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Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore energetico

X COMMISSIONE
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO
INDAGINE CONOSCITIVA

Seduta di giovedì 22 novembre 2001

Audizione dei rappresentanti di Confindustria

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore energetico, l'audizione dei rappresentanti di Confindustria.
Sono presenti il dottor Giampaolo Galli, direttore del centro studi di Confindustria, il dottor Carlo Artusi, direttore dell'area strategica di competitività-Europa, il professor Massimo Beccarello, direttore del nucleo public utilities e concorrenza, la dottoressa Maria Rosaria Di Somma, direttore generale di Assocostieri, e l'ingegner Domenico Andrea Inglieri, consigliere di Assocostieri.
Do ora la parola al dottor Giampaolo Galli affinché svolga un'introduzione sul tema in oggetto; successivamente i membri della Commissione svolgeranno i loro interventi e i rappresentanti di Confindustria avranno la possibilità di replicare.

GIAMPAOLO GALLI, Direttore del centro studi di Confindustria. Vorrei innanzitutto ringraziare la Commissione per averci dato l'opportunità di esprimere il nostro punto di vista relativamente a un tema che noi consideriamo di importanza assolutamente cruciale. Il dottor Tognana, che doveva svolgere la relazione in questa audizione, è rimasto bloccato presso un aeroporto italiano, ma ciò non diminuisce l'importanza che noi attribuiamo al tema in oggetto. Accanto a me vi è il professor Beccarello, responsabile per le questioni energetiche di Confindustria, il dottor Artusi, responsabile dell'area strategica e che conosce bene molte questioni - quindi potrete rivolgervi anche a loro -, e l'ingegner Inglieri, consigliere di Assocostieri, che conosce molto bene i problemi che riguardano in particolare i temi della logistica con riferimento ai prodotti energetici.
L'audizione si tiene in un momento assolutamente cruciale di trasformazione e di transizione del mercato, in parte reale in parte auspicata. Per ciò che riguarda i mercati dell'energia, uno dei due punti sui quali vorremmo concentrare l'attenzione è rappresentato dal fatto che gran parte delle aspettative in materia di liberalizzazione, che era lecito nutrire negli anni scorsi, sono state ora disattese. Il sistema delle nostre imprese (quindi le imprese associate a Confindustria) è fortemente preoccupato per il fatto che l'Italia debba ancora oggi pagare un costo dell'energia notevolmente superiore a quello degli altri paesi europei. A cause di inefficienze dovute ai motivi più diversi, tra cui l'insufficiente concorrenza nel mercato, il costo di produzione ex fabrica si aggira attorno alle 110 lire per chilowattora, contro una media europea di 60 lire circa. Ciò rappresenta uno svantaggio competitivo notevolissimo per le nostre imprese.
Il secondo punto cruciale, che elaborerò successivamente, è rappresentato dalla considerazione che tali questioni debbano essere gestite sempre di più a livello europeo. È vero che - come ha rilevato di recente il presidente dell'Autorità antitrust - l'Italia è relativamente in ritardo nei processi di liberalizzazione, ma altri paesi lo sono di più. Occorre allora assicurare una certa omogeneità nei processi di privatizzazione e liberalizzazione, altrimenti si rischia di generare fra i paesi europei delle tensioni che, nel tempo, saranno insostenibili per tutti.
Vorrei entrare nel merito delle questioni che a noi sembra prioritario affrontare per creare più concorrenza e - ripeto - per ridurre i prezzi nel nostro sistema industriale e per i consumatori. Elencherò brevemente i punti che riteniamo centrali. Occorre aumentare e rendere più differenziata l'offerta e, quindi, garantire più possibilità di accesso al mercato dal lato della generazione e dell'importazione di energia. Per ciò che concerne l'energia elettrica, ci sembra importante che si dia attuazione al cosiddetto decreto "sblocca centrali". Conosciamo le difficoltà che insistono su tale punto, anche alla luce del referendum, del ruolo delle regioni e di quello che giustamente vogliono avere gli enti locali nel determinare le condizioni ambientali della propria area. Tuttavia riteniamo che, relativamente a questo aspetto, vi siano interessi nazionali da salvaguardare. Crediamo quindi che, pur nel rispetto delle prerogative di tutti, sarebbe opportuno immaginare una semplificazione delle procedure di autorizzazione, valutando anche l'opportunità di inserire i processi autorizzativi delle nuove centrali nell'ambito dei provvedimenti straordinari previsti dalla legge obiettivo per le infrastrutture. Proponiamo, quindi, una riflessione su questo punto.
Un secondo aspetto, che in linea di principio dovrebbe risultare di più facile attuazione, è rappresentato dalla previsione di procedure accelerate e semplificate per favorire la costruzione di microcentrali, di piccola taglia, che potrebbero consentire, in molti casi, l'approvvigionamento di energia elettrica nei confronti di piccoli consorzi e di piccole e medie imprese. Un punto più controverso (sul quale tuttavia abbiamo un'opinione molto forte, che abbiamo già espresso in altre occasioni e che vorrei ribadire qui con grande chiarezza) è rappresentato dalla considerazione che occorre non soltanto accelerare la vendita delle tre centrali ENEL (le tre GENCO), ma anche, a nostro avviso, intervenire sulla quota di mercato dell'operatore dominante (con riferimento a ciò avete i dati e, quindi, non credo che sia necessario e utile che io li ripeta).
Non è sufficiente che la quota di mercato dell'operatore dominante scenda sotto il 50 per cento. A nostro avviso è necessario porre un tetto molto più stringente, almeno del 30 per cento; se fosse fissato al 50 per cento della quota di mercato, l'operatore acquisterebbe un ruolo largamente dominante poiché è difficile pensare che con tale percentuale vi sia un vero e proprio mercato libero. Ciò è particolarmente rilevante in connessione alla questione dell'avvio della Borsa elettrica, tanto più considerando il particolare metodo del system marginal price, nel quale l'impianto più inefficiente, il costo più elevato, il prezzo più alto, determina il costo per l'intero sistema; date queste caratteristiche (non si tratta tanto di un problema tecnico, che indubbiamente aggrava la situazione) è molto difficile - non voglio dire che non si debba fare, ma bisogna pensarci bene perché è molto rischioso - l'avvio della Borsa; bisogna accelerare fortemente la riduzione della quota dell'operatore dominante, altrimenti si rischiano sensibilissime oscillazioni dei prezzi e soprattutto una loro crescita: ciò non soltanto penalizzerebbe ulteriormente gli utenti idonei, ma rischierebbe di costituire un fattore che retroagisce, anche politicamente, sulla fattibilità dell'intero processo di liberalizzazione.
L'altro punto assolutamente centrale, a nostro avviso, è relativo all'aumento dell'energia di importazione disponibile per il mercato libero: sul piano istituzionale debbono essere adottate misure affinché si rendano progressivamente disponibili, per il mercato libero, i contratti a lungo termine dell'ENEL sottoscritti prima del cosiddetto decreto Bersani.
Per quanto riguarda l'attività di trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica (questione connessa a quella delle importazioni), occorre incentivare lo sviluppo di infrastrutture di trasmissione con l'estero: uno dei problemi che abbiamo sul piano dell'offerta riguarda proprio le importazioni. La nostra idea è che si debba consentire anche ai privati di realizzare linee di connessione e di trasmissione dell'energia, sia con l'estero sia all'interno: i privati debbono avere un ruolo sussidiario nel fornire nuova capacità di interconnessione. Da questo punto di vista esistono alcune differenze rispetto a ciò che si sta pensando in Europa, vale a dire in sostanza, di conferire il monopolio di tutti gli investimenti in rete ai gestori nazionali delle reti stesse.
I maggiori investimenti sulla rete costituiscono un problema essenziale da moltissimi punti di vista, perché dobbiamo evitare che l'Italia si trovi con un'offerta inadeguata, che si creino strozzature regionali in relazione ai meccanismi dei prezzi di trasmissione zonali e che quindi le regioni del Mezzogiorno siano svantaggiate nel momento in cui si avvia il nuovo sistema. Siamo dalla parte dei consumatori di energia e quindi vorremmo prezzi più bassi, ma come conseguenza dei processi effettivi di aumento della concorrenza, riduzione dei costi operativi ed in relazione all'esigenza di realizzare investimenti. Non auspichiamo strozzature dell'offerta causate dall'insufficienza di investimenti e riteniamo preoccupante la forte riduzione degli stessi che abbiamo osservato negli ultimi anni. Non vorrei parlare della California, ma semplicemente di strozzature dell'offerta: il pricing, a nostro avviso, deve tenere conto di questa esigenza, soprattutto in relazione al rischio di forti disparità regionali e della penalizzazione, in particolare, del Mezzogiorno.
Alcuni interventi debbono essere intrapresi a livello comunitario; credo che l'Italia debba svolgere un ruolo attivo nel promuovere la liberalizzazione da parte di tutti, con garanzie di reciprocità, omogeneità nel processo e - ricordo, nuovamente, un ulteriore punto, perché rientra nell'ambito comunitario - consentendo nel regolamento sugli scambi cross border un'attività di investimento da parte di operatori privati.
Due punti, a nostro avviso, sono centrali tra quelli che vengono discussi a Bruxelles: mentre riguardo l'energia elettrica è noto, riportato da tutti i giornali ed appurato che le imprese italiane pagano prezzi più alti a causa di costi maggiori e di un sistema di tassazione e di oneri più elevati, ciò non è altrettanto chiaro per quanto riguarda il settore del gas. Qualora non lo fosse neanche per tutti voi, il documento che distribuiremo alla Commissione contiene numeri - che sono confrontabili con quelli di paesi simili ai nostri per quanto riguarda gli approvvigionamenti - che dimostrano che, anche da questo punto di vista, le imprese italiane sono particolarmente penalizzate: ciò provoca un problema di competitività del nostro sistema industriale. Le nostre idee riguardo al settore del gas sono sostanzialmente simili a quelle concernenti il comparto dell'energia elettrica: occorre favorire l'ingresso di nuovi operatori sul mercato. Non basta l'allargamento totale, a partire dal 2003, delle soglie di idoneità per i consumatori, ma è necessario anche agire dal lato dell'offerta, favorendo l'ingresso di nuovi operatori. Esistono una serie di problemi, sui quali l'Autorità di settore deve prendere provvedimenti urgenti, che gli operatori attendono da molto tempo, che stanno creando forte (e francamente eccessiva) incertezza; in particolare, mi riferisco alla questione dei codici di reti per l'accesso alle infrastrutture di trasporto, stoccaggio e distribuzione.
Questa non vuole essere una critica ma una constatazione; noi siamo stati sempre difensori - al di là di singoli aspetti su cui possiamo essere in disaccordo con l'authority - dell'autonomia e dell'indipendenza dell'authority stessa. Riteniamo infatti che sia utile che vi sia un'autorità di settore indipendente, almeno fino a quando non si avrà un mercato completamente libero; tuttavia, constatiamo che vi sono dei ritardi nel definire alcune condizioni cruciali di accesso che stanno generando eccessiva incertezza negli operatori. Anche in questo caso si tratta di sviluppare le reti di importazione sulla base dell'effettiva trasportabilità, e cioè verificando qual è il grado di utilizzo della capacità di importazione installata, la quale risulta essere utilizzata essenzialmente dall'operatore dominante.
Un altro aspetto importante è dato dal fatto che dobbiamo favorire ed autorizzare nuovi punti di accesso mediante lo sviluppo di terminali di rigassificazione; questo costituisce un altro modo - magari non centrale, ma che può comunque rivestire una qualche importanza - per aumentare e, al tempo stesso, differenziare l'offerta, rendendo in tal modo il mercato più efficiente e più concorrenziale.
L'attenzione è rivolta essenzialmente ai due mercati: elettrico e del gas; tuttavia, le questioni energetiche riguardano tanti altri aspetti e, in particolare, il mercato del petrolio, rispetto al quale sono da definire questioni importanti, come ad esempio quella della diversificazione delle fonti. Vi sono poi problemi che incidono direttamente sui cittadini e sugli operatori del settore, come ad esempio la questione della semplificazione e della razionalizzazione della rete di distribuzione, che costituisce, fra l'altro, un punto al quale teniamo in modo particolare. Riteniamo che si debbano eliminare i vincoli che riguardano, ad esempio, la distribuzione dei carburanti sul territorio. A nostro avviso occorre favorire il piano volontario di razionalizzazione che è stato messo a punto dalle compagnie petrolifere ed autorizzato dall'Autorità garante per la concorrenza; occorre anche rimuovere le attuali restrizioni all'operatività del settore per quello che riguarda orari, turni, e così via, nonché i vincoli normativi sulle autorizzazioni per le attività non oil e sulla contrattualistica fra aziende e gestori che, attualmente, è molto più ristretta di quanto non sia nella generalità degli altri paesi europei.
Concludo affidando ai miei colleghi il compito di svolgere sull'argomento ulteriori riflessioni, in particolare in tema di logistica, argomento questo poco sviluppato se non marginalmente ma, a mio avviso, molto importante.


PRESIDENTE. Do pertanto la parola al dottor Inglieri.


DOMENICO ANDREA INGLIERI, Consigliere di Assocostieri. L'Assocostieri è un'associazione che riunisce i depositi costieri petroliferi italiani indipendenti e che svolge un ruolo fondamentale nel rifornimento italiano di prodotti petroliferi in quanto esistono zone geografiche dell'Italia che senza tali depositi costieri non potrebbero essere riforniti. L'Assocostieri raggruppa circa 50 società ed ha una capacità di stoccaggio di circa 5 milioni di metri cubi di prodotti.
Condividiamo totalmente le affermazioni e le richieste del dottor Galli in ordine agli altri campi dell'energia - elettrica, gas - perché perfettamente applicabili al problema della distribuzione dei prodotti petroliferi.
Vogliamo tuttavia richiamare l'attenzione della Commissione su alcuni aspetti. Innanzitutto la politica fiscale, la quale risulta essere non allineata con le direttive comunitarie e che a volte nasce da azioni estemporanee che, spesso, agevolano alcune nicchie di mercato e ne penalizzano altre (mi riferisco al gasolio da riscaldamento, che subisce nel nostro paese una fiscalità molto più elevata rispetto a quella riscontrabile in altri paesi).
Un secondo aspetto riguarda i cosiddetti combustibili ecologici, per i quali riteniamo che si faccia in Italia ancora molto poco, anche se potrebbero rappresentare un complemento ai prodotti petroliferi (mi riferisco in particolare al biodiesel). A tale riguardo non esiste un quadro legislativo certo, così come non vi è certezza in ordine ad un loro futuro sviluppo, benché essi presentino, da un punto di vista ecologico, un notevole vantaggio; inoltre consentirebbero di ridurre la nostra dipendenza dalle importazioni estere.
Il dottor Galli ha fatto cenno anche al problema della burocrazia, cioè alle notevoli difficoltà derivanti dall'incertezza sulle titolarità delle competenze fiscali fra centro e periferia; in questo senso, la semplificazione delle procedure risulta essenziale: molte volte i nostri operatori si trovano in difficoltà perché costretti a far riferimento a tante leggi, mentre sarebbe sufficiente disporre di un testo unico che consentisse di avere un quadro di riferimento preciso. Il coinvolgimento del Governo italiano, sia a livello comunitario sia a livello di organizzazioni specialistiche e tecniche, risulta abbastanza lacunoso e, conseguentemente, ci troviamo costretti, a volte, a subire decisioni che non hanno tenuto conto per nulla della problematica italiana. Auspichiamo inoltre l'apertura del mercato alla concorrenza ed una riduzione nel numero dei controlli e dei ricorsi alla certificazione ambientale (a volte complessa e priva di incentivi).
Per quanto concerne le energie rinnovabili, alcuni dei nostri operatori si sono interessati, alla luce delle recenti direttive governative e regionali, alle prospettive di tale comparto ed hanno scoperto, con grandissima sorpresa, che l'Italia, nonostante abbia sicuramente una potenzialità solare molto maggiore di quella di altri paesi, risulta essere, in questo campo, molto indietro. Infatti, se consideriamo a titolo di esempio la produzione di energia fotovoltaica (produzione di energia elettrica attraverso il sole) il nostro paese registra, rispetto a paesi come la Germania, l'Olanda e la Spagna, un rapporto di 7 ad 1, nel senso che tali paesi producono energia fotovoltaica 7 volte più dell'Italia. Fra l'altro tale tipo di energia non inquina, e permetterebbe di raggiungere gli obiettivi previsti dal protocollo di Kyoto; da questo punto di vista, la legislazione fiscale non è, a mio avviso, la più incentivante. Altri paesi hanno previsto incentivi per il settore energetico, ad esempio consentendo al produttore di energia elettrica di rivenderla all'ente centrale con ritorni economici molto più elevati; auspichiamo pertanto una revisione della legislazione in materia.


PRESIDENTE. Do adesso la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare richieste di chiarimento.


GIANNI VERNETTI. Ringrazio i rappresentanti di Confindustria, il direttore del centro studi e il rappresentante di Assocostieri, per i loro contributi. Mi sento di condividere gran parte dell'impostazione delle loro relazioni, in particolare i richiami sui tempi del processo di liberalizzazione e sulle quote: io credo che vada accelerato il processo di dismissione e che la quota di mercato del 50 per cento per l'operatore dominante sia ancora troppo elevata. Penso che il quadro delineato sia largamente condivisibile. Vorrei porre alcune domande e svolgere alcune riflessioni.
Per quanto riguarda il tema dell'efficienza energetica dell'impresa, volevo conoscere la vostra opinione sulle relative iniziative, vale a dire, su quel complesso di misure per favorire una riduzione dei consumi da parte del sistema delle imprese. Alcune grandi imprese, per esempio, hanno siglato accordi volontari su questa materia, che vanno osservati con grande attenzione anche come modello di riferimento in Italia, ma ancora prima nel mondo. Ritengo che ciò rappresenti un terreno interessante sul quale il sistema delle imprese dovrebbe ulteriormente cimentarsi, in quanto spesso tali iniziative sono anche sul fronte normativo, poco incentivate. Durante l'esame della cosiddetta legge Tremonti-bis - non intendo assolutamente instaurare una polemica politica - noi presentammo un emendamento che collegava l'incentivazione fiscale per l'impresa anche all'efficienza energetica, cioè a quanto un'impresa riesce a migliorare il proprio processo produttivo sul fronte dell'efficienza (penso tuttavia che ciò costituisca materia sulla quale potremo ritornare in futuro).
Rilevo con soddisfazione che la sottolineatura sul tema delle energie rinnovabili provenga proprio da un rappresentante dell'Assocostieri, in quanto ciò rappresenta sicuramente un terreno, accanto all'efficienza energetica, sul quale dobbiamo recuperare un ritardo. Con riferimento a ciò, non ho colto l'opinione di Confindustria e mi piacerebbe conoscere il suo punto di vista.


ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Vorrei soffermarmi in particolare su alcune questioni che mi sono state suggerite dal contributo del dottor Galli. Egli giustamente ha ricordato un elemento che, più che una contraddizione, rappresenta una realtà alla quale tutti gli operatori del settore dovranno in qualche modo abituarsi, nei diversi ambiti pubblici differenziati e ovviamente anche gli operatori privati. Si tratta della fase attuativa della realizzazione del federalismo anche in materia energetica, giacché quest'ultima è ormai da considerarsi costituzionalmente attribuita alla legislazione concorrente. È evidente che ciò richiama l'esigenza di riscrivere in concreto il nostro riferimento ai principi di proporzionalità e sussidiarietà. È chiaro, quindi, che diventa molto difficile e rischioso gestire i processi di innovazione, di necessaria modernizzazione e anche di accompagnamento della sollecitata, e ormai inderogabile fase di liberalizzazione con un esercizio improprio di poteri sostitutivi per quanto riguarda il ruolo dell'amministrazione centrale e persino del legislatore nazionale. Per perseguire, con il consenso delle amministrazioni locali e regionali, un effettivo processo di liberalizzazione del settore (obiettivo sollecitato non solo dall'Unione europea ma persino dall'Autorità antitrust), è del tutto evidente che sarebbe importante capire quanto la ricaduta di alcune affermazioni possa, in qualche modo, ingenerare contrarietà, contrasti e non già consenso. L'eventuale inserimento della materia all'interno della legge obiettivo sulle infrastrutture potrebbe provocare un giudizio negativo da parte degli enti locali e delle autonomie regionali, in quanto ciò richiama poteri sostitutivi, o comunque impropriamente esercitati, con possibili ricorsi dal punto di vista della illegittimità costituzionale. Quindi, non crea presupposti positivi per il processo di liberalizzazione, ma, al contrario, si generano notevoli punti interrogativi e, ovviamente, incertezza.
La seconda questione che volevo porre è relativa all'accennato "dimagrimento" sino al 30 per cento, e forse anche al di sotto di tale soglia, della quota detenuta dal soggetto dominante nel settore della generazione. Non ho un atteggiamento preconcetto rispetto ad un obiettivo così dichiarato, ma vorrei capire se in questo paese siano disponibili, oggi, risorse e capacità tali per cui tale obiettivo sia raggiungibile nel medio e breve periodo o se, invece, la questione debba porsi su un terreno che va oltre il medio periodo anche dal punto di vista economico. Stiamo parlando di un cambiamento del mercato entro un periodo che oggi non è nelle disponibilità né del legislatore, né delle autorità e - credo - nemmeno dell'Unione europea. Richiamandoci alla necessità di una omogeneizzazione e di un adeguamento dei mercati, anche europei, il raggiungimento nel breve periodo della soglia del 30 per cento potrebbe determinare incursioni improprie di soggetti che determinerebbero, sia attraverso i processi di privatizzazione, sia attraverso processi di crescita di società private, la debolezza del sistema Italia e quindi la sua non competitività.


STEFANO SAGLIA. Ringrazio naturalmente i rappresentanti di Confindustria che sono intervenuti per fornire un ulteriore e significativo contributo alla nostra indagine conoscitiva. Intervengo rapidamente per svolgere alcune considerazioni.
Innanzitutto, l'estensione della possibilità di intervenire con le norme della legge obiettivo anche per quanto riguarda le infrastrutture energetiche rappresenta un tema, non solo interessante, ma che credo la Commissione condivida, se non altro perché il presidente stesso, onorevole Tabacci, aveva sottolineato tale tema nell'ambito del parere che abbiamo fornito alla competente Commissione.
Per quanto attiene ai temi di carattere generale, condividiamo evidentemente la preoccupazione per una liberalizzazione che non è decollata, in particolare, per quanto attiene al mercato elettrico. Tale liberalizzazione evidentemente potrà realizzarsi, con una significativa riduzione delle tariffe che oggi cominciano ad essere insopportabili per il sistema produttivo, solo ed esclusivamente se si interverrà sul lato dell'offerta, cioè se si renderà possibile una maggiore capacità produttiva del paese, attraverso nuove infrastrutture e nuove centrali.
Al di là di queste considerazioni, vorrei porre alcune domande: le valutazioni che oggi Confindustria ha rassegnato rispetto alla liberalizzazione comportano un giudizio sulla necessità di aggiornamento dei decreti che regolano le liberalizzazioni dei mercati di gas ed elettricità, oppure si ritiene necessaria solo una maggiore operatività degli strumenti stessi?
Confindustria ritiene necessario un intervento anche sul fronte dell'approvvigionamento dell'energia? In particolare, per quanto attiene alle materie prime, penso al dibattito che si è svolto circa l'introduzione del carbone nella produzione energetica. È un tema che avete approfondito?
L'ultima questione che avanzo, che ritengo abbia forti ripercussioni sul sistema elettrico nazionale, anche se può sembrare particolare, verte sulle cosiddette aziende energivore. Siamo giunti alla significativa scadenza dell'accordo che l'ex Ministero dell'industria aveva stipulato, sulla base della considerazione che la stessa sicurezza della rete poteva dipendere da un accordo attraverso l'interrompibilità delle aziende siderurgiche, in particolare, e di tutto il sistema delle aziende cosiddette energivore. Vorrei conoscere la posizione di Confindustria al riguardo e sapere se vi è disponibilità da parte del sistema produttivo, a fronte di una risposta positiva del Governo sul lato delle importazioni di energia dall'estero, circa un ulteriore allargamento dell'offerta di interrompibilità.

ALFREDO VITO. Vorrei capire se Confindustria nutre le stesse preoccupazioni di Forza Italia: è stato avviato un processo di privatizzazione, che tutti auspichiamo affinché proceda con maggiore speditezza ma, in realtà, registriamo una situazione di profonda diversificazione tra i paesi europei. Un vecchio slogan dice che "energia è potere" e, certamente, la politica energetica non è secondaria nella vita economica di un paese e nel rapporto tra gli Stati. Vi sono paesi vicinissimi - come la Francia, ad esempio -, che persegue una politica energetica in completa contraddizione con le norme di liberalizzazione stabilite dai paesi dell'Unione europea. Si tratta di questione politica: vi è stata, da questo punto di vista, una scarsa iniziativa del Governo italiano nel corso della precedente legislatura e ciò costituisce un problema che condiziona pesantemente le scelte che bisogna compiere. Se da un lato parliamo di ulteriore depotenziamento della posizione dominante dell'ENEL, dall'altro non possiamo non tener conto che tali processi si stanno avviando nei modi e nei termini che abbiamo verificato: sappiamo perfettamente chi ha acquistato le GENCO e che vi è una forte partecipazione di aziende di altri paesi europei; la questione del ruolo dell'Italia nel sistema energetico deve preoccuparci, atteso che una scelta referendaria compiuta in epoca passata che vieta l'uso dell'energia nucleare è, probabilmente, una delle cause degli alti prezzi che paghiamo oggi per l'energia. Qual è l'opinione di Confindustria riguardo ciò?
Ho ascoltato affermazioni sulla necessità di accelerare il processo di diminuzione della quota di posizione dominante e le vendite di GENCO (probabilmente ne è necessaria una quarta), ma qual è la posizione di Confindustria rispetto alla situazione europea ? Vorrei capire meglio il punto di vista degli industriali riguardo alle modalità di vendita di GENCO. Al fine di evitare che la loro cessione avvenga anche a prezzi di gran lunga superiori al valore di ricostruzione (in un secondo momento ciò finirebbe col gravare sui consumatori) si suggerisce un metodo di vendita diverso da quello a blocco, impiegato fino ad oggi. Tenuto conto che parliamo di vendite per le quali gli acquirenti non sono numerosi, rischieremmo di ritrovarci in una situazione analoga a quella creatasi per i telefonini internazionali, dove poche aziende si sono accordate. Non vorrei che il prezzo della prossima GENCO, seguendo questo criterio, sia inferiore di tre o quattro volte rispetto a quello stipulato la volta precedente. Mi pare che questa proposta di Confindustria, se ne ho ben compreso lo spirito, sarebbe estremamente pericolosa.
Vorrei inoltre mi fosse chiarito che cosa pensa l'organizzazione degli industriali sulla questione del system marginal price: una deliberazione dell'Autorità per l'energia del 30 aprile 2001 varata alla vigilia delle elezioni scorse, introduce un criterio che ritengo ugualmente pericoloso perché, se applicato in maniera disinvolta dalle aziende, le arricchirebbe enormemente a danno dei consumatori. Se ci trovassimo dinanzi ad un concatenarsi di eventi, come una possibile vendita di blocco delle GENCO ed un'applicazione truffaldina del system marginal price, una riduzione delle tariffe elettriche italiane diventerebbe utopistica.


PRESIDENTE. Vorrei aggiungere una considerazione prima di dare la parola per la replica ai nostri illustri ospiti. Abbiamo voluto approfondire la situazione del mercato dell'energia, alla luce di un contesto internazionale in sempre maggior movimento, non senza aver rilevato che, fino all'inizio degli anni novanta, il dibattito riguardo tali argomenti era scarso e chi interveniva parlava di Stato e di monopolio. Ad un tratto, le stesse persone hanno cominciato ad esprimersi in termini di mercato e di concorrenza. Non si è visto un grande lavoro culturale e ho l'impressione che ci sia stato e ci possa essere tuttora il rischio di qualche improvvisazione.
L'apertura del mercato avrebbe dovuto portare con sé l'ingresso di nuovi operatori, in numero sempre più consistente: adesso si dice che ciò non è avvenuto perché ci sono barriere autorizzative, perché si è manifestata ambiguità nell'attuazione della riforma (la Borsa elettrica, l'acquirente unico), perché si sono verificati ritardi ed incertezze nella regolazione. Siamo sicuri che le cause siano queste? La mancata entrata di capitali italiani nelle industrie privatizzate non è forse legata, da un lato, all'eccessivo impegno finanziario, e dall'altro, alla redditività differita? Questa estate la vicenda FIAT-EDF non ci ha tranquillizzato, bensì fortemente allarmato per il modo in cui si colgono certe occasioni, vale a dire più in termini di spot che di grande prospettiva.
La sensazione che si ha è che le poche imprese che già vi operavano hanno approfittato dell'apertura dei mercati energetici in quanto è stata insignificante l'entrata di nuovi soggetti, se si esclude quella degli operatori che svolgono attività di intermediazione commerciale dall'estero: troppo poco, per il vero. In pratica, mentre la competizione si è spostata su basi continentali, quelle imprese si sono messe a fare trading elettrico, e non si sono certo poste come protagoniste del mercato. Gli altri paesi hanno, invece, puntato a rafforzare le industrie nazionali favorendo, di volta in volta, i processi di concentrazione, di diversificazione e di internazionalizzazione. Ecco il perché di questa indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore dell'energia. Che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo farne una questione di principio, per cui comunque liberalizzare è meglio di ogni altra cosa, e privatizzare costituisce in assoluto una scelta cui non si può venire meno? Ma se gli altri si muovono su piani diversi, che cosa succede? Siamo sicuri che la nostra strada virtuosa riuscirà a contaminare positivamente anche gli altri e che non ci troveremo invece colonizzati, come è già accaduto in altri settori in cui credevamo di essere forti, per non dire imbattibili? Questa è una riflessione che trovo particolarmente interessante e che rivolgo ai rappresentanti degli industriali italiani i quali, a buon diritto, ritengono di avere un ruolo da svolgere, che ci auguriamo sia da veri protagonisti.


GIAMPAOLO GALLI, Direttore del centro studi di Confindustria. Rispondo innanzitutto alle domande a cui sono in grado di replicare, i miei colleghi mi aiuteranno per gli altri quesiti.
Rispondo con un doppio "sì" alle domande poste dall'onorevole Vernetti, sia sul tema relativo all'efficienza energetica e sugli accordi volontari sia su quello relativo alle energie rinnovabili. Il primo è un argomento su cui siamo d'accordo e che ci vede già impegnati ma su cui, forse, dovremmo attivarci ancor di più. Siamo d'accordo anche con le considerazioni relativi al tema delle energie rinnovabili; si tratterà poi di capire il come, il dove e a quali costi.
In tema di federalismo energetico - questione sollevata dall'onorevole Quartiani - si pone l'esigenza di avere il consenso delle autorità locali, e si discute sulla correttezza o meno di utilizzare i poteri sostitutivi rispetto alla proposta - peraltro condivisa da questa Commissione - di fare uso in questo campo della legge obiettivo. L'utilizzazione di tale strumento a me sembra ovvio in quanto esistono in questo settore degli aspetti che travalicano la legislazione concorrente delle regioni e ed i legittimi interessi e le prerogative delle stesse e dell'ente locale (se si decide di costruire, in una data parte del territorio, un terminale di rigassificazione, necessariamente la sua realizzazione inciderà su quell'area, ma anche sulla disponibilità di energia sull'intero territorio nazionale). Capisco anche che dietro quest'osservazione vi è il tema della legge obiettivo, e il dibattito che su di essa si è svolto; infatti, come voi saprete, Confindustria è stata tra quelli che hanno proposto di utilizzare uno strumento di questo tipo.
L'onorevole Saglia ha sollevato l'importante questione dell'aggiornamento della legislazione vigente; risulta chiaro da quanto abbiamo detto, per esempio in merito alla questione dei "tetti", che un tale aggiornamento si richiede; però lo dico con una certa cautela, perché ogni qual volta si pensa di modificare una legge si deve anche valutare il complesso delle condizioni politiche.
Come ho detto prima esistono due aspetti da tenere presenti; il primo riguarda la liberalizzazione; il secondo la necessità di evitare eccessive asimmetrie in Europa in questo campo. In ordine a quest'ultimo aspetto - con ciò rispondo alla domanda postami dal presidente Tabacci - siamo preoccupati: non c'è dubbio che occorra trovare la strada che consenta, nonostante i rischi, di difendere il sistema paese e al tempo stesso di privatizzare e liberalizzare ulteriormente il nostro sistema. Allo scopo occorre condurre una forte azione su Bruxelles sia in termini di legislazione europea sia in tema di rapporti politici; infatti - come osservato dall'onorevole Vito - vi è stata, su tale questione, una certa disattenzione. La questione sollevata dal presidente Tabacci in merito al ruolo svolto dalla Francia va affrontata in via preventiva e a livello di autorità politiche; nella vicenda EDF, per quanto si tratti di imprese pubbliche di grande rilevanza e con la fama di essere indipendenti, il Governo francese ha pur sempre giocato un ruolo.
Inoltre, non credo che si ponga un problema relativo al fatto che i privati non acquistano le centrali perché presentano una bassa redditività; credo invece che i privati non acquistano quando si intende vendere loro delle centrali a prezzi considerati fuori mercato. Quando si è proceduto alla vendita della prima GENCO essa è avvenuta ad un prezzo superiore a quello che si sarebbe sostenuto nel caso in cui tale centrale fosse stata costruita ex novo. Questo è avvenuto perché non si riescono a sbloccare le cosiddette centrali green field e, quindi, l'operatore alla fine l'ha acquistata ad un prezzo fuori mercato. Ciò andrebbe evitato, perché se si mantengono queste condizioni gli operatori realizzeranno queste operazioni più sulla base di considerazioni di strategia politica che di redditività.
Noi abbiamo pensato ad una vendita in blocco, o comunque a vendite che siano fortemente concentrate.


ALFREDO VITO. Probabilmente ci vuole una via di mezzo.


GIAMPAOLO GALLI, Direttore del centro studi di Confindustria. Si può pensare ad una via di mezzo, ma occorre evitare che si ripeta quanto successo in passato. Già il fatto che si vendano le GENCO, anziché le centrali separatamente, rappresenta una situazione che ha posto delle soglie. L'operatore privato, quello vero, che non ha alle spalle nazioni o strategie politiche, deve poter realizzare un conto di redditività. Esiste una vitalità del sistema imprenditoriale italiano (lo abbiamo visto anche nelle vicende delle privatizzazioni), vi è disponibilità di capitali in Italia e anche la possibilità di attingere a capitale di debito sui mercati internazionali, come si fa necessariamente in questi casi. Non credo che la scarsità dei capitali, e di capitali italiani, rappresenti un problema: occorre che vi siano le condizioni di convenienza e bisogna vigilare affinché i prezzi e la qualità delle GENCO siano congrui rispetto all'obiettivo che si vuole perseguire.
Per quanto riguarda la domanda sul system marginal price, credo che tale sistema sia più semplice rispetto a quello del pay as you bid, ma occorre sottolinearne i rischi legati ad una borsa elettrica in assenza di un mercato liberalizzato: qualcuno potrebbe pensare al costo dell'impianto più inefficiente. Tuttavia il vero rischio, quale che sia il sistema tecnico, in presenza di due grossi operatori e di "minutaglie", è che vi sia una collusione. I sistemi d'asta sono ideali da molti punti di vista, ma è chiaro che, quando vi sono pochi operatori, qualsiasi sistema d'asta è rischioso in quanto si aprono le buste e il prezzo viene fuori alla cieca (ricordate, ad esempio, il fixing sul mercato dei cambi quando nel 1980 il dollaro aveva raggiunto il valore di 2200 lire in quanto solo due soggetti erano rimasti ad operare sul mercato). Volevo soltanto porre l'attenzione su tale problema.

MASSIMO BECCARELLO, Direttore del nucleo public utilities e concorrenza della Confindustria. L'onorevole Saglia - se non sbaglio - ha posto il problema delle aziende energivore con riferimento, in particolare, alla disponibilità di energia di importazione e al problema dell'interrompibilità. Noi crediamo che vi siano spazi per aumentare l'energia di importazione a condizioni di interrompibilità e che ciò vada valutato attentamente. Pensiamo che vi sia la possibilità di riportare le soglie di sicurezza previste dal nostro gestore di mercato a livelli inferiori, che siano uguali a quelli adottati in altri paesi europei. Quindi, crediamo che, almeno per l'interrompibilità, vi sia spazio per almeno altri 200 megawatt rispetto agli 800 previsti lo scorso anno. Credo poi che vi sia un problema molto importante per quanto riguarda le modalità di allocazione dell'energia di importazione. Si tratta di un tema "caldo": tra l'altro si avvicina la scadenza del 31 dicembre e molte nostre aziende energivore, pur non conoscendo le condizioni di allocazione della capacità di importazione, devono sottoscrivere i contratti per il prossimo anno. Abbiamo osservato e sopportato con una certa criticità alcune condizioni come, ad esempio, i meccanismi d'asta oppure di pro quota. Il meccanismo d'asta è efficiente dal punto di vista allocativo, ma, a causa della congestione, non riesce a trasferire sul mercato interno i benefici del basso costo dell'energia di importazione.
Il meccanismo del pro quota genera un insieme di effetti distorsivi, in quanto molti soggetti, anche non utilizzando energia, acquistano sul mercato le bande. Si tratta di un mercato secondario fortemente inflazionato e, ancora una volta, si ricreano di fatto i medesimi effetti: non riusciamo a trasferire sul mercato interno i benefici del differenziale di costo. Forse bisognerà per tale aspetto compiere una valutazione, in quanto, alla fine, tale energia dovrà essere in qualche modo allocata, o comunque indirizzata, anche con una presa di posizione sul piano della responsabilità politica, nell'ottica di una redistribuzione nell'ambito dei diversi soggetti che si trovano sul mercato. Occorre considerare che le aziende energivore si confrontano nei mercati internazionali con soggetti che hanno differenziali di costo elevatissimi: si tratta di un rapporto del 40 per cento in più. Non è facile recuperare questo gap agendo sugli altri costi. Ciò rappresenta, allo stato attuale del mercato, un tema molto importante. Speriamo che in futuro gli interventi di carattere infrastrutturale e l'ammontare di efficienza del nostro parco di generazione possano attenuare tale problema. Oggi credo tuttavia che il problema dell'importazione investa anche la responsabilità di una politica redistributiva.
Un altro aspetto importante, che noi osserviamo con attenzione, in una più ampia ottica di politica energetica, è rappresentato naturalmente dal verificare la possibilità e comunque dal non disincentivare, di diversificazione delle fonti. Credo che oggi la politica nucleare (per quanto appeal possa avere, soprattutto se guardiamo i prezzi della Francia) sia difficilmente ripercorribile senza l'intervento dello Stato, in quanto essa ha purtroppo dei costi eccessivamente elevati. Credo che vada valutato con maggiore attenzione lo sviluppo delle centrali a carbone, naturalmente basata sulle nuove tecnologie: sto pensando, ad esempio, a impianti di rigassificazione del carbone, tenendo presente che potrebbero esservi dei rischi e delle difficoltà dal punto di vista della logistica del carbone, da valutare attentamente. Occorre considerare, però, che il cosiddetto decreto Bersani ha stabilito che quello della generazione è un mercato liberalizzato; quindi si tratta di un problema piuttosto difficile, che deve essere valutato rimuovendo gli ostacoli alle diversificazione delle fonti e collocando tutte le possibilità di produzione sullo stesso piano. È preoccupante il fatto che le richieste di nuove centrali riguardino soprattutto gli impianti a ciclo combinato che privilegiano, in via quasi esclusiva, il gas. Ciò comporta un insieme di rischi, non secondari, anche di carattere geopolitico. Tuttavia siamo favorevoli alla rivalutazione delle fonti alternative di energia, come il carbone.


PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti di Confindustria per la cortesia e la puntualità con le quali si sono presentati a questo appuntamento, oltre che per i documenti che ci hanno consegnato. Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta, sospesa alle 17,20, è ripresa alle 17,35.