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Riutilizzo di siero di latte: non è rifiuto

N° 908/2000 RG.PM. N° 188/2002 SENTENZA
N° 152/2002 RG Dibattimento
TRIBUNALE DI S. ANGELO DEI LOMBARDI

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi in composizione monocratica dott. Ferdinando LIGNOLA, all'udienza del 19 settembre 2002 ha pronunciato la seguente
SENTENZA nei confronti di
MOSCARIELLO Gerardo, nato a Montella il 3.7.50
GRANESE Michele, nato a Montella il 9.5.1952
LIBERI PRESENTI
IMPUTATI del reato p. p. dagli artt. 110 c.p. e 51 comma I D.Lvo n°22/97 perché, in concorso e previo accordo tra loro, il primo quale legale rappresentante del caseificio sito in Montella (AV) alla via Carbonara n°21 e il secondo quale titolare dell'azienda agricola ubicata in Montella (AV) alla via degli Asfodeli, effettuavano attività di smaltimento di rifiuti senza la prescritta autorizzazione. Invero, il liquido derivante dalla produzione dei formaggi (siero), all'interno del suindicato caseificio di Moscariello Gerardo, veniva poi conferito - tramite una cisterna dello stesso Moscariello - all'azienda agricola di Granese Michele, che lo utilizzava nell'alimentazione animale.
Reato accertato in Montella (AV), il 07.06.00
Con l'intervento del Pubblico Ministero V.P.O. avv. A.M Greco e del Difensore di fiducia avv. S. Moscariello.
CONCLUSIONI DELLE PARTI.
per l'accusa : condanna a 15.000€ di ammenda;
per la difesa : assoluzione perché il fatto non sussiste.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
A seguito di decreto di citazione a giudizio del 24.10.2001, Moscariello Gerardo e Granese Michele erano tratti innanzi a questo Tribunale per rispondere del reato di cui al capo di imputazione per l'udienza del 9 maggio 2002, udienza rinviata, in presenza degli imputati al 19.9.2002, per assenza dei testi del PM.
All'odierno dibattimento preliminarmente gli imputati chiedevano definirsi il procedimento con rito abbreviato, subordinando la richiesta all'acquisizione di documentazione (consulenza tecnica, referto di analisi, 12 fatture, precedenti giurisprudenziali e memoria difensiva).
Il Tribunale ammetteva gli imputati al rito abbreviato, acquisiva gli atti del fascicolo del Pubblico Ministero e la documentazione difensiva e disponeva procedersi in camera di consiglio; quindi le parti concludevano come riportato in epigrafe ed il Tribunale pronunciava sentenza come da dispositivo allegato al verbale di udienza, assegnando il termine di trenta giorni per la motivazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Gli imputati vanno assolti dal reato loro contestato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Secondo la prospettazione del Pubblico Ministero MOSCARIELLO Gerardo e GRANESE Michele eseguirono operazioni di smaltimento di rifiuti senza la prescritta autorizzazione, in violazione dell'art. 51, comma 1, D. Lvo 22/1997, consistite nella cessione da parte del primo, titolare di un caseificio in Montella al secondo, titolare di una azienda agricola, del liquido derivante dalla produzione dei formaggi (siero), utilizzato dal Granese nell'alimentazione animale.
Invero non vi è dubbio che nell'opificio del MOSCARIELLO, nel quale si effettuava quotidianamente la trasformazione di circa 300 litri di latte in formaggio, il liquido scaturito dalla produzione (cd. siero) fosse convogliato in una cisterna e ceduto a GRANESE Michele (per un corrispettivo di 5€ al quintale), il quale a sua volta lo utilizzava nell'alimentazione animale, in assenza di previa autorizzazione regionale. Depongono in tal senso in maniera univoca il verbale di accertamento dei Carabinieri di Montella del 7.6.2000 e le numerose fatture, già esibite ai Carabinieri in sede investigativa, prodotte dalla Difesa.
Nella prospettazione accusatoria la cessione del siero integra uno smaltimento di rifiuti non autorizzato, in violazione dell'art. 51 comma 1 del D. Lvo 22/1997.
La Difesa (confortata da una pronuncia del Tribunale di Sala Consilina del 4.2.2002) ha affermato la tesi secondo cui il siero del latte non potrebbe considerarsi nel novero dei rifiuti propriamente detti, difettando nella cessione del medesimo il requisito del disfarsi, richiesto dall'art. 6 del decreto 22/1997 (cd. decreto Ronchi). In tale prospettiva il siero costituirebbe invece un sottoprodotto, quale risultato collaterale, tecnologicamente inevitabile, rispetto al formaggio (che rappresenta il prodotto primario e di maggior pregio mercantile), oppure un semilavorato, da intendersi come ingrediente il quale, a seguito di ulteriori procedure tecnologiche, approdi alla condizione di prodotto finito.
Se allora in astratto il siero potrebbe considerarsi rifiuto, rientrante nella categoria 020500 (rifiuti dell'industria lattiero casearia, spec. 020599) di cui all'allegato A del decreto Ronchi, in concreto, non lo sarebbe nel caso in cui esso sia ceduto, in cambio di corrispettivo, ad un soggetto che ne faccia proficuo impiego in altra attività produttiva, non sussitendo il requisito del disfarsi della sostanza da parte del detentore.
È indubbiamente esatto che l'art. 6, 1° comma lett. a) del d.lgs. 22/97, richiede due fattori concorrenti, perché propriamente possa parlarsi di rifiuto.
Il primo elemento, che non ha mai suscitato particolari problemi di interpretazione, è il cd. criterio tabellare, ovvero l'appartenenza della sostanza ad una delle categorie individuate nell'allegato A: si tratta di un'elencazione aperta di carattere non tassativo, come palesemente si evince dai punti Q1 "residui di produzione in appresso non specificati" e Q16 "qualunque sostanza o materia che non rientri nelle categorie sopra elencate".
L'allegato A ha recepito il cd. catalogo europeo dei rifiuti (recentemente modificato, a partire dal 1 gennaio 2002), nei quali ad ogni categoria è collegato un codice CER; i rifiuti pericolosi, poi, sono contrassegnati da un asterisco.
Secondo elemento è dato dalla circostanza che della sostanza il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi; considerato allora che a norma della lettera d) del medesimo articolo 6 tutte le azioni successive connesse con il disfarsi di un rifiuto - raccolta, trasporto, recupero e smaltimento - rientrano tra le attività di gestione, è evidente che il legislatore ha inteso comprendere nell'ambito dei rifiuti anche i cd. "residui", ossia i rifiuti riutilizzabili.
In più occasioni, infatti, la Corte di Giustizia CE ha sconfessato la petizione di principio secondo cui ciò che è suscettibile di riutilizzazione economica non è rifiuto (CGCE, sez. VI, 25 giugno 1997, Tombesi ed altri, in Riv. pen. 1997, 622, secondo cui "la nozione di rifiuti, ai sensi dell`art. 1 della direttiva 75/442, nella sua versione originale, e della direttiva 78/319, non deve intendersi nel senso che essa esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Una normativa nazionale che adotti una definizione della nozione di rifiuti che esclude le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica non è compatibile con la direttiva 75/442, nella sua versione originale, e con la direttiva78/319. … Ne consegue che il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 75/442, come modificata, intende riferirsi a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo commerciale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo"; ancora CGCE, 18 dicembre 1997, C-129/96, rel. Sevon: "il mero fatto che una sostanza sia inserita in un processo di produzione industriale non la esclude dalla nozione di rifiuto"; CGCE, 15 giugno 2000, proc. riuniti c-418/97 e c-419/97, Arco, secondo cui "anche se un rifiuto è stato oggetto di un'operazione di recupero completo la quale comporti che la sostanza di cui trattasi ha acquisito le stesse proprietà e caratteristiche di una materia prima, cionondimeno tale sostanza può essere considerata un rifiuto se il detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene"; da ultima cfr. CGCE, sez. VI, 18 aprile 2002, proc. C-9/00, Granit Oy ed altro c. Lounais-Suomen); d'altronde, basterebbe considerare che le operazioni di recupero dei rifiuti altro non sono che forme di riutilizzazione dei medesimi.
Del resto il riferimento alla "destinazione all'abbandono" va inteso in senso oggettivo, non rilevando la singola volontà di disfarsi della sostanza o dell`oggetto; quindi, quando il residuo abbia il suddetto carattere, ogni successiva fase di smaltimento rientra nella disciplina del D.L.vo 5 febbraio 1997, n. 22. (Cass. pen., sez. III, 26 giugno 1997, n. 6222 - ud. 22 maggio 1997).
In presenza delle due citate condizioni, la nozione comprende anche i rifiuti allo stato liquido; essendo scomparso il concetto di scarico indiretto, alla luce del D.L.vo 11 maggio 1999, n. 152, e se per scarico si intende il riversamento diretto nei corpi recettori, quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido (Cass. pen., sez. III, 3 agosto 1999, n. 2358, in Riv. pen., 1999, n. 9).
Non possono esservi dubbi, a giudizio del Tribunale, che alla luce della normativa del D.Lvo 22/1997 anche il siero derivante dalla produzione del formaggio, ancorché dotato di un valore commerciale e raccolto a titolo commerciale a fine di riutilizzo, rientri nella nozione di rifiuto liquido.
In questo quadro normativo, però, è recentemente intervenuto il decreto legge 8 luglio 2002 n. 138 (cd. decreto omnibus), convertito nella legge di conversione n.178 dell'8.8.2002, il cui art. 14 disciplina la interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'art. 6, comma 1, lettera a) del DLgs 22/97.
Secondo la nuova normativa "le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modificazioni, di seguito denominato: "decreto legislativo n. 22", si interpretano come segue:
a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;
b) "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;
c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.
Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;
b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22".
Dunque per i rifiuti speciali non pericolosi (per i rifiuti pericolosi, a norma della lett. c) del primo comma, sussiste sempre "l'obbligo di disfarsi"), il comma 2 dell'art. 14 del decreto omnibus esplicita le due condizioni, in presenza delle quali, deve escludersi la presenza del rifiuto per il venir meno della decisione di disfarsi di esso.
La prima condizione da verificare è "se gli stessi (rifiuti) possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente" (comma 2 lett. a).
Sulla base di detta condizione, perciò, non ci si troverà in presenza di un rifiuto ogni qualvolta una sostanza od un oggetto, senza alcun intervento preventivo di trattamento, siano riutilizzati o reimpiegati nel ciclo produttivo e di consumo originario, o in uno analogo o diverso, quando cioè la sostanza o l'oggetto entrino in un nuovo ciclo produttivo successivo al primo, così come sono usciti da esso.
La seconda condizione indicata dalla lett. b) del medesimo comma, prevede che una sostanza o un oggetto non siano da considerare rifiuti, "quando gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n.22" (comma 2 lett.b).
La dottrina più sensibile alle tematiche ambientaliste ha subito censurato la nuova normativa, per l'evidente intento di limitazione dell'ambito applicativo del decreto Ronchi.
Si è in particolare censurato il provvedimento per il difetto del requisito della necessità ed urgenza, pure ritenuto sussistente dal Parlamento in sede politica.
Si è inoltre osservato che "è inaccettabile a livello istituzionale che il legislatore italiano detti norme di interpretazione autentica di una definizione contenuta nelle direttive U.E. quale è la definizione di rifiuto. È, cioè, di immediata evidenza che solo la U.E., in tutte le sue articolazioni (prima fra tutte la Corte europea di giustizia), può farlo. Di certo, peraltro, quella che può dare l'Italia non è autentica".
Del resto nella già citata sentenza Arco (CGCE, 15 giugno 2000, proc. riuniti c-418/97 e c-419/97) la Corte di Giustizia aveva affermato che "in mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario", e che "l'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva va … accertata alla luce del complesso delle circostanze tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia", con ciò escludendo il ricorso a presunzioni iuris et de iure per escludere determinate sostanze, materie od oggetti dall'ambito di applicazione della direttiva.
Dunque, in mancanza di disposizioni comunitarie specifiche relative alla prova dell'esistenza di un rifiuto, spetta al giudice nazionale applicare le norme in materia del proprio ordinamento giuridico, con il limite generale del rispetto della finalità e dell'efficacia della direttiva.
Per la parte che in questo processo rileva, dunque, bisogna chiedersi se pregiudichi la finalità e l'efficacia della direttive comunitarie in materia di rifiuti l'art. 14, comma 2, lettera a) del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito nella legge n.178 dell' agosto 2002: in caso di più possibili interpretazioni del testo normativo prodotto dagli organi nazionali andrà necessariamente adottata quella più adeguata a tale finalità.
In questo caso tale interpretazione è certamente quella più restrittiva.
Si possono ancora una volta ricordare le parole della Corte di Giustizia della C.E. (cfr. CGCE, sez. VI, 18 aprile 2002, proc. C-9/00, Granit Oy ed altro c. Lounais-Suomen, in ordine ai detriti derivanti dallo sfruttamento di una cava di granito), secondo cui "la questione di stabilire se una determinata sostanza sia un rifiuto deve essere risolta alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva 75/442 ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia … Il verbo disfarsi deve essere interpretato alla luce della finalità della direttiva 75/442 che, ai sensi del terzo considerando, è la tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti, ma anche alla luce dell'articolo 174, n. 2, CE, secondo il quale la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi della precauzione e dell'azione preventiva". In quella stessa decisione, relativa ai cd. sottoprodotti (definiti come beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione), la Corte ha ritenuto di circoscrivere tale argomentazione alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, ed avvenga nel corso del processo di produzione, valorizzando l'ipotesi in cui il detentore consegue un vantaggio economico nel farla.
Come già notato, allora, la "interpretazione autentica" dell'art. 14 non riguardi i rifiuti pericolosi compresi nell'elenco dell'allegato D (contrassegnati con asterisco nel nuovo CER, catalogo europeo dei rifiuti), che rientrano tassativamente tra quelli di cui il detentore ha l'obbligo di disfarsi attraverso una operazione di recupero o di smaltimento.
Con specifico riferimento alla norma che ci interessa, poi, va definita la nozione di riutilizzo, da intendersi come nozione diversa dal riciclaggio, dal recupero di materia prima e dal recupero energetico, disciplinate dalla normativa italiana e comunitaria. Depone in tal senso la lettera dell'art. 4 del D. L.vo 22/1997 (in particolare il comma 2) nel quale queste operazioni appaiono nettamente distinte e separate.
In questa ottica il riutilizzo del secondo comma dell'art. 14 riguarda, in coerenza simmetrica con il primo comma, solo operazioni diverse da quelle di vero e proprio recupero elencate nell'allegato C; tanto è vero che la lettera c) del secondo comma in esame parla di "riutilizzo" proprio nei casi in cui non si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C….
Dunque solo il reimpiego diretto, senza alcun trattamento preventivo (comma 2, lett. a), ovvero con un trattamento preventivo minimo e tale da non sfociare in una operazione tra quelle classificate dall'allegato C come vero e proprio recupero (comma 2, lett. b), né comprese tra quelle elencate come smaltimento nell'allegato B, può costituire riutilizzo.
Ai fini dell'applicazione dell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito nella legge 178 del 2002, riprendendo i principi giurisprudenziali affermati dalla Corte di Cassazione rispetto ai numerosi decreti legge in materia di residui, deve ritenersi allora necessario che vi sia la prova, da parte dell'imputato, della destinazione dei residui al riutilizzo, anche quando ciò avvenga ad opera di altri soggetti economici; la verifica andrà fatta in concreto e caso per caso, sulla scorta di circostanze oggettive e non solo in base alla oggettiva idoneità del materiale al trattamento, dovendosi diversamente considerare i residui veri e propri "rifiuti", sottoposti alla normativa per lo smaltimento; il riutilizzo, infine, dovrà essere inoltre totale ed avvenire in tempi ragionevoli.
Così interpretato l'art. 14, comma 2, lettera a) del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, va affermata la sua applicabilità al caso di specie, con conseguente esclusione dal novero dei rifiuti del siero caseario prodotto da Moscariello Gerardo e ceduto a Granese Michele.
Tale sostanza, infatti, rientra nella categoria CER 02 05 00 (rifiuti dell'industria lattiero-casearia; spec. 020599), non contrassegnata da asterisco e dunque non rientrante nel novero dei rifiuti speciali pericolosi.
Va precisato peraltro che, essendo il siero di latte contemplato nella parte A, capo II, paragrafo h), dell'allegato II al DLgs 17 agosto 1999, n. 360, se esso venga destinato alla produzione di mangimi, ossia quando il siero entri come materia prima in un processo produttivo di mangimi (in sostanza sia inviato ad una industria che produce mangimi), esso è sottratto alla disciplina del decreto Ronchi, e non costituisce rifiuto bensì sottoprodotto dell'industria agroalimentare. Quando invece, prima di essere impiegato, il siero debba essere trattato, oppure quando venga fornito direttamente come mangime, senza previa lavorazione, esso va considerato rifiuto a tutti gli effetti (in tal senso espressamente la nota dell'Ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente del 13 gennaio 2000 inviata ai presidenti delle Regioni E. Romagna, Marche, Piemonte, Sardegna, Veneto e alla Conferenza Stato/Regioni ).
La Difesa ha comunque dimostrato che il siero prodotto nell'opificio del MOSCARIELLO, nel quale si effettuava quotidianamente la trasformazione di circa 300 litri di latte in formaggio, era convogliato in una cisterna e ceduto a GRANESE Michele, il quale a sua volta lo utilizzava direttamente e senza alcun procedimento di trasformazione nell'alimentazione animale. Ciò si evince dal verbale di accertamento dei Carabinieri di Montella del 7.6.2000, dalle numerose fatture e dalla consulenza difensiva in atti.
Può ragionevolmente escludersi qualsiasi pregiudizio all'ambiente o pericolo per la salute umana: ciò non solo per la non pericolosità del residuo dell'industria lattiero-casearia, ma per il concreto utilizzo che della materia prima secondaria è stato fatto nel ciclo alimentare animale: come documentato dal referto di analisi prodotto dalla Difesa, il prodotto, ricco di proteine e lattosio, essendo altamente deperibile, va somministrato nell'arco delle 24 ore o comunque di 4 giorni, se conservato alla temperatura di 4°; il siero era poi conservato in apposite cisterne e quotidianamente ritirato dal GRANESE (cfr. schede mensili e fatture prodotte dalla Difesa).
Così stando le cose, potendosi in concreto ritenere soddisfatti i presupposti dell'art. 14, comma 2, lettera a) del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, convertito nella legge n.178 dell' agosto 2002, come interpretato alla luce della normativa comunitaria (riutilizzo in concreto, anche da parte di altri soggetti economici, totale ed in tempi ragionevoli; riutilizzo senza alcun pregiudizio all'ambiente o pericolo per la salute umana), gli imputati vanno assolti dal reato loro contestato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.
P.Q.M.
Letti gli artt. 530 c.p.p. assolve MOSCARIELLO Gerardo e GRANESE Michele del reato contestato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Assegna il termine di giorni 30 per la motivazione.
S. Angelo dei Lombardi, udienza del 19 settembre 2002
IL GIUDICE Dott. Ferdinando LIGNOLA