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Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore energetico

X COMMISSIONE
ATTIVITÀ PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO
INDAGINE CONOSCITIVA

Audizione dei rappresentanti dell'UNAPACE

Seduta di mercoledì 5 dicembre 2001

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive del settore energetico, l'audizione dei rappresentanti dell'Unione nazionale aziende produttrici e consumatrici di energia elettrica (UNAPACE).

Sono presenti l'ingegnere Giordano Serena, presidente dell'UNAPACE, il dottor Carlo di Primio, vicepresidente, e il dottor Francesco De Luca, direttore generale.
Do ora la parola all'ingegner Serena per una prima illustrazione delle posizioni dell'UNAPACE; successivamente i membri della Commissione svolgeranno i loro interventi e i rappresentanti dell'UNAPACE avranno la possibilità di replicare.

GIORDANO SERENA, Presidente dell'UNAPACE. Desidero anzitutto ringraziare la Commissione e il suo presidente, onorevole Tabacci, per averci offerto la possibilità di esporre le nostre valutazioni e proposte in ordine alle prospettive del settore elettrico, con particolare riguardo ai processi di liberalizzazione in corso ed alla riforma del sistema elettrico italiano. Non è un ringraziamento rituale, perché ritengo questa una occasione di grande rilievo per esprimere, in una sede istituzionale, il nostro parere e cercare di offrire il nostro contributo in uno spirito di piena collaborazione.
Prima di entrare nel merito dei temi oggetto di questo incontro, mi sia consentito un breve richiamo sul ruolo e la nuova identità dell'UNAPACE, per coloro i quali non ne fossero a conoscenza.
L'UNAPACE è l'associazione, aderente a Confindustria, che raggruppa i produttori e gli acquirenti grossisti di energia elettrica e associa circa 200 imprese industriali, vale a dire, escludendo le imprese del gruppo ENEL e le aziende municipalizzate, la gran parte degli operatori presenti nel settore della generazione ed una quota ragguardevole dei soggetti che si propongono sul mercato come intermediari tra domanda e offerta. L'UNAPACE rappresenta, quindi, gli interessi di un'ampia categoria di soggetti che, nel loro complesso, assicurano la copertura di un quarto del fabbisogno intero di energia elettrica: il 95 per cento della produzione privata, il 40 per cento, circa, dell'energia commercializzata nel settore del libero mercato e quasi il 13 per cento della globalità del mercato. L'obiettivo ambizioso che ci siamo posti è quello di crescere ulteriormente nella rappresentanza degli interessi della categoria, divenendo centro di confronto ed aggregazione di tutti gli operatori energetici. È comprensibile, pertanto, l'attenzione e l'interesse con cui stiamo seguendo l'evoluzione dei processi di liberalizzazione in atto nel settore elettrico e del gas. Processi che, purtroppo, continuano ad essere caratterizzati da incertezze e da ripetuti colpi di freno che, certamente, non contribuiscono al corretto perseguimento degli obiettivi che ci si è posti con le direttive comunitarie, prima, e con le leggi di recepimento, poi. A circa tre anni dall'emanazione del decreto Bersani, il bilancio sullo stato d'avanzamento del processo di riforma dell'organizzazione del settore elettrico appare tutt'altro che lusinghiero. A fronte di un grado di apertura del mercato dal lato della domanda, almeno nominalmente in linea con gli altri paesi, non si registrano novità altrettanto significative sul lato dell'offerta. I nuovi operatori stentano, purtroppo, ad entrare nel mercato e quelli presenti incontrano notevoli difficoltà a crescere, e questa situazione non pare destinata a modificarsi, in modo significativo, nel prossimo futuro. La struttura dell'offerta, in assenza di drastici interventi, continuerà ad essere caratterizzata, ancora a lungo, dalla presenza dominante dell'ex monopolista e ciò si rifletterà, negativamente, sugli effettivi livelli di apertura del mercato che diventano tutt'altro che certi, rischiando di restare solo un fatto nominalistico.
L'unico importante passo finora compiuto nel segmento della generazione elettrica è l'avvenuta cessione di Elettrogen SpA. Tuttavia, tale operazione ha confermato le perplessità e i timori, da noi più volte manifestati, per l'eccessiva durata della procedura adottata (nove mesi), per la tipologia di regole non prefissate e non trasparenti e per le modalità seguite che hanno fatto lievitare, oltre misura, il prezzo della transazione. Il risultato è stato certamente vantaggioso per l'ENEL e lo sarà per i suoi azionisti. Lo sarà assai meno per i consumatori. L'elevato prezzo pagato dal compratore e gli ulteriori investimenti da sostenere per il risanamento degli impianti incideranno, infatti, in misura non marginale, sul costo dell'energia elettrica che sarà prodotta da questi impianti. Quanto avvenuto ha, ancora una volta, evidenziato le irrisolte contraddizioni tra le contrapposte esigenze di assicurare, da una parte, la massima valorizzazione della società ancora in mano al Tesoro e, dall'altra, la transizione verso la costituzione di un mercato effettivamente pluralistico e concorrenziale.
Perdurando tale stato di cose, vale a dire cercando di assicurare il perseguimento di due obiettivi a nostro giudizio inconciliabili, è assai improbabile che il sistema elettrico nazionale possa evolvere verso una situazione di effettiva competizione in tempi relativamente brevi, come sarebbe invece auspicabile nell'interesse dei consumatori e quindi delle imprese e dell'economia del paese, ancor prima che per i nuovi operatori del settore.
Da questo punto di vista riteniamo essenziale, oltre ad un'effettiva accelerazione dei tempi di cessione delle altre due GENCO, la cessione, da parte di ENEL di almeno ulteriori 6.000 MW. Emerge l'insufficienza delle dismissioni dei 15.000 MW e il contestuale divieto per ciascun operatore di immettere in rete più del 50 per cento dell'energia prodotta o importata in Italia, a partire dal 2003. Tale situazione è stata più volte segnalata dall'UNAPACE nel dibattito che ha preceduto e seguito l'emanazione del citato decreto legislativo. Nemmeno il formale rispetto del vincolo del 50 per cento della quota dell'energia prodotta o importata in Italia rappresenta, di per sé, una garanzia nei confronti del costituirsi di una situazione di dominanza, in quanto il carattere dominante di una posizione non dipende soltanto dalla quota di mercato, ma dalla struttura complessiva dell'offerta. Oltre all'abbassamento di tale quota - indicativamente al 30 per cento - sarebbe pertanto opportuno che la sua misura intervenga sulla potenza del parco impianti invece che sull'energia prodotta. Mi pare, però, che sul problema della riduzione della potenza dell'ENEL stia emergendo una ampia consonanza di opinioni: l'Autorità garante, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas e, ultimamente, anche il Ministero per le attività produttive. D'altra parte, i dati disponibili relativi all'anno 2000 evidenziano come, a fronte di una produzione complessiva di energia elettrica pari a circa 236TWh, quasi 133TWh - già al netto della produzione delle tre GENCO - fanno capo al gruppo ENEL. Tale quota corrisponde ad oltre il 56 per cento del totale della produzione nazionale e sarebbe ancora più elevata ove si considerassero anche le importazioni.
Secondo le nostre valutazioni, che hanno trovato conferma da parte di autorevoli organismi indipendenti, ENEL continuerà, quindi, a detenere una quota superiore, o comunque prossima al 50 per cento del mercato, anche dopo il 2003. Tale quota è destinata a ridursi in misura marginale negli anni successivi. Inoltre, considerate le caratteristiche degli impianti, ENEL potrà esercitare un controllo, di fatto, sulla formazione del prezzo nel futuro mercato borsistico. In assenza di correttivi sarà infatti obbligato il ricorso alla produzione dei suoi impianti per la gran parte delle ore della giornata e, in particolare, nei periodi di maggiore domanda in cui massima è la valorizzazione del kWh.
Tale circostanza impone, a nostro avviso, l'adozione di appropriate e tempestive misure, come, appunto, la cessione di ulteriore potenza e soprattutto di modulazione e di picco fra cui gli impianti idroelettrici di accumulo mediante pompaggio, oggi ad uso esclusivo di ENEL, che si aggirano intorno a 8.000 MW.
Vale la pena di sottolineare che la cessione di ulteriori impianti ENEL non richiede, di per sé, modifiche normative. Il decreto legislativo n. 79 del 1999 non pone, infatti, un limite massimo alla potenza da alienare, stabilendo, solamente, la soglia minima. In ogni caso, la decisione circa la cessione di una quarta GENCO, o, comunque, di altra potenza, così rilevante ai fini dello sviluppo del mercato, non può essere lasciata ai tempi e all'esito del contenzioso in atto. Dovrebbe essere presa, viceversa, in tempi ristretti, proprio in quanto non richiede alcun nuovo provvedimento normativo. Nel suo ruolo di azionista di controllo dell'ENEL il Ministero del tesoro è, infatti, in condizione di determinare tale operazione. Sarebbe, questo, un segnale forte agli operatori del settore sulla volontà di perseguire una reale liberalizzazione del mercato, riducendo, al contempo, l'incertezza esistente che, purtroppo, si sta riflettendo, assai negativamente, sulle decisioni di investimento di molti operatori. La cessione di capacità di generazione e il connesso riequilibrio della potenza ENEL in questo importante segmento del mercato costituisce condizione necessaria ma non sufficiente per il corretto perseguimento dell'obiettivo di assicurare la massima diversificazione dell'offerta di energia elettrica. Da questo punto di vista, diviene cruciale la realizzazione di nuovi impianti ad elevata efficienza, sia per garantire la copertura della domanda, sia per favorire il necessario rinnovo del parco obsoleto. Ciò va perseguito con la massima determinazione eliminando, anzitutto, gli ostacoli autorizzativi e sveltendo le farraginose procedure esistenti. È del tutto evidente che una significativa riduzione dei prezzi dell'energia elettrica sarà possibile unicamente attraverso la riduzione degli attuali costi di produzione dell'insieme del parco elettrico.
Non è qui il caso di soffermarsi sull'attribuzione delle responsabilità che hanno determinato l'attuale situazione, che penalizza il nostro paese. Tutti siamo consapevoli di quanto accaduto, delle scelte politiche errate, come quella dell'abbandono del nucleare, ma anche dell'inerzia dell'ex monopolista nel rinnovo del proprio parco di generazione. Giova, infatti, rammentare che il parco termoelettrico italiano sconta un'età media elevata ed un rendimento complessivamente intorno al 39 per cento che si confronta con i valori ormai prossimi al 60 per cento dell'ultima generazione delle centrali a ciclo combinato. Tutto ciò si riflette pesantemente sui costi di produzione, rendendo il nostro paese più vulnerabile degli altri nei confronti delle fluttuazioni congiunturali dei mercati dei combustibili primari. La realizzazione di nuovi impianti di generazione costituisce, quindi, presupposto basilare per garantire una maggiore efficienza del parco con conseguenti ritorni economici per tutto il sistema produttivo, che potrà disporre di energia elettrica a costi contenuti e più vicini a quelli europei, per il rispetto dei sempre più restrittivi standard ambientali, ma anche, e soprattutto, per far fronte ai futuri incrementi della domanda.
I dati recentemente resi noti dal gestore della rete di trasmissione nazionale hanno confermato le nostre analisi, sfatando la convinzione che l'Italia sia un paese caratterizzato da una situazione di overcapacity nella produzione di energia elettrica. Ricordiamo i dati divulgati recentemente dal gestore di rete: a fronte di un consumo di punta invernale, nell'anno scorso, di circa 50 mila megawatt, c'è stata una capacità effettiva disponibile di 53 mila megawatt, aggiunti ai quali vanno i 6 mila megawatt di importazione che, a nostro avviso, devono essere però considerati un'opportunità economica e non una riserva di potenza strategica.
Ricordiamo il rischio delle linee ad alta quota, che già hanno causato un blackout il 10 maggio 1989, quando per parecchie ore è rimasta senza energia larga parte della Val Padana. Vediamo, quindi, che il divario tra la potenza di punta invernale e la disponibilità si assottiglia in modo consistente. Ciò significa che la riserva operativa si è ridotta a valori esigui, raggiungendo un limite che rischia di mettere seriamente in discussione l'affidabilità del sistema per gli anni immediatamente futuri, anni nei quali, a fronte di un costante ed auspicabile incremento della domanda di energia elettrica (ricordo che stiamo "viaggiando" su una percentuale di incremento annuo pari al 2,5 - 3 per cento annuo), non farà però riscontro un pari aumento della potenza di generazione. Inoltre, tra qualche mese dovranno essere posti fuori servizio parecchi impianti delle GENCO, e pure dell'ENEL, per le operazioni di ripotenziamento e di adeguamento ambientale. La costruzione, di nuova capacità è pertanto necessaria non solo per consentire una significativa diversificazione dell'offerta ed una maggiore efficienza del parco elettrico, ma anche per continuare a garantire l'affidabilità al sistema.
Da parte della categoria dei produttori è stata dimostrata ampia disponibilità ad operare in tal senso: sono presenti al Ministero dell'ambiente venticinque iniziative per circa 16 mila megawatt. Ciò detto, non possiamo che ribadire l'imprescindibile esigenza che siano adottate con rapidità tutti i provvedimenti utili a consentire il superamento delle difficoltà che continuano a dilatare gli iter autorizzativi e che costituiscono il maggior ostacolo affinché un'iniziativa passi dalla fase dell'analisi di fattibilità a quella della pratica realizzazione. Al momento non risulta ancora conclusa alcuna procedura autorizzativa per le nuove centrali da 400 e 800 megawatt e per l'insediamento dei nuovi impianti termoelettrici; inoltre, crescenti problemi si registrano anche per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili.
Ritengo opportuno soffermarmi sulla problematica - presente ormai anche sulla stampa - riguardante l'energia eolica. Tale fonte fino a qualche tempo fa era considerata dai Verdi il toccasana, l'energia rinnovabile per eccellenza; ebbene, quando l'industria italiana ha ormai investito, e sta pesantemente investendo, in questo settore, tale fonte energetica è tornata ad essere attaccata perché rovina il paesaggio. Tale situazione si sta verificando solo in Italia e, tra l'altro, produce effetti assai penalizzanti per il settore dell'impiantistica nazionale. Alla luce di quanto precede, desta non poche perplessità il ritardo nel decreto "sblocca centrali" che, comunque, lascia irrisolto il problema della procedura di VIA, principale fattore dei ritardi e delle incertezze.
La nostra preoccupazione è che la complessità e l'articolazione delle competenze istituzionali ed amministrative interessate al provvedimento possa compromettere o ritardare l'emanazione del provvedimento stesso, ovvero richiedere ulteriori modifiche in una direzione inversa rispetto a quella intrapresa, a conferma del noto adagio che "il meglio è nemico del bene".
Crescenti preoccupazioni derivano, inoltre, dai contenuti della legge di modifica costituzionale che l'esito del referendum del 7 ottobre ultimo scorso ha reso pienamente vigente. La riforma ha ampliato e rafforzato la sovranità nell'esercizio della potestà legislativa delle regioni e dei poteri locali elevandola a rango costituzionale. Non siamo contrari in linea di principio alla devoluzione dei poteri a livello regionale e locale e a quell'ipotesi federalista che può dare una spinta alla modernizzazione complessiva del paese; vorremmo solo che si evitasse la frammentazione delle competenze e la duplicazione dei costi, altrimenti si finirebbero per far gravare sul territorio le inefficienze ed il burocratismo del livello centrale. Sarebbe, infatti, assai grave se, mentre a livello europeo si lavora per costruire un mercato continentale dell'energia con regole comuni, in Italia si operasse in controtendenza, frantumando regole e competenze ed introducendo ulteriori elementi di incertezza.
Le difficoltà che si stanno riscontrando nella realizzazione dei programmi di adeguamento e potenziamento del parco di generazione interessano pure lo sviluppo del sistema di trasmissione. La costruzione di nuove linee di trasmissione, il potenziamento di quelle esistenti, nonché la concessione di nuovi siti di produzione, incontrano problemi crescenti, a volte insormontabili, che spesso impediscono la realizzazione delle opere o, nel migliore dei casi, ne ritardano l'ultimazione.
Non è irrilevante segnalare la crescente importanza che riveste il corretto dimensionamento della capacità di trasmissione ai fini dell'ottimale utilizzo di quella di generazione. Da questo punto di vista riteniamo che sia da realizzare, con sollecitudine, un progetto di riunificazione della proprietà con la gestione della rete, consentendo una più organica funzionalità del sistema ed evitando che l'attuale parcellizzazione di ruoli, funzioni e competenze produca ulteriori ritardi nella realizzazione degli interventi necessari. Contemporaneamente all'attribuzione della proprietà della rete al gestore di rete, sarà opportuno districare l'intreccio delle società controllate dallo stesso, ossia il gestore del mercato, deputato a gestire il mercato elettrico, e l'acquirente unico, che ancora per alcuni anni sarà tra i principali protagonisti del mercato. Il rischio, in assenza di appropriati correttivi, è quello di trovarsi, in breve, di fronte ad un nuovo soggetto integrato, il gestore di rete, di dimensioni ragguardevoli, ancora sottoposto al controllo pubblico ma, allo stesso tempo, con evidenti interessi di mercato e con un forte potere di incidere su di esso.
Un accenno al tema della borsa elettrica. I vantaggi connessi alla costituzione di un mercato all'ingrosso organizzato - questo in buona sostanza è la borsa o il pool - sono state chiaramente evidenziati dal presidente dell'autorità antitrust nell'audizione tenutasi presso questa Commissione. Riteniamo opportuno ribadire che la costituzione della borsa elettrica (ed un suo rapido avvio) rappresenta senza dubbio la soluzione organizzativa più efficiente rispetto a qualsiasi altra opzione, poiché aumenta la liquidità del mercato, riduce i costi di transazione, accrescere la trasparenza dei meccanismi di formazione del prezzo e facilita la verifica e la sanzione di eventuali comportamenti collusivi. Inoltre, come ricordato dall'autorità antitrust, il mancato avvio della borsa potrebbe riflettersi in chiave anticoncorrenziale sulla struttura dell'offerta nei distinti mercati e, di conseguenza, sui livelli di apertura effettiva del mercato, considerato l'interesse, in questo caso non solo dell'ENEL, a vendere sul mercato vincolato, con livelli tariffari elevati e garantiti, piuttosto che ai clienti idonei a prezzi certamente inferiori.
Suscita pertanto sconcerto l'ostracismo che tale strumento - adottato ormai ovunque in Europa - sta subendo da parte di alcune categorie di consumatori, che viceversa non potrebbero che trarre vantaggio dal suo avvio. Se il problema - peraltro da noi stessi evidenziato - fosse quello della posizione dominante dell'ex monopolista, esiste, a nostro avviso, un rimedio: porre un limite superiore al prezzo, in coerenza con la dinamica dei livelli al dettaglio, per lo meno fin tanto che perduri tale situazione.
Una tematica sulla quale l'UNAPACE è particolarmente attiva è quella delle fonti rinnovabili e della cogenerazione. In proposito, riteniamo di assoluta importanza l'adozione di politiche volte ad assicurare un maggiore sfruttamento di quelle risorse energetiche in grado di apportare un significativo contributo al miglioramento del rapporto tra la tutela dell'ambiente e la produzione di energia elettrica. È appena il caso di ricordare i benefici connessi all'utilizzo delle fonti rinnovabili e della cogenerazione, quali il risparmio di combustibili fossili, la minore vulnerabilità del sistema energetico, la riduzione delle emissioni inquinanti in atmosfera, un più efficace funzionamento del sistema di trasporto dell'energia elettrica dovuto alle caratteristiche ed alla distribuzione generalmente diffusa di tali impianti sul territorio e la loro prossimità ai centri di consumo. Si evidenzia che la cogenerazione in ambito industriale presenta ancora sensibili margini di sviluppo e, pertanto, deve essere dato nuovo impulso alla stessa.
Un ulteriore contributo al potenziamento della cogenerazione potrebbe venire dall'esenzione dall'obbligo di acquisto di certificati verdi per la parte di produzione elettrica corrispondente alla quota di calore utilizzabile nel sottostante processo industriale. Ciò potrebbe favorire un rinnovato interesse e il rifacimento di molti impianti concorrendo, quindi, al processo di sostituzione del parco elettrico obsoleto.
Invece, in tema di fonti rinnovabili, è opportuno evidenziare che rilevanti apporti sono ottenibili dalla ristrutturazione di impianti idroelettrici esistenti. Non sono, però, da sottovalutare gli effetti negativi della scadenza di concessioni idroelettriche di cui sono titolari gli operatori privati e le ex municipalizzate in sensibile anticipo rispetto a quelle a capo dell'ENEL che, secondo il decreto Bersani, hanno scadenza nel 2029. La durata delle concessioni, infatti, è un elemento essenziale per poter ammortizzare i costi degli interventi migliorativi.
Conseguentemente, si auspica un'unificazione dei termini di scadenza delle concessioni idroelettriche al 2029 (cioè, come quello dell'ENEL) per gli impianti oggetto di logici interventi migliorativi della produzione. Sebbene siano stati fatti significativi progressi negli ultimi anni dal punto di vista della realizzazione di nuovi impianti, occorre rimarcare ancora una volta le difficoltà che hanno impedito - e spesso ancora impediscono - un maggiore sviluppo di queste fonti in Italia, legate principalmente a problemi autorizzativi e di allacciamento alla rete che risultano particolarmente penalizzanti, soprattutto nel caso di impianti di piccola taglia.
Giova rammentare che la direttiva CE sulle fonti rinnovabili determinerà l'apertura di una nuova fase della politica di sviluppo di queste fonti correlata agli ambiziosi obiettivi in essa previsti. Per l'Italia è previsto il raggiungimento di una produzione pari al 25 per cento del totale nel 2010, vale a dire una produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili complessivamente nell'ordine di circa 90 TWh. Il soddisfacimento degli obiettivi della direttiva richiederà, quindi, una penetrazione delle fonti rinnovabili superiore a quanto previsto dal libro bianco nazionale e molto superiore rispetto ai risultati conseguibili per effetto dell'applicazione del nuovo meccanismo dei certificati verdi.
Ferma restando la necessità di una riflessione sull'effettiva praticabilità di questi obiettivi entro il 2010 (anche perché il potenziale sfruttabile delle rinnovabili non è illimitato), riteniamo opportuno che, in vista del prossimo recepimento della direttiva comunitaria, venga avviata un'attenta analisi della situazione, allo scopo di individuare con chiarezza gli ulteriori strumenti e le misure necessarie a consentire il superamento delle difficoltà che ancora si frappongono ad un accelerato sviluppo degli investimenti.
Un ultimo ordine di considerazioni riguarda il settore del gas naturale. Per rendere possibile la transizione verso un assetto moderno ed efficiente del settore elettrico è, infatti, imprescindibile pervenire ad una effettiva liberalizzazione anche di questo settore. Respingiamo con fermezza, in quanto riteniamo che sia strumentale all'obiettivo di ritardare il necessario rinnovo e miglioramento dell'efficienza del parco elettrico, la posizione di quanti ritengono che l'utilizzo crescente del gas naturale conduca solo ad una maggiore dipendenza del nostro sistema energetico, con effetti negativi in termini di vulnerabilità. Bisogna, infatti, tener presente che il gas naturale sostituirà combustibili di derivazione petrolifera, come l'olio, di cui l'Italia è comunque tributaria e che la maggiore efficienza degli impianti a ciclo combinato alimentati a gas (che sarà intorno al 55-60 per cento, contro il 39 attuale degli impianti ad olio), rispetto agli impianti termoelettrici tradizionali attualmente in esercizio, determinerà una riduzione dei consumi di fonti primarie a parità di energia elettrica prodotta e, quindi, una minore dipendenza in termini assoluti dalle importazioni.
Sarebbe sbagliato, oltre che in contrasto con le logiche di mercato, pensare di porre limitazioni alla crescita dei consumi del gas per usi termoelettrici.Occorre, invece, procedere al potenziamento delle infrastrutture logistiche, sia attraverso il potenziamento delle dorsali di interconnessione con l'estero, sia soprattutto con la costruzione di nuovi terminali di rigasificazione, incentivandone opportunamente gli investimenti.
In aggiunta a questi interventi strutturali, non sono più eludibili nuovi provvedimenti finalizzati sia a superare le asimmetrie esistenti tra i due mercati, sia a rimuovere i vincoli e le barriere che ancora si frappongono alla realizzazione di un mercato di dimensione europea e al libero dispiegarsi di iniziative di approvvigionamento all'estero.
Vorrei concludere sottolineando che il mercato elettrico è un settore portante, decisivo per la competitività dell'economia di ogni paese industrializzato. E lo è, a maggior ragione, per un paese trasformatore, a forte vocazione industriale, come il nostro. Se non vogliamo perdere competitività nello scenario internazionale, non possiamo permetterci ritardi o sfasamenti nei processi di liberalizzazione sia del mercato elettrico sia del gas. Oggi la velocità del cambiamento è talmente elevata che il tempo diventa un fattore chiave di ogni processo. È, perciò, necessario procedere con rapidità e determinazione.
Il nostro augurio è che la "volontà di fare" che caratterizza l'avvio di ogni nuova legislatura possa tradursi in azioni concrete che diano nuovo slancio al settore e consentano agli operatori di disporre di uno scenario certo per dispiegare quelle potenzialità di intervento, troppo a lungo rimaste tali, che possono incidere positivamente sull'economia del paese.


PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'UNAPACE. Do ora la parola ai colleghi che chiedono di intervenire.

GIANNI VERNETTI. Signor presidente, ringrazio i rappresentanti dell'UNAPACE per l'interessante contributo fornito alla nostra attività di indagine. Vorrei soltanto alcuni chiarimenti.
Condivido l'impostazione del contributo e, in particolare, alcuni passaggi quale quello concernente l'esigenza della quarta GENCO. Mi fa piacere che da parte di più interlocutori emerga la richiesta nei confronti del Governo di procedere con decisione; sappiamo, infatti, che il Tesoro potrebbe dare via libera alla messa sul mercato della quarta GENCO e questa è anche una richiesta che abbiamo rivolto al Governo in più di un'occasione. Mi pare, quindi, che emerga un consenso diffuso fra gli operatori, non soltanto su queste necessità.
Peraltro, i dati sono noti e li voglio anch'io sottolineare. Anche qualora, rapidamente e con tempi diversi dal passato (la cessione della prima GENCO, infatti, ha avuto oggettivamente tempi lunghi e mi pare che voi stessi lo abbiate ricordato), si giunga al completamento della collocazione sul mercato e, quindi, all'alienazione e alla cessione delle tre GENCO, la quota di mercato ancora controllata dall'operatore dominante, ex monopolista, sarebbe superiore al 50 per cento indicato dal decreto Bersani (anzi, largamente superiore: vi è chi la stima tra il 55 e il 60 per cento, e mi sembra che voi indichiate nelle vostre elaborazioni un dato pari al 56 per cento, che ritengo attendibile). Riteniamo che questo sia un elemento che sta emergendo - lo volevo sottolineare- e che condivido.
Vorrei conoscere la vostra opinione sul ruolo e sulle funzioni dell'Autorità per l'energia. Oggi vi è un dibattito aperto, con posizioni anche diverse all'interno della maggioranza di Governo. Il ministro Frattini (anche se per ora non vi sono atti, ma solo dichiarazioni ai giornalisti) prevede una sostanziale riduzione del peso delle funzioni dell'Authority per l'energia fino al suo ridimensionamento, mentre altri esponenti della maggioranza esprimono pubblicamente opinioni difformi. Vorremmo conoscere la vostra opinione al riguardo; la nostra è nota e riteniamo che, finché un mercato non sia compiutamente liberalizzato, è utile e necessario che un soggetto terzo garante sia in grado di esprimere terzietà e di fissare le regole.
In secondo luogo, vorrei qualche chiarimento in merito alla parte della vostra relazione riguardante le fonti rinnovabili. Mi fa piacere che abbiate sottolineato come gli obiettivi della nuova direttiva CE del settembre 2001 siano molto ambiziosi; si tratta di obiettivi che, ovviamente, rendono necessario adeguare gli obiettivi nazionali, perché lo stesso libro bianco sulle rinnovabili si collocava sulla vecchia direttiva CE concernente le rinnovabili stesse. Sicuramente, quindi, occorre innovare.
Vorrei un chiarimento in merito a quali sarebbero le forme integrative di sostegno che indicate per incentivare il mercato delle fonti rinnovabili. Mentre mi è chiaro il primo punto sul tema dei certificati verdi, mi risulta meno chiaro questo secondo aspetto.


ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor presidente, ho notato nella relazione del presidente dell'UNAPACE, almeno nella prima parte, una sorta di giudizio pessimistico rispetto alla possibile effettiva evoluzione della competizione nel nostro paese, soprattutto in materia di generazione e di produzione. Ho, comunque, apprezzato la considerazione attribuita alla necessità di accelerare i tempi di attuazione delle GENCO.
Si è fatto riferimento ad un abbassamento fino al 30 per cento - se ho ben capito - del mercato di generazione come condizione importante per il funzionamento della borsa elettrica. Tuttavia, ho apprezzato la considerazione che, indipendentemente dal raggiungimento di quella soglia, la borsa elettrica rappresenti un effettivo contributo alla realizzazione di una contendibilità reale del mercato. Allo stesso modo ho apprezzato il riferimento al ruolo dell'autorità indipendente. Si tratta di un passo importante: come rilevato dalla Commissione europea con riguardo al progetto Italenergia-Montedison-Edison, il processo di liberalizzazione nel nostro paese ha effettivamente bisogno di agenti terzi in grado di regolare il mercato.
Avete insistito su alcuni fattori oggettivi che minano alla radice un processo di innovazione in grado di rendere competitivo tutto il sistema con una ricaduta reale sul fattore produttivo e sulle capacità dell'industria di ottenere prezzi adeguati. Spesso si dice che in Italia i prezzi dell'energia sono una sorta di tassa pagata sulla non competitività del sistema. Però, i prezzi alti dell'energia hanno determinato, in Italia, anche una certa ingegnosità: le aziende hanno saputo intervenire sul prezzo e sul costo del lavoro o su altri elementi per cui la competitività è rimaste elevata. Oggi, ormai, siamo in una situazione matura che richiede grandi investimenti nella ricerca tecnologica e nell'innovazione.
Dal punto di vista dell'impegno statale centrale pubblico, credo vi sia una sorta di declino rispetto ai fondi disponibili per la ricerca. Ebbene, dovendo giungere ad un mercato effettivamente competitivo, la grandezza dei competitori non è un elemento secondario. Bisogna mantenere un equilibrio tra il non cadere in una sorta di duopolio e, contemporaneamente, l'avere strutture (anche nel settore privato) che dispongano delle risorse adeguate. Mi domando: la privatizzazione, così come avviene oggi in Italia, è in grado di garantire risorse adeguate dal punto di vista della ricerca e dell'innovazione, oppure è necessario, comunque, un forte intervento pubblico per quanto riguarda i fondi da destinare alla ricerca nel settore dell'energia? Anche voi, infatti, avete giustamente sostenuto che si tratta di una risorsa strategica riguardante non solo il campo della generazione, ma anche quello della distribuzione.
Inoltre, le aziende locali potrebbero trarre vantaggi importanti in un mercato effettivamente competitivo, anche a dimensione regionale. L'attuazione dell'articolo 117 della Costituzione, infatti, non può essere considerata un ostacolo al raggiungimento degli interessi nazionali in materia di energia. Dunque, la soggettività delle aziende locali è un ulteriore elemento che può aiutare a superare tendenze oligopolistiche o duopolistiche.
LUIGI D'AGRÒ. La relazione presentata dall'UNAPACE ha lo stesso filo conduttore delle relazioni di cui abbiamo preso atto negli ultimi tempi. Mi pare che il tema fondamentale sia quello della non concorrenzialità di un mercato ancora non privatizzato. Vi sono due passaggi sui quali vorrei chiedere alcune delucidazioni. In primo luogo, mi è parso che la relazione dia un giudizio positivo sul decreto "sblocca centrali" considerando, nello stesso tempo, che non è stato fatto tutto il possibile per sveltirne fino in fondo l'iter attuativo. Vorrei, dunque, capire in che modo, con l'attività legislativa, sia possibile fare qualcosa di diverso rispetto a quanto è stato fatto finora.
In secondo luogo, vorrei sapere se l'UNAPACE abbia un suo progetto per quanto riguarda le energie alternative. Ho notato che è stato fatto riferimento alle posizioni verdi dell'energia eolica. Vorrei capire se il sistema produttivo privato, in questo ambito, abbia qualche idea in più da sottoporre all'attenzione degli organismi nazionali, cioè se anche l'industria privata tenda a valorizzare il sistema di produzione di energia alternativa.

VALTER ZANETTA. Sono un po' allibito di fronte a progetti nei termini dei 90 mila megawatt di potenza richiesti da diverse iniziative sparse sul territorio. Ho la sensazione che siano tentativi "a macchia di leopardo" volti ad ottenere autorizzazioni senza certezze di tipo realizzativo. Mi sembra che l'azione dei privati che intendono partecipare a questo interesse generale non si esplichi con la sufficiente energia rispetto alle nuove iniziative, ma sia molto più attenta alle dismissioni che da più parti, anche con una certa logica, vengono sollecitate.
Desidero, soprattutto, capire quale sia il programma delle iniziative che devono diventare concrete in relazione al decreto "sblocca centrali" che vareremo in tempi molto brevi e su cui vorremmo, poi, un operatività effettiva. Da una parte bisogna portare avanti il decreto "sblocca centrali", dall'altra avere un'operatività effettiva con programmi e piani importanti. Mi sembra vi sia un'attenzione maggiore alla riduzione del cosiddetto monopolista - come ho già rilevato questa parola non mi piace molto - che al programma di sviluppo industriale del settore.


STEFANO SAGLIA. Mi limito a porre tre brevi questioni. In primo luogo, si è parlato della questione relativa al decreto "sblocca centrali", la cui compatibilità costituzionale ritengo costituisca un elemento di discussione non indifferente; ma, al di là del decreto, vi è un aspetto che, in qualche misura, ha impedito che si potesse andare oltre nella capacità di offerta di questo paese, cioè le procedure della valutazione di impatto ambientale che hanno posto in discussione molte realizzazioni. Vorrei sapere quale sia la posizione dell'UNAPACE sul VIA, perché ritengo che su tale materia vi siano, anche a livello internazionale, interpretazioni diverse, e cioè se il VIA faccia parte del progetto e non sia un corpo estraneo oppure, come in Italia, sia una procedura con un suo percorso istituzionale.
In secondo luogo, vorrei sapere secondo voi di quali necessità si debba occupare e quali confini debba avere l'autorità da un punto di vista istituzionale e se vi siano problemi in questo senso.
L'ultima questione, relativa alla diversificazione e all'approvvigionamento, è se il dibattito attorno all'introduzione del carbone nelle realizzazioni di nuove infrastrutture costituisca un tema che UNAPACE si pone oppure no.

SERGIO GAMBINI. Non entro nel merito di questioni molto importanti che sono state trattate ma vorrei formulare soltanto un suggerimento marginale. Vorrei chiedere se sia possibile disporre di uno studio, di un dossier, di un monitoraggio (che senz'altro siete in grado di predisporre) sulla questione della realizzazione di nuovi impianti. Quante richieste vi sono, che tipo di percorso hanno svolto sino ad oggi e quali ostacoli hanno incontrato ?
Affermo tutto ciò perché, probabilmente, questa sarà una delle cose - ripeto, non la più importante perché ve ne sono altre di grandissimo rilievo - che accenderà una discussione, forse anche trasversale agli schieramenti politici e, in qualche modo, riproporrà sensibilità diverse nelle Commissioni parlamentari.
È probabile che nella Commissione ambiente vi sia un punto di vista diverso rispetto alla Commissione attività produttive e sarebbe molto interessante se, dal vostro punto di vista, potessimo avere una fotografia di ciò che sta accadendo perché continuiamo a discutere di un decreto "sblocca centrali" ma la dimensione del fenomeno e il tipo di ostacoli di fronte al quale ci troviamo, in genere, finiscono per essere piuttosto generici e non riusciamo ad apprezzarli nella misura più concreta.


PRESIDENTE. Prima di dare la parola al presidente dell'UNAPACE, osservo che le osservazioni svolte dal collega Gambini consentono di fare una riflessione di natura generale. Ieri, partecipando al seminario della Confindustria, sono emersi - come, tra l'altro, stamane ricordava il presidente dell'UNAPACE - i nostri ritardi e la rigidità dell'offerta di energia elettrica, a causa delle scelte che abbiamo compiuto negli anni passati, segnatamente con la rinuncia al nucleare.
A proposito delle decisioni che dovremmo assumere, guardandole dal punto di vista sistemico appare chiaro che nel nostro paese si ragiona a compartimenti stagni, per cui la rinuncia al nucleare non ha padri e non si capisce come sia avvenuta; io, invece, la ricordo benissimo, e quindi non vorrei che sul decreto "sblocca centrali" vi fosse un analogo atteggiamento.
Tale decreto, presentato in Consiglio dei ministri ma non ancora emanato, sconta una serie di difficoltà già segnalate per iscritto ed ha bisogno di una visione complessiva. Giustamente, Gambini richiamava le diverse sensibilità ma dobbiamo anche chiederci, finalmente, se il tema dell'energia sia così trasversale da riguardare il paese nella sua interezza, perché, se così non fosse, di volta in volta prevarranno le sensibilità di settore.
La riforma costituzionale del 18 ottobre 2001, entrata in vigore pochi giorni fa, fissa come legislazione concorrente la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia: questa la ritengo una iattura. È vero che il senatore Elia è arrivato a sostenere che, forse, la lettura non è stata appropriata, però se il problema è che sul decreto "sblocca centrali" si deve assumere un determinato atteggiamento - che, poi, va negoziato regione per regione -, certamente la legge obiettivo non ha motivo di esistere, perché si tratta di un'impostazione di tutt'altra natura. Come è accaduto per le centrali nucleari e per altre problematiche, è chiaro che non si farà assolutamente nulla e ciò deve essere noto, chiaro e codificato. Dato che quella energetica è una materia da sistema paese, se non interveniamo - adesso politicamente e, domani, sul piano istituzionale - per correggere il tiro, come facciamo a competere con i francesi ? Vorrei che prendeste visione della nuova mappatura che si è determinata in questi anni a seguito della gestione del monopolista EDF e della sua partecipazione incrociata in tutti i paesi europei, a guisa che, ormai, si determina, di forza, un monopolista o quasi in sede europea: e noi dovremmo ragionare sullo schema del Molise ? Anche sul VIA non possiamo pensare che quel che fa la mano destra la sinistra non lo conosce. Non sono antiambientalista, ma vorrei che si svolgesse una riflessione complessiva, perché è chiaro che - il collega Gambini dice che presso l'VIII Commissione sentiremo altre opinioni - i signori dell'UNAPACE possono stare tranquilli che, comunque, non si aprirà alcun nuovo sito di nessun tipo, se non quelle cose strane con la produzione di mezzo megawatt (che non so se deve far girare un'elica, anche se adesso ho visto che le eliche danno fastidio).
Ritengo che bisogna operare delle scelte perché, se non si compiono - questo è un paese già al limite e la California non è molto lontana -, dopo potrebbe essere troppo tardi: bisognerà pur decidere se questo sia un bene di caratura nazionale. Ho visto l'idea di riforma contenuta nell'emendamento Frattini, però nel portare avanti le cose è necessaria una coerenza di fondo. Non voglio dire che occorre eliminare l'authority, ma in questa fase è necessaria un'autorità indipendente che operi nel comparto dell'energia come momento di regolazione fra i diversi soggetti in campo.
È necessario ragionare in questo modo perché se, invece, si afferma che adesso le regioni sono protagoniste, bene lasciamo alle stesse tale protagonismo; non ho alcunché contro le regioni, essendo stato anche presidente di una non proprio piccola, ma un conto è il protagonismo che si deve affermare, un conto è la visione generale su aspetti così delicati come quelli dell'energia, che - secondo la mia opinione - hanno chiaramente una funzione di natura orizzontale, che interessa intersettorialmente tutte le realtà del paese, sia per i risvolti economici sia per quelli sociali.
Ho pensato di riprendere questi argomenti in questa sede perché si tratta di un dibattito di carattere complessivo che coinvolge ognuno di noi per le responsabilità politiche ed istituzionali che riveste in questa Commissione e nel Parlamento italiano.

GIORDANO SERENA, Presidente dell'UNAPACE. Mi preme evidenziare l'esistenza di una notevole sintonia di vedute; infatti, signor presidente, gran parte degli aspetti che vorremmo sottolineare sono stati già esposti da lei nel corso del suo intervento. Vorrei approfondire due o tre argomenti per poi lasciare la parola al direttore generale. In particolare, vorrei rispondere alla domanda relativa all'autorità per l'energia, che rappresenta un aspetto abbastanza delicato.
Come UNAPACE siamo molto vicini alla posizione del presidente. Riteniamo infatti che, in questo momento, non si debba mettere in discussione l'esistenza dell'autorità per l'energia. Vi è una legge che l'ha istituita, la n. 481, e vale la pena forse di rileggere bene quella legge, che definisce anche le competenze e i limiti dell'autorità. Non vogliamo entrare nel merito, per stabilire se tali limiti siano stati superati o meno e per individuare chi glieli abbia concessi, in quanto si tratta di un gioco delle parti che riguarda più specificamente la politica. Riteniamo che tale autorità sia necessaria, anche se siamo stati i primi a contestarla più di una volta, attraverso diversi ricorsi al TAR da parte delle aziende dell'UNAPACE. Tuttavia, siamo convinti che ciò rientri nella logica e nella dialettica di un rapporto tra interessi industriali e ciò che può essere l'autorità. Quindi, ribadiamo la necessità, soprattutto in questo momento, di un'autorità per l'energia.
Per quanto concerne il problema relativo al decreto "sblocca centrali", la nostra posizione è abbastanza chiara, infatti non siamo scettici sul fatto se tale decreto possa servire o meno. Abbiamo vissuto un momento di eccitazione, nell'assemblea pubblica dell'UNAPACE in cui è stato eletto il presidente, quando il ministro Marzano ci ha annunciato che, a giorni, sarebbe stato varato questo decreto che - al di là delle problematiche, non volute ma esistenti, che hanno determinato certamente un ridimensionamento dell'efficacia di questo emendamento rispetto alla bozza di quel momento - ci ha creato delle preoccupazioni. Ovviamente, visto il tempo trascorso - si parlava, infatti, di fine settembre, adesso siamo a dicembre e non credo che per Natale si otterrà qualcosa - ciò ci preoccupa, soprattutto per il fatto che, a quanto pare, questo decreto non riuscirà ad incidere sulla procedura VIA. Vi è certamente il vantaggio di procedere in parallelo, per cui, se non altro, i tempi della procedura VIA determineranno il periodo di autorizzazione, senza l'aggiunta di altri sei-nove mesi.
Vi ricordo che alcune centrali hanno superato alcune fasi del procedimento autorizzativo e che a marzo, ad aprile ed ancora oggi non vi sono ancora le autorizzazioni per costruire.
Ieri, durante l'associazione degli industriali, il presidente dell'ENI si rallegrava perché l'impianto di San Nazzaro dei Burgundi, che prevede una gassificazione, ha superato alcune fasi del procedimento autorizzativo. Adesso, vedremo quanti mesi saranno necessari affinché il Ministro dell'ambiente emetta il decreto, perché la regione risponda nuovamente e perché il tutto torni all'ex Ministero dell'industria, il quale di nuovo scriverà alla regione, al fine di ottenere per la quarta volta il relativo parere. Dunque, speriamo, ma siamo un po' scettici.
Per quanto riguarda il discorso relativo alle nuove centrali, vorrei sottolineare che noi ci siamo espressi in diverse riunioni pubbliche e che non seguiamo l'andamento delle domande al gestore della rete. Tali domande erano 20 mila sei mesi fa, 40 mila tre mesi fa, 80 mila una settimana fa, oggi saranno 90 o 100 mila. Sono rivolte al gestore della rete per sapere se, in una determinata area o zona, nel caso in cui venga creata una centrale, si possa poi dispacciare o meno. Costa poco, basta inviare una lettera.
Prenderei, invece, in considerazione i 16 mila MW presentati al Ministero dell'ambiente, che già richiedono una progettazione, un investimento, dunque una volontà seria di procedere nell'investimento. Oltretutto, vi è una percentuale - che viene chiesta dal Ministero dell'ambiente, anche se non a tutti - che ritengo costituisca una giusta griglia, mi pare lo 0,5 per mille, dunque per centrali intorno ai 400 o agli 800 MW. Cominciamo a parlare di cifre di 200-300 milioni necessari per finanziare la procedura VIA. In questo caso vi sono 16 mila MW, 25 centrali. Ritengo che questo sia il valore di riferimento da considerare, anche se non è detto che tutte riescano a superare le procedure.
Con riferimento allo stato di avanzamento della procedura VIA, potremmo cercare di fornirla, anche se ritengo che voi, nella vostra posizione, possiate ottenerla più facilmente dal Ministero dell'ambiente.
Essendo oltre che presidente dell'UNAPACE amministratore delegato della SONDEL, posso affermare che la mia prima centrale da 800 MW data ormai 1998 e non mi illudo di riuscire a portarla avanti. Invece, altre centrali, della fine del 1999 e dell'inizio del 2000, sono state più fortunate. Comunque, se tutto va bene, i tempi sono di due o tre anni. Attualmente, un dato di fatto è che nessuna centrale della nuova generazione a ciclo combinato, quindi ad alto rendimento, ha ottenuto l'autorizzazione.
Ciò risponde, in parte, anche alla sua osservazione relativa al fatto che gli industriali, a quanto pare, sono portati più che a investire nel nuovo a dividersi l'ENEL. Se dovessi parlare come industriale direi che, in mancanza di meglio, si va a letto con la moglie... Cioè, se non vi sono alternative, è chiaro che si deve per forza procedere all'acquisto di centrali dall'ENEL, anche se ciò non vuol dire che tali centrali siano le migliori e che siano vendute a prezzi convenienti. La prima GENCO è stata tenuta sul mercato a prezzi che, per avere un ritorno dell'investimento, ritengo siano stati alti.
È chiaro che la possibilità di acquisire potenza dall'ENEL consente, nel minor tempo possibile, di ottenere energia sul mercato, altrimenti si cade nelle centrali che ancora non si hanno e per la costruzione delle quali saranno necessari tre anni.
Una delle osservazioni dell'UNAPACE era che questo rallentamento dell'approvazione delle nuove autorizzazioni fosse dovuto anche al voler maggiormente valorizzare le centrali dell'ENEL. Infatti, se sul mercato non si hanno altre alternative, evidentemente, anche centrali dell'ENEL non tra le migliori possono essere appetibili. Dunque, non direi che vi sia una volontà di disgregare l'ENEL e comprarla, ma che sia determinante, dal punto di vista della liberalizzazione del mercato, la discesa della potenza dell'ENEL.
Per quanto concerne il discorso relativo alla diversificazione dell'approvvigionamento, ritengo che il gas faccia ancora parte di tale diversificazione. Si tratta, infatti, di un combustibile che viene accettato. Quindi, il gas andrà a sostituire parte dell'olio che è inquinante, richiede investimenti e costa. Oltretutto, la percentuale di utilizzo dell'olio in Italia non si registra in nessun'altra nazione europea; se non altro, il gas consentirà di diminuire tale percentuale, con rendimenti più alti e, quindi, anche con una quantità minore.
Quanto alle altre fonti di approvvigionamento, tralascerei il nucleare: nonostante la sensibilità del presidente, ritengo sia una pia illusione parlare di nucleare in Italia, perlomeno a breve e a medio termine. Direi, quindi, che rimane, come al solito, il carbone che è una fonte fondamentale nel mondo. Se fosse realmente possibile costruire in Italia una centrale a carbone, gli industriali, sicuramente, sceglierebbero con piacere questa strada; tuttavia, se guardiamo la realtà, verifichiamo che per il gas, dopo tre o quattro anni, non si riesce ad ottenere le autorizzazioni, pur avendo avuto il consenso. Comunque, non è facile neppure avere il consenso. Penso che oggi sia quasi un'utopia pensare di ottenere, in tempi decenti, un'autorizzazione relativa al carbone, a meno che non venga fatta una scelta di governo. In questo caso, il Governo deciderebbe la quantità di carbone da utilizzare, individuerebbe i siti, otterrebbe anche le autorizzazioni; poi, potrebbe svolgere un'asta delle centrali. Se si disponesse di un sito con tutte le autorizzazioni in regola per costruire una centrale a carbone, penso che tutti gli industriali del settore parteciperebbero volentieri all'asta.
È stato richiamato anche l'argomento della ricerca. Purtroppo, dal punto di vista della ricerca, in Italia ci distinguiamo come un po' in tutti gli altri ambiti. La ricerca è quasi nulla; qualche settore industriale di grandi dimensioni sta collaborando a ricerche sul fotovoltaico, sulle celle in trasformazione: comunque, si tratta di energie alternative interessanti, come il superconduttore, che risolveranno i nostri problemi. Le ricerche su questo settore sono ancora in mano alle grandi multinazionali. La gara ingaggiata, per esempio, nel turbogas ha favorito sicuramente la General Electric e la Siemens, piuttosto che la ABB di una volta, determinando la concorrenza e, quindi, una ricerca esasperata sulle macchine. Nel giro di qualche anno, infatti, i rendimenti delle macchine a turbo gas sono arrivati a valori che dieci anni fa neanche avremmo mai pensato, vicini al 50-56 per cento, quando, nel 1990, noi raggiungevamo, con macchine definite "super eccezionali" valori intorno al 45 per cento. Purtroppo, sono necessari grandi volumi di denaro e, quindi, vi sono interessi enormi.
Quanto ad altre tecnologie, come la gassificazione del carbone o di altro combustibile, evidentemente le grandi industrie non sono interessate a fare investimenti, finché c'è disponibilità di gas o di altre fonti più facilmente aggredibili; di conseguenza, questi impianti, che potrebbero rendere più appetibile un combustibile sporco, come il carbone o altro materiale, hanno costi molto elevati, pur essendo disponibile la tecnologia.

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Di Primio.

CARLO DI PRIMIO, Vicepresidente dell'UNAPACE. Vorrei aggiungere alcune osservazioni sull'argomento VIA, che mi sembra rappresenti uno dei temi di notevole interesse ai fini del provvedimento "sblocca centrali". Oltre che vicepresidente dell'UNAPACE, sono presidente della società che gestisce il primo impianto di gassificazione e cogenerazione realizzato in Italia, dopo essere stato sottoposto a tre procedure di valutazione di impatto ambientale. La regione Sicilia, dove è stato realizzato l'impianto, è già avanti, in termini di devolution, godendo di un'autonomia che risale al 1948: ciò ha fatto sì che in questa regione si applichi non soltanto la procedura nazionale di valutazione di impatto ambientale, ma anche quella regionale, che, pur essendo leggermente diversa, resta una procedura di VIA. Questo è uno degli aspetti che volevo ricordare in questa sede: con il trasferimento alle regioni di determinate competenze in questo campo, si rischia di complicare ulteriormente la situazione. Si pone non soltanto un problema di unità di indirizzi tra le varie regioni, ma anche un problema di sovrapposizione di interventi autorizzativi, che comporterebbe non una riduzione, ma sicuramente un ampliamento dei tempi, senza la possibilità di stabilirne l'entità.
Quanto all'esperienza specifica di superamento delle procedure di VIA, maturata in questo periodo da noi industriali, vorrei fare alcune osservazioni su un concetto specifico che è dietro la valutazione di impatto ambientale: ogni singolo cittadino può esprimere osservazioni su un determinato progetto, senza assumersi le responsabilità di questo intervento, per esempio in termini di tempo. Un procedimento può essere bloccato da un qualsiasi soggetto, sia esso gruppo di pressione o cittadino singolo, che interferisce quindi, per un periodo indefinito, non soltanto sulla fattibilità ma anche, nella migliore delle ipotesi, sui costi: possiamo ben immaginare cosa significhi far durare una procedura tre o cinque anni rispetto all'economicità di un determinato progetto. Si sollevano, dunque, problemi che, una volta chiariti, avranno determinato un aumento di costi, senza alcuna responsabilità da parte di coloro che hanno fatto le osservazioni, magari innescando procedimenti di ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato. Secondo me, si tratta di un problema molto importante che potrebbe essere esaminato a livello parlamentare, verificando se ci siano correttivi da introdurre sulla normativa VIA, per accelerarne il processo.
Vorrei fare un accenno al tema della ricerca. In aggiunta a quanto ricordato dal presidente Serena, vorrei sottolineare che, laddove si sono create condizioni favorevoli, l'industria italiana ha fatto anche ricerca. È il caso proprio della gassificazione che, certamente favorita dall'esistenza della legge 9 gennaio 1991, n. 9, a favore di determinati tipi di investimenti, ha portato all'introduzione in Italia di processi innovativi nel settore: si tratta delle prime realizzazioni a livello mondiale applicate all'energia e seguite anche da altri paesi, che utilizzano l'esperienza italiana.

PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor De Luca.

FRANCESCO DE LUCA, Direttore generale dell'UNAPACE. Vorrei fare alcune osservazioni sul tema delle energie rinnovabili, sul quale si registra un grosso impegno da parte delle imprese associate ad UNAPACE. Questo è dimostrato anche dal contributo che, da parte di queste imprese, è venuto negli ultimi anni all'incremento della produzione da energie rinnovabili. È il caso dell'eolico che, certamente, rappresenta un elemento marginale, la cui velocità di crescita, tuttavia, non ha avuto forse paragoni negli ultimi anni in nessun altro paese europeo. Mi pare opportuno sottolinearlo.
Per quanto riguarda il futuro, noi esprimiamo preoccupazione riguardo agli obiettivi europei non tanto perché, di per sé, siano ambiziosi, quanto perché obiettivi di questo genere, evidentemente, non sono esenti da costi. Si tratta, dunque, di capire, in una realtà già difficile quale è quella interna, in che misura tutto ciò possa essere compatibile e se i benefici che si possono conseguire da un programma assai spinto in questa direzione siano pari ai costi da sostenere. Si ricordava che il potenziale non è illimitato; a questo punto, è più che ipotizzabile ritenere che la produzione incrementale che dovremo garantire nel futuro sia o debba essere a costi crescenti.
Certamente, su questo aspetto può giocare un ruolo importante anche la ricerca. Vorrei aprire un'ulteriore parentesi per sottolineare che qualcosa si sta cercando di fare, in questo senso, anche nel privato. Ci sono progetti di sviluppo di nuove tecnologie, come quella delle celle a combustibile, che rappresentano una delle frontiere o delle possibilità su cui ci si sta muovendo anche a livello internazionale.
Da questo punto di vista aggiungerei che sarebbe opportuno ripensare anche in termini più concreti al ruolo delle strutture pubbliche pure esistenti, attribuendogli in questo senso nuove mission o nuove indicazioni (in primo luogo, l'ENEA, ma anche il CNR).
Ritornando sul discorso delle rinnovabili si chiedeva cosa è necessario fare in più per garantire uno sviluppo ulteriore di queste fonti. Certamente il sistema dei certificati verdi (che pure noi condividiamo perché si inserisce in una logica di mercato), così come è stato articolato, probabilmente potrebbe non essere sufficiente a garantire la realizzazione di una serie di iniziative importanti, che poi sono proprio quelle che potrebbero dare il maggiore contributo in termini di produzione di chilowattora, ma forse anche in termini di risoluzione di problemi di carattere ambientale e non solo: mi riferisco alla produzione di energia elettrica da biomasse e soprattutto da rifiuti. Si tratta di impianti estremamente complessi e costosi: l'attuale sistema dei certificati verdi non garantisce la copertura dei costi relativi a questi impianti. Allora bisogna cercare nuove forme di sostegno, che d'altra parte la direttiva europea rende in qualche misura possibili e che, se vogliamo, possono essere o sono già considerate come possibili anche nel decreto Bersani: possono essere forme di sostegno da verificare a livello regionale. Da questo punto di vista sono convinto che le regioni debbano avere per forza di cose un ruolo importante.
Aggiungerei un'ultima considerazione, in aggiunta al tema affrontato dal vicepresidente Di Primio, sulla questione della riforma costituzionale. A nostro giudizio, si tratta di un tema estremamente complesso, ma richiede che sia fatta chiarezza al più presto e condivido le preoccupazioni anche del presidente Tabacci su questo punto. Mi chiedo anche se nell'ambito del disegno di legge delega che il Governo ha presentato in Parlamento per il riordino di tutta la materia della legislazione in tema di energia, non si possa pensare di utilizzare questo tipo di provvedimento proprio per cercare di ridefinire la cornice dei principi fondamentali sulla base dei quali, in un momento successivo, il nuovo ordinamento possa cominciare in qualche modo a funzionare, fornendo quindi quegli elementi sostanziali su cui le singole regioni possano evidentemente esercitare la loro legislazione concorrente. Comunque, resta ferma l'esigenza di chiarire bene la portata ed il significato della nuova norma costituzionale, perché la sua stessa dizione, laddove si parla di "produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia", è quantomeno equivoca.

PRESIDENTE. Do nuovamente (e irritualmente) la parola, per un brevissimo intervento, al collega Vernetti.

GIANNI VERNETTI. Ancora una battuta rapidissima sulle riflessioni svolte in tema di articolo 117 della Costituzione. Il tanto atteso decreto "sblocca centrali" oggi è sostanzialmente arenato alla Conferenza Stato-regioni. In questa sede, le regioni contestano la potestà su questa materia del Governo e dello Stato, e reclamano titolo a intervenire, dicendo che faranno 21 "decretini sblocca centrali". Pertanto, a questo punto della nostra fase di indagine sui temi dell'energia, la materia è tale che mi sembra opportuno tenere un'audizione del ministro: anzi, la chiedo formalmente, perché si tratta di uno snodo importante.

PRESIDENTE. Ringrazio il collega Vernetti, che con il suo intervento ha rafforzato quanto detto. Sono molto grato ai rappresentanti dell'UNAPACE per questa audizione, per i documenti che ci hanno fornito e per quelli che riterranno di farci pervenire nel corso degli ulteriori approfondimenti che faremo.
Nel ringraziare ancora tutti i presenti per essere intervenuti, dichiaro conclusa l'audizione odierna.
La seduta termina alle 12.