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19 settembre 2001

L'AUDIZIONE DEI MINISTRI LUNARDI E MATTEOLI A PROPOSITO DEL SEQUESTRO DEI CANTIERI DELLA TRATTA TAV TOSCANA. PRIMI DISCUTIBILI PROVVEDIMENTI.

Avevamo lasciato la vicenda TAV quando la polemica sui danni prodotti dalle escavazioni delle gallerie nel Mugello era ai massimi livelli. Naturalmente tutte le notizie tendono a finire in secondo piano con il passare del tempo. Non è invece il caso di far calare l'attenzione verso eventi emblematici come questo, sia per il significato proprio che assumono, sia per gli inevitabili collegamenti con altri luoghi e momenti del futuro prossimo venturo del nostro paese in materia di infrastrutture. Grazie alle audizioni dei Ministri Lunardi e Matteoli, tenutosi nel mese di luglio al cospetto delle Commissioni competetenti di Camera e Senato, sono note ulteriori informazioni a proposito dei motivi che hanno portato al sequestro, i cui contenuti è oggi possibile commentare.

Ill Ministro Lunardi si è prima di tutto soffermato ad inquadrare lo stato di avanzamento dei progetti dell'Alta Velocità. La fase progettuale della tratta Bologna-Firenze, che è quella che ci interessa, ha preso avvio nel 1991, si è conclusa nel 1996; la progettazione, eseguita dalla FIAT-engineering (una società collegata al general contractor FIAT) è terminata nel 1996, momento in cui è stato predisposto l'atto integrativo ed è cominciato il lavoro. Nel 1996, appena conclusosi il periodo di progettazione, è iniziato il periodo di assistenza tecnica e di monitoraggio, monitoraggio eseguito, normalmente, dallo stesso consorzio che realizza l'opera, cioè, nel caso di specie, dall'Alta Sorveglianza Italferr (cui spetta il compito di controllare che il progetto venga eseguito secondo le previsioni progettuali e con il rispetto dei limiti economici).

Le altre tratte in costruzione sono la Roma-Napoli, la Milano-Bologna, la Milano-Torino. Le tratte dette di alta capacità, già approvate ma non ancora iniziate, sono invece la Milano-Verona, la Milano-Genova, la Padova-Mestre, la Verona-Venezia. Ci sono infine i nodi di Roma, Napoli, Firenze e Bologna.

Riguardo alle procedure che permettono di valutare preventivamente l'impatto ambientale delle grandi opere Lunardi ha detto:

"Ovviamente, come tutti sanno ed ormai è abbastanza noto (vista l'insistenza con cui è stato detto e scritto), quando si realizzano queste grandi infrastrutture viene fatta una gestione ambientale. Quest'ultima si articola in tre momenti diversi: il primo è quello della valutazione dell'impatto ambientale eseguita nell'ambito della stesura del progetto; una volta messo a punto il progetto e fatta la valutazione di impatto ambientale, la seconda fase riguarda la Conferenza dei Servizi, sede in cui vengono discussi tutti gli aspetti di carattere progettuale di impatto ambientale, costruttivo e quant'altro. Nell'ambito della Conferenza dei servizi vengono approvate tutte le valutazioni, i progetti ed altro."

A questo proposito è utile una breve digressione. E' noto che, nel nostro ordinamento, la fase di valutazione di impatto ambientale precede la fase di rilascio delle autorizzazioni, nullaosta o altri atti di assenso che un'opera di queste dimensioni richiede per la complessità dei profili che va a toccare. Il progetto ricadente in una delle categorie descritte tra quelle a competenza statale viene accompagnato da uno studio di impatto ambientale redatto secondo una check-list prefissata nelle norme tecniche emanate dal 1985 ad oggi. Il SIA viene esaminato da una apposita Commissione presso il Ministero dell'Ambiente alla quale è affidato il compito di istruire la documentazione e quindi di pervenire ad un parere di compatibilità che può essere positivo, negativo o anche interlocutorio. Con tutte le limitazioni che si possono immaginare sul fatto di dover esaminare i probabili effetti di un tale progetto su una porzione di territorio che non si conosce, avendo come spesso unica fonte di conoscenza gli elementi portati nel SIA dalla controparte interessata a realizzare il progetto stesso, i tecnici chiamati a far parte della Commissione consegnano un rapporto scritto al Ministro che, in qualità di soggetto tenuto alla decisione, in sede di Consiglio dei Ministri, approva o ripudia quanto sostenuto nel rapporto.

Se la decisione è favorevole si passa alla seconda fase che è quella appunto di acquisire il consenso delle amministrazioni. Una copia del progetto accompagnato dal SIA viene a loro trasmesso per una valutazione di rispondenza o meno ai vincoli al quale può soggiacere in virtù delle caratteristiche dell'opera e in relazione a compiti e funzioni di questa o quella amministrazione alle quali è stata affidata per legge la tutela del particolare vincolo. Uno dei difetti dell'attuale procedura sta, per l'appunto, nella individuazione di tutte le amministrazioni che possono essere toccate nelle loro competenze, in quanto, per una sorta di selezione genetica, vengono iscritte in questo elenco quelle che lo sono per definizione, cioè le Regioni, le Province e i Comuni.

In verità una lettura attenta dell'art.14 della L.241/90, nonostante tutte le modifiche intervenute, porterebbe ad ampliare il ventaglio delle audizioni a tutti quei soggetti istituzionali che effettuano istruttorie ed esprimono pareri sui profili che possono essere toccati dall'opera. E quindi naturalmente le ASL, le ARPA, i Vigili del Fuoco, ma anche l'ex-Genio Civile, la Sovrintendenza, l'Autorità di Bacino. Ma poichè si tratterebbe di mettere sullo stesso piano la dignità di una valutazione tecnica con la decisione politica si soprassiede sul significato autentico del termine "amministrazione" relegando il tecnico al ruolo di consulente. Se qualche progetto manifesta difetti e carenze nel corso della sua realizzazione lo dobbiamo, probabilmente, al diverso peso che viene riconosciuto alla valutazione tecnica rispetto alla decisione più prettamente politica.

I francesi, dai quali abbiamo ereditato la forma amministrativa del nostro paese, ci consegnano invece una procedura più rispettosa delle reciproche funzioni. Il progetto, anche a livello periferico, viene prima esaminato da una Conferenza dei Servizi di composizione prettamente tecnica, poi passa alla valutazione dei soggetti legittimamente eletti a capo delle amministrazioni politiche. La decisione è quindi più trasparente.

Nella condizione descritta è quindi facile comprendere come le priorità siano diverse rispetto a quanto si potesse prevedere nell'ambito di una VIA. Nel dibattito parlamentare che è seguito all'intervento dei due Ministri è emerso chiaramente come gli assensi sulla cantierabilità delle varie tratte TAV siano stati ottenuti, non tanto con la consapevolezza delle validità delle soluzioni mitigative adottate per abbattere i presumibili impatti, ma con la forza delle proposte di "compensazione", per usare un termine in voga.

Lo scopriamo quando il Ministro risponde così alla domanda sulla inadeguatezza della valutazione economica che è stata fatta della TAV: " Sulla Firenze-Bologna ci sono state effettivamente lievitazioni dei costi, ma questi sono cresciuti anche a causa della costruzione della diga del Bilancino (fatta con i soldi delle Ferrovie e dell'alta velocità), o dei 100 chilometri di strade dei comuni limitrofi, senza contare poi gli interventi sulle scuole e sui campi sportivi. Quei 2000 miliardi in più rispetto a quanto previsto nel contratto (che indicava 6200 miliardi) sono dovuti, quindi, a tutte queste opere di compensazione che sono state contrattate successivamente."

Altrettanto riferisce l'altro Ministro, Matteoli: "È evidente, a mio avviso, che in questa situazione specifica, nella fase finale di chiusura della tratta vi sia stato un problema legato alla gestione del consenso; si è privilegiato, infatti, un metodo di scambio con i singoli enti locali, nel quale, più che alla garanzia della accettabilità ambientale complessiva dell'opera, si dava valore al campo sportivo, alla palestra ed ad altre infrastrutture; non è questo il modo migliore di operare in queste situazioni. Il secondo aspetto da valutare, e che può valere anche per il futuro, è la possibilità che si sia verificato - questo è quanto mi si dice - un deficit di indagini preliminari, nel senso che, sostanzialmente, per esigenze di risparmio non si siano eseguite le necessarie perforazioni per essere sicuri che non si sarebbero danneggiati punti delicati."

Senza nulla togliere al diritto-dovere di una amministrazione di lavorare per il benessere dei cittadini e per il miglioramento dei servizi da mettere a disposizione della comunità amministrata, probabilmente certe sorprese si sarebbero potute almeno in parte evitare se si fosse dedicata maggiore attenzione al livello di approfondimento raggiunto nel SIA e quindi alla esatta individuazione dei profili di rischio toccati dall'opera. Insomma se le priorità fossero state diverse forse oggi avremmo avuto qualche piscina in meno, ma qualche sorgente in più.

Chiusa la digressione torniamo al Ministro Lunardi:

"Il terzo momento consiste nella fase in cui comincia l'opera e si inizia a costruire: come sapete, esiste un'istituzione, l'Osservatorio Ambientale, che ha la funzione di seguire i lavori e di far rispettare le prescrizioni del VIA riguardanti il progetto. Si può così effettuare un monitoraggio continuo della situazione, monitoraggio caratterizzato dalla presenza di persone sul posto che giornalmente verificano lo stato di avanzamento dei lavori ed il rispetto delle prescrizioni."

Sul funzionamento dell'Osservatorio Ambientale e sull'efficacia dei controlli svolti hanno espresso dubbi e chiesto delucidazione diversi parlamentari, sia della minoranza che della maggioranza, compreso un Presidente di Commissione, senza che tuttavia sia stato chiarito, durante le audizioni, il ruolo svolto da questo organismo. Quello che è dato di sapere è che l'Osservatorio fa capo al Ministero dell'Ambiente che comunque non lo reputa in grado di eseguire quegli accertamenti che sono stati demandati ai funzionari del Servizio Rifiuti e Bonifiche del Ministero stesso inviati sui luoghi all'indomani del sequestro operato dalla Magistratura.

L'altra cosa che sembra di poter affermare è che la sua istituzione sia avvenuta all'interno di un Accordo di Programma tra i Ministeri, le FFSS, la TAV e le Regioni attraversate dalla tratta cui da riferimento l'accordo. In rete è stato infatti possibile reperire il testo dell'Accordo di Programma firmato il 14 luglio del 2000 e relativo alla tratta Torino-Milano. Da questo articolato è possibile evincere quali siano i compiti dell'organismo:

1. Per la verifica del corretto adempimento degli obblighi previsti all'art. 2, commi 1, 2, 4 e 7 del presente Accordo è istituito presso il Ministero dell'Ambiente, Servizio Valutazione dell'Impatto Ambientale, informazione ai cittadini e per la relazione sullo stato dell'ambiente, l'Osservatorio Ambientale della linea Alta Capacità Ferroviaria Torino-Milano.

2. L'Osservatorio è istituito per tutta la durata dei lavori e sino al termine previsto per la fase di monitoraggio e svolge i seguenti compiti, nel rispetto di quanto disposto dall'art. 2 comma 8:

a. sovrintende all'attuazione del presente Accordo, alla verifica sull'attuazione del progetto esecutivo approvato dalla Conferenza di Servizi con riguardo alla sua corretta esecuzione sotto il profilo ambientale ed adotta ogni iniziativa utile a favorire la realizzazione dei lavori della tratta nei tempi indicati dall'allegato 1 secondo il progetto esecutivo approvato e le condizioni e prescrizioni di cui agli allegati 2 e 3;

b. esamina gli elaborati di cui all'allegato 2 del presente Accordo esprimendo ogni indicazione ritenuta utile;

c. esprime parere sulle eventuali varianti al progetto predisposte in sede di realizzazione delle opere ed interventi;

d. approva il programma di monitoraggio ambientale di cui all'allegato 3, esamina gli esiti delle misure e prescrive gli interventi che si rendessero necessari;

e. esprime al Ministero dell'Ambiente il proprio benestare allo svincolo delle garanzie prestate;

f. valuta il programma di manutenzione di cui al precedente art. 2, comma 4.

Come è possibile comprendere l'O.A. ha una funzione di sorveglianza dei termini dell'accordo e non esegue accertamenti o verifiche sul campo, ma si limita ad esaminare elaborati e a esprimere pareri. Non è quindi un organo di vigilanza propriamente detto, così come ai suoi componenti non viene riconosciuta una funzione autonoma di polizia giudiziaria, ma questi svolgono unicamente un compito di consulenza e supporto tecnico al Ministero.

L'Osservatorio è in sostanza un Comitato che si riunisce periodicamente a Roma al quale gli enti rappresentano quesiti o relazioni:

"Le deliberazioni dell'Osservatorio sono assunte all'unanimità dei membri presenti purchè sia presente almeno il 50% più uno dei membri nominati. Nel caso non si raggiunga l'unanimità, e ciò possa recare pregiudizio al rispetto dei tempi indicati, ovvero su richiesta del rappresentante di una delle due Regioni, il Presidente dell’Osservatorio rimette entro 3O giorni la questione al Ministro dell'Ambiente sentito per la sua risoluzione entro i successivi 30 giorni. Le riunioni devono essere convocate con almeno 10 giorni di preavviso".

L'O.A. è infatti costituito da 7 membri tecnici designati come di seguito: il Presidente, nominato d'intesa tra il Ministero dell'Ambiente ed i Presidenti della Regione Lombardia e della Regione Piemonte; uno dal Ministro dell'Ambiente; uno dal Ministro dei Trasporti e della Navigazione; uno dalla FS S.p.A.; o uno dalla TAV S.p.A.; o uno dalla Regione Piemonte; o uno della Regione Lombardia.

Da quanto detto pare di poter escludere che tale organismo sia nelle condizioni di esercitare quei controlli che il Ministro Lunardi vuole attribuirgli. Dalla funzioni descritte sembra di capire che la sua struttura operativa sia di costituzione prevalentemente giuridica. E' ben difficile quindi che i suoi componenti possano garantire la vigilanza necessaria ad un'opera di queste dimensioni e così grandi problematiche tecniche. Possiamo inoltre immaginare con quali difficoltà e quindi con quali tempi si riunisca un super comitato di questo tipo.

Veniamo ora ai problemi di esaurimento delle sorgenti interferite dai lavori in corso. A questo proposito il Ministro Matteoli riferisce quanto segue.

"Alla data del giugno 2001 queste sono le notizie sulla zona oggetto della crisi idrogeologica: la zona sopracitata interessa lo scavo della galleria Firenzuola a partire dalla finestra Marzano in direzione nord; tale scavo interessa una formazione marnoso-arenacea le cui caratteristiche medie di permeabilità sono state considerate, in fase di progettazione, basse, ovvero dell'ordine di quelle di un'argilla limosa. In realtà, tale comportamento medio deriva da una permeabilità «primaria», ovvero propria della formazione bassissima, interrotta però a luoghi da sistemi di fratture che inducono una permeabilità «secondaria» molto alta. Ciò rende possibile che i sistemi di frantumazione intersecano nell'opera quando la falda presenta elevate pressioni e drenaggi localizzati dalla falda molto cospicui.....Attualmente, le gallerie della TAV- intercettando numerose vene d'acqua - stanno drenando complessivamente portate dell'ordine di 650 litri d'acqua al secondo."

Molti parlamentari hanno chiesto di conoscere quali possono essere stati i motivi che hanno portato alla situazione odierna e quali i modi per correggerre gli errori e ripristinare i danni. Così risponde il Ministro Lunardi:

"Con riferimento all'impatto sulle sorgenti, vorrei far presente che durante la fase di studio del progetto sono stati effettuati dei sondaggi lungo il tracciato, anche se non tantissimi: due per ciascun chilometro. In queste situazioni, i sondaggi si effettuano per individuare la presenza di falde acquifere, per calcolare la pressione idrostatica che potrebbe esserci sulle gallerie, al fine di effettuare i giusti rivestimenti e così via.

Ma l'effettuazione dei sondaggi non evita, comunque, il rischio che si incontri la falda acquifera nel momento in cui si procede allo scavo della galleria. Qualora ciò accada, occorre scegliere la soluzione meno traumatica, in tutti i sensi, ivi compresa quella che impedirebbe eventualmente di eseguire le gallerie, cioè quella del drenaggio temporaneo con il ripristino successivo della falda e l'impermeabilizzazione della galleria. Pertanto, il più delle volte accade che, anche facendo molte prospezioni - anche di più di quelle che sono state fatte in questa occasione -, non sempre si riesca ad evitare il problema delle falde.

Ad ogni modo, quando si effettuano queste opere è necessario che un bilancio idrogeologico generale, al fine di studiare l'impatto della galleria sul territorio, duri almeno quattro o cinque anni, così come è accaduto ad esempio in occasione della realizzazione del Gran Sasso o di altri importanti trafori. Recentemente, si è verificato in Val di Susa un grave problema riguardante le acque, proprio perché nell'ambito della procedura dell'appalto-concorso non erano stati effettuati sufficienti studi. Pertanto, tutto ciò rappresenta un monito anche per il futuro, nel senso che quando si affrontano queste grandi opere occorre investire almeno il 2 per cento del valore dell'opera sulle prospezioni. Penso, ad esempio, a quanto accaduto recentemente sulla variante di valico, dove è stato trovato il gas che ha bloccato quattro frese già in esercizio, arrestando così un lavoro molto importante. Probabilmente, se fossero state effettuate più prospezioni non si sarebbe verificato quello che è accaduto. Quindi, è necessario imporre in futuro a chi di dovere, sia esso il general contractor o l'amministrazione, l'effettuazione di prospezioni e di studi seri nella parte iniziale. Ciò comporta, infatti, grossissimi risparmi, successivamente, in fase di progettazione e di realizzazione del progetto."

Si deve quindi considerare come ammissibile perchè inevitabile l'intecettazione di alcune falde idriche nel corso dei lavori di scavo, e comunque i danni prodotti sono solo temporanei in quanto il drenaggio viene interrotto con l'impermeabilizzazione della galleria. Quello che probabilmente non ha funzionato in questo e in altri casi è la previsione dell'entità degli acquiferi interessati. I 100 litri/secondo di drenaggio della Galleria Marzano sono evidentemente superiori alle attese e pongono probemi rilevanti per quanto riguarda l'impermeabilizzazione della galleria. Ulteriori prospezioni effettuate preliminarmente nell'area interessate avrebbero potuto permettere l'individuazione di quella permeabilità secondaria che è all'origine del fenomeno.Dalle parole del Ministro tuttavia sembra di comprendere che la progettazione può fino ad un certo punto tener conto di questi risultati.

"Sul punto dell'interferenza con le falde, desidero sottolineare un aspetto particolare: quando si realizza un'opera in sotterraneo, è ovviamente ineluttabile interferire con le falde acquifere. Normalmente si sa dove sono, perché vengono eseguiti sondaggi prima della realizzazione dell'opera, e rispetto alla quota galleria si conosce qual è la quota della falda e quindi il carico idrostatico che graverà sulla futura galleria. Il carico idrostatico, che nel caso della Bologna-Firenze può variare da qualche atmosfera, da qualche decina di metri, fino a 20 atmosfere, cioè sino a 200 metri, può cambiare di punto in punto, indipendentemente dall'esecuzione dei sondaggi: si compie un sondaggio ogni 500 metri e può darsi che in questo ambito la falda possa variare, a seconda delle situazioni strutturali del terreno.

Comunque, si incontrano le falde, le gallerie interferiscono con le falde acquifere (si sa più o meno dove si incontrano, ma qualche volta si incontrano anche a sorpresa), perché i contatti tettonici non sono sempre così precisi e marcati, e non si sa se i serbatoi che contengono le falde sono più o meno spostati rispetto l'asse della galleria, per cui il progettista ha tre possibilità di operare di fronte a questi casi.

Prima ipotesi: avanzando con la galleria e incontrando una falda acquifera, ha la possibilità di iniettare il terreno a monte del fronte di scavo, cioè in avanzamento, con sistemi di malta di cemento o con sistemi di resine speciali, in maniera da impermeabilizzare il terreno e poi, all'interno del terreno impermeabilizzato, di scavare la galleria, in maniera da non drenare l'acqua, lasciando così la falda intatta; è un sistema che si usa quando si passa sotto i fiumi, sotto il mare ed in casi particolari.

Seconda ipotesi: vi è un secondo sistema che oggi viene molto utilizzato. L'utilizzo delle cosiddette talpe, che sono macchine speciali, frese a pressione, che possono scavare sotto falda, mantenendo l'acqua fuori e lasciando intaccata la falda acquifera. Questo tipo di macchine però lavora sino alla pressione di 6 atmosfere, e nel caso della Bologna-Firenze, essendovi pressioni superiori, non si possono usare.

Sia nel primo caso, con l'iniezione, sia nel secondo caso, usando macchine, si mantiene la falda alla propria posizione iniziale e si mantiene un regime idrostatico: quindi, sulla galleria graverà la pressione dell'acqua interamente dovuta alla presenza della falda.

Il terzo sistema è quello di affrontare gli ammassi rocciosi con l'acqua e di drenare, quindi di abbattere provvisoriamente la falda. L'abbattimento della falda significa avere acqua dentro la galleria, incanalarla con tubi, portarla fuori agli imbocchi, e poi dagli imbocchi condurla dove si vuole. Questo tipo di drenaggio, prodotto dalla galleria, ovviamente provoca risentimenti alle falde in superficie. Ciò vuol dire che non si ha più la falda a quel livello; si abbatterà la falda, deprimendola, e sorgenti potrebbero essere temporaneamente prosciugate; per questi casi, nelle prescrizioni e negli accordi con l'Osservatorio ambientale, è previsto che, dove si pensa di togliere l'acqua, per effetto di questo drenaggio forzato e temporaneo delle gallerie, essa sia restituita attraverso un sistema di acquedotti.

Nel caso del progetto CAVET, so che, dove è stato previsto di togliere l'acqua alle sorgenti o ai corsi d'acqua, essa sarà riportata mediante acquedotti: ne sono stati realizzati almeno dieci proprio per compensare il depauperamento delle falde acquifere. Questa, però, è una operazione provvisoria, perché una volta realizzata la galleria sotto falda, e rivestita con calcestruzzo, essa viene impermeabilizzata e diventa come un sommergibile, per cui nel tempo, quando si concluderà il lavoro, la falda si ripristinerà e riprenderà la sua quota iniziale, ricreando l'equilibrio che era stato interrotto. Se esso non venisse ripristinato, dall'esterno si potrebbero fare perforazioni, riprendere l'acqua attraverso un sistema di pozzi e restituirla ai comuni, alle sorgenti o ai corsi d'acqua. Si tratta, quindi, di un equilibrio che si altera temporaneamente e successivamente viene ripristinato: tutto ciò è contenuto all'interno delle prescrizioni che sono state indicate dall'Osservatorio ambientale al general contractor, in occasione di un unico fermo di cantiere che è avvenuto nel marzo 2000; in questo caso, non sono stati fermati 20 cantieri, ma uno solo, e su quel fronte l'interruzione è durata sette mesi. Si sono concordate le prescrizioni in modo da poter riprendere il lavoro nel rispetto di tutti gli equilibri ambientali e strutturali; dopo sette mesi, stabilite le prescrizioni con l'Osservatorio ambientale, il lavoro è stato ripreso.

Queste stesse prescrizioni stabilite con l'Osservatorio ambientale hanno valore per tutti gli avanzamenti: vi dicevo che su tutto il cantiere ci sono 31 avanzamenti contemporanei e, quando si incontra una falda, valgono queste prescrizioni. Sono, quindi, cose che erano state già stabilite in passato. In tale ambito, desidero sottolineare un aspetto: queste prescrizioni, attenzioni o osservazioni sul cantiere possono essere condotte o portate avanti senza arrestare i cantieri, in quanto fermare i cantieri comporta danni incalcolabili. Danni, prima di tutto, economici, all'erario: con fermi di cantiere che producono 80-90 miliardi al mese di fatturato, immaginatevi quali effetti si possano produrre. Vi sono poi danni ambientali: abbandonare fronti di avanzamento in quelle condizioni, improvvisamente, comporta problemi per la sicurezza che sono incalcolabili. Si hanno quindi danni all'erario, alla sicurezza, all'ambiente: questa è la realtà. Sarà allora necessario tenere conto che in futuro, su questi aspetti, sarà bene discutere prima, nell'ambito della progettazione, delle prescrizioni che si stabiliscono con l'Osservatorio ambientale: ma nel momento in cui il lavoro comincia, fermarlo è la cosa peggiore per noi, per il territorio, per l'erario, in quanto si arrecano danni incalcolabili, che non si sa a chi attribuire; e credo che alla fine a pagare sia il cittadino. Soprattutto si deve considerare che, nell'ambito delle grandi infrastrutture, non solo di tipo ferroviario, ma anche di tipo urbano (e per tutto quello che si dovrà fare in Italia per il futuro), il sottosuolo sarà un grande contenitore, per cui si devono stabilire sistemi precisi, in maniera tale che tra tutti gli interlocutori - da chi protegge certi aspetti del nostro territorio, agli enti locali e a tutti gli altri interessati - ci si capisca chiaramente ed immediatamente, evitando che sorgano incomprensioni.

Passando poi all'ultimo tema delle audizioni, quello dello smaltimento dello smarino di galleria, si è nelle condizioni, ora, di comprendere qualcosa di più riguardo alle modalità di scavo.

"Credo che uno dei punti che la magistratura ha voluto sottolineare con il fermo dei cantieri sia quello relativo all'utilizzo del materiale "disarmante", a base di olio, utilizzato quando si gettano rivestimenti in calcestruzzo. Infatti, dopo lo scavo della galleria si estrae il materiale e la galleria viene rivestita con spessori di calcestruzzo che variano dai 50 agli 80 centimetri. Il getto del calcestruzzo viene fatto all'interno di casseforme metalliche che vengono posizionate nella cavità: infatti, tra le casseforme metalliche e la roccia (nello spazio di 80 centimetri), con delle pompe speciali, viene gettato calcestruzzo.

Dopo tale operazione il calcestruzzo deve maturare, a seconda dei casi, per 10-15 o 20 ore e, per rendere più agile il distacco della cassaforma metallica dal getto maturato, viene spalmato sulla cassaforma metallica quest'olio che si chiama disarmante. Tale prodotto presenta caratteristiche sulle quali sorvolo per non entrare in particolari tecnici; dico tuttavia che si tratta di un materiale che, considerato il volume di disarmante impiegato per tutte le gallerie in queste operazioni, considerati i metri cubi di smarino previsti nell'ambito di tutte le gallerie e quant'altro, rappresenta non più di 4,5 parti per milione. Questo è un dato fornito dai cantieri, implicitamente avallato, quindi, anche da Italferr...

.....una delle cause principali della chiusura dei cantieri è stata la presenza all'interno delle gallerie di olio disarmante, che poi si mescola all'acqua e al materiale di risulta, producendo i danni accertati. Il problema sorge quando si realizzano i rivestimenti delle gallerie attraverso getti di calcestruzzo all'interno di casseforme metalliche: si è obbligati all'uso di oli disarmanti per evitare che il getto si incolli alla casseforme. Utilizzando i prefabbricati, si scongiura l'uso degli oli disarmanti, in quanto il prefabbricato non ne ha bisogno.

Purtroppo, il prefabbricato prevede l'utilizzazione di macchine perforatrici, le cosiddette talpe, che sulla Bologna-Firenze sono state impiegate solamente nella galleria di servizio di Vaglia, lunga 9 chilometri e con un diametro di 6 metri e mezzo. Dovendosi affrontare misure maggiori, esistono macchine che fresano da 13 a 50 metri di diametro, ma non sono adattabili a tutti i terreni. Il loro costo unitario è di circa 80 miliardi e, purtroppo, è accaduto che siano state acquistate ma in certe gallerie, con terreni inadatti, non sia stato possibile impiegarle. I prefabbricati prevedono l'uso di questo tipo di macchine se esiste uniformità nella composizione del terreno e se le macchine sono ammortizzate sulla lunghezza, altrimenti è preferibile il sistema tradizionale, che prevede lo scavo con macchine di tipo non integrale. "

Ssembra di capire che in un primo tempo fosse previsto l'utilizzo di macchine fresatrici in grado di realizzare varchi da 13-50 metri di diametro, acquistate per un costo unitario di 80 miliardi, ma che poi non si siano presentate le condizioni idonee per la loro messa in funzione, questo a causa di terreni "inadatti". La conclusione, anche in questo caso, porta a sostenere l'ipotesi di una insufficienza nelle indagini preliminari dai cui esiti è emersa una realtà orografica diversa rispetto a quanto poi si è dovuto toccare con mano.

Ciò ha comportato una diversa metodologia di scavo con riflessi importanti sul sistema di impermeabilizzazione. In un primo tempo era cioè previsto l'utilizzo di prefabbricati, con impatto zero sotto il profilo ambientale. La variante in corso d'opera è stata quella di passare allo scavo con macchine di tipo non integrale le quali richiedono una impermeabilizzazione realizzata con getti di calcestruzzo all'interno di casseforme metalliche. Purtoppo, in questo modo, si è resa necessaria l'aggiunta del disarmante.

La domanda che ci si deve porre è la seguente. Questa variante è stata esaminata dalla Commissione VIA del Ministero, dall'Osservatorio Ambientale o da qualunque altro Ente chiamato ad esprimersi preventivamente sulle modifiche al progetto?

Riguardo alla contaminazione con disarmante del materiale di scavo Lunardi riferisce così:

"Il getto del calcestruzzo viene fatto all'interno di casseforme metalliche che vengono posizionate nella cavità: infatti, tra le casseforme metalliche e la roccia (nello spazio di 80 centimetri), con delle pompe speciali, viene gettato calcestruzzo. Dopo tale operazione il calcestruzzo deve maturare, a seconda dei casi, per 10-15 o 20 ore e, per rendere più agile il distacco della cassaforma metallica dal getto maturato, viene spalmato sulla cassaforma metallica quest'olio che si chiama disarmante.

Tale prodotto presenta caratteristiche sulle quali sorvolo per non entrare in particolari tecnici; dico tuttavia che si tratta di un materiale che, considerato il volume di disarmante impiegato per tutte le gallerie in queste operazioni, considerati i metri cubi di smarino previsti nell'ambito di tutte le gallerie e quant'altro, rappresenta non più di 4,5 parti per milione. Questo è un dato fornito dai cantieri, implicitamente avallato, quindi, anche da Italferr. L'eventuale inquinamento prodotto da questo disarmante nei riguardi del materiale che si mette a riposo rientra comunque, perciò, in questi limiti di dimensione. Ovviamente, può capitare che in certi momenti vi possa essere una concentrazione più o meno forte a seconda dei casi particolari ma, logicamente, sono problemi di statistica e di prelievo di campione visto che quest'ultimo, ovviamente, nell'ambito del cantiere, si può prelevare in varie maniere. Tuttavia, nell'insieme, il valore che vi ho appena comunicato risulta essere la media."

Le valutazioni del Ministro sono come minimo superficiali. Il problema dello smaltimento delle terre di scavo contaminate da un olio minerale in concentrazioni di molto superiori a quanto prevede la normativa applicabile non può essere risolto con la matematica: tonn. di disarmante usato nella tratta fratto i mc di materiale estratto uguale 4,5 ppm. Oppure giustificando gli alti valori riscontrati con errori statistici o nel corso dei prelievi effettuati da ARPAT.

C'è da tenere conto, prima di tutto, delle modalità attraverso le quali sono stati smaltite le migliaia di tonnellate di terre di scavo: all'interno di invasi artificiali, per lo più ex-cave, privi di qualsiasi protezione verso gli acquiferi, se non in diretto contatto con gli stessi. La preoccupazione circa gli effetti della contaminazione di una o più falde non può essere smontata calcolando la media delle concentrazioni sul campione totale e attribuendola poi a questo o a quel caso. Purtroppo i problemi sono concreti e a nulla valgono queste teorie se non ad aumentare la confusione.

La messa in discussione poi della validità dei prelievi è un altro punto dolens. La determinazione dei parametri di inquinamento si effettua su campioni di rifiuti raccolti tal quali, così come si formano. E' un principio introdotto fin dal 1982, con il primo decreto presidenziale riguardante la disciplina sui rifiuti. Se i fanghi di perforazione e gli altri materiali estratti nel corso dei lavori presentano questi livelli di concentrazione non possono in alcun modo essere considerati alla stregua di materiale di escavazione buono per recuperi ambientali e quant'altro. Sono a tutti gli effetti rifiuti e quindi, nell'interpretazione della normativa vigente, pericolosi.

Scardinare questo principio significa mettere non solo in grande difficoltà tutto il sistema dei controlli, ma, in qualche misura, fornire una giustificazione a coloro i quali violano la normativa con la pratica della "miscelazione" o della "diluizione", attraverso la quale si ottiene di rispettare i limiti di inquinamento semplicemente dissolvendo e occultando il materiale pericoloso in masse più grandi di materiale innocuo.

Purtroppo quanto detto dal Ministro non era altro che l'anticipazione di un intervento legislativo mirato a vanificare le prove raccolte perchè venisse avanzata una delle ipotesi di reato costruita dai magistrati, quella appunto di sito contaminato. A poche settimane dall'audizione il Governo ha infatti presentato e approvato con la fiducia al Senato un maxi-emendamento, l'emendamento 1-2500, che altro non è che la riproposizione del Disegno di Legge n.374 con nuovo titolo: " Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive".

Il punto che ci interessa è il comma 18 dell'art.3. L'elemento che più colpisce in quanto a improvvisazione, ma anche per i risvolti e le possibili conseguenze negative che potrebbe avere in altri tempi e in altri luoghi e per altre vicende, è appunto l'esclusione delle terre e le rocce da scavo dalla nozione di rifiuto, anche se contaminate, semprechè la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti. Affermazione estremamente discutibile che fa peraltro il paio con la successiva: "Il rispetto dei limiti di cui al precedente comma è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo." Come detto indicazioni del tutto stravolgenti un principio ventennale riguardante la metodica di campionamento del rifiuto. La speranza è che ci sia un ripensamento dei parlamentari della maggioranza, di coloro i quali hanno nel proprio bagaglio culturale un minimo di conoscenze tecniche e normative.

Art.3

18. Il comma 3, lettera b) dell'articolo 7 ed il comma 1, lettera f bis) dell'articolo 8 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, semprechè la composizione media dell'intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.

19. Il rispetto dei limiti di cui al precedente comma è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall'allegato 1, tabella, 1, colonna b) del decreto del Ministro dell'ambiente 25 ottobre 1999, n.471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.

20. Per i materiali di cui al comma 18 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall'autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al precedente comma 19 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato.

 

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