamenti. C’è sempre stato ampio dibattito tra gli addetti ai lavori se le emissioni odorigene di un allevamento debbano essere sottoposte alla normativa sugli impianti industriali. Qualche sentenza ha anche deciso in questo senso, anche se, nella maggioparte dei casi, per le molestie olfattive prodotte, si è fatto ricorso all’art.674 C.P. e non all’apparato sanzionatorio del D.P.R. 24 maggio 1988 n°203.
Aver esteso agli allevamenti la disciplina delle emissioni in atmosfera, con la formula adottata, comporta una curiosa conseguenza. Se non esiste il rapporto indicato tra terreni disponibili e peso vivo allevato l’allevamento rientra automaticamente nel campo di applicazione della norma ed è pertanto soggetto a sanzione per mancanza dell’autorizzazione. Questo si verifica a partire dal 29 aprile. Bisogna peraltro osservare come venga utilizzato a sproposito il parametro di riferimento previsto per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento: come direbbe qualcuno, ma questo che ci azzecca con le emissioni odorigene? La fase di spandimento sui campi contribuisce per un periodo limitato all’emanazione di odori, il buon senso (non sempre presente) vuole che il liquame venga interrato nel giro di 48 ore. I problemi veri derivano dalle strutture in cui si alleva, spesso in condizioni di igiene limitate, nelle cui vicinanze si trovano nuclei abitati. A questo non c’è rimedio ed il fatto di disporre di terreni per lo spandimento non costituisce certo una soluzione. Si tratta della solita disposizione di favore che, così come è stata (mal) congegnata, si trasformerà in un boomerang.
Per le emissioni a ridotto inquinamento atmosferico le modifiche non sono rilevanti.
EMISSIONI A RIDOTTO INQUINAMENTO ATMOSFERICO
D.LGS 152/06 |
D.P.R. 25/7/91 |
Pulizia a secco
di tessuti e pellami con utilizzo di impianti a ciclo aperto e utilizzo
giornaliero massimo
complessivo
di solventi non superiore a 20 kg. |
1. Pulizia a secco
di tessuti e pellami con utilizzo di impianti a ciclo aperto e utilizzo
di solventi non superiore a 20 kg/g. |
Le procedure autorizzative
Di rilievo nel nuovo decreto c’è l’introduzione della conferenza servizi rispetto alla situazione precedente in cui l’autorità si limitava a richiedere il parere del Sindaco. C’è una diffusa convinzione che la conferenza servizi sia uno strumento di accelerazione dei procedimenti, la realtà invece è purtroppo il contrario. Applicarla anche per tutte le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera significa paralizzare l’amministrazione.
Aspetti positivi si rintracciano nell’ampliamento delle informazioni richieste per il rilascio dell’atto:
a)
dal progetto dell'impianto in cui sono descritte la specifica attività
a cui l'impianto é destinato, le tecniche adottate per limitare le
emissioni e la quantità e la qualità di tali emissioni, le modalità
di esercizio e la quantità, il tipo e le caratteristiche merceologiche
dei combustibili di cui si prevede l'utilizzo, nonché, per gli impianti
soggetti a tale condizione, il minimo tecnico definito tramite i parametri
di impianto che lo caratterizzano, e
b) da una relazione tecnica che descrive il complessivo ciclo produttivo in
cui si inserisce la specifica attività cui l'impianto è destinato
ed indica il periodo previsto intercorrente tra la messa in esercizio e
la messa a regime dell'impianto.
Rilevante è anche l’accento posto sul periodo che intercorre tra messa in esercizio e messa a regime. Non essendo prima definito avveniva che qualcuno se ne approfittava per rinviare sine die l’obbligo degli autocontrolli ed in generale di rispetto delle prescrizioni autorizzative.
Ancora più rilevante è la nuova definizione di modifica sostanziale e non.
"Per modifica sostanziale si intende quella che comporta un aumento o una variazione qualitativa delle emissioni o che altera le condizioni di convogliabilità tecnica delle stesse. Il presente comma si applica anche a chi intende sottoporre a modifica una attività autorizzata ai sensi dei commi 10, 11, 12 e 13. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 275, comma 11."
Modifica sostanziale è sempre un aumento e una variazione qualitativa delle emissioni. Occorrerà verificare come si rende compatibile questa definizione con altre definizioni di "modifica sostanziale" (ved.IPPC). E’ positivo anche l’accento sulle condizioni di convogliabilità, se in un progetto sono state previste in un modo non possono essere realizzate in un altro.
Peraltro anche il fatto che uno stesso progetto, autorizzato o meno, sia necessario modificare, indipendentemente da quello che accade nelle emissioni, è una sottolineatura di notevole importanza. Se i controlli si effettuano con la preparazione ed accuratezza necessarie, cioè disponendo della documentazione sulla base della quale l’impresa è stata autorizzata, non è raro evidenziare come vi siano spesso difformità significative tra quello che è stato dichiarato e quello che in realtà è stato realizzato, con riflessi che possono essere importanti dal punto di vista del carico inquinante prodotto.
8. Il gestore che intende sottoporre un impianto ad una modifica, che comporti una variazione di quanto indicato nel progetto o nella relazione tecnica di cui al comma 2 o nell'autorizzazione di cui al comma 3 o nell'autorizzazione rilasciata ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 203, o nei documenti previsti dall'articolo 12 di tale decreto, anche relativa alle modalità di esercizio o ai combustibili utilizzati, ne dà comunicazione all'autorità competente o, se la modifica è sostanziale, presenta una domanda di aggiornamento ai sensi del presente articolo. Se la modifica per cui è stata data comunicazione è sostanziale, l'autorità competente ordina al gestore di presentare una domanda di aggiornamento dell'autorizzazione, alla quale si applicano le disposizioni del presente articolo. Se la modifica non è sostanziale, l'autorità competente provvede, ove necessario, ad aggiornare l'autorizzazione in atto. Se l'autorità competente non si esprime entro sessanta giorni, il gestore può procedere all'esecuzione della modifica non sostanziale comunicata, fatto salvo il potere dell'autorità competente di provvedere anche successivamente, nel termine di sei mesi dalla ricezione della comunicazione |
Le sanzioni
Sulle sanzioni si era aperta una polemica in fase di discussione delle bozze di decreto circolate. Al Ministero veniva rimproverato di prevedere sanzioni ridicole in termini di importo, non in grado di costituire una forma di dissuasione per chi viola le norme. Il Ministero rispondeva che l’entità delle sanzioni non poteva essere modificata in quanto non previsto nella legge delega. Così sono rimaste quelle del 1988. Che questa giustificazione sia vera lo possiamo constatare dal confronto con le sanzioni in materia di scarichi: per es. nell’art.133 del nuovo decreto le sanzioni sono tutte aumentate rispetto a quanto prevedeva il corrispondente art.54 del D.Lvo 152/99.
Le sanzioni sono state accorpate, indifferentemente se si applichino ad impianti esistenti o nuovi o modificati. Si registra anche una sanzione accessoria della sospensione dell’autorizzazione in essere per i casi di recidiva, ma questo vale sono per i depositi di benzina e le stazioni di rifornimento, senza che si capisca il perché.
I poteri di diffida, anche se adesso si chiamano di ordinanza, previsti all’art.10 del D.P.R. 24 maggio 1988 n°203, sono ora trasposti, senza grandi modifiche, nell’art.278 del nuovo decreto.
D.LGS. 152/06 |
D.P.R. 203/88 |
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Sanzioni |
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Art. 279 – sanzioni
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Art. 24
Chi inizia la costruzione di un nuovo impianto senza l'autorizzazione,
ovvero ne continua l'esercizio con autorizzazione sospesa, rifiutata,
revocata, ovvero dopo l'ordine di chiusura dell'impianto, è punito
con la pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda da lire
cinquecentomila a lire due milioni.
Art. 26. |