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Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore energetico

X COMMISSIONE
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO
INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di giovedì 22 novembre 2001

Audizione dei rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore dell'energia, l'audizione dei rappresentanti di CGIL, CISL e UIL. Sono presenti Renato Matteucci e Giacomo Berni della CGIL, Giovanni Guerisoli, Arsenio Carosi ed Ulderico Marzioni per la CISL, Alfredo Belli e Giuseppe Briano per la UIL.
Avverto che l'UGL ha comunicato la propria indisponibilità a partecipare all'audizione di oggi, riservandosi di far pervenire alla Commissione, nella giornata del 26 novembre, una memoria scritta sui temi oggetto dell'indagine. Propongo di dare la parola ad ognuna delle organizzazioni intervenute per dieci minuti, secondo l'ordine che riterrete opportuno, per poi aprire la discussione.


GIOVANNI GUERISOLI, Segretario confederale della CISL. In rappresentanza della CISL sono oggi presenti il dottor Arsenio Carosi, segretario generale della FLAEI, ed il dottor Ulderico Marzioni, che rappresenta il settore del gas; se vorranno, signor presidente, potranno integrare la mia esposizione. Accogliamo con interesse ed attenzione l'iniziativa della X Commissione. La problematica in oggetto riguarda un settore vitale per il paese, rispetto al quale la politica deve recuperare un ruolo fondamentale. La documentazione che abbiamo ricevuto mette in evidenza le specificità e la delicatezza del comparto; a nostro parere, il problema di fondo mai risolto (che ha un'influenza di gran lunga superiore agli altri) è quello della dipendenza energetica che, in quest'ultimo periodo, si è ulteriormente acuito con particolare riferimento all'elettricità ed al gas, che costituiscono un vincolo speciale.
Ci rendiamo conto della complessità di questioni come la dipendenza energetica e la differenziazione delle fonti, in particolare per quanto riguarda il carbone, che costituirebbe l'unica fonte in grado di articolare la dipendenza e ridurre il costo della tariffa. Ci sono sicuramente implicazioni di natura ambientale che, peraltro, la tecnologia ha largamente affrontato; crediamo che sia la scelta del carbone, sia quella delle fonti di energia pulita debbano essere accompagnate da una azione di sostegno, anche fiscale, da parte del Governo e del Parlamento; in caso contrario, difficilmente andrebbero incontro ad un esito positivo. In questo senso, non ci pare che la scelta della carbon tax sostenga la diversificazione delle fonti ma, anzi, la penalizzi. Si tratta di un tema che la politica deve affrontare sapendo che le conseguenze di una decisione possono influire in diverse direzioni.
Per quanto riguarda i temi di carattere generale, vorrei dire che i processi di liberalizzazione, in conseguenza anche del cosiddetto decreto Bersani, non hanno completato il loro iter legislativo. Una serie di normative, che dovevano essere varate, non sono state introdotte: ciò ha determinato un vuoto, occupato, in qualche modo, da soggetti diversi da quelli competenti. In particolare, delicato è il ruolo dell'Authority, che sta assumendo decisioni di competenza di altri: mi riferisco alla tariffa unica, all'interessamento alla fascia sociale o alla decisione, in una certa fase del processo che riguarda l'ENEL, sulla GENCO. Si tratta di sintomi che rivelano i vuoti prodotti dalla mancata attuazione di una serie di provvedimenti di natura legislativa implicati dal processo di liberalizzazione: in questo modo - ripeto - si è lasciato spazio ad iniziative di soggetti non competenti.
Un altro problema mai risolto riguarda la strategia industriale e la dimensione delle aziende (segnalato anche nel documento inviatoci) che, però, ritengo abbia rilievo diverso: se non si affronta il nodo della diversificazione delle fonti, si rischia di discutere (in particolare riguardo le tariffe) unicamente sulla riduzione del ruolo dei grandi soggetti energetici, senza considerare un fatto fondamentale: l'incidenza del personale sul costo dell'energia elettrica non supera l'8 per cento. Immaginare di affrontare il tema della politica energetica e della sua influenza sui consumatori e sugli utenti unicamente intervenendo sulla dimensione delle aziende e sulla concorrenza (vera o presunta) che dovrà essere realizzata, non solo non risolve il problema di fondo, ma anzi rischia, in un mercato che ha una prospettiva europea e sovranazionale, di ridurre la capacità di azione dei soggetti nazionali che spesso, a confronto con altri, hanno una dimensione che condiziona il loro operato.
Il tema della liberalizzazione dovrebbe avere innanzitutto una prospettiva sovranazionale per poter effettuare un confronto con quanto accade nel resto dell'Europa e verificare in che modo gli altri paesi si stanno organizzando su questo argomento.
Quando abbiamo affrontato il nodo della politica energetica la tesi, sostenuta dal precedente Governo e da noi condivisa, prevedeva che l'ENEL dovesse mantenere il suo ruolo di soggetto industriale; tuttavia, i comportamenti tenuti da tale ente fino ad oggi sono stati simili a quelli di una conglomerata e meno improntati allo sviluppo di una politica industriale; inoltre, l'attenzione prestata quasi esclusivamente ai risultati di bilancio, sia pure importanti, ha prodotto delle conseguenze nefaste sul servizio offerto; si è pensato infatti di realizzare alcuni obiettivi agendo unicamente sul personale - dimezzandolo - ottenendo però il risultato di ridurre i presìdi dell'ente sul territorio e di peggiorare complessivamente il servizio, senza che i consumatori abbiano tratto alcun beneficio in termini di costo delle tariffe; stesso discorso vale, per alcuni versi, anche nei confronti del comparto del gas.
Ritengo, pertanto, che l'aspetto saliente che debba essere posto all'attenzione di questa Commissione è che il Governo - la politica in genere - deve recuperare un ruolo in merito al tema della politica energetica, lasciato attualmente, alla competenza delle singole aziende e, come tale, retto da un disegno di carattere non generale.

RENATO MATTEUCCI, Componente del dipartimento dei settori produttivi e delle reti. Ringrazio la Commissione per l'invito ed anche per l'iniziativa intrapresa, in avvio di legislatura, di svolgere un'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore dell'energia, in modo che sull'argomento si possa generare una necessaria opinione politica.
I processi di liberalizzazione nel settore energia li riteniamo irreversibili; ci sembra necessario effettuare una valutazione, anche a seguito delle riflessioni in corso a livello europeo, su quali siano i percorsi da intraprendere per accelerare tali processi in modo da ottenere quei risultati che in essi sono insiti. In questo senso, il dibattito dovrebbe aiutare anche a costruire un'opinione parlamentare e governativa sulla proposte formulate dalla Commissione europea di revisione delle direttive (96/92/CE e 98/30/CE), di cui condividiamo l'idea di anticipare la liberalizzazione della domanda al 2005.
Per il settore elettrico si è posto il problema, derivante dall'applicazione diversificata nei vari paesi membri della direttiva, della mancanza di precise regole che definiscano le condizioni di accesso alla rete per scambi transfrontalieri di energia, i relativi sistemi tariffari e gli investimenti di potenziamento. Si tratta di un aspetto delicato perché risulta evidente che non può essere attribuita soltanto ai due paesi aventi una frontiera in comune la decisione anche sulle questioni di impatto ambientale in merito, in particolare, agli investimenti, che costituiscono una delle condizioni necessarie affinché si possa acquisire una quota, seppur non rilevantissima (a causa di una limitata capacità sulle reti transfrontaliere) di mercato europeo dell'energia.
Un'altra questione concerne le regole che, in materia di concorrenza, i paesi membri devono stabilire per i propri mercati nazionali in ordine alla produzione di energia; in questo caso il problema da risolvere è quello di far sì che tali regole siano, per tutti i paesi membri, comuni: uniformità che, come ben sappiamo a partire dalla vicenda di Electricité de France, non esiste.
Per quanto concerne l'Italia, a nostro parere vanno attuate alcune delle normative previste dal decreto Bersani; in particolare, quelle in materia di concorrenza e, quindi, tutto ciò che aiuta gli investimenti in nuove centrali (il decreto sblocca centrali), l'accelerazione della vendita delle due GENCO e l'attivazione del mercato elettrico. In merito a quest'ultimo aspetto crediamo che si possa costruire un mercato che consenta la permanenza di una quota significativa di contratti bilaterali, perché li riteniamo capaci di fornire segnali al mercato stesso. Tali contratti possono infatti divenire uno strumento che permette agli utenti e ai produttori, anche in relazione alle loro differenti esigenze, di incontrarsi.
In tema di acquirente unico abbiamo sempre sostenuto la necessità di una sua attivazione in modo che vi sia una persona giuridica in rappresentanza del cosiddetto mercato vincolato; riteniamo che tale strumento vada attivato subito, perché anche nel momento in cui si liberalizzerà l'utenza finale sarà necessario avere, nella fase di transizione e con forme probabilmente diverse, uno strumento che tuteli l'accesso al mercato delle utenze domestiche.
Per quanto concerne le politiche europee e nazionali in tema di sicurezza dell'approvvigionamento energetico - tema che la Commissione europea ha posto all'ordine del giorno con un Libro verde, e su cui si è svolto un lungo ma positivo processo di consultazione da parte del Ministero dell'industria - si tratta di comprendere quali siano gli impatti fra politiche di indirizzo ed anche di vincolo per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico e la libera espressione delle aziende sul mercato. In particolare, sulle tariffe alla produzione l'Italia ha effettuato delle scelte, e se adesso le si vuole rimettere in discussione si deve essere consapevoli di quello che si fa; l'import non determina un abbassamento delle tariffe, perché qualsiasi esportatore esterno vende al prezzo medio del mercato italiano, e anche perché esiste un limite nell'accesso alla rete per scambi transfrontalieri. L'Italia ha scelto di effettuare una politica energetica ambientale che comporta un differenziale strutturale del nostro paese rispetto all'Europa; pertanto, non ci si può lamentare che non calino le tariffe; anche con lo sviluppo di nuove tecnologie e con maggiori rendimenti, non si arriverà mai alla media europea. Ciò significa che le industrie, i produttori e i consumatori, devono rivolgersi a politiche energetiche di maggiore risparmio rispetto ad altri paesi.
Infine, bisogna consapevolmente decidere, a livello nazionale e periferico, se effettuare delle operazioni sui combustibili poveri: carbone e orimulsion; e tale decisione deve essere presa tenendo conto del luogo, e con il consenso delle autorità competenti dei territori in cui si decide di realizzarle.
Il problema va affrontato con tale livello di consapevolezza: politica energetica, politica ambientale e consenso territoriale. Volevo segnalare ciò in quanto la fine del 2001 e l'inizio del 2002 rappresentano una fase delicata ed è opportuno che, nella condizione di mercato inadeguato del nostro paese, si mantengano grandi segnali di mercato nell'assegnazione delle CIP 6 e dell'import ai settori energivori: ipotesi di riserve e similia ci sembrano in controtendenza rispetto ai problemi che abbiamo di fronte.
Per quanto riguarda la rete di trasmissione e il suo sviluppo, vi è un problema parlamentare e governativo: bisogna stabilire i limiti per l'elettromagnetismo, altrimenti non si realizza neanche un chilometro di rete di trasmissione. Riteniamo eccessivi i limiti che erano stati proposti: pensiamo che, nel rispetto della salute dei cittadini, essi possano essere tranquillamente più alti. Comunque bisogna stabilire subito tali limiti altrimenti non si risolvono i problemi della rete di trasmissione.
Un tema, implicito nel titolo dell'audizione, merita una riflessione: come ragionare di fronte al nuovo articolo 117 della Costituzione e ai poteri regionali. Riteniamo che il settore energetico, pur essendo menzionato esplicitamente (produzione, distribuzione e trasporto dell'energia, anche se non c'è scritto elettrica) come appartenente alla potestà legislativa concorrente, necessiti di alcune condizioni sicuramente nazionali, nel senso che non possono esservi situazioni regionali che alterano i livelli di concorrenza. I poteri per la localizzazione delle centrali, ed i limiti dell'elettromagnetismo devono essere uguali dappertutto, altrimenti si alterano le condizioni della concorrenza, che spetta al potere esclusivo dello Stato fissare. Con riferimento a ciò, credo che la cosa migliore sarebbe stilare un patto esplicito con le regioni: non si tratta di espropriare un loro potere, bensì di muoversi all'interno di un complicato processo nazionale che abbia tali caratteristiche. In questo processo di revisione vanno equilibrati, secondo la nostra esperienza, i poteri in campo. Occorre aumentare, precisare ed esercitare il potere di definizione delle politiche del Governo, e in particolare del Ministero delle attività produttive, in rapporto con il Parlamento ove necessario e con il coordinamento delle regioni per le questioni che ho segnalato. In riferimento a ciò, Governo e Parlamento dovrebbero porre maggiore chiarezza di indirizzi nel documento di programmazione economico-finanziaria: se qualche volta si è andato oltre ciò è stato causato dalla mancanza di indicazioni in tale documento. Occorrono strumenti chiari per l'orientamento delle imprese e vorrei segnalare, tra l'altro, che non sono stati attuati alcuni aspetti fondamentali, come la concessione all'ENEL, il quale è titolare di un servizio senza un atto che stabilisca i vincoli concessori. In questo ambito si potrebbero inquadrare alcune delle questioni che sono state segnalate. Riteniamo indispensabile, nel processo di liberalizzazione, la presenza dell'Autorità indipendente e ciò è confermato dall'ipotesi di revisione della normativa, che prevede più esplicitamente la presenza di autorità indipendenti nei vari paesi. Bisogna inoltre garantire l'autonomia delle imprese: esse operano nel mercato e ciò vale anche per quelle a controllo pubblico, sia per le municipalizzate a maggioranza comunale, sia per l'ENEL che è a maggioranza statale. I comportamenti delle imprese devono essere determinati dalle politiche e non da influenze dirette all'interno, che altererebbero le condizioni del ragionamento.
Per quanto riguarda il delicato tema della rete di trasmissione, riteniamo che nei confronti di Terna si possa praticare la stessa ipotesi di rete SNAM: si collochi in Borsa, separatamente, la rete di trasmissione e si determini in questo modo una maggiore autonomia dalla verticalizzazione del settore.
Per ciò che concerne la diminuzione degli investimenti della produzione, i motivi si conoscono: non vi sono le condizioni per realizzare ancora i nuovi investimenti. Nel settore della distribuzione il problema è reale: andrebbero rafforzati i vincoli e gli standard che l'Authority stabilisce in relazione alla qualità del servizio e utilizzati correttamente e con precisione i poteri concessori. Vorrei citare un dato: le aziende tendono a esternalizzare anche le squadre che intervengono sui guasti (materia delicatissima), sui lavori sotto tensione, eccetera. Se nell'ambito delle concessioni si stabilisse che tali attività sono intrinseche alla distribuzione, esse rimarrebbero all'interno delle aziende, con maggiore sicurezza per gli utenti e per i lavoratori.
Per quanto riguarda il settore del gas, che è un po' più giovane e quindi non si è ancora adeguato al processo di liberalizzazione, noi riteniamo che vi sia una questione generale anch'essa di politica energetica: la concorrenza si attua poco nell'ambito dell'import classico via tubo. Si può tentare di introdurre più concorrenza nel settore via GNL, ma quest'ultimo richiede, nel nostro paese, un numero adeguato di terminali di rigassificazione che devono essere localizzati in qualche luogo. Il terminale offshore in Adriatico non basta. Si tratta della strada con la quale si sbloccano alcune questioni. Probabilmente corrisponde a verità l'obiezione sollevata ieri dal dottor Tesauro: come per la rete, nel settore del gas esiste un problema di liberalizzazione dello stoccaggio e di separazione di esso dal potere di chi prevale nel settore dell'import del gas.

ALFREDO BELLI, Funzionario del settore energia della UIL. Mi limito a intervenire su questioni che mi sembrano più rilevanti e, per brevità, consegnerò una nota alla Commissione. La questione della dipendenza gas-petrolio è la più importante in quanto ci espone alle fluttuazioni e alla volatilità dei prezzi. Nell'anno precedente la bolletta energetica è aumentata dell'1 per cento del PIL: si tratta di variazioni molto grandi. Considerato che l'Italia sarà sempre un paese importatore netto di energia, il problema che abbiamo è, in primo luogo, quello di puntare sull'efficienza negli usi: è evidente che la migliore energia per il paese è quella che non si consuma. Ciò ovviamente richiede un insieme di interventi, ma non voglio entrare nel merito. Apprezzo il fatto che l'indagine conoscitiva verta sul settore energetico, ma vi è il capitolo rilevante del trasporto, il problema del rapporto gomma-ferro e dell'uso dell'automobile nelle città, in quanto ciò rappresenta una fetta non piccola del costo della nostra bolletta energetica. Occorre, quindi, in primo luogo, aumentare l'efficienza energetica.
Si tratta di un processo lungo e complesso, che riguarda un insieme di politiche che devono in qualche modo essere individuate, se si vuole affrontare il problema del costo dell'energia, perché ciò rappresenta la parte più rilevante che esula dai nostri poteri di regolazione: il costo dei combustibili è dato dal mercato.
La seconda questione è data dalla considerazione che comunque, nell'ambito di una più generale politica di miglioramento dell'efficienza, che giova anche alla crescita del paese in termini complessivi, esiste il problema di intervenire per contenere l'elevato differenziale che si registra tra le nostre tariffe e quelle degli altri paesi europei. Se si cerca di capire quale sia il differenziale al netto del costo del combustibile si scopre che le tariffe nei singoli paesi si compongono di tre parti: costo del combustibile (ognuno ha i suoi mix che non sono modificabili nel breve periodo), costi di trasmissione e costi di distribuzione. Credo che sia possibile...
Credo che sia possibile imporre alle aziende energetiche standard di efficienza più elevati: come voi sapete l'efficienza risiede nel price-cup e bisogna valutare se ciò che è contenuto in esso possiede adeguati livelli di efficienza. Quando l'ENEL doveva essere collocata in Borsa si svolse un dibattito tra Governo ed Authority riguardo tale questione, nel quale si chiese di non abbassare la tariffa perché si sarebbe depresso il titolo. Non si può avere tutto e bisogna scegliere: ciò significa che gli standard di efficienza non sono così elevati. Per ridurre le tariffe occorre intervenire sul fatto che esse subiscono il più elevato livello di imposizione fiscale d'Europa. Questo elevato livello di imposizione fiscale credo che debba essere gradualmente ridotto ma soprattutto rimodulato, perché così com'è oggi determina una serie di distorsioni negli usi e nelle opportunità. Si possono imporre standard di efficienza più elevati, che giovano alla crescita delle imprese, assumendo una strategia di riduzione e rimodulazione dell'imposizione fiscale, elevatissima rispetto a quella degli altri paesi. Sempre in tema di ritardi, il nostro parco centrali è vecchio ed ambientalmente poco qualificato, la rete di trasmissione ha problemi di interconnessione con l'estero ma soprattutto molti punti di congestione: l'infrastruttura determina, in definitiva, la qualità del servizio.
Riguardo al gas, è necessario risolvere alcuni problemi: il primo è il completamento del processo di metanizzazione, perché l'uso più efficiente del gas, soprattutto civile, ridurrebbe la bolletta globale. Molti cittadini, in molte parti d'Italia, devono usare l'elettricità invece del gas, aumentando non solo il carico economico sulla famiglia - poiché i rendimenti sono diversi - con una bolletta più alta, ma anche producendo un impatto delle variazioni dei prezzi dei combustibili sull'inflazione.
Il problema degli investimenti è determinato non solo da queste cause, ma è aggravato dal fatto che, per una serie di motivi, da molti anni gli investimenti sono in caduta in tutti i settori, non solo in quello dell'energia. La caduta degli investimenti, sia negli impianti sia nelle reti, richiede un'accelerazione nell'intervento perché provoca rischi; la capacità effettiva di fornire energia elettrica "alla punta" è di oltre 60 mila megawatt: voi sapete che avremmo la capacità di produrre 75 mila megawatt, ma la maggior parte degli impianti sono vecchi, rotti, obsoleti ed i margini di sicurezza cominciano ad essere molto esigui. Una politica energetica che non garantisca la sicurezza della fornitura non funziona: il primo problema è assicurare continuità e sicurezza nella fornitura. Tale caduta degli investimenti avviene in un mercato in cui vi sono molte opportunità, come dimostra l'ingresso di un soggetto importante come EDF in Italia, così come la forte crescita dell'ENEL nel mercato del gas: ciò significa che vi sono margini di guadagno; del resto, basterebbe guardare gli ottimi profitti realizzati dalle imprese energetiche negli ultimi anni. Sono contento che le imprese italiane abbiano alti livelli di profitto; sono meno contento quando, a fronte di ciò, noto che si verifica una caduta degli investimenti. In questo contesto, è molto grave il ritardo del Governo nella definizione del cosiddetto decreto sblocca centrali perché gli investitori potenziali sono molti: è vero che hanno prenotato richieste di autorizzazione (i famosi 96 mila megawatt che avrebbero chiesto di realizzare), però in assenza di chiarezza del sistema autorizzativo, la maggior parte si è orientata per investimenti in altri settori. Mi sembra poco credibile che un paese, che ha bisogno di investimenti, accumuli un ritardo così forte per un provvedimento che dovrebbe dare certezze agli investitori.
Riguardo alla liberalizzazione, le due direttive sull'elettricità e del gas sono state varate nel 1999 e nel 2000: mi sembra presto per raccogliere i frutti di tali decisioni. Certamente, la concorrenza non è reale e la strada da percorrere è molto lunga, anche se è evidente che è necessario accelerare la cessione e l'ammodernamento delle GENCO (bisogna vigilare che chi compra, investa e mantenga i patti); è necessario favorire una sufficiente pluralità di offerta, ma fino a quando essa non sarà raggiunta ci sembra difficile, poco utile e pericoloso mettere in funzione la Borsa dell'energia. Infatti, non si provocherebbe una competizione di prezzo, perché sul carico di base l'ultimo impianto marginale si trova in una condizione obbligata obbligata e quindi anche il costo lo è; non si tratterebbe, dunque, di una Borsa che riduce i prezzi: se poi si verificasse un duopolio, i prezzi aumenterebbero. In questo contesto, è necessario riflettere su una più netta separazione delle attività non concorrenziali; l'infrastruttura di base su cui si sviluppa concorrenza e qualità del servizio è un elemento fondamentale per tutte le reti: le soluzioni sono complesse.
Esiste inoltre l'esigenza di armonizzare la direttiva sul gas e quella sull'energia: leggendo i documenti prodotti in sede europea, in primo luogo quello sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico ed in secondo luogo quello sul completamento del mercato interno, si rilevano molte contraddizioni tra liberalizzazione, sviluppo della concorrenza, sicurezza dell'approvvigionamento, qualità del servizio, salvaguardia dell'ambiente. Sono state affermate molte ed importanti idee, ma vi sono anche numerose contraddizioni. Ci sembra abbastanza evidente che un cambiamento è in atto: la lettura di questi documenti conferma che in Europa e nel nostro paese vi è l'esigenza di politiche energetiche regolatrici (certamente in una logica di mercato) e non deregolatrici. Occorre approfondire bene tutto ciò: credo che abbiano valenza strategica le occasioni fornite dall'esigenza di armonizzare le due direttive e dallo scenario di cambiamento della direttiva europea - anche se ogni paese ha i propri problemi - nell'individuare fattori di miglioramento dell'iter avviato.
Esistono altre questioni da evidenziare. La prima: il settore dell'energia richiede da parte del Governo e del Parlamento la capacità di definire indirizzi e di indicare agli investitori, in una logica di mercato, le opportunità: questo fino ad oggi è mancato, creando inevitabilmente dei vuoti. Una seconda questione: la capacità del regolatore del settore energia è tanto più forte quanto più esso deve regolare il mercato in funzione degli indirizzi e delle priorità definiti dal Parlamento e dal Governo; ma tali organi, come detto, non li hanno indicati, e credo che ciò sia sbagliato. Fra l'altro, riteniamo che la sede in cui gli indirizzi e le priorità dovrebbero trovare la loro definizione è il DPEF; però, se si va a leggere tale documento non si trova nulla che si possa tradurre in concreto.
L'ultima questione concerne il tema dell'occupazione. È evidente che in un processo di trasformazione da monopoli, come quello che sta interessando il settore energia, l'occupazione subisce una riduzione; tuttavia, speriamo che tale processo di cambiamento, che dovrebbe consentire una maggiore efficienza del settore e tariffe più basse, permetta di recuperare occupazione nell'ambito del complessivo comparto produttivo del paese. Ritengo però che vada riaffermato, nell'ambito di questa indagine conoscitiva, che occorre accompagnare il processo di liberalizzazione con clausole sociali in grado di garantire un processo corretto di cambiamento, senza scaricare esigenze di trasformazione sull'occupazione.

PRESIDENTE. Ringrazio gli ospiti; do adesso la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.


ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni sindacali intervenuti, cui pongo alcune domande. Anzitutto, chiedo loro se non ritengano che debba esserci un rapporto abbastanza stretto tra l'iniziativa del cosiddetto decreto "sblocca centrali" e i tempi di attuazione dell'acquirente unico e della Borsa elettrica; in assenza di un regolatore di mercato si rischierebbe di trovarsi non all'interno di una fase di accelerazione dei processi di liberalizzazione, ma di un mercato di tipo comparativo con alcuni elementi degenerativi. Per quanto riguarda le ricadute che tali processi di liberalizzazione avranno sul sistema locale, soprattutto per le aziende di pubblica utilità locale, poiché è stato fatto cenno al problema della strategia e della dimensione aziendale appropriata, sarebbe interessante conoscere quale sia la vostra opinione sull'accelerazione da imprimere alla riforma delle aziende pubbliche locali e il loro inserimento all'interno del mercato elettrico e del settore dell'energia a livello nazionale.
Una seconda questione riguarda l'accenno, che trovo interessante, svolto in ordine alla armonizzazione nei paesi membri delle direttive riguardanti il comparto del gas e quello dell'elettricità; in merito a quest'aspetto mi interessa conoscere qual è la disponibilità dei sindacati nei confronti di questo processo di cambiamento, che tende a moltiplicare i soggetti e che richiede, in un sistema di maggiore concorrenza, una certa flessibilità e una certa disponibilità alla mobilità territoriale e alla ricollocazione delle forze di lavoro come elemento importante per rendere agibile il processo di liberalizzazione. Infine, poiché il rappresentante della CGIL vi ha fatto cenno, ritengo che sia assolutamente decisivo, a livello legislativo e amministrativo ma anche per gli operatori e per chi rappresenta i dipendenti del settore, lavorare insieme al fine di trovare forme di collaborazione nella fase di transizione attuativa dell'articolo 117 della Costituzione (riforma del titolo V). Al riguardo non credo possano essere intraprese iniziative di tipo centralistico eccessivamente autoritarie o far uso di poteri sostitutivi. Va percorsa invece una strada di concertazione comune tra i diversi soggetti a tutti i livelli; diversamente si entrerebbe in una fase molto convulsa che avrebbe ripercussioni negative sul processo di liberalizzazione del settore energetico.


GIANNI VERNETTI. Ringrazio le organizzazioni sindacali per il loro prezioso contributo e per aver richiamato correttamente l'attenzione sul problema di come evitare, nel settore in questione, azioni svolte dai poteri locali e regionali che rischino di incidere sulla concorrenza; in merito a ciò va sottolineata la scelta operata dal comitato delle regioni e dal Governo di procedere all'attivazione di una cabina di regia. Ritengo, pertanto, che su questa materia sia opportuno, nel corso delle prossime settimane, svolgere in sede di Commissione alcuni approfondimenti.
Pongo anch'io alcune domande ai rappresentanti delle varie organizzazioni sindacali. Desidererei conoscere la vostra opinione sull'articolo 26 della legge finanziaria (ex articolo 23) e, in particolare, sul ruolo delle aziende di servizio pubblico locale all'interno del processo di liberalizzazione del settore.
La seconda domanda concerne l'ENEL; in particolare, vi chiedo quale sia la vostra opinione in ordine al peso, in termini di capacità produttiva, che l'ex monopolista deve mantenere alla fine del processo di liberalizzazione; in sintesi, ritenete sufficiente il peso delle attuali GENCO, oppure si dovrebbe fare ancora di più?
Infine, sottolineo positivamente alcuni richiami svolti dal rappresentante della UIL sul tema dell'efficienza energetica e sulle energie rinnovabili; questa è una materia su cui ritengo ci si debba cimentare in maniera forte e dove il coinvolgimento dei lavoratori sia importantissimo, anche perché una buona politica sulla efficienza energetica, sul risparmio e sull'uso razionale dell'energia prevede, in termini di stili di vita e di comportamenti, il coinvolgimento, come detto, della forza lavoro.


ALFREDO VITO. Vorrei anch'io porre alcune domande alle organizzazioni sindacali con spirito costruttivo, ma anche - se mi è consentito - in termini quasi provocatori. Il sindacato ritiene che la situazione della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica nel nostro paese sia migliore oggi rispetto a ieri? Noi stiamo ascoltando le autorità, sentiremo l'ENEL, e credo che le domande che poniamo a ciascun soggetto debbano essere pertinenti con le rispettive competenze: alle organizzazioni sindacali mi rivolgerò soprattutto per conoscere la loro opinione rispetto alle questioni dei lavoratori.
L'ENEL era un'azienda italiana che contava circa 120 mila lavoratori, mentre oggi ne conta 68 mila. Si è verificato, quindi, un crollo del 40-42 per cento; per chi è uscito dall'ENEL non è stato certamente facile trovare un altro lavoro, in quanto il sistema economico in questi anni non si è sviluppato molto. L'ENEL era un'azienda - correggetemi se sbaglio - che produceva un indotto, un sistema di appalti, di circa 50-60 mila miliardi all'anno. Ho saputo che oggi tale indotto si è fortemente ridotto, arrivando al 25-30 per cento rispetto a quelle cifre. In Italia le tariffe elettriche, dalla nazionalizzazione fino agli anni della svolta, sono rimaste sostanzialmente invariate, nonostante la bolletta petrolifera sia aumentata e non soltanto in questi ultimi anni.
Tutto ciò ovviamente costituisce la conseguenza di una politica di liberalizzazione, che dobbiamo portare avanti, sollecitata dall'Europa, anche se alcuni paesi europei (come la Francia) non ne vogliono sapere e quindi frenano, mentre altri corrono. Bisogna cercare di essere cauti, in una situazione che indubbiamente è già di per sé difficile perché in Italia sono state fatte determinate scelte con il referendum.
Per quanto riguarda le energie alternative e rinnovabili, dobbiamo dire con grande chiarezza che, dopo trenta o quarant'anni che se ne parla, tali produzioni sono minimali, nell'ordine del 3-5 per cento per un paese di oltre 58 milioni di abitanti: non rappresentano certamente l'energia del futuro (lo può essere forse il gas). Quindi la situazione del settore e dell'energia elettrica è migliore adesso rispetto al passato o no?
La seconda domanda è questa: qual è il giudizio del sindacato sulla politica dell'ENEL in questi anni? L'azienda si è occupata soprattutto dei settori del gas e delle telecomunicazioni (Infostrada), ha realizzato pochi investimenti nel campo elettrico, ha consentito la caduta in desuetudine dei propri impianti e il crollo delle sue centrali, non ha migliorato la rete, si è occupata molto poco di politica industriale e indubbiamente ha agito molto come holding.
Vorrei porre una terza e ultima domanda: con grande onestà culturale, il sindacato ritiene di aver fatto tutto quello che avrebbe potuto fare?
PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai nostri interlocutori, vorrei aggiungere brevemente che con questa indagine conoscitiva ci troveremo comunque a dover sciogliere un insieme di nodi, o comunque a segnalarli per il loro significato. Non vi è dubbio che tali problemi sono già emersi: vi è un costo dell'approvvigionamento delle materie prime da trasformare in energia che è molto elevato e incide in maniera rilevante sulla formazione delle tariffe. Se vogliamo abbattere il costo delle materie utilizzate dobbiamo spostare il consumo dagli attuali prodotti ad altri: il nodo del carbone è centrale. Non vi è dubbio che non siamo in grado di rispondere sul ruolo della carbon tax, che toglie il margine di preferibilità di un prodotto rispetto ad un altro. Dovremmo incentivare, con tutte le garanzie del caso, questo tipo di utilizzo. Poi occorrerebbe anche realizzare un insieme di impianti, di gassificazione e altro, da collocare strategicamente, sapendo che non esiste alcuna disponibilità ad accoglierli in quanto tali da parte dei depositari o dei referenti di tali impianti. Si tratta di una strada che abbiamo già percorso ai tempi del nucleare, con effetti devastanti: oggi consumiamo energia elettrica importata dai francesi, i quali con ciò accumulano liquidi per poi cercare di acquistare anche le nostre aziende, e si tratta di energia nucleare prodotta in larga misura nei pressi dell'arco alpino e, quindi, in posizione strategica nei confronti del nostro paese.
Per quanto riguarda la citata questione dell'articolo 117 della Costituzione, una lunga campagna sul federalismo nostrano ha portato anche a qualche aberrazione: vorrei capire come potremo riuscire adesso a far prevalere il tenue, esile discorso della concorrenza quando abbiamo stabilito un insieme di competenze che - se non ho capito male leggendo alcuni preannunciati provvedimenti - dovrebbero essere addirittura rafforzate. Come mai i francesi (che dal punto di vista della pubblica amministrazione non hanno certamente niente da imparare da noi) e i tedeschi perseguono politiche esattamente opposte alla nostra? Non pretendo risposte da voi su tale interrogativo estremamente importante, ma converrà proporci tema di riflessione.
Esiste poi il problema delle grandi privatizzazioni e dei collocamenti in Borsa. Recentemente avrei voluto intervenire in Assemblea (poi ho rinunciato) riguardo al tema di Alitalia, in quanto un collega di Alleanza nazionale (una persona per bene) aveva presentato in buona fede un ordine del giorno a favore della tutela occupazionale, da porre ovviamente a carico dei risparmiatori. Vorrei sapere come ci comportiamo rispetto a milioni di italiani, dopo averli coinvolti attraverso i collocamenti in Borsa (chi ha sottoscritto le azioni ENEL non ha ancora recuperato la somma investita). Cosa pensiamo di fare? Collocare le aziende in Borsa per fare cassa e poi porre un vincolo ai risparmiatori che in buona fede hanno immaginato che quelle aziende sarebbero state gestite tenendo conto della remunerazione del capitale di rischio? Mi sembra che anche ciò costituisca un elemento di notevole rilievo. Il contenimento dei costi di approvvigionamento e dei costi generali, piuttosto che l'importanza del rapporto fatturato-addetto, costituisce una delle premesse per la riduzione delle tariffe. Il carico fiscale si riconnette anch'esso - non a caso - alla dimensione generale, in quanto non vi è dubbio che sarebbe bello eliminarlo, salvo accettare un adeguato e corrispondente taglio della spesa pubblica, che incide direttamente sull'organizzazione statuale del paese. Ci sarà da divertirsi. Vi sono sulle quali resteranno pochi alibi.
Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica, indicando il limite delle ore 19 per la conclusione dell'audizione.


ARSENIO CAROSI, Segretario generale della FLAEI. Vorrei ricordare che quando fu conferita la delega al Governo riguardo a questo complicatissimo processo, il Parlamento raccomandò di essere tenuto costantemente informato sugli sviluppi della situazione. Lo stesso decreto aveva previsto che, quando la liberalizzazione avrebbe raggiunto i nuovi spazi di mercato, si sarebbe dovuto preventivamente consultare il Parlamento. Inizialmente, vi era la consapevolezza della complessità dell'operazione; poiché abbiamo osato di più, nel senso che abbiamo avviato un processo di privatizzazione oltre a quello di liberalizzazione, mi permetto di ricordare che si tratta di interventi più complicati, sperimentati in soli due paesi al mondo, dove si sono posti problemi non di secondaria importanza. Credo che questo sia il senso da attribuire all'affermazione del dottor Guerisoli, che ha chiesto che la politica torni ad assumere un ruolo forte. Condivido quanto sostenuto poco fa dal presidente: abbiamo constatato la presenza di tanti interessi privati, che hanno polarizzato il dibattito, ma, fino a questo momento, quelli collettivi sono pochi.
Serve a poco rincorrere le iniziative intraprese dai vari paesi e poi ignorarle. Per 15 anni si è dibattuto sulla direttiva comunitaria citata, che non è passata finché non si è deciso che valeva il principio di sussidiarietà. Se qualcuno pensa che EDF diventi più piccola, allora ha capito poco: sta succedendo il contrario, e si vince se si è grandi e solidi dal punto di vista industriale. È ormai dimostrato, basta osservare il trend, che tra cinque o sei anni ci saranno solo cinque o sei operatori in tutta Europa. Questo risultato finale dimostra l'errore strategico commesso quattro anni fa dal nostro legislatore che, anziché rendere più efficiente il sistema elettrico per porlo in concorrenza all'interno del sistema europeo, ha deciso di pensare solo al mercato domestico, credendo che una concorrenza tutta interna potesse essere motivo per diminuire le tariffe dell'energia elettrica. È difficile, nel paese dei primati (abbiamo rinunciato al nucleare e al carbone, abbiamo il più alto indice di prelievo fiscale ed i più alti oneri ambientali), immaginare la riduzione delle tariffe. Come è possibile ciò? Con nuovi impianti a gas? Tutti realizzano impianti a gas ed il gap non sarà recuperato. Non c'è neppure la possibilità di essere più bravi degli altri in questo campo, poiché i fornitori di impianti a gas sono due in tutto il mondo. Possiamo rendere più efficiente il sistema? Onorevoli deputati, avete la possibilità di chiedere all'ENEL quale sia il livello di efficienza degli impianti e riceverete la conferma che è il più alto d'Europa e che il numero degli addetti, in relazione al numero degli utenti, è il più basso d'Europa. Quali sono i margini concreti per abbassare le tariffe elettriche? Se non si parte da questi elementi si rischia, probabilmente, di ripetere l'errore commesso in passato.
Vorrei rispondere ad alcune domande che sono state poste, riguardo l'acquirente unico, le borse elettriche, eccetera. Dobbiamo compiere una volta per tutte una scelta riguardo al mercato futuro, perché non è vero che Parlamento e Governo hanno deciso sulla liberalizzazione generalizzata; né è vero che è già stata decisa ed è già operativa l'opzione comunitaria della liberalizzazione generalizzata. Può darsi che il trend sia questo; lavoriamo pure in tale direzione, ma se liberalizziamo tutto il sistema, non reggerà più il processo che avevamo avviato e la struttura di sistema che prevedeva due mercati distinti, vincolati e liberi; quindi bisognerà riconsiderare gli strumenti, i soggetti previsti (acquirente unico, mercato di un tipo o di un altro) ed il sistema di regolazione. In questo contesto, è fondamentale che si decida: si liberalizza tutto oppure no? Il cosiddetto decreto "sblocca centrali" è senz'altro importante: credo però che la questione non si risolva semplicemente in questo modo. Prendo atto che, a fronte di 94 mila megawatt di potenza richiesta da installare ex novo, negli ultimi due anni non è stata rilasciata l'autorizzazione alla costruzione di un solo impianto. Altro che ritardo nel decreto sblocca centrali! Secondo me, i dati indicano che la situazione deve essere riconsiderata. Non sono innamorato dell'idea che al paese serva la moltiplicazione dei soggetti, perché possiamo decidere che diventino due, quattro o sei, ma si dovranno consolidare se vogliono sopravvivere: basta osservare la velocità degli avvenimenti negli altri paesi (sono pochissimi i paesi che non hanno intrapreso questa strada). Si è affermato che se non si procede in una certa direzione, si sarà costretti al mercato comparativo; sarei cauto sul punto, perché esso può riguardare soltanto le reti: libera è la produzione e la vendita, mentre le reti restano in condizione di monopolio naturale, tanto è vero che sono in regime di concessione. In questo caso la dimensione conta molto meno, visto che la Germania ha migliaia di soggetti distributori ma essi restano monopolisti naturali nell'ambito territoriale in cui opera la concessione, dove la concorrenza mi pare conti poco, se non sul piano dell'aumento di efficienza, dal momento che il concessionario è stabilito; in relazione ai tipi di integrazione ed alla trattativa che ha luogo con l'Autorità, proprio per il price-cup, esso sarà stimolato ad essere più efficiente.
È stata rivolta una domanda circa l'espansione delle aziende municipalizzate. Ho la sensazione che, per il modo in cui è nata la rete elettrica in Italia, la nostra esperienza sia unica: 300 mila miliardi di investimenti, costruita da un ente pubblico in modo unitario. Credo che una rete unitaria costituisca una grande condizione di vantaggio; devono poi essere apposti i vincoli di cui parlava l'ingegnere Matteucci, e richiesti alcuni requisiti al concessionario, per garantire un certo livello di servizio. La mia convinzione - mi pare che, da questo punto di vista, sia difficile sostenere il contrario - è che un soggetto di grandi dimensioni possa sostenere economie di coordinamento, di scala, di integrazione, che si tradurranno in condizioni di vantaggio per il paese. In questo senso, lo dico con franchezza, sarei preoccupato se l'ENEL perdesse tutto ciò. Se osserviamo il funzionamento del mercato elettrico, potrebbe accadere che il soggetto dominante, che decide il prezzo, non sia quello che possiede il maggior numero di impianti, ma altri, magari l'ultimo degli impianti che entra in logiche di cartello di tutt'altro tipo. Credo che, proprio per la loro complessità, tali questioni debbano essere esaminate con una certa attenzione.
È difficile rispondere univocamente alla domanda di chi ci chiede se la situazione sia preferibile adesso oppure fosse migliore nel passato. Dal punto di vista del sindacato registro alcuni fatti: gli addetti elettrici sono 68 mila, con la tendenza a scendere sotto i 40 mila. Basterebbe questo dato per esprimere un giudizio. In quattro anni l'invecchiamento delle linee è salita da 30-33 anni (tempo necessario per la sostituzione della linea di media e bassa tensione) a 48 anni. Osservo che il livello degli investimenti dell'ENEL, che era di 9-10 mila miliardi medi annui, è sceso a 4 mila 500, un livello inferiore a quello del 1962-1963, quando l'ENEL è stata nazionalizzata, con la differenza che nel 1962-1963 il sistema elettrico erogava il 20 per cento dell'energia attuale.
Questi sono dati sui quali è difficile discutere. L'ente ha del personale - e concordo con quanto detto prima da Matteucci - del tutto demotivato, perché l'unica cosa che si fa è mettere in atto la tecnica dell'espulsione esercitando sul personale stesso una pressione psicologica fino al punto di portarlo a richiedere l'incentivo agevolato per andare via. A tal proposito fornisco un dato; è previsto per questioni di appartenenza e di fedeltà aziendale un premio che l'ente dà quando si maturano rispettivamente 25 e 35 anni di anzianità; questo evento è stato sempre un'occasione di festa, ma quest'anno nemmeno il 50 per cento dei dipendenti cui il premio sarebbe spettato è andato a ritirarlo, e ciò sta a dimostrare il grado di demotivazione, diffusa e generalizzata, all'interno dell'impresa. A questo si aggiunga la mancanza totale di identificazione dell'ente, come si evince dall'attuale assetto dello stesso, che comprende 129 società (e, se si considerano le società collegate, si giunge a 302), ognuna indipendente dall'altra. Si configurano, in tal modo, le caratteristiche di una conglomerata - non quelle di una holding industriale - nonostante il sindacato, di cui ricordo la battaglia combattuta tra novembre 1998 e febbraio 1999, lottasse affinché l'ente rimanesse una holding industriale. Mi permetto di fare tali affermazioni perché ben il 93 per cento dei lavoratori dell'ENEL ha sottoscritto, nel momento in cui si decise la privatizzazione, azioni dell'ente; e personalmente sono stato tra quelli che hanno svolto un'azione forte perché ciò avvenisse, perché credo nella democrazia economica e nell'azionariato. Pertanto, oggi, alla luce dei fatti che si sono verificati, questa storia mi brucia un po'; e sono convinto che, nella realtà, più che i giudizi contino i numeri e i fatti.
Credo inoltre che problemi di mobilità non si pongano (fra l'altro ne stiamo discutendo quotidianamente); allo stesso modo non si sono avute difficoltà ogniqualvolta l'ente ha cercato di discutere con il sindacato, sulla base di confronti preventivi e in termini di concertazione, su progetti da realizzare, anche quando, purtroppo, noi non li condividevamo. È stato chiesto sei il sindacato avesse, in merito a questa questione, fatto tutto il possibile. Io dico di no! Il sindacato in merito a questa vicenda, in più di una circostanza, ha avuto anche opinioni differenziate. Credo che se avessimo avuto la stessa visione delle cose in qualche ambito sicuramente avremmo potuto incidere di più. Tuttavia penso che quanto prima, nella cabina di regia tornerà la politica, cioè tornerà chi deve decidere, perché qui non sono in gioco solo gli interessi di 15 o 20 mila lavoratori ma, secondo me, è in gioco anche la prospettiva del paese, soprattutto perché esistono molti altri aspetti che, in questi processi di liberalizzazione, non si stanno considerando: al buio è rimasta non solo la California ma anche il Brasile, e proprio l'altro giorno è toccato alla Spagna. Esistono dei meccanismi rispetto ai quali è il caso che il sistema si garantisca perché, quando non vi è l'obbligo a produrre né a produrre in un certo modo, non è assolutamente scontato che le cose vadano per il verso giusto; non è vero che il mercato provvede, in quanto credo che questo sia l'unico bene che si dispaccia in tempo reale: nel momento stesso in cui si produce esso va distribuito e, pertanto, non esiste la possibilità di stoccaggio. Ciò necessariamente richiede delle garanzie e dei vincoli a partire dal fatto, che come giustamente veniva ricordato, un'impresa non può permettersi il lusso di ottenere la concessione ed espellere tutte le competenze dal proprio business; se ciò accade essa resta prigioniera, ostaggio di un cartello di imprese. Credo che ciò non sia più possibile, e spero che quanto prima il Parlamento possa riprendere in mano le redini della situazione e procedere ad un aggiustamento, anche dal punto di vista legislativo, di quegli aspetti che anche la storia ha dimostrato ormai superati.
GIACOMO BERNI, Segretario generale della FNLE. Svolgerò delle brevi e schematiche considerazioni in merito ai quesiti posti. Anzitutto, i processi di liberalizzazione, sia per il comparto delle elettricità sia per quello del gas, pongono il problema di mettere a punto gli strumenti di governo del processo; un impegno, che non è mai stato rispettato, nemmeno dal precedente Governo, contenuto nel decreto legislativo n.79 del 16 marzo 1999, prevede che il Ministero delle attività produttive sia la sede di una sorta di tavolo permanente che avrebbe dovuto seguire il processo di liberalizzazione. Ciò sarebbe stato a mio avviso fondamentale, anche per apportare le modifiche necessarie in corso d'opera e in base all'esperienza via via acquisita. Pertanto, è utile dare attuazione a questa norma e a questo fine mi permetto di sollecitare la Commissione ad adoperarsi; analogo invito rivolgo al Governo.
Una seconda questione riguarda il decreto sblocca centrali e il peso in termini di capacità produttiva dell'ENEL. Sono convinto che, dal momento in cui si attiva un processo di liberalizzazione, occorra fare attenzione per evitare che qualcuno dei soggetti coinvolti eserciti una posizione dominante; ciò costituisce un vero problema, mentre altro discorso è come mettere in grado le imprese italiane di competere in questo settore in Europa. Ritengo fondamentale che all'interno del paese non vi sia un cartello di imprese o, peggio ancora, un'impresa che eserciti un ruolo dominante; se ciò si verificasse si avrebbe una situazione in cui tali imprese sarebbero in grado di truccare le carte e di inibire la politica di settore. Quando si decise la liberalizzazione del comparto elettrico era evidente che l'ex monopolista dovesse necessariamente diminuire la propria capacità produttiva; nel caso in cui ciò non fosse avvenuto, con un soggetto che produce l'80 per cento dell'energia elettrica consumata nel paese, avremmo finito, parlando di liberalizzazione del settore, per prenderci in giro. Ma questo non vuol dire che le imprese italiane operanti nel settore non debbano avere la struttura finanziaria che consenta loro di competere in Europa.
Infine, rispondo al quesito posto in merito al coinvolgimento del sindacato in questi processi di liberalizzazione. Il sindacato è stato sicuramente coinvolto; in particolare, le confederazioni sindacali, per quanto concerne il settore elettrico, non hanno ostacolato il processo di liberalizzazione; abbiamo concorso, nel bene e nel male, a determinare il decreto legislativo n.79 del 1999 e il successivo decreto sul gas.
Per quanto concerne poi gli strumenti di tutela, questi sono costituiti dai contratti unici di settore; contratti di diritto privato uguali per i dipendenti delle aziende pubbliche e private. Si tratta di una grande innovazione; purtroppo, ciò è stato fatto per il comparto elettrico mentre per quello del gas-acqua, dopo 34 mesi di vacanza contrattuale non è siamo ancora arrivati alla stipula. Chiedo quindi a questa Commissione di insistere con le controparti Cispel, Conservizi e Confindustria affinché prima di Natale - le trattative sono ancora in corso - si possa giungere a stipulare il contratto. I contratti unici servono anche alle imprese: se esse si scompongono e si ricompongono ed i lavoratori hanno lo stesso contratto e un trattamento previdenziale simile, l'80 per cento dei problemi risulta essere risolto.
L'altro strumento di tutela è dato dalle cause sociali. È evidente che quando si affronta la discussione sulle aziende che gestiscono in esclusività un servizio (pubbliche o private non importa in quanto i problemi sono sempre gli stessi) e che definiscono la tariffa a pie' di lista, i livelli di efficienza si giustificano da soli. Fino ad ora le ristrutturazioni sono avvenute senza scaricare sullo Stato, attraverso la cassa integrazione o quant'altro, gli oneri, ma con processi che prevedevano la mobilità o la reimpiegabilità, e così via.
Questo è il terreno sul quale vogliamo continuare. Credo che questi debbano essere gli strumenti. Quando si è svolta l'audizione con la Commissione europea, noi, come sindacato europeo, abbiamo sollecitato l'utilizzo di tali strumenti.
Per quanto riguarda la questione della gradualità, non abbiamo nostalgia dei monopoli, piccoli o grandi che siano.
Con riferimento alle imprese, è chiaro che in questa fase esse hanno assunto a modello le imprese degli enti locali di una volta, le multiutility o multiservizi. Noi abbiamo condiviso tale approccio strategico in quanto abbiamo visto che in Europa le grandi aziende si stanno muovendo in questa direzione. Si tratta di una strategia in parte obbligata in quanto o si mantiene il gestore unico (ma così non può esservi alcun mercato o liberalizzazione), oppure si pongono in sinergia un insieme di servizi verso il cliente finale: l'importante è che vi sia trasparenza di costi. Tale processo di aggregazione trasversale va favorito se vogliamo avere imprese nazionali che competano in Europa, e se vogliamo che quello che si perde in un settore dal punto di vista del lavoro - e parlo da sindacalista - si acquisti in un altro. Ciò rappresenta quello che abbiamo realizzato fino adesso con le singole imprese.


GIUSEPPE BRIANO, Funzionario di categoria UIL-CEM. Il limite delle ore 19 e il fatto di parlare per ultimo mi consentono di limitare il mio intervento a brevissime riflessioni rispetto al dibattito e alle domande poste. Ribadisco un concetto: reputo molto importante la riappropriazione da parte del Parlamento di un rilevante ruolo di governo nel settore energetico. Pensiamo che sia importante partire più che dalle singole aziende, dalla necessità che vi sia un progetto per il governo del settore energetico nel suo complesso. Le scelte e i problemi delle singole aziende sono importanti, ma sono secondari rispetto alla necessità di una politica energetica, in quanto stiamo parlando di un mercato regolato. Si è detto che un segno dei tempi è rappresentato dalla caduta degli investimenti. Vorrei sottolineare, però, un altro aspetto che non è stato ancora citato oggi ma che abbiamo approfondito in altre sedi: la crisi della ricerca. Il sistema energetico non è un sistema maturo dove non è più interessante sviluppare la ricerca. Oggi nel sistema paese, in tutti i settori dell'energia, è carente l'identificazione di una ricerca di sistema.
Per quanto riguarda le domande che sono state poste alle organizzazioni sindacali, vorrei ripetere soltanto un concetto già espresso dai colleghi sulla posizione dei sindacati rispetto alla mobilità e flessibilità in relazione alla concorrenza. Per quanto riguarda i contratti di settore ricordati da Giacomo Berni, voglio segnalare che il settore della distribuzione del gas non possiede il contratto da 34 mesi e ciò rappresenta un fatto intollerabile in qualsiasi paese civile. Si tratta di un problema rispetto al quale esiste uno squilibrio tra ciò che stiamo realizzando nei confronti dei processi di riassetto delle imprese e il riconoscimento della politica di concertazione sull'adeguamento dei salari all'evoluzione del costo della vita.
Vorrei svolgere un'ultima considerazione. Mi sembra che l'attenzione debba essere rivolta al settore dell'energia complessivamente inteso. Si parla molto di elettricità, ma credo che il processo di liberalizzazione in atto nel settore del gas meriti altrettanta attenzione per gli effetti sociali che sta determinando e per le sue complicazioni. Allo stesso modo credo che, ragionando in questa sede su aziende che diventano sempre più multiutility, un'attenzione particolare vada rivolta al settore dell'acqua, che rappresenta un comparto che noi comprendiamo nel settore energetico e che sicuramente è proprio di tutte le aziende multiutility. Tale settore presenta situazioni di drammaticità e potenzialità che rappresentano anch'esse i presupposti della richiesta di una politica energetica che guidi le imprese nelle scelte, lasciandole poi libere nella gestione degli indirizzi forniti dal Parlamento e dal Governo.


RENATO MATTEUCCI, Componente del dipartimento dei settori produttivi e delle reti CGIL. Vorrei aggiungere alcune considerazioni sull'articolo 26 della legge finanziaria, dal momento che è stato oggetto di una domanda. Abbiamo avuto un'elaborazione unitaria nel rapporto con il Senato riguardo l'articolo 23 e credo che faremo lo stesso, abbastanza rapidamente, con l'articolo 26. Quest'ultimo articolo rappresenta un primo passo in avanti rispetto all'articolo 23, nel senso che comincia a coniugare la liberalizzazione con l'obiettivo che noi ritenevamo prevalente nell'articolo 23, che era l'ipotesi di privatizzazione. Segnalo peraltro che l'articolo 26 non viene utilizzato per elettricità, gas e trasporti, in quanto è previsto che siano fatte salve le normative di settore. Per quanto riguarda il settore dell'acqua si dovrà provvedere ad una revisione della cosiddetta legge Galli, che, nell'alternativa tra gara e affidamento, risolve il problema rendendo definitivamente obbligatoria la gara. Esiste poi la questione rifiuti, per la quale occorre riscrivere il cosiddetto decreto Ronchi, in quanto non funziona. Con ciò si affronta correttamente la questione della liberalizzazione perché si rende obbligatoria la gara per l'assegnazione dei servizi. Fermo restando il diritto alla proprietà pubblica delle reti per gli enti locali, non si capisce l'eccesso di separazione fra reti e servizi: ciò può rappresentare un'opzione. La separazione va bene in alcuni settori, in altri no. Per esempio, nel settore dell'acqua non esiste la gestione del servizio senza rete. Occorre mantenere la proprietà pubblica demaniale delle reti, che nessuno vuole mettere in discussione. Si può tentare di adottare la separazione in determinati settori, ma essa deve essere posta opzionalmente, non obbligatoriamente.
Un altro tema europeo, che andrebbe definitivamente acquisito, è rappresentato dalla neutralità della proprietà pubblica o privata delle aziende in presenza di gare. Occorre superare gli affidamenti ponendo un limite temporale di cinque o dieci anni (si può discutere se tornare a differenziazioni settoriali): da un certo momento in poi gli affidamenti devono cessare e tutte le aziende devono avere il diritto di partecipare alle gare. Ciò è sancito a livello europeo e non si capisce perché non dobbiamo stabilirlo nella nostra normativa.
Vorrei, infine, parlare di un'ultima questione, delicatissima in un periodo in cui si discute di federalismo: il limite di applicazione della legge riferito ai comuni con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti deve costituire un'opzione, non un divieto perentorio. Conoscendo come opera tale limite, in alcuni settori ciò significa non fare mercato e vietare di fatto ad alcune realtà di entrare in sistemi di imprese più efficienti. In particolare, non si capisce perché quell'ipotesi contraddica la politica degli ambiti che la cosiddetta legge Galli aveva positivamente introdotto nel paese (anche se poi si prevede la possibilità di formare un consorzio, ma con ciò si torna a vecchie modalità operative).
Sulla questione delle privatizzazioni, si tratta di un'opzione del tutto legittima che deve risolvere il problema del superamento di una norma legislativa che obbligava al mantenimento del 51 per cento per garantire l'affidamento. Poiché gli affidamenti sono tutti terminati ad una certa data, si può perdere tranquillamente il controllo e mantenere l'affidamento per la fase transitoria. Non si tratta più della vecchia questione per cui si era monopolisti per quarant'anni e un monopolio definito dall'affidamento comunale passava ad un privato: tutto ciò è superato da un meccanismo di questo genere, che andrebbe correttamente definito.


GIOVANNI GUERISOLI, Segretario confederale della CISL. Vorrei ricordare, riguardo alla questione delle aziende degli enti locali, che la dimensione non è ininfluente, perché si tratta di settori ad elevato investimento; finché gli enti locali privatizzano e non reinvestono le risorse, l'azienda dell'ente locale quale possibilità ha intervenire sul mercato? È sufficiente ricordare ciò che è avvenuto per le GENCO. A quali conseguenze vanno incontro le aziende degli enti locali, a cominciare dall'ACEA (che è la più grande azienda municipalizzata d'Europa), se non dispongono di risorse? Credo che un tale argomento non vada sottovalutato, altrimenti rischiamo di compiere un'operazione di liberalizzazione teorica, ma di grande indebolimento strutturale che non avrà, nel medio e nel breve periodo, conseguenze sulla gestione e quindi sugli utenti.

PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per aver accolto il nostro invito e dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 19.05.