documenti
|
Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiutiAudizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Renato Nitti riguardante l'inquinamento derivante dall'illecita gestione dei fanghi di depurazione pericolosi e dei rifiuti speciali.
Seduta del 9/2/2005
...
Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Renato Nitti.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Renato Nitti.
La Commissione, nello svolgimento delle proprie attività istituzionali, intende acquisire dati ed elementi conoscitivi sullo stato di attuazione della vigente normativa in materia di gestione del ciclo dei rifiuti.
L'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di procedere all'odierna audizione per far acquisire alla Commissione un quadro informativo sui procedimenti in corso di svolgimento presso l'ufficio del dottor Nitti inerenti all'inquinamento derivante dall'illecita gestione dei fanghi di depurazione pericolosi e dei rifiuti speciali. Il suo
osservatorio privilegiato ci consentirà di avere un panorama dello stato dell'arte tecnico-normativo e delle necessità emendative, al fine di attivare l'azione della Commissione.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, do la parola al dottor Renato Nitti, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del suo intervento. Ricordo che, nel caso lo ritenga opportuno, il dottor Nitti può chiedere la segretazione di tutta o parte della sua relazione.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'attenzione che viene costantemente rivolta ai problemi ambientali della Puglia, che come è noto a tutti costituiscono uno dei fronti in cui la battaglia contro la criminalità ambientale si è fatta più aspra, sotto molteplici punti di vista.
Il tema su cui la Commissione intende soffermare la propria attenzione è diventato attualissimo; abbiamo già avuto modo di parlarne quando, all'indomani dei fenomeni di grave spandimento di fanghi nell'Alta Murgia, la Commissione ha ritenuto di disporre un'audizione del sottoscritto e del collega Rossi, che è contitolare del procedimento relativo a quei fatti. Comunque il fenomeno non è limitato a quell'episodio, ma è sicuramente più diffuso.
Sotto il profilo metodologico, presidente, posso ascoltare le vostre sollecitazioni oppure procedere nell'illustrazione dei problemi.
PRESIDENTE. Le saremmo grati se ci fornisse un quadro della situazione, senza sottostimare le importanti vicende della Puglia. È infatti nostro interesse partire da quelle vicende per tentare di capire come si articola e come funziona il meccanismo dell'utilizzo anomalo o illegale dei fanghi e del compost e come superare i punti di criticità.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Signor presidente, a questo fine potrei avvalermi di una documentazione, che lascerò agli atti della Commissione, che semplifica il problema ed individua gli aspetti più critici della situazione.
Il titolo che ho dato a questa relazione vuole sottolineare il punto dolente: Utilizzazione in agricoltura: per l'agricoltura o per lo smaltimento. In sostanza, l'utilizzazione in agricoltura di fanghi o di altre tipologie di rifiuti o reflui è finalizzata all'agricoltura o allo smaltimento dei fanghi e dei reflui? Questo è il vero problema. Il caso più emblematico è quello dell'Alta Murgia, scoppiato nel settembre 2001: l'immagine che vi sto mostrando rappresenta un suolo che peraltro la Commissione ha avuto modo di vedere quando ha effettuato il sopralluogo nel settembre 2003; questa è la situazione che è stata rinvenuta all'indomani dell'accertamento e del sequestro. Lo spandimento era appena avvenuto. Nella documentazione sono indicati i materiali rinvenuti decorso un certo tempo dallo spandimento. Vi è poi una fotografia effettuata all'interno dello stesso stabilimento dal quale provenivano i fanghi. Il fatto eccezionale è la presenza di materiale plastico e non compostabile e addirittura la presenza di fanghi mai trattati, che in alcuni casi erano semplicemente transitati per pochi attimi nello stabilimento.
PRESIDENTE. Ci siamo recati a fare un sopralluogo.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Il primo punto critico è il seguente: si è accertato che in quello stabilimento sono arrivati - si
tratta degli esiti delle indagini preliminari - addirittura RSU raccolti dall'impresa a ciò preposta dal comune di Andria e direttamente terminati in agricoltura. Quindi, già sotto il profilo qualitativo vi erano dei problemi. Il grafico che trovate nella documentazione indica con la colonna rossa tutti gli accertamenti di tipo analitico che hanno avuto un esito sfavorevole; in altri termini, in riferimento ai suoli di Altamura, su 124 campioni oggetto di carotaggio, 91 hanno dato esiti sfavorevoli in termini di illiceità del prodotto; su 35 nel territorio di Gravina, 32 hanno dato esiti sfavorevoli, addirittura per la presenza sia di metalli pesanti sia di salmonella. Si tratta di sostanze qualitativamente e quantitativamente incompatibili con l'utilizzo in agricoltura.
È allarmante inoltre il fatto che, come abbiamo accertato, su una superficie di 130 ettari sono state utilizzate 176 mila tonnellate di fanghi. Il dato può è significativo in sé, perché va rapportato alla quantità di fanghi che possono essere utilizzati in agricoltura. Nel triennio 1999-2001, su 130 ettari circa, sono state oggetto di spandimento 130 mila tonnellate di fango; il limite per triennio previsto dal decreto legislativo n. 99 del 1992, che disciplina l'utilizzo dei fanghi in agricoltura, è di 15 tonnellate, e ne discende che, per ettaro, a fronte di tale limite, ne sono state utilizzate circa 1.000. Credo sia un dato, dal punto di vista quantitativo, molto sconcertante.
Riassumendo, su quei suoli sono stati utilizzati fanghi che per qualità - per la presenza di corpi estranei, di metalli pesanti, di salmonella - e per quantità non potevano essere usati. Analogo accertamento abbiamo effettuato sui suoli in Gravina, con risultati assimilabili a quelli esposti. Alcuni dei suoli che sono stati oggetto di spandimento dei fanghi di
depurazione provenienti dalla Tersan Puglia sono stati utilizzati per l'agricoltura biologica, nonostante un regolamento comunitario lo vieti.
Se questo è il dato oggettivo che ho sintetizzato alla Commissione, che già lo conosce, dobbiamo porci un problema: trattandosi di un fenomeno che risale almeno al 1999 e, con riguardo all'area del circondario, ancora più indietro nel tempo, perché viene accertato oggi? Semplicemente perché la presenza di materiale plastico estraneo ai fanghi ha destato allarme, ma già prima, anche in assenza di quel materiale, le quantità di fanghi erano tali per cui non si poteva pensare che venissero utilizzate per l'agricoltura ma era chiaro che venivano usate per lo smaltimento dei fanghi.
L'esperienza maturata dalla Commissione è in netta sintonia con l'esito delle nostre indagini: il trattamento dei fanghi è un business che consente a chi li riceve di guadagnare dalla ricezione, e diventa estremamente relativo che poi i fanghi vengano ceduti sul mercato o addirittura piazzati a titolo oneroso; l'importante è riceverli, perché ricevendoli già si guadagna. Si accerta solo oggi il fenomeno in questi termini, ripeto, perché oggi ci sono anche le materie plastiche; occorre domandarsi perché non sia stato analizzato prima e quali siano stati i limiti procedurali o normativi che hanno consentito questa situazione.
Il caso Tersan Puglia e Alta Murgia non esaurisce però il problema dei fanghi di depurazione in Puglia, in quanto c'è un secondo caso, relativo alla gestione del sistema idrico integrato; le diverse fasi non ci interessano, se non quella della depurazione. La diffusione degli impianti di depurazione, nel nostro territorio come negli altri, pone ovviamente il problema della destinazione finale dei fanghi derivanti dalla depurazione. Secondo i dati forniti dall'Acquedotto pugliese, in un biennio dai depuratori della provincia ne vengono prodotti circa 126 mila metri cubi, di cui 72 mila, il 57 per cento, sono utilizzati direttamente in agricoltura; in sostanza, dagli impianti di depurazione finiscono in agricoltura. Anche una parte del restante 43 per cento finirà in agricoltura, sia pure passando da un impianto di compostaggio. Invece, secondo i dati riferiti dal Nucleo investigativo del Corpo forestale, i fanghi effettivamente prodotti sono almeno 428 mila metri cubi. Esiste un problema - domando - con riferimento a questi fanghi? Infatti ciascun impianto di depurazione segue il processo di trattamento che le apparecchiature di cui dispone gli consentono di seguire. Spesso le apparecchiature sono disponibili ma non vengono utilizzate, perché il trattamento dei fanghi da parte dell'impianto, nel nostro circondario, non è oggetto di un'autorizzazione.
Spesso il fango di depurazione viene gestito come se fosse un rifiuto: con il formulario di identificazione rifiuti previsto dal decreto Ronchi viene spesso portato direttamente in agricoltura e raramente è dotato di un documento di accompagnamento. È possibile che vi siano molteplici modalità di trattamento dei fanghi di depurazione e che nessuna autorità abbia indicato quale debba essere la modalità presso l'impianto che consente di trattarli direttamente in agricoltura? La Commissione conosce bene gli inconvenienti igienico-sanitari che possono derivare dall'utilizzo di fanghi anche semplicemente non adeguatamente stabilizzati; si tratta di un settore in cui si avverte l'impressione che esista una sorta di deregulation a volte comparabile a quella relativa agli impianti di compostaggio. Sugli impianti di compostaggio della Tersan Puglia ma anche su altri le indagini preliminari hanno consentito di accertare gravi anomalie; in relazione agli impianti di depurazione, come diremo, il fenomeno è vastissimo e di fatto non è per nulla sotto controllo.
DONATO PIGLIONICA. Quando lei dice "non è oggetto di un'autorizzazione" si riferisce agli impianti di depurazione?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. La depurazione è soggetta alla disciplina del testo unico sulle acque; la fase del trattamento dei fanghi di depurazione a quale disciplina è soggetta? Di fatto - questa è una circostanza che ho constatato anche parlando con altri colleghi, perché non ci sono indagini specifiche su questo fenomeno - nessuna autorizzazione viene rilasciata nel nostro circondario relativamente alla procedura di trattamento dei fanghi.
DONATO PIGLIONICA. Appena sono prodotti, i fanghi prendono un formulario di rifiuti ma vanno direttamente in agricoltura?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. No. I fanghi, appena prodotti sono trattati dall'impianto e successivamente trattati non per la depurazione, ma per la destinazione in agricoltura, a compostaggio o a smaltimento; abbiamo detto però che il 57 per cento va in agricoltura, e questo trattamento è seguito in maniera assolutamente discrezionale dai diversi impianti.
DONATO PIGLIONICA. È questo trattamento in sostanza che non è soggetto ad autorizzazione.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Non ci sono autorizzazioni rilasciate nel nostro territorio. Vorrei sottoporre alla Commissione una diversa valutazione su quali debbano essere le autorizzazioni necessarie per gli impianti di depurazione relativamente alla fase del trattamento dei fanghi, che, ribadisco, è una fase non strettamente connessa alla depurazione ma diretta alla successiva destinazione, è un rifiuto. Il testo unico sulle acque dice chiaramente, all'articolo 48, che "una volta che il fango viene fuori dal procedimento di depurazione è da considerarsi rifiuto e quindi assoggettato alla disciplina (... )". Questa secondo me è la conclusione cui si deve arrivare. Ci sono dei fanghi che possono andare in agricoltura, ma a seguito di un trattamento, come dice espressamente il decreto legislativo n. 99 del 2003. In via preliminare sto enunciando tre problemi distinti: il primo è quello dei fanghi che vengono trattati negli impianti di compostaggio e che da questi vengono successivamente destinati all'agricoltura; il secondo è quello dei fanghi di depurazione che derivano direttamente dagli impianti di depurazione e che vengono utilizzati in agricoltura; il terzo è quello degli effluenti di allevamento.
Parlavamo dei fanghi derivanti dagli impianti di depurazione: nessuno dei servizi di polizia giudiziaria - l'ho accertato nuovamente nei giorni scorsi - verifica che i processi di trattamento effettuati dagli impianti di depurazione sia impostato e condotto in modo da ridurre in maniera rilevante il potere fermentescibile dei fanghi di depurazione e gli inconvenienti sanitari. Interpellati, si è visto che ciascuno dei diversi organi di controllo segue degli aspetti particolari - qualcuno si occupa delle analisi, qualcuno del problema del refluo e della sua successiva destinazione -, ma la questione del trattamento dei fanghi da parte degli impianti di depurazione non è di fatto stata mai oggetto nel mio circondario, negli
ultimi tre o quattro anni, di un'indagine e di un accertamento in fase amministrativa. Anche su questo pongo un interrogativo: perché?
Alcune aree dell'Alta Murgia sono state oggetto di sistematici sversamenti di effluenti di allevamento; in un caso il Corpo forestale dello Stato ha accertato addirittura che un'autocisterna trasportava pollina derivante da uno stabilimento zootecnico e sversava l'intero quantitativo in un territorio che sicuramente non era destinato all'agricoltura. Si tratta a volte di zone neppure coltivabili. Il fenomeno non è così limitato, e aggiungo che è ancora in corso. Anche in questo caso perché soltanto oggi si è proceduto ad avviare l'accertamento di un fenomeno dall'estensione non stimata finora? E perché gli accertamenti non sono stati altrettanto efficaci? Noi abbiamo questi tre fenomeni che si aggiungono a quelli già conosciuti dalla Commissione. Questo è ciò che avviene tutti i giorni.
Nella prima ipotesi, l'agricoltore viene sorpreso dalla polizia giudiziaria mentre utilizza sui suoi suoli quantitativi di materiale in apparenza assimilabile a terriccio maleodorante, formandone dei cumuli che spande all'occorrenza. Alla polizia giudiziaria o comunque all'organo di controllo intervenuto l'agricoltore mostra documenti di trasporto della "X fertilizzanti" relativi a quelle sostanze come ammendante. Esibisce un contratto di fornitura di ammendante e un certificato di analisi da cui risulta che ciò che produce l'azienda è conforme alla legge n. 748 del 1984. La polizia giudiziaria, nella migliore delle ipotesi, verifica che la legge n. 748 non stabilisce sanzioni penali, consente il trasporto di fertilizzanti sfusi, prevede che in questi casi le indicazioni siano contenute nel documento di
accompagnamento, e in linea di massima accerta che il trasporto sia regolare sotto il profilo formale. L'accertamento finisce qui.
Questo è quanto è avvenuto per diversi anni anche sull'Alta Murgia; ci siamo interrogati per cercare di capire per quale motivo non fosse stato mai rilevato uno spandimento così massiccio, e la risposta che abbiamo trovato è esattamente contenuta in episodi plurimi come questi. Del resto anche gli stessi indagati a volte hanno detto "siamo stati controllati dal tale organo secondo il quale andava tutto bene; perché adesso ci rimproverate una condotta che altri hanno ritenuto assolutamente conforme alle regole?". Il vero problema è che in quei documenti si parlava soltanto di ammendante e non c'era scritto da nessuna parte che quell'ammendante derivava dal trattamento dei fanghi di depurazione, il che avrebbe cambiato completamente la situazione.
Passando al caso degli impianti di depurazione, la polizia giudiziaria controlla un vettore che trasporta fanghi di depurazione; il vettore esibisce il formulario di identificazione rifiuti emesso da una società che gestisce un impianto di depurazione, o a volte esibisce invece una scheda di accompagnamento, ai sensi del decreto legislativo n. 99 del 1992. Il formulario indica che il fango è destinato a recupero mediante spandimento su suolo. La polizia giudiziaria verifica che in effetti l'allegato C del decreto Ronchi indica, tra le operazioni di recupero, anche lo spandimento sul suolo a beneficio dell'agricoltura. Il fango appare omogeneo, non presenta materiale plastico. Il gestore dell'impianto risulta autorizzato ad utilizzare i fanghi su suoli di terzi che hanno prestato il consenso. L'impianto di depurazione è soggetto al testo unico sulle acque, che non disciplina le modalità di trattamento dei fanghi. Il contenuto del trattamento dei fanghi è indicato molto genericamente, così che anche in questo caso l'ulteriore accertamento finisce con un nulla di fatto; tutto questo fa sì che la polizia giudiziaria debba fermarsi. Anche in questo caso l'accertamento non darà luogo neppure ad una comunicazione di notizia di reato alla procura della Repubblica, che infatti non è stata quasi mai interessata da fenomeni di questo genere. Se l'ammendante deriva dal fango di depurazione, la disciplina da applicare cambia completamente, e questo è noto, perché il decreto Ronchi lo prevede espressamente ed attribuisce un codice specifico ai fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane.
Il vero "inghippo", quello che in taluni casi ha consentito di non applicare alcune discipline e che in altri è stato utilizzato come grimaldello per evitarne l'applicazione, deriva dal fatto che il fango, pur essendo un rifiuto, in realtà va soggetto nello stesso momento ad una molteplicità di normative: alla fine del trattamento di compostaggio è un compost, e quindi ad esso si applica il decreto Ronchi e la delibera interministeriale del 1984; è un fertilizzante, e quindi si applica la disciplina dei fertilizzanti; è un fango trattato, e quindi si applica la disciplina dell'utilizzo dei fanghi in agricoltura. Questo purtroppo è uno dei motivi che ha consentito ad alcune aziende di compostaggio di non essere controllate e che le ha indotte a replicare, nei vari procedimenti che si sono tenuti, nonostante l'orientamento della Cassazione, il loro non assoggettamento alla disciplina dei fanghi in agricoltura. Questo è stato un problema cruciale, che intendo sottoporre all'attenzione della Commissione.
La legge che espressamente dice come i fanghi devono essere utilizzati in agricoltura, con quali presupposti e con quali condizioni, di fatto spesso non viene applicata quando il fango non deriva direttamente dall'impianto di depurazione ma viene trattato da un impianto di compostaggio. Questo comporta una serie di conseguenze: se si applica la disciplina del decreto n. 99 del 1992 il compost non può più essere commercializzato tacendo la sua provenienza. Nel caso della Tersan Puglia come in quello di altri impianti (penso alla Saba, per il quale pure sono stati svolti ulteriori accertamenti da parte del mio ufficio), il compost è stato commercializzato addirittura in sacchetti, tacendo del tutto la provenienza da fango di depurazione, e questo ha consentito un fenomeno abbastanza allarmante, cioè che alcuni contadini, non sapendolo, lo hanno utilizzato per l'agricoltura biologica; è difficile poi rimproverarli per questo, pur in presenza di un espresso divieto della disciplina europea, perché non potevano conoscere - o potrebbero dire di non conoscere - la provenienza del compost. Se si applica la disciplina dell'utilizzo dei fanghi in agricoltura le analisi devono rispettare delle cadenze ben precise e, soprattutto, l'intera filiera deve essere consapevole della destinazione. Dal momento della produzione del fango al momento successivo del trattamento fino a quello dell'utilizzo in agricoltura tutti devono essere consapevoli che dovrà essere utilizzato in agricoltura e dovrà riportare il marchio relativo a questa utilizzazione.
MARIA GABRIELLA PINTO. Dottor Nitti, lei ha detto che tutti devono sapere. Le autorizzazioni regionali prevedono che sia indicato dove si spande, che siano effettuate delle analisi dei terreni, dei fanghi e quant'altro. Il fango non deve spanderlo il proprietario del terreno, lo spande il soggetto che lo conferisce, che può essere anche un soggetto che fa da cinghia di trasmissione tra l'impianto che lo produce e l'agricoltore che lo riceve. Questo è quanto succede in Alta Murgia, un mondo a sé.
DONATO PIGLIONICA. Il punto è quando lo si spaccia per compost, per cui non si segue più la procedura del decreto n. 99 (che prevede l'esame del terreno, autorizzazioni provinciali), essendo direttamente il contadino a prendere il materiale e a spanderlo. Se è definito ammendante, non è più sottoposto ad alcun controllo; esce da un'impresa, va dal contadino e poi direttamente sul terreno.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Quello di cui stiamo parlando è il caso dell'impianto di compostaggio. Gli impianti del nostro territorio hanno affermato che la disciplina del decreto n. 99 non si applica a loro, il che è un dato che, anche dal punto di vista giurisprudenziale, è acclarato in senso contrario.
Quanto al problema dell'impianto di depurazione, normalmente nel nostro territorio il gestore dell'impianto si procura direttamente l'autorizzazione allo spandimento in agricoltura, ottenendo il consenso dei proprietari dei suoli. La legge non lo vieta; anche se sembra più lineare che sia lo stesso proprietario del suolo che riceve il fango ad utilizzarlo, di fatto si ha un maggiore e prevalente interesse da parte del gestore dell'impianto ad utilizzarlo, e quindi si organizza in questa maniera. Sono due concetti diversi e non antitetici. Il suo ragionamento è quello che sta avvenendo in relazione agli impianti di depurazione, per i quali il problema sta non nella destinazione finale - perché nella destinazione finale si sa che è un fango di depurazione - ma nel trattamento del fango. Viceversa negli impianti di compostaggio, a seguito della procedura seguita, anche se è un compost ed anche tecnicamente un ammendante, resta ancora un fango di depurazione, sia pure trattato come prescrive la legge sull'utilizzazione in agricoltura.
DONATO PIGLIONICA. Lei ha parlato di fanghi sparsi sulla Murgia che avevano al proprio interno RSU proveniente da Andria: l'impianto di compostaggio era autorizzato a ricevere RSU?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. L'impianto di compostaggio può essere autorizzato a ricevere la frazione organica degli RSU o i mercatali.
DONATO PIGLIONICA. La domanda non era ingenua: l'impianto di Bari era autorizzato a ricevere RSU?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. C'è stata una fase nella quale l'impianto della Tersan Puglia è stato autorizzato a ricevere una serie di rifiuti, per i quali successivamente è intervenuta una revoca da parte della provincia. La Manutencoop, che si occupava della raccolta dei rifiuti ad Andria, raccoglieva rifiuti di mercatali e non provenienti da raccolta differenziata e li destinava alla Tersan Puglia. Secondo quanto ci ha riferito il titolare della Manutencoop, gli sarebbe pervenuta richiesta, da parte del titolare della Tersan Puglia, di indicare sui FIR tutti quei rifiuti come mercatali, e come tali sono pervenuti alla Tersan Puglia.
Aggiungo, per doverosa completezza, che questa dichiarazione non è stata ritenuta del tutto attendibile dal giudice per le indagini preliminari, ma non è questo il problema. Nei confronti del titolare della Tersan Puglia, dell'impresa di trasporti e del proprietario dei suoli, la procura ha chiesto l'applicazione di misure cautelari; tali misure sono state applicate e il quadro indiziario è stato confermato dal tribunale del riesame per due dei tre imputati. In relazione alla posizione del signor Delle Foglie, titolare della Tersan Puglia, il GIP, dopo aver adottato la misura cautelare, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ex articolo 53-bis, e ciò ha congelato completamente il procedimento per via della sospensione; pertanto noi siamo fermi in attesa della pronuncia della Corte costituzionale, anche se devo dire che proprio in quei giorni la Cassazione aveva già ritenuto manifestamente infondata la questione di indeterminatezza ex articolo 53-bis. In ogni caso, ci sono le fotografie che ritraggono i mezzi di raccolta dei rifiuti pieni di sacchetti che vengono scaricati intorno alla Tersan.
DONATO PIGLIONICA. Nell'impianto di compostaggio è autorizzato l'arrivo di RSU. Risulta che, durante l'emergenza rifiuti di Milano, 400 tonnellate al giorno di rifiuti solidi urbani raggiungevano la Tersan Puglia. In un impianto di compostaggio arrivavano RSU: chi autorizzava, chi controllava? È qui l'altro "inghippo" di tutte le vicende di questo tipo; si tratta di un caso emblematico per identificare le carenze procedurali.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Quanto ai problemi per gli impianti di depurazione, il testo unico sulle acque non disciplina espressamente i metodi di trattamento dei fanghi di depurazione; il trattamento non rientra nel processo di depurazione in senso stretto. Si dice che "i fanghi sono soggetti alla disciplina dei rifiuti". La legge che disciplina l'utilizzo dei fanghi in agricoltura effettivamente detta una definizione di trattamento o di condizionamento dei fanghi, ma non la specifica; si tratta di una definizione estremamente generica, limitandosi a dire che "il condizionamento è soggetto alla disciplina dei rifiuti". Da queste premesse dovrebbe discendere in maniera automatica che il trattamento dei fanghi è soggetto alla disciplina del decreto Ronchi, anche se effettuato presso l'impianto di depurazione; la prassi è tutta in senso contrario, e cioè il trattamento dei fanghi presso gli impianti di depurazione, pur essendo finalizzato ad altro rispetto alla depurazione, non è mai autorizzato ai sensi del decreto Ronchi. Questa è l'esperienza del mio territorio e quella che ho potuto verificare anche parlandone con dei colleghi.
Se si applicasse il decreto Ronchi avremmo due benefici: laddove l'impianto di depurazione ritenesse di seguire il regime ordinario, ovviamente avremmo un'autorizzazione che può specificare quale contenuto debba avere il trattamento, e quindi alcuni di questi problemi sarebbero superati; laddove invece ritenesse di seguire la procedura semplificata lo potrebbe fare, in quanto si tratta di materie soggette al decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, che detta una disciplina un po' più rigorosa e specifica rispetto al decreto legislativo n. 99 del 1992. Invece, non applicandosi il decreto Ronchi nella pratica, abbiamo una totale elusione.
Nella mia documentazione ho ipotizzato i tre casi che si possono verificare: in primo luogo, il materiale va direttamente in agricoltura, ma il suolo non è un impianto di smaltimento; come fa il fango di depurazione a viaggiare con un formulario di identificazione rifiuti, che indica che è un rifiuto, per poi andare in agricoltura, dove non c'è un impianto di smaltimento e neppure di recupero in senso stretto? L'unica possibilità tecnicamente è che quel rifiuto diventi prodotto all'interno dell'impianto di depurazione in quanto viene trattato da tale impianto, dunque recuperando un'identità diversa, l'identità di fango da utilizzare in agricoltura. Questo consentirebbe di viaggiare con scheda di accompagnamento e non con formulario di identificazione, di arrivare direttamente in agricoltura e di essere così utilizzato. L'ipotesi alternativa è che il fango venga trattato solo parzialmente all'interno dell'impianto di depurazione - e questo è possibile, perché la legge consente operazioni preliminari al recupero finale - per poi andare in un impianto di compostaggio che effettua il recupero finale; ma anche in questo caso l'impianto dovrebbe essere autorizzato ad una forma di recupero. La terza ipotesi è che vada direttamente a smaltimento, e in questo caso ancora viaggerà con formulario di identificazione rifiuti. Purtroppo però attualmente il trattamento dei fanghi - lo ribadisco - non è considerato assoggettato a nessuna delle discipline che ho richiamato.
DONATO PIGLIONICA. Si tratta di un fenomeno pugliese o è stato verificato in altri territori italiani?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Io sono in possesso del dato relativo al mio circondario, dove il fenomeno si verifica in questi termini. Quando ne ho parlato con dei colleghi ho saputo che il decreto Ronchi non viene applicato.
DONATO PIGLIONICA. In Puglia?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Nel circondario di Bari.
DONATO PIGLIONICA. La particolarità di cui ci stiamo occupando - è utile esporla ai colleghi della Commissione - è che questo problema è legato al fatto che in Puglia esiste un gestore unico del ciclo delle acque; non abbiamo gli ATO, non abbiamo molteplici soggetti come nelle altre regioni. Pertanto, essendoci un unico ATO ed un unico gestore è chiaro che il comportamento è uguale in tutta la regione, mentre in altre probabilmente si può avere una situazione a macchia di leopardo, perché gli ATO si possono comportare in maniera diversa. In Puglia c'è un unico gestore, l'Acquedotto pugliese, che ha tutto il ciclo delle acque in esclusiva; pertanto la regione da questo punto di vista è omogenea. Mi interessa sapere cosa avvenga in altre regioni.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Da quanto mi hanno riferito colleghi che si occupano di diritto ambientale, l'applicabilità del decreto Ronchi al trattamento dei fanghi non è una prassi seguita altrove.
DONATO PIGLIONICA. Trattano il fango senza alcuna autorizzazione specifica.
GIUSEPPE ONORATO BENITO NOCCO. I comportamenti sono uguali in Puglia e nelle altre regioni, o solo la Puglia ha questa prerogativa?
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. In Puglia è un dato oggettivo, ma mi è stato riferito che altrove esiste un'analoga prassi. Il punto finale però è che comunque il trattamento dei fanghi, essendovi una disciplina molto generica nel decreto n. 99 del 1992, viene poi lasciato alla disciplina specifica. Mi risulta per esempio che l'Emilia-Romagna abbia dettato una legge regionale molto puntuale, il che ovviamente ha consentito di individuare fasi molto più specifiche che consentono effettivamente di arrivare al recupero del prodotto. Ma se non è la legge regionale a stabilirlo e in assenza di un'autorità che lo sancisca in un'autorizzazione è evidente che, attenendosi semplicemente a quanto stabilito dal decreto n. 99 del 1992, è impossibile, da parte di chi effettua i controlli, evidenziare delle irregolarità.
DONATO PIGLIONICA. Si tratta di un problema temporale, in quanto il decreto n. 99 precede il decreto Ronchi e quindi le discipline previste nel secondo non potevano essere presenti nel primo. La questione è che nessuno capisce a che tipo di trattamento i vari impianti sottopongano questi fanghi; pertanto, possono definirli come trattati senza che abbiano subito alcuna modifica sostanziale.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Lei ha richiamato la situazione monopolistica dell'Acquedotto pugliese: i contratti con cui l'Acquedotto pugliese dà in gestione i singoli impianti di depurazione fanno poi carico al singolo gestore, alle singole società di gestione di smaltire o trattare i fanghi di depurazione. Quindi, sotto questo punto di vista sembrerebbe quasi che l'Acquedotto si tiri fuori dalla questione.
Un ulteriore dato: chiedendo di accertare le destinazioni dei fanghi di depurazione derivanti dagli impianti di depurazione di tutta la provincia che comprende il circondario di Trani e di Bari, ho notato una singolarità, vale a dire che quasi tutti gli impianti di depurazione del circondario di Trani destinano il fango al compostaggio.
DONATO PIGLIONICA. Esiste un conflitto tra Acquedotto e impianto di compostaggio, per cui l'Acquedotto rifiuta di portare i fanghi agli impianti di compostaggio. Pertanto nella realtà tutta la parte di fanghi di Bari che non va a Trani va direttamente in agricoltura.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. In una percentuale elevatissima.
Di fronte a questo quadro, quali sono i problemi normativi? La Commissione ne conosce già moltissimi e sicuramente è inutile parlare dei termini prescrizionali, con i quali ovviamente si vanifica tutto il lavoro effettuato, o del problema dell'eventuale configurazione in termini di delitti. Si tratta di dati assolutamente noti alla Commissione. Parimenti, sull'estensione della responsabilità giuridica, come peraltro era già astrattamente previsto, ai reati ambientali si potrebbe ovviamente fare un ulteriore passo in avanti determinante per noi. Inoltre si comincia a parlare dell'utilità dell'applicazione di criteri analoghi a quelli della disciplina lavoristica: facciamo in modo che gli organi di controllo prescrivano ai contravventori di adeguarsi entro determinati termini, con il beneficio successivo dell'estinzione del reato. Questo eviterebbe processi inutili e ci consentirebbe di raggiungere il risultato migliore, quello della tutela dell'ambiente.
Segnalo soltanto un problema che ha riguardato l'Alta Murgia: il decreto ministeriale in materia di bonifica dei siti inquinati non si occupa - e non poteva farlo, perché l'articolo 17 del decreto Ronchi richiedeva anche l'intervento del Ministero delle politiche agricole - delle zone cosiddette agricole, e quindi si pone concretamente il problema dell'applicabilità del decreto ministeriale n. 471 del 1999 alle zone agricole. A quanto mi consta c'è poca giurisprudenza del Consiglio di Stato, che per estensione ritiene che si debba applicare la disciplina delle zone verdi. Ovviamente basterebbe attuare la delega prevista dall'articolo 17 per risolvere anche questo problema.
Noi stiamo incontrando grossi ostacoli con la gestione dei sequestri finalizzati alla confisca delle discariche, per due ordini di ragioni; in primo luogo perché le amministrazioni comunali, visto che l'imputato non ottempera quasi mai, non hanno i fondi per poter agire e quindi la situazione resta immutata; in secondo luogo perché poi probabilmente è lo stesso imputato o sono i soggetti che ne hanno interesse specifico a risolvere la presenza di materiale plastico nella zona oggetto di discarica con un incendio. Questo si è verificato sistematicamente anni fa, nel primo procedimento a norma dell'articolo 53-bis; si trattava di un'operazione del NOE, denominata "Murgia violata": un'intera zona era destinata a discarica e gli incendi si sono susseguiti per anni e anni, creando ulteriori problemi all'ambiente.
So che la Commissione ha formulato specifiche richieste anche ai colleghi, in sede di audizioni nel mio territorio, sul problema degli organi di controllo: mancano protocolli di intervento, esiste un problema di selezione e di potenziamento dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, mancano strumenti di controllo informatico. Sarebbe sufficiente un'informatizzazione, una comunicazione telematica dei formulari di identificazione dei rifiuti prima dell'inizio del trasporto per consentire, in caso di controllo tardivo, di riscontrare che il trasporto è avvenuto.
Quanto all'ARPA, si è verificata tutta una serie di problemi, e se la Commissione lo riterrà affronterò anche questa questione.
PRESIDENTE. Le vorrei porre qualche domanda: i fanghi sono assoggettati al decreto Ronchi e, se capisco bene, vengono trattati negli impianti di depurazione, senza autorizzazione.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Sì.
PRESIDENTE. Comunque, i fanghi escono come ammendante. Ma questo è illecito.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Non viene quasi mai data la qualifica di ammendante da parte degli impianti di depurazione; escono come fanghi destinati all'agricoltura, ai sensi del decreto n. 99 del 1992.
DONATO PIGLIONICA. Teoricamente possono diventare fanghi destinati all'agricoltura se sono stati sottoposti ad un trattamento. Il problema è che loro non consentono il trattamento al quale non sono autorizzati e quindi teoricamente da un impianto di depurazione non autorizzato al trattamento non dovrebbero uscire fanghi destinati all'agricoltura.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Io ho cercato di raccogliere del materiale su cinque diversi impianti di depurazione del mio territorio, peraltro diversi tra loro, alcuni con trattamento solo primario dei reflui ed altri anche con trattamento secondario, ed ho notato notevoli discrepanze: in alcuni casi il fango viaggia con formulario di identificazione rifiuti e poi finisce in agricoltura; ovviamente questo, già dal punto di vista formale, denuncia un contrasto stridente, di cui parlavo prima (se è rifiuto non può essere utilizzato in quella maniera per l'agricoltura); in altri casi viaggia con scheda di accompagnamento.
In alcuni di questi casi è stato accertato che il destinatario finale nulla sapeva del decreto n. 99 del 1992. In tutti questi casi il denominatore comune è la differenza di trattamento dei fanghi: è possibile che tutti finiscano in agricoltura, pur essendo diversi i trattamenti cui sono sottoposti? Ci aspetteremmo di vedere una corrispondenza tra diversità di trattamento e diversità di destinazione: un impianto effettua soltanto una prima fase di trattamento, lo manda successivamente al compostaggio, quindi fa solo un recupero parziale, mentre il recupero definitivo lo farà l'impianto di compostaggio.
A quel punto sarà prodotto. In altri casi un impianto effettua un recupero completo, e teoricamente potrebbe anche avvenire, e a quel punto utilizza direttamente la disciplina dell'utilizzazione in agricoltura. Invece questa linearità non esiste in agricoltura; in presenza di descrizioni di trattamento dei fanghi diverse tra loro noi abbiamo una comune destinazione, l'utilizzo in agricoltura.
GIUSEPPE ONORATO BENITO NOCCO. Presidente, chiedo che la Commissione si rechi a verificare la situazione della Tersan Puglia, che ha ripreso la sua attività, ai fini di un ulteriore riscontro e controllo da parte nostra, anche per capire se i fenomeni di cui abbiamo parlato, che a mio giudizio sono gravi, si ripetano e, nel caso, per quale motivo.
DONATO PIGLIONICA. Su questa vicenda esiste una storia giudiziario-amministrativa: la provincia ha revocato l'autorizzazione, per cui l'impianto che noi abbiamo visitato è stato chiuso sette mesi, ma il TAR, alcune settimane fa, ha annullato il provvedimento amministrativo del dirigente della provincia, e l'impianto è stato riaperto.
PRESIDENTE. Nei giorni scorsi ho ricevuto qualche nota da parte del titolare dell'impianto.
DONATO PIGLIONICA. La questione ora è sottoposta al vaglio del Consiglio di Stato, che dovrà decidere sulla richiesta da parte della provincia di sospensione della decisione del TAR. Quindi l'attività è ripresa.
PRESIDENTE. Come è ripresa?
DONATO PIGLIONICA. Non può essere cambiato nulla, perché nel frattempo era in atto la costruzione di un grande impianto, che è stato sequestrato dal magistrato per motivi che può dirci egli stesso (credo per irregolarità edilizie, in quanto si stava costruendo in zona di protezione speciale, a ridosso di un bosco). Quell'investimento dunque è fermo.
GIUSEPPE ONORATO BENITO NOCCO. Noi non siamo un tribunale, abbiamo un compito diverso da quello dei magistrati: dobbiamo verificare quale sia lo stato di questa azienda, che ha diritto ad una visita a seguito della quale avremo una visione completa della situazione, a prescindere dal TAR e dal resto.
PRESIDENTE. La Puglia, attraverso il gestore unico dei fanghi, consente una rappresentazione più ampia e diretta del fenomeno, ma probabilmente si tratta di una vicenda di carattere nazionale; tra l'altro un po' di questi fanghi viaggiano per l'Italia (sappiamo che hanno viaggiato su gomma per il nostro paese partendo dal nord per arrivare al sud, tra l'altro proprio in Puglia). Cogliamo l'occasione dell'audizione del dottor Nitti e della sua esauriente relazione per fare luce su questo fenomeno.
C'è poi una questione più specificamente pugliese, che noi abbiamo lasciato in sospeso affinché il nostro lavoro non intralci quello delle procure, e nulla vieta che, evitando di far diventare la Puglia l'unico oggetto del nostro interesse (ci siamo recati in quella regione ben cinque volte), possiamo recarci nella regione a breve per verificare lo stato della vicenda Tersan e le altre, anche alla luce del percorso amministrativo che è in itinere.
RENATO NITTI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Io ho seguito questa impostazione proprio per cercare di allontanarmi dal problema delle
specifiche responsabilità di singoli soggetti, anche perché obiettivamente i procedimenti penali a carico di alcune di queste persone sono particolarmente travagliati; la sentenza di primo grado con cui era stato condannato il titolare della Tersan Puglia è stata annullata di recente dalla Corte d'appello per ragioni formali, e quindi il processo dovrà riprendere. Il procedimento penale che ha dato luogo all'ordinanza ex articolo 53-bis del decreto Ronchi è sospeso per le ragioni che ho detto prima; quindi, è bene fornire un quadro in questi termini.
PRESIDENTE. È proprio questo il nostro profilo di interesse, in quanto abbiamo sempre detto che tocca a voi lavorare per giungere all'individuazione delle responsabilità ed eventualmente delle pene, mentre a noi spetta capire insieme a voi quali siano le carenze e trovare il modo di colmarle. In questo senso la sua relazione è stata assolutamente stringente.
Propongo di procedere in seduta segreta.
(Così rimane stabilito).
Dispongo la disattivazione del circuito audiovisivo interno.
(La Commissione procede in seduta segreta).
PRESIDENTE. Riprendiamo i nostri lavori in seduta pubblica. Dispongo la riattivazione del circuito audiovisivo interno.
Ringrazio il dottor Renato Nitti, che sarà nuovamente consultato, se ce lo consentirà, per le sue competenze e per la sua straordinaria esperienza, per portare a termine il nostro percorso di approfondimento sulle questioni concernenti fanghi, compost e ammendanti.
Ringrazio altresì i colleghi intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.