interventi
4 luglio 2003

Abbiamo visto nell'intervento di questo stesso mese (traffico di rifiuti e commercio di ammendanti) come sia relativamente facile improvvisarsi produttori di fertilizzanti al solo scopo di mimetizzare nella mescola degli ingredienti anche qualche rifiuto di dubbia composizione. Le notizie che circolano sulle operazioni condotte dalle forze di polizia a proposito delle caratteristiche del fenomeno hanno messo evidentemente in allerta un po' tutti nei diversi angoli del paese, incentivando così iniziative analoghe laddove, sulla base degli elementi raccolti, si siano ravvisati alcuni connotati equivalenti.

Sembra di dover riferire a questo suscitato interesse l'attività di indagine effettuata dal Corpo Forestale dello Stato, della quale hanno parlato diffusamente i quotidiani di tiratura nazionale e locale, riguardante un traffico di fanghi industriali contaminati da diossine e policlorobifenili (Pcb) che, invece di finire in discarica, erano venduti ad aziende di compostaggio e trasformati in fertilizzanti destinati all'agricoltura o in terriccio usato nelle aziende florovivaistiche del Veneto e di altre regioni del nord. Al centro dell'inchiesta, coordinata dal pm veneziano Felice Casson, c'è l'impianto di depurazione di Fusina, gestito dalla municipalizzata veneziana Vesta.

Secondo gli inquirenti "era la società a produrre quei fanghi di depurazione provenienti da Marghera, da autospurghi e dal Consorzio del Mirese dove scaricano industrie che lavorano rifiuti tossico-nocivi."

Naturalmente l'allarme generato dalle notizie di stampa è stato rilevante e l'argomento, a distanza di un mese, non ha ancora perso d'appeal. Tra smentite e ribattute, accuse e rimpalli, sequestri ed interpellanze, c'è stato il tempo perché arrivassero i risultati di un'analoga indagine sulla composizione dei fanghi in questione, questa volta di iniziativa della dirigenza di Vesta, l'ente che gestisce il depuratore. Dell'indagine è stato edotto il Consiglio Comunale di Venezia riunito in seduta nella giornata di martedì 24 giugno. Secondo quanto riportata dalle cronache l"incidente" è stato chiuso dalle massime autorità per palese infondatezza. La limitata contaminazione dei fanghi è del tutto confrontabile con i dati di letteratura riguardanti altri impianti di depurazione di acque reflue urbane, con sede nella comunità. Il rapporto non è disponibile, ma qualche accenno relativamente ai numeri è filtrato in sala stampa.

Per cercare di chiarire quale significato abbia la conclusione della vicenda bisogna partire dall'antefatto e cioè dall'elemento che ha mosso gli accertamenti della Forestale. Sempre secondo quanto riportata dalla stampa il primo indizio sul fatto che qualcosa non andasse per il verso giusto all'impianto è stato raccolto dalla Sezione Antinquinamento del Magistrato delle Acque di Venezia, l'Ente che, nella sua periodica attività di controllo sugli scarichi recapitanti in laguna, si è dedicato al monitoraggio anche delle acque di risulta dal depuratore pubblico di Fusina. L'impianto, si ricorda, è stato realizzato alla fine degli anni Ottanta e ogni giorno tratta i reflui degli scarichi civili dell'area sub-occidentale di Mestre e di Mogliano, quelli raccolti dalla fognatura gestita dal Consorzio del Mirese (17 Comuni) più tutti gli scarichi industriali dell'area di Porto Marghera e gli espurghi dei pozzi neri: 40 milioni di metri cubi di liquami in tutto.

Il 10 ottobre 2002, a seguito di un controllo sullo scarico in laguna delle acque provenienti dall'impianto di depurazione di Fusina, il Magistrato alle Acque comunica a Vesta, e per conoscenza a Regione, Provincia e Comune, che " tutti i parametri analizzati rientrano nei limiti previsti dal DPR 962/73" (norme vigenti), e che tuttavia, quando la Regione permetterà l'entrata in vigore del Decreto Ronchi-Costa 23 aprile 1998 (norme future), da essa stessa rinviato, i valori come quelli misurati per diossine e Pcb supereranno i limiti previsti. Successivamente, il 22 ottobre, il Magistrato alle acque consiglia anche di controllare i conferimenti fognari ed extra-fognari in impianto, soprattutto in relazione ai parametri delle diossine.

Ora sull'esistenza o meno di un obbligo riguardante i limiti allo scarico di diossine e policlorobifenili si è scatenata una ridda di asserzioni e di contestazioni che ha ulteriormente aggravato lo stato confusionale del lettore medio il quale, dal cumulo di litigi e strumentalizzazioni politiche che è spesso indispensabile alla stampa per incrementare le vendite, può trarre solo riflessioni che lasciamo a voi immaginare.

Con l'intenzione di far chiarezza per chi fosse ancora all'ascolto i fatti sono questi.

Il DM 23 aprile 1998 del Ministro dell'ambiente di concerto con il Ministro dei lavori pubblici (Ronchi-Costa) recante "Requisiti di qualità delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione per la tutela della laguna di Venezia", ha disposto i valori ammessi corrispondenti agli obiettivi di qualità da perseguire nella laguna e nei corpi idrici del suo bacino scolante al fine di assicurare la protezione della vita acquatica e l'esercizio delle attività di pesca, molluschicultura e balneazione nella stessa. I decreto prevede - tra l'altro - al punto numero 6, che nelle nuove autorizzazioni agli scarichi industriali nella laguna di Venezia e nei corpi idrici del suo bacino scolante, nonché nelle modifiche alle autorizzazioni esistenti, è comunque vietato lo scarico di determinate sostanze considerate particolarmente inquinanti come idrocarburi policiclici aromatici, pesticidi organoclorurati, diossina, policlorobifenili, e tributilstagno. Il comma 3 del punto 6 prevede che il divieto di rilascio delle sostanze si applica alle autorizzazioni esistenti - a fronte delle quali sia in corso di svolgimento un'attività produttiva - decorsi 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto.

Le disposizioni dettate al punto 6, commi 4 e 5, del Decreto Ministeriale 23 aprile 1998 - come modificate dal Decreto Ministeriale 16 dicembre 1998 - stabiliscono che con successivo Decreto del Ministro dell'Ambiente vengano definite le migliori tecnologie disponibili da applicare agli impianti industriali esistenti e che i titolari delle autorizzazioni esistenti avrebbero potuto presentare, entro 60 giorni successivi alla pubblicazione dell'emanando decreto, progetti di adeguamento finalizzati all'eliminazione degli scarichi delle sostanze inquinanti vietate. Per il periodo necessario alla realizzazione dei progetti di adeguamento approvati - in quanto in essi sia stata prevista l'utilizzazione delle migliori tecnologie disponibili, considerate idonee ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del Decreto Ministeriale 30 luglio 1999, e tempi di realizzazione non superiori a quindici mesi - non sarebbe stato applicato il divieto di scarico delle sostanze vietate.

Il DM 23 aprile 1998 si applica sia all'area immediatamente circostante la laguna di Venezia ma anche un territorio ben più vasto che ha una superficie di circa 1.850 chilometri quadrati e comprende un centinaio di comuni ripartiti fra le province di Venezia, Padova e Treviso, e quindi a tutti gli scarichi idrici "domestici", "industriali" e di "pubbliche fognature" localizzati in questa area.

Ora la Corte costituzionale con sentenza n. 54 del 9-15 febbraio 2000 ha annullato i commi 4 e 5 del punto 6 accogliendo così le istanze della Regione Veneto secondo la quale il Decreto Ministeriale, nella parte denunciata, non avrebbe rispettato i criteri di ripartizione delle competenze tra Stato e regione in materia di protezione ambientale. La sentenza ha avuto, come effetto, la sospensione dei procedimenti di approvazione dei progetti presentati dai titolari degli scarichi assoggettati alla nuova disciplina. Solo a seguito di Delibera n. 1634 del 22 giugno 2001, la regione Veneto ha avviato le procedure per l'approvazione in ambito regionale di tali progetti. Nei decreti di approvazione sono previsti congrui termini temporali per la loro realizzazione e viene inoltre disposto che fino al termine stabilito gli scarichi in questione continueranno a rispettare i limiti di emissione previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 962 del 1973. Uno di questi progetti di adeguamento riguarda, per l'appunto, il depuratore di acque reflue urbane di Fusina, a tutt'oggi non ancora approvato.

La conclusione è, quindi, in estrema sintesi, che, per la difesa delle proprie competenze, la Regione Veneto ha ottenuto la parziale disapplicazione del DM citato e fino a quando non approverà i progetti di adeguamento degli impianti di depurazione sia pubblici che privati, non è previsto sia eseguito il controllo negli scarichi dei parametri delle sostanze bioaccumulabili e persistenti come le diossine. Forse occorrerebbe riflettere su costi e benefici di questa iniziativa.

Preordinata ai decreti di approvazione dall'estate del 2001 in tutti gli impianti di depurazione del Comune di Venezia, quindi oltre a Fusina anche a Campalto, Cavallino e Lido, è comunque in atto una dettagliata campagna pubblica di analisi nelle diverse sezioni di impianto, nelle acque in ingresso ed in quelle in uscita, con le quali si stanno verificando proprio gli oltre 50 parametri chimici previsti dal decreto Ronchi-Costa.

Probabilmente per questo motivo le comunicazioni del Magistrato alle Acque non sortiscono alcun effetto, considerato anche che già Vesta poteva disporre di altrettante informazioni sulle concentrazioni delle sostanze vietate nei propri scarichi. Probabilmente da qui, dall'inerzia del gestore e dei referenti istituzionali rispetto ai risultati preoccupanti dei controlli eseguiti dal Magistrato, nasce l'indagine del Corpo Forestale, su mandato della locale Procura.

I Forestali nel novembre del 2002 eseguono 18 campioni di acque di scarico ai quali ne aggiungono 1 prelevato da un cumulo di fanghi di depurazione in attesa di essere utilizzati per la produzione di compost. Sulle acque di scarico i valori riscontrati non destano grande attenzione, ma sul campione di fango l'esito è allarmante: 333 nanogrammi/kg di diossina (espressi come TEQ, tossicità equivalente) e 2964 microgrammi/kg di policlorobifenili. Questi i titoli dei quotidiani:

e via di questo passo.

Tecnici e dirigenti dell'impianto di Fusina hanno così potuto vedere danneggiato irreparabilmente il loro lavoro da notizie che li presentano come irriducibili avvelenatori della nostra frutta e verdura. Se è possibile esprimere una critica all'operato della Forestale è quella di essersi lasciati trasportare troppo dall'entusiasmo. E' lecito dubitare che un solo campione possa essere considerato rappresentativo dell'intera massa dei fanghi in attesa di commercializzazione o adirittura, come si è fatto, dell'intera produzione dall'entrata in funzione dell'impianto nel 1997. Se si vuole guardare all'aspetto tecnico dell'attività di prelievo, che ha un'importanza ancora maggiore rispetto alla metodica analitica, ebbene si deve ricordare che nel nostro ordinamento esiste il Metodo IRSA – CNR del gennaio 1985 e la Norma UNI 10820 del 1999 riguardante rifiuti liquidi, granulari, pastosi e fanghi, metodiche alle quali si deve fare riferimento.

Che questa fase sia la più critica lo sostiene anche la Comunità Europea: "il campionamento può porre seri problemi di rappresentazione e di tecnica a causa del carattere eterogeneo di molti rifiuti. Sarà messa a punto una norma europea per il campionamento dei rifiuti. Finché essa non sarà stata approvata dagli stati membri a norma dell’art. 17 della presente direttiva, essi potranno applicare le norme e le procedure nazionali.".

Il metodo IRSA prevede che il campionamento di rifiuti in cumuli debba essere eseguito in più punti su piani orizzontali e a quote diverse. Il numero di campioni singoli è proporzionale alle dimensioni del cumulo e alla eterogeneità del materiale. Per ottenere il campione composito si utilizza il metodo della quartatura.

Il metodo UNI prevede la formazione di un campione primario come somma di numerosi campionamenti singoli (detti incrementi) prelevati con diverse possibili modalità:

La norma Uni è diventata metodica ufficiale con il DM 161/02 riguardante il recupero di rifiuti pericolosi e il D.Lvo36/03 riguardante la realizzazione e gestione di discariche controllate. Trattandosi della metodica di più recente emanazione non è escluso che diventerà quella di principale riferimento.

Tutto questo per dire che la ricerca della maggiore rappresentatività in funzione del tipo e della giacitura del rifiuto comporta una accurata pianificazione, una adeguata preparazione e applicazione dei criteri descritti nella norma, con quello che ne consegue in termini di tempo e di attrezzature, ma con la garanzia che si è operato correttamente svolgendo un buon lavoro.

Di Vesta si è detto tutto il male possibile, ma non si è detto l'unica cosa utile a comprendere i contorni di questa vicenda. Dai 1100 km di fognatura di Fusina, considerando quello che noi tutti, non solo gli insediamenti artigianali e industriali, riversiamo ogni giorno negli scarichi delle nostre case, non è affatto semplice prevedere cosa uscirà, né tanto meno individuarne la fonte. E di quanto esce, posto che la migliore tecnologia assieme alla migliore gestione depurativa non sono in grado di assicurare un inquinamento zero, se ne vuole attribuire le colpe a chi si è assunto l'onere di ridurne le conseguenze.

Secondo il pubblico ministero Felice Casson e per gli investigatori del Corpo Forestale, sarebbe toccato ai tecnici dell'azienda comunale appurare a Fusina quello che esce dagli scarichi e le sostanze che si concentrano nei fanghi. Il rimprovero non tanto velato è che si sia lasciato deliberatamente trattare all'impianto anche scarichi di tipo industriale dalla locale Marghera, ben conoscendone la tossicità, tralasciando analisi che invece avrebbero potuto evidenziarne la contaminazione.

Lasciando per un attimo da parte i controlli di quei parametri relativi alle sostanze vietate negli scarichi, vediamo cosa prevedono le disposizioni vigenti in materia di utilizzazione agronomica dei fanghi di depurazione e cioè il D.Lvo 99/92

All'articolo 2 si legge che l'utilizzo di fanghi in agricoltura sia di provenienza civile sia di provenienza industriale è possibile "a condizione che non siano presenti sostanze tossico-nocive e dannose per l'uomo e l'ambiente". L'articolo 4 ribadisce il concetto: "E' vietato utilizzare in agricoltura fanghi che contengano sostanze pericolose per l'uomo e l'ambiente".

Come è immediato comprendere nel testo di questi articoli vi sono affermazioni del tutto generiche senza alcun significato tecnico, inserite nel testo dal legislatore italiano (mancano infatti dalla versione UE della direttiva). Si tratta solo di affermazioni apodittiche, norme salvacondotto, come a dire che l'uso dei fanghi di depurazione in agricoltura è ammesso solo a condizione che non produca inquinamento. La realtà è che nei fanghi si concentrano tutte le sostanze pericolose che finiscono nei tombini fognari, comprese quelle che dilavano strade e coperture, e che la Comunità Europea ha dovuto fare un attento esame di costi e benefici prima di stabilire le condizioni alle quali tali fanghi possono essere utilizzati. Tanto è vero che ammette siano presenti metalli pesanti come il piombo, il cadmio, il nichel ecc (che sono per l'appunto sostanze persistenti e bioaccumulabili) in determinate concentrazioni, deroga senza la quale non vi poteva essere la direttiva 86/278/CEE. Se si vuole evitare danni all'ambiente bisogna anche avere il coraggio di stabilire un discrimine al di sotto del quale esiste la ragionevole certezza che danni non ve ne siano, altrimenti si dica che i fanghi non possono essere utilizzati assumendosi la responsabilità dei propri atti. Cosi ha deciso per es. la Svizzera (il testo integrale è pubblicato nella rubrica documenti). Il Consiglio Federale ha annunciato l'abbandono completo dell'uso agricolo dei fanghi di depurazione a partire dal 2005 valutando in questo modo quello che le verrà a costare: per i privati le tasse per le acque di scarico aumenteranno ogni anno di circa 40 milioni di franchi, i costi supplementari per l'incenerimento dei fanghi saranno pari a 500 franchi per tonnellata di sostanza secca. Si prevede che in Svizzera si dovranno incenerire ogni anno circa 80.000 t di fanghi di depurazione.

Ora anche in Europa si sta discutendo se sottoporre a riesame tutta la direttiva fanghi, la 86/278/CE, proprio alla luce di nuovi studi e relazioni ove si dimostra la presenza incomoda di tutta una serie di composti chimici, potenzialmente pericolosi per la salute dell'uomo a causa della temuta trasferibilità tramite catenza alimentare. Nel sito della Commissione Europea c'è una intera pagina web dedicata al problema del riutilizzo dei fanghi che potete trovare a questo indirizzo:

http://europa.eu.int/comm/environment/waste/sludge/index.htm

Tra le numerose pubblicazioni presenti, alla cui lettura ci si può dedicare per approfondire l'argomento fanghi, c'è ne una particolarmente interessante che tratta della presenza di contaminanti organici come le diossine e i policlorobifenili: "Organic contaminants in sewage sludge for agricultural use". Si tratta di un rapporto dell'ottobre 2001 nel quale si si tenta una sintesi sui risultati di numerosi studi e ricerche riguardanti costi e benefici sull'utilizzo in agricoltura dei fanghi di depurazione a partire dalla principali categorie di contaminati organici, la loro proveinienza e formazione, le modalità di trasferimento attraverso le piante e gli animali all'organismo umano, la valutazione del rischio. Il rapporto trova motivo nella decisione della UE di rivedere la direttiva 86/278/CE: l'ultima analisi svolta in seno UE con i c.d. documenti di lavoro arriva alla terza versione (III draft). In questa terza versione risalente al 2000 (il testo in italiano si trova nella sezione "documenti") le conclusioni circa i valori soglia da non superare per l'utilizzo descritto sono i seguenti:

Valori limite di concentrazione dei composti organici e delle diossine nel fango riutilizzato

Composti organici

Valori limite (mg/kg SS)

AOX1

500

LAS2

2600

DEHP3

100

NPE4

50

PAH5

6

PCB6

0.2

 

 

Diossine

Valori limite (ng TE/kg SS)

PCDD7

100

PCDF8

100

1 Sommatoria dei composti organici alogenati

2 Alchilbenzene solfonato lineare

3 Di(2-etilexil)ftalato

4 Comprende la sostanze nonilfenolo e nonilfenolotoxilato con 1 o 2 gruppi etoxi

5 Sommatoria dei seguenti idrocarburi policiclici aromatici: acenaftene, fenantrene, fluorene, fluorantrene, pirene, benzo(b+j+k)fluorantrene, benzo(a)pirene, benzo(ghi)perilene, indeno(1,2,3-c,d)pirene

6 Per ognuno dei componenti dei policlorobifenili numeri 28, 52, 101, 118, 138, 153, 180

7 Policlorodibenzodiossine

8 Policlorodibenzofurani

Occorre chiarire che il termine "diossine" si usa per indicare un gruppo di composti aromatici, le dibenzo-p-diossine e i dibenzofurani. Si tratta di sostanze caratterizzate da una distribuzione pressoché ubiquitaria come contaminanti ambientali persistenti, formate da idrocarburi aromatici legati ad atomi di cloro più o meno numerosi. Il termine diossina è spesso usato come sinonimo di TCDD o 2,3,7,8-tetracloro-dibenzo-p-diossina, ma in realtà si conoscono 75 tipi diversi tra diossine e 135 congenere dei furani, strettamente correlati per caratteristiche e tossicità. Diciassette di queste molecole sono considerate estremamente tossiche per l’uomo e gli animali. La tossicità come composto viene espressa in riferimento alla tossicità della 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina, la più tossica, in I-TEQ (International Toxicity Equivalents). Tra le 17 molecole la tossicità può variare di circa tre ordini di grandezza: per individuare il valore in I-TEQ di una particolare miscela di diossine/furani, la quantità di ogni singolo componente viene moltiplicata per un proprio fattore di tossicità (I-TEF) in relazione alla TCDD. I valori ottenuti vengono quindi sommati tra loro.

Le diossine ed i dibenzofurani si formano come sottoprodotti indesiderati nella preparazione industriale di erbicidi clorofenossilici (acido 2,4,5 triclorofenossiacetico, noto anche come "Agente Orange", diserbante usato a fini bellici in Vietnam) o di composti intermedi di sintesi di disinfettanti (esaclorofene) o di conservanti per il legno (pentaclorofenolo).

Lo IARC ha classificato la TCDD come cancerogeno per l'uomo (gruppo 1). La Commissione Scentifica Europea per l'Alimentazione, il 22 novembre 2000, ha deciso di abbassare a 1 picogrammo per chilo corporeo (al giorno) il limite massimo di diossine e altri composti organici tollerabile per l'uomo. Giornalmente, una persona di 70 chili, può assorbire al massimo 70 picogrammi di diossine (70 kg x 1 pg/kg), ma ciò non significa che la Dose Giornaliera Tollerabile (TDI) corrisponda ad una dose sicura (rischio zero). Si tratta semplicemente del giusto compromesso tra un rischio aggiuntivo, estremamente basso e la concentrazione "naturale" nel cibo, nell’ acqua, e nell’aria di questi composti.

E’ utile ricordare che un picogrammo equivale ad un miliardesimo di milligrammo.

grammo

g

1

1

milligrammo

mg

0,001

1x10-3

microgrammo

μg

0, 000001

1x10-6

nanogrammo

ng

0, 000000001

1x10-9

picogrammo

pg

0, 000000000001

1x10-12

Queste valutazioni circa il pericolo per la salute sono possibili anche grazie alle sempre più sofisticate tecniche di indagine dei microinquinanti organici, attraverso le quali si sono raggiunti limiti di sensibilità solo qualche anno fa impensabili. Sono proprio quantità così difficili da individuare che giustificano la migliore conduzione possibile del piano di campionamento.

Nelle due tabelle che seguono vediamo quali sono i risultati degli studi svolti a proposito della contaminazione da diossine dei fanghi di depurazione:

Come è possibile evidenziare il range di concentrazione di questi composti nei fanghi varia molto. Si va da un minimo di 0,7 ng/kg di sostanza secca ad un massimo di 1207 ng/kg di sostanza secca. Le differenze da impianto a impianto possono essere rilevanti, anche se la variabilità mensile nello stesso impianto si dice sia limitata. E' questo il motivo per cui in molte legislazioni europee non si indicano ancora nessun limite di concentrazione. La Norvegia per es. ha deciso di non prevedere alcun limite per le diossine. Anzi alcuni studiosi hanno contestato i limiti proposti dalla UE in quanto stabiliti arbitrariamente solo sulla base del principio di precauzione.

Attualmente solo la Germania e l'Austria hanno stabilito un limite, che è lo stesso del III draft UE, pari a 100 ng (nanogrammi) per chilo di sostanza secca. Nella tabella che segue sono indicati i diversi standard previsti da alcuni paesi europei per alcune delle classi di composti organici indagati nel rapporto citato:

Come si vede la situazione è a macchia di leopardo, il che testimonia la grande incertezza che vige ancora sull'argomento.

L'incertezza maggiore riguarda la via di trasferimento e l'ordine di grandezza. Molti studi hanno dimostrato che il bestiame regolarmente ingerisce un po' di terreno e che, probabilmente, questa è la via prefenziale attraverso la quale i contaminanti organici si legano ai tessuti animali. C'è inoltre un problema di standardizzazione delle metodiche d'analisi, di tempi e di costi per analisi , che può influire sulla significatività dei risultati.

Un gruppo di lavoro formatosi su impulso della Conferenza dei Ministri Europei dell'Ambiente ha rivisto tutta la materia in termini di rilevanza e ha concluso che i valori di PCDD/F sono diminuiti negli ultimi anni e raccomanda la riduzione del numero delle analisi sui fanghi, mentre invece suggerisce di intensificare il monitoraggio delle possibili fonti di diossina all'origine come i prodotti tessili per il loro contenuto in pentaclorofenolo e PCDD/F rilasciati attraverso il lavaggio.

Ora, dopo questa digressione sullo stato dell'arte, torniamo ad occuparci della questione fanghi di Fusina. Attualmente i periti di parte stanno effettuando le analisi di revisione dei 4 campioni raccolti dalla Forestale, uno di fanghi e tre di compost ottenuti con un 35% di aggiunta dei fanghi medesimi. Vedremo se saranno pubblicati gli esiti.

Perintanto Vesta ha reso noto che nella campagna di indagini svolta fino a luglio 2001 negli impianti di Fusina, Campalo, Cavallino, Lido la concentrazione massima di diossina in ingresso è pari a 2,7 ng/mc di reflui trattati. Con un calcolo che tiene conto della resa di abbattimento, della quantità di fanghi disidradati estratti dall'impianto, della frazione secca, è emerso un dato medio stimato pari a circa 21 ng/kh di sostanza secca. Le prove sui fanghi hanno dato valori massimi di 50 o 80 ng/kg s.s. contro i 333 trovati dalla Forestale.

Come detto, per ora, né la legislazione italiana, né quella europea hanno stabilito limiti. Se passerà la proposta UE del III draft il limite per PCDD/F sarà di 100 ng/kg s.s. il che non costituisce in ogni caso un indice di tossicità, ma semplicemente il "fallout naturale" che ci si ritrova a dover gestire nelle acque di scarico per i diversi contributi di diossine prodotte non intenzionalmente. Valori superiori starebbero ad indicare anomalìe all'ingresso del trattamento. Da rimarcare tuttavia che EPA, l'Agenzia statunitense, ha effettuato una nuova valutazione del rischio riguardo al riutilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura e ha proposto nel 1999 un limite più alto, pari a 300 ng/kg s.s.

Mentre i limiti sui fanghi sono ancora nel limbo rimane invece applicabile la normativa speciale per gli scarichi nella Laguna di Venezia ed nel relativo bacino scolante con la la quale si stabiliscono per la prima volta nel nostro paese anche limiti specifici per alcune sostanze persistenti o bioaccumulabili e la cui entrata in vigore è procrastinata fino alla data di approvazione dei progetti di adeguamento dei sistemi depurativi da parte della Regione Veneto.

Decreto Ministeriale del 30/07/1999 - Limiti agli scarichi industriali e civili che recapitano nella laguna di Venezia e nei corpi idrici del suo bacino scolante, ai sensi del punto 5 del decreto interministeriale 23 aprile 1998 recante requisiti di qualita' delle acque e caratteristiche degli impianti di depurazione per la tutela della laguna di Venezia.

…………………

Tabella A - LIMITI ALLO SCARICO NELLA LAGUNA DI VENEZIA E NEI CORPI IDRICI DEL SUO BACINO SCOLANTE

………….

Sezione 4:

La Sezione indica, con riferimento le sostanze cui si applicano il punto 6 del decreto interministeriale 23 aprile 1998 e l'art. 3 del decreto interministeriale 16 dicembre 1998, i limiti che, sulla base di quanto indicato nel documento tecnico di supporto pubblicato in allegato al decreto del Ministro dell'ambiente 26 maggio 1999, appaiono oggi conseguibili con l'adozione di misure tecniche supplementari di depurazione dei reflui liquidi industriali, quali misure supplementari previste dall'art. 10 della Direttiva 61/96/CE (IPPC) finalizzate all'ottenimento di una qualità ambientale più rigorosa di quella attualmente conseguibile con le migliori tecnologie disponibili.

   Sostanza                          Limite di concentrazione (1) (2)

    IPA (3)                                     1 µg/l
    DIOSSINE                                   0,5 pg/l (TE)
    CIANURI                                     5 µg/l
    ARSENICO                                    1 µg/l
    PIOMBO                                     10 µg/l
    CADMIO                                      1 µg/l
    MERCURIO (4)                               0,5 µg/l
    POLICLOROBIFENILI                          assenti (5)
    PESTICIDI ORGANOCLORURATI                  assenti (5)
    TRIBUTILSTAGNO                             assente (5)

_______________

(1) Il valore limite di concentrazione si riferisce allo scarico contenente la specifica sostanza inquinante e deve essere rispettato immediatamente a valle dell'applicazione della migliore tecnologia di processo e depurazione, al netto delle concentrazioni registrate nelle acque di prelievo.

(2) Qualora il trattamento supplementare dì depurazione avvenga in un impianto comune a più scarichi il valore limite di concentrazione va ridotto, moltiplicando per il fattore di diluizione (inteso come il rapporto tra le portate in entrata autorizzate sulla base dei valori della Tabella A-Sezione 3 e la portata media giornaliera di tempo secco in uscita dall'impianto comune).

(3) Sommatoria dei seguenti composti: Benzo(a)antracene, Benzo(a)pirene, Benzo(b)fluorantene, Benzo(k)fluorantene, Benzo(ghi)perilene, Crisene, Dibenzo(a,h)antracene, Indeno(1,2,3-cd)pirene.

(4) Per la produzione di cloro-soda si ritiene possibile eliminare alla fonte l'emissione di mercurio, per cui si richiede che non venga raggiunto il limite di rilevabilità.

(5) Per i policlorobifenili, inquinante ubiquitario, e per i pesticidi organoclorurati ed il tributilstagno, che si ritengono non presenti nei processi industriali che insistono sulla laguna di Venezia, si richiede che non venga raggiunto il limite di rilevabilità.

 

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