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TAR Friuli - Venezia Giulia, 26 maggio 2003 - sentenza n. 202 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, nelle persone dei magistrati:
Vincenzo Sammarco – Presidente
Enzo Di Sciascio - Consigliere
Vincenzo Farina – Consigliere relatore
ha pronunciato la seguente

s e n t e n z a


sui ricorsi riuniti nn. 298/02 e 299/02 propostI dalla società ABS ACCIAIERIE BERTOLI SAFAU s.p.a. , in persona dei legali rappresentanti, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Campeis e Luca De Pauli, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R. ;
 

c o n t r o:
A)QUANTO AL RICORSO n. 298/02:
-il Sindaco del Comune di Pozzuolo del Friuli, quale Ufficiale del Governo, non costituito in giudizio;
-il Comune di Pozzuolo del Friuli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Claudio Mussato, con domicilio eletto presso la Segreteria del T.A.R.;
- l’Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio;

e nei confronti della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, non costituita in giudizio;
A)QUANTO AL RICORSO n. 299/02:
- la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Enzo Bevilacqua, Avvocato della Regione, con domicilio eletto presso l’Ufficio Legislativo e Legale della Regione stessa;
- la Prefettura di Udine, in persona del Prefetto, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege;

e nei confronti
del Comune di Pozzuolo del Friuli, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
- l’Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio;

per l’annullamento:
A)QUANTO AL RICORSO n. 298/02:

a) dell’ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002, con la quale è stato disposto che la società ricorrente provveda in via d’urgenza e con effetto immediato a ridurre drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto, e se del caso alla chiusura immediata del forno E.A.F.;

b) della presupposta nota n. 4 della Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, con la quale veniva rappresentata agli Organi competenti – ed in primis al Comune di Pozzuolo del Friuli – la esigenza che la società ricorrente riducesse drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie(segnatamente: congiuntiviti ed irritazioni alle vie aeree superiori) ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto;

c) di tutti gli altri atti a tali provvedimenti comunque connessi, presupposti e conseguenti;

e per il risarcimento
dei danni tutti patiti e patiendi dalla società ricorrente a fronte e a cagione dei provvedimenti impugnati e/o della conseguente attività e/o dei conseguenti comportamenti degli Enti resistenti;

A)QUANTO AL RICORSO n. 299/02:

a) della deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002, con la quale è stato intimato alla società ricorrente di effettuare interventi di completa ristrutturazione del sistema di captazione dei fumi del forno EAF, e di sospendere , in via cautelativa, l’attività del forno EAF fino al completamento degli interventi di cui sopra;

b) della nota della Prefettura di Udine n. 27346/15.5/Gab. del 21.5.2002, con la quale il Prefetto ha invitato la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia a diffidare la società ricorrente ad adottare misure atte ad adeguare l’impianto produttivo alle prescrizioni legislative;

c) della relazione prot. UD/INAT/485-13 in data 28.5.2002 del Servizio della tutela dell’inquinamento atmosferico, acustico ed ambientale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con la quale veniva rilevato che la società ricorrente non aveva ottemperato alle prescrizioni imposte dalla Regione, intese ad evitare la fuoriuscita di emissioni diffuse dal reparto acciaieria, e veniva, quindi, prospettata la esigenza che venisse intimata alla società medesima la adozione di misure idonee;

e per il risarcimento
dei danni tutti patiti e patiendi dalla società ricorrente a fronte e a cagione dei provvedimenti impugnati e/o della conseguente attività e/o dei conseguenti comportamenti degli Enti resistenti;

Visti i ricorsi, ritualmente notificati e depositati presso la Segreteria generale con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti delle cause;

Data per letta alla pubblica udienza del 18.4.2003 la relazione del consigliere Vincenzo Farina ed uditi i difensori delle parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
 

f a t t o


A sostegno del ricorso n. 298/02 la ricorrente ha dedotto i seguenti mezzi:

1. Violazione di legge(art. 3 e artt. 7 ss. l. 7 agosto 1990, n. 241)- Difetto di motivazione- Violazione del principio del giusto procedimento.
La ricorrente lamenta che non le sia stata data comunicazione dell’avvio del procedimento, in spregio alle disposizioni rubricate.

2. Eccesso di potere- Contraddittorietà con precedente provvedimento della stessa amministrazione-Violazione di legge(art.3 l. 7 agosto 1990, n. 241)- Difetto di motivazione.
L’impugnato provvedimento confliggerebbe con un precedente atto della stessa Autorità.

3. Eccesso di potere- Difetto di istruttoria e di motivazione- Violazione di legge(artt. 1 e 3 l. 7 agosto 1990, n. 241)- Illegittimità derivata.
La ricorrente contesta, sotto i profili rubricati, i provvedimenti impugnati.

4. Violazione di legge(art.3 l. 7 agosto 1990, n. 241)- Difetto di motivazione.Motivazione perplessa, contraddittoria, insufficiente.
Il provvedimento sindacale impugnato sarebbe affetto dagli ulteriori vizi rubricati.

5. Eccesso di potere- Motivazione perplessa e generica, con specifico riferimento alla parte dispositiva del provvedimento sindacale impugnato.
 

6. Violazione di legge(artt. 50 e 54 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267)- Violazione di legge (art. 10 D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203)-Incompetenza.
Il Sindaco avrebbe assunto un atto di competenza regionale.

8. Violazione di legge(artt. 844 c.c.) - Carenza di potere-Difetto di legittimazione attiva della situazione soggettiva azionata-Sviamento.
Il Sindaco si sarebbe, in realtà, fatto portatore di un interesse diffuso.
Si è costituito in giudizio l’intimato Comune di Pozzuolo del Friuli, chiedendo il rigetto del gravame.
 

A sostegno del ricorso n. 299/02 l’istante ha dedotto i seguenti motivi:

1. Violazione di legge(art. 3 e artt. 7 ss. l. 7 agosto 1990, . 241)- Difetto di motivazione- Violazione del principio del giusto procedimento.
La ricorrente lamenta che non le sia stata data comunicazione dell’avvio del procedimento, in spregio alle disposizioni rubricate.

2. Violazione di legge(art. 10 D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203- D.P.C.M. 28 marzo 1983) - Travisamento sotto ulteriore profilo.
La gravata deliberazione regionale si reggerebbe su presupposti – di fatto e di diritto – insussistenti.

4. Violazione di legge(art. 10, comma 1, lett. b) D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203).
La ricorrente nega di aver violato le prescrizioni imposte dalla Regione per ridurre le emissioni in atmosfera.

5. Violazione di legge(art. 10, comma 1, lett. b) D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203).
La Regione avrebbe imposto indebitamente un facere alla ricorrente.

6. Eccesso di potere – Violazione del principio di proporzionalità e del minimo mezzo- Difetto dei presupposti.
La Regione non avrebbe preso in esame soluzioni alternative.

7. Eccesso di potere – Difetto di istruttoria- Violazione di legge(art. 10, comma 1, lett. b) D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203). Difetto dei presupposti.
La Regione non avrebbe considerato gli effetti negativi derivanti per l’occupazione dal provvedimento impugnato.

8. Illegittimità derivata- Eccesso di potere- Travisamento di fatto – Difetto di istruttoria.
I presupposti – di fatto e di diritto – posti alla base dell’atto impugnato sarebbero insussistenti od erronei.

9. Illegittimità derivata- Eccesso di potere- Travisamento- Difetto di istruttoria.
La impugnata nota prefettizia sarebbe inficiata dai vizi rubricati.

10. Illegittimità derivata- Eccesso di potere- Travisamento- Difetto di istruttoria.Violazione di legge(art. 3 l. 7 agosto 1990, . 241 – art. 4 l.r. 20 marzo 2000, n. 7).
La impugnata relazione del 28.5.2002 sarebbe affetta dai vizi suindicati.

Si sono costituiti in giudizio le intimate Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e Prefettura di Udine.
 

D I R I T T O


1. I ricorsi rubricati con i nn. 298/02 e 299/02 vanno riuniti stante il rapporto di connessione che li lega.

Il ricorso n. 298/02 è volto alla caducazione: 1)dell’ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002, con la quale è stato disposto che la società ricorrente provveda in via d’urgenza e con effetto immediato a ridurre drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto, e se del caso alla chiusura immediata del forno E.A.F.;

b) della presupposta nota n. 4 della Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, con la quale veniva rappresentata agli Organi competenti – ed in primis al Comune di Pozzuolo del Friuli – la esigenza che la società ricorrente riducesse drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie(segnatamente: congiuntiviti ed irritazioni alle vie aeree superiori) ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto;

c) di tutti gli altri atti a tali provvedimenti comunque connessi, presupposti e conseguenti.

La ricorrente ha chiesto, altresì, il risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi a fronte e a cagione dei provvedimenti impugnati e/o della conseguente attività e/o dei conseguenti comportamenti degli Enti resistenti.

Ragioni di economia processuale inducono il Collegio ad esaminare congiuntamente tutti i mezzi.

Come si è visto, con la gravata ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002, è stato disposto che la società ricorrente provveda “in via d’urgenza e con effetto immediato[……] a ridurre drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto[…….], “e se del caso” disponga “la chiusura immediata del forno E.A.F”.

La ordinanza, adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (recante il “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”), nelle premesse, dopo aver rievocato i precedenti della vicenda, caratterizzata peculiarmente dalla debolezza del sistema di captazione dei fumi dell’impianto produttivo(specificatamente del forno “EAF”), tale da provocare emissioni in atmosfera asseritamente nocive per la salute(segnatamente: congiuntiviti ed irritazioni alle vie aeree superiori), nonché dalle iniziative all’uopo poste in essere dagli Organi competenti(Regione, ARPA, Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri, Azienda socio sanitaria) onde far sì che la Ditta ovviasse agli inconvenienti suddetti, ha disposto le cennate misure ravvisando “l’urgenza e la contingibilità di porre fine ai gravi disagi lamentati dalla popolazione”.

In particolare, la ordinanza richiamava la impugnata nota n. 4 della Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, con la quale veniva rappresentata agli Organi competenti – ed in primis al Comune di Pozzuolo del Friuli – la esigenza che la società ricorrente riducesse drasticamente la “persistente fuoriuscita di emissioni diffuse” dal sito industriale, in modo da non arrecare molestie(segnatamente: congiuntiviti ed irritazioni alle vie aeree superiori) ed “eventuali” danni alla salute della popolazione circostante l’impianto.

La nota – a sostegno di quanto rappresentato - si rifaceva genericamente ai “disturbi lamentati dalla popolazione residente nelle vicinanze dell’acciaieria ABS e documentati da idonea certificazione medica visionata presso il comando NOE di Udine”.

Ciò posto, il Collegio osserva che il suaccennato art. 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 è così formulato:” Competenze del sindaco e del presidente della provincia.

1. Il sindaco e il presidente della provincia sono gli organi responsabili dell'amministrazione del comune e della provincia. [*….]

4. Il sindaco esercita altresì le altre funzioni attribuitegli quale autorità locale nelle materie previste da specifiche disposizioni di legge.

5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. Negli altri casi l'adozione dei provvedimenti d'urgenza, ivi compresa la costituzione di centri e organismi di referenza o assistenza, spetta allo Stato o alle regioni in ragione della dimensione dell'emergenza e dell'eventuale interessamento di più ambiti territoriali regionali. […….]”.

Il successivo art. 54 così recita: “ Attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale. [……..]

2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; per l'esecuzione dei relativi ordini può richiedere al prefetto, ove occorra, l'assistenza della forza pubblica. […….]”.

La gravata ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n. 8620 del 24.5.2002 appartiene al genus delle ordinanze contingibili ed urgenti di cui alle disposizioni testè riportate.

Sembra opportuno, preliminarmente, inquadrare concettualmente la natura e lo spettro operativo delle ordinanze in parola.

Questi atti sono emanati in presenza di una situazione di urgenza e necessità, il cui contenuto(come si è visto) non è predeterminato dalla legge, ma si adegua in concreto ai tratti dell'emergenza sulla quale si vuole intervenire: ciò al fine di consentire all'ordinanza quei margini di elasticità indispensabili per garantirne efficacia ed efficienza.

Il principio di legalità, in questi casi, è compresso nei limiti massimi concessi dall'ordinamento e la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti si traduce nell'indicazione legislativa dei soli caratteri della situazione - di necessità ed urgenza - che costituisce il presupposto della misura adottata.

Nel caso di cui alla attuale controversia, trattasi di una urgenza collegata alla tutela della salute pubblica.

L'eccezionalità e la “elasticità” di questi provvedimenti non solo li sottopone a limiti rigorosi, facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire amministrativo, ma esige che, in concreto, la loro adozione sia preceduta da tutte le garanzie richieste dall'ordinamento, purché siano compatibili con i presupposti ed i requisiti dell'atto.

Tra i requisiti di validità delle ordinanze contingibili ed urgenti si annovera, secondo insegnamenti pacifici, la fissazione di un termine di efficacia del provvedimento.

In più recenti pronunce si è affermato, in particolare, che tali ordinanze, oltre al carattere della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente, presentano quello della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata.

Di tal che non si ammette che l'ordinanza venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti, ovvero per regolare stabilmente una situazione od un assetto di interessi (Cfr., Cons. Stato, IV Sez., 13 dicembre 1999, n. 1844; V Sez. 30 novembre 1996, n. 1448).

In altri casi si è pure ammesso che le ordinanze di necessità ed urgenza possano produrre effetti non provvisori. Si ritiene che non sia la provvisorietà a connotarle, ma la necessaria idoneità delle misure imposte ad eliminare la situazione di pericolo che ne giustifica l'adozione, e che, in definitiva, tali misure possano essere tanto definitive quanto provvisorie, a seconda del tipo di rischio da fronteggiare (Cfr., Cons. Stato, V Sez., 29 luglio 1998, n. 1128).

Quest'ultima affermazione non è un segnale di incoerenza con i principi generali dapprima esposti, bensì la conferma della elasticità che caratterizza necessariamente questi provvedimenti, congegnati dal Legislatore in termini di atipicità proprio allo scopo di renderli adeguati a provvedere al caso di urgenza.

In sintesi, la regola è quella per cui l'ordinanza deve contenere l'apposizione di un termine, ma tale regola potrebbe anch'essa venir derogata quando, per la peculiarità del caso concreto, la misura urgente presenti l'eccezionale attitudine a produrre conseguenze non provvisorie.

Questa ipotesi eccezionale ricorre nel caso in esame.

L'emergenza denunciata dal Sindaco è quella della tutela della salute pubblica, con riferimento alla elevata soglia di inquinamento ambientale asseritamente provocato dalle emissioni della industria ricorrente.

La misura auspicabile ed effettivamente imposta nell'ordinanza non costituisce affatto un rimedio provvisorio e contingente, né si tratta di un rimedio che, pur dichiaratamente urgente ed immediato, è suscettibile di produrre solo eccezionalmente effetti duraturi.

Si tratta, in realtà, di una soluzione definitiva del problema, che implica la adozione di misure radicali, sufficienti ad eliminare la situazione di pericolo per la collettività residente in prossimità del complesso industriale.

Ora, non sembra fondatamente contestabile che, sotto il profilo motivazionale, entrambi gli atti impugnati, ossia la ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002, e la nota n. 4 della Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, richiamata dalla ordinanza a sostegno della misura adottata, siano censurabili.

Ed invero, si è detto che l’ art. 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 stabilisce che:” 5. In particolare, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale. [……]”.

Il successivo art. 54 così recita: “ Attribuzioni del sindaco nei servizi di competenza statale. [……..]

2. Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato e nel rispetto dei princìpi generali dell'ordinamento giuridico, provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini; […….]”.

Si è anche detto che le ordinanze in questione sono emanate per provvedere in una situazione di urgenza e necessità, il cui contenuto(come si è visto) non è predeterminato dalla legge, ma si adegua in concreto ai tratti dell'emergenza sulla quale si vuole intervenire.

La caratteristica di tali provvedimenti è, per l’appunto, la mancanza di ogni predeterminazione legislativa del contenuto: ciò al fine di consentire all'ordinanza quei margini di elasticità indispensabili per garantire efficacia ed efficienza.

Si è, altresì, sottolineato che il principio di legalità, in questi casi, è compresso nei limiti massimi concessi dall'ordinamento e la deroga al principio di tipicità dei provvedimenti si traduce nell'indicazione legislativa dei soli caratteri della situazione - di necessità ed urgenza - che costituisce il presupposto della misura adottata. L'eccezionalità e la “elasticità” di questi provvedimenti li sottopone a limiti rigorosi, facendone una misura ultimativa, una vera e propria extrema ratio dell'agire amministrativo.

Dalle suesposte considerazioni deriva che la gravata ordinanza avrebbe dovuto offrire una dimostrazione rigorosa ed inconfutabile dell’ “emergenza sanitaria” (art. 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267), o, comunque, dei “gravi pericoli” che minacciavano l'incolumità dei cittadini(art. 54 D.Lgs. cit.).

In buona sostanza, il Sindaco avrebbe dovuto dare incontrovertibile contezza della contingibilità, intesa come urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente.

Ciò non è avvenuto.

In realtà, il Sindaco si è limitato a riferire genericamente dei “gravi disagi lamentati dalla popolazione”, sulla base della nota n. 4 della Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, la quale postulava la esigenza che la società ricorrente riducesse drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie(segnatamente: congiuntiviti ed irritazioni alle vie aeree superiori) ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto.

Il Sindaco non ha dimostrato la sussistenza di una situazione sanitaria, riguardante la comunità locale, talmente grave – di emergenza, per l’appunto - da richiedere la assunzione della misura adottata.

La gravità – ritiene il Collegio – non può essere ricondotta a molestie che “non superano la normale tollerabilità”, secondo il paradigma dell’art. 844, comma 1 del Codice civile: disposizione questa che si ritiene applicabile – in quanto espressiva di un principio generale - nella fattispecie in esame; eppertanto, anche sotto questo profilo, si imponeva una dimostrazione particolarmente stringente e circostanziata, segnatamente per quello che riguardava il superamento del parametro della “normale tollerabilità”.

Così non è stato.

Le medesime considerazioni possono essere svolte per quanto riguarda la ripetuta nota n. 4, che parla genericamente di “disturbi lamentati dalla popolazione residente nelle vicinanze dell’acciaieria ABS e documentati da idonea certificazione medica visionata presso il comando NOE di Udine”.

Non solo.

La ordinanza sindacale, come si è detto, nella parte dispositiva ha stabilito che la società ricorrente provvedesse “in via d’urgenza e con effetto immediato[……] a ridurre drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto[…….], “e se del caso” disponesse “la chiusura immediata del forno E.A.F”.

Pertanto, il Sindaco nella parte provvedimentale vera e propria, non ha posto alla base della misura adottata la gravità della situazione, come doveva, ma una semplice indefinita situazione di “molestie”, ed una altrettanto apodittica situazione di pericolosità per la salute.

Non si può, inoltre, non rilevare che la stessa misura disposta(“la drastica riduzione delle emissioni diffuse” e la eventuale chiusura del forno) appare generica: anche perché, per l’appunto, non è stata appropriatamente chiarita la situazione pregiudizievole di riferimento.

Oltretutto, la locuzione “eventuali danni alla salute” sta ad indicare una situazione di assoluta incertezza circa il verificarsi di detti “danni”.

Da ultimo, va significativamente sottolineato che, come dedotto dalla ricorrente, il Sindaco, con la lettera prot. n. 8390 del 22.5.2002 inviata agli Organi competenti, concernente le emissioni in atmosfera delle acciaierie ABS, aveva ritenuto (tra l’altro) che non sussistessero i presupposti per l’adozione di una ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267: in ciò confortato da un parere legale, da una nota della Azienda per i Servizi sanitari n. 4 “Medio Friuli”, nonché da una nota della Regione.

Solo due giorni dopo, cioè il 24.5.2002, il Sindaco adottava la gravata ordinanza: senza che fossero intervenuti – in questi due giorni – fatti nuovi che imponessero un riesame della situazione.

La contraddittorietà del comportamento sindacale è palese e non merita ulteriori approfondimenti.

E’ appena il caso di dire che questo comportamento comprova in modo inconfutabile l’intrinseca debolezza delle motivazioni poste alla base della ordinanza.

Alla luce delle suesposte osservazioni – assorbiti gli altri mezzi – il ricorso va accolto e gli impugnati provvedimenti vanno caducati.

Quanto alla domanda di risarcimento del danno ex art. 35 del D.Lgs. 31 marzo 1998 n. 80, ora novellato dall’art.7,comma 3 della legge 21 luglio 2000, n. 205, per l’illegittima assunzione dei provvedimenti impugnati, il Collegio osserva, innanzitutto, che la disposizione invocata prevede che il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli artt. 33 e 34, «dispone anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto ».

L'art. 35 dà in sostanza veste normativa alla clausola generale di responsabilità, espressiva di un principio fondamentale dell'ordinamento(neminem laedere), secondo cui la lesione contra ius arrecata alla posizione giuridica soggettiva altrui (qualsivoglia essa sia), se produttiva di effetti dannosi, direttamente o indirettamente patrimoniali, obbliga chi ha causato il danno al ripristino della posizione lesa, attraverso la reintegrazione delle utilità perdute o in forma specifica o mediante la corresponsione di una somma di denaro.

Occorre,al riguardo,prendere le mosse dai principi enucleati dalla Suprema Corte di Cassazione con la fondamentale sentenza delle Sezioni Unite 22 luglio 1999,n.500.

Essa parte dalla considerazione che :”La normativa sulla responsabilita' aquiliana ex art. 2043 c.c. ha la funzione di consentire il risarcimento del danno ingiusto,intendendosi come tale il danno arrecato non iure, il danno, cioe', inferto in assenza di una causa giustificativa, che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed, in particolare, senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo. Peraltro, avuto riguardo al carattere atipico del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c., non e' possibile individuare in via preventiva gli interessi meritevoli di tutela: spetta, pertanto, al giudice, attraverso un giudizio di comparazione tra gli interessi in conflitto, accertare se, e con quale intensita', l'ordinamento appresta tutela risarcitoria all'interesse del danneggiato, ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili, manifestando, in tal modo, una esigenza di protezione. Ne consegue che anche la lesione di un interesse legittimo, al pari di quella di un diritto soggettivo o di altro interesse giuridicamente rilevante, puo' essere fonte di responsabilita' aquiliana, e, quindi, dar luogo a risarcimento del danno ingiusto, a condizione che risulti danneggiato, per effetto dell'attivita' illegittima della p.a., l'interesse al bene della vita al quale il primo si correla, e che detto interesse risulti meritevole di tutela alla stregua del diritto positivo”.

Ciò posto,la sentenza ha stabilito,in particolare che,ai fini della decisione sulla domanda risarcitoria, ex art. 2043 c.c. nei confronti della p.a. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica,il giudice dovrà “ procedere, in ordine successivo, alle seguenti indagini: a) in primo luogo, dovra' accertare la sussistenza di un evento dannoso; b) dovra', poi, stabilire se l'accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l'ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) dovra', inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l'evento dannoso sia riferibile ad una condotta della p.a.; d) infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilita' della p.a.: tale imputazione non potra' avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimita' del provvedimento amministrativo[..........] richiedendo[......] una piu' penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilita' aquiliana. La sussistenza di tale elemento sara' riferita non al funzionario agente, ma alla p.a. come apparato, e sara' configurabile qualora l'atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialita', correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalita' amministrativa”.

Per quel che riguarda,in particolare,la pretesa risarcitoria susseguente all’annullamento di un atto lesivo degli interessi legittimi oppositivi, come nel caso di cui alla attuale controversia, la sentenza ha statuito che: ” Per quanto concerne gli interessi legittimi oppositivi, potrà ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell'interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio conseguente all'illegittimo esercizio del potere. Cosi confermando, nel risultato al quale si perviene, il precedente orientamento, qualora, il detto interesse sia tutelato nelle forme del diritto soggettivo, ma ampliandone la portata nell'ipotesi in cui siffatta forma di tutela piena non sia ravvisabile e tuttavia l'interesse risulti giuridicamente rilevante nei sensi suindicati”.

Alla luce dei suesposti principi è da escludersi la tutela risarcitoria chiesta dalla ricorrente sulla base del pregiudizio patito, rispettivamente, in termini di immagine professionale ed in termini patrimoniali.

Sotto quest’ultimo profilo la ricorrente ha lamentato il danno derivante dalla chiusura dell’impianto(dal 28.5.2002 al 14.6.2002, data del decreto del Direttore regionale dell’Ambiente n. AMB/508-UD/INAT/485-13 del 14.6.2002, di cui si parlerà più oltre, in sede di esame del ricorso n. 299/02), allegando, all’uopo, una apposita relazione in data 25.3.2003, che indica un danno complessivo di €. 1.743.466,21.

Il Collegio rileva che la deducente, nell'affermare che dal comportamento del Comune discende in via immediata il danno (che essa quantifica partendo dal presupposto della “fermata” del forno EAF dal 28.5.2002 al 14.6.2002), omette di considerare che - come si è visto - con la gravata ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002, è stato disposto che la società ricorrente provveda “in via d’urgenza e con effetto immediato[……] a ridurre drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto[…….], “e se del caso” disponga “la chiusura immediata del forno E.A.F”.

La “chiusura immediata del forno E.A.F” rappresentava, pertanto, un provvedimento eventuale(ed estremo): il Sindaco, in realtà, aveva ordinato, prioritariamente, che la società ricorrente provvedesse “in via d’urgenza e con effetto immediato[……] a ridurre drasticamente le emissioni diffuse in modo da non arrecare molestie ed eventuali danni alla salute della popolazione circostante l’impianto[…….]”.

Non è possibile addebitare al Comune la responsabilità per l’adozione da parte della ricorrente di un provvedimento del tutto secondario e residuale rispetto al primo.

Oltretutto, la deducente non ha dato contezza delle ragioni per cui non ha proceduto a ridurre drasticamente le emissioni diffuse, ma ha disposto senza indugio la chiusura immediata del forno E.A.F in base alla ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002.

In realtà, la chiusura immediata del forno E.A.F(più esattamente: la sospensione , in via cautelativa, dell’attività del forno in parola) è stata disposta con la deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002, impugnata con il ricorso n. 299/02.

Ne discende che il danno doveva essere fatto risalire alla deliberazione testè citata, e non alla ordinanza sindacale.

In via subordinata, il danno vantato dalla istante va escluso, in quanto la cennata relazione in data 25.3.2003 non appare sorretta da idonei elementi probatori, risolvendosi, in buona sostanza, nella mera elencazione di una serie di voci cui corrispondono determinati importi.

Quanto al danno all’”immagine” della Ditta, anch’esso non merita tutela risarcitoria, dato che non può di certo sostenersi – anche per la mancanza di riscontri probatori certi - che dalla gravata ordinanza del Sindaco di Pozzuolo del Friuli n. 52, prot. n.8620 del 24.5.2002 siano derivati i “rilevantissimi danni alla immagine professionale” di cui parla la ricorrente; il riferimento alla diffusione della vicenda ad opera della stampa non comprova, poi, l’assunto attoreo, trattandosi di un fatto estrinseco alla vicenda stessa, insuscettibile di impingere sull’aspetto risarcitorio.

2. Il gravame n. 299/02 è diretto all’annullamento: a) della deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002, con la quale è stato intimato alla società ricorrente di effettuare interventi di completa ristrutturazione del sistema di captazione dei fumi del forno EAF(punto 1), e di sospendere , in via cautelativa, l’attività del forno EAF fino al completamento degli interventi di cui sopra(punto 2);

b) della nota della Prefettura di Udine n. 27346/15.5/Gab. del 21.5.2002, con la quale il Prefetto ha invitato la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia a diffidare la società ricorrente ad adottare misure atte ad adeguare l’impianto produttivo alle prescrizioni legislative;

c) della relazione prot. UD/INAT/485-13 in data 28.5.2002 del Servizio della tutela dell’inquinamento atmosferico, acustico ed ambientale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con la quale veniva rilevato che la società ricorrente non aveva ottemperato alle prescrizioni imposte dalla Regione, intese ad evitare la fuoriuscita di emissioni diffuse dal reparto acciaieria, e veniva, quindi, prospettata la esigenza che venisse intimata alla società medesima la adozione di misure idonee.

La ricorrente ha chiesto, altresì, il risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi a fronte e a cagione dei provvedimenti impugnati e/o della conseguente attività e/o dei conseguenti comportamenti degli Enti resistenti.

Come eccepito dalla resistente Regione, il gravame è divenuto improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, posto che il punto 1) della parte dispositiva della deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002, pur rimanendo formalmente in vita, è stato profondamente modificato rispetto alla sua originaria formulazione con il decreto del Direttore regionale dell’Ambiente n. AMB/508-UD/INAT/485-13 del 14.6.2002, non impugnato dalla ricorrente; il punto 2), che, a detta della ricorrente, le ha arrecato un grave danno, è stato, poi, completamente sostituito dal medesimo decreto.

Come si è visto, con la deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002 era stato intimato alla società ricorrente di effettuare interventi di completa ristrutturazione del sistema di captazione dei fumi del forno EAF(punto 1), e di sospendere , in via cautelativa, l’attività del forno EAF fino al completamento degli interventi di cui sopra(punto 2).

La ricorrente, tuttavia, sostiene (v. memoria del 2.4.2003) di conservare un interesse – di natura morale e risarcitoria - all’accertamento della illegittimità del punto 2) della parte dispositiva della deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002.

Quanto al primo aspetto, il Collegio non ravvisa gli estremi di un “interesse morale”, dato che esso è stato genericamente individuato dalla ricorrente in non meglio chiariti “giudizi e valutazioni(ulteriormente specificati e <<rincarati>> negli scritti difensivi della Regione!) per sé molto pesanti per ABS S.p.a. e per la sua immagine imprenditoriale”.

Circa il secondo aspetto(quello risarcitorio), il Collegio osserva che, alla stregua dei principi generali desumibili anche dalla legge 21 luglio 2000, n. 205, non è proponibile l'azione di risarcimento danni nei confronti della Pubblica amministrazione che non sia stata preceduta dall'annullamento degli atti asseritamente illegittimi(Cfr. Cons.St., Ad. plen., 26 marzo 2003, n. 4; IV, 15 febbraio 2002, n. 952; VI, 18 giugno 2002, n. 3338; T.A.R. Campania, 8 febbraio 2001, n. 603; T.A.R. Friuli-Venezia Giulia, 23 aprile 2001, n. 179 e 26 luglio 1999, n. 903; T.A.R. Puglia, Lecce, 16 aprile 1999, n. 416): nella fattispecie questo presupposto non si è realizzato.

Tuttavia, il Collegio ritiene che nel caso di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse possa farsi luogo – ai fini di stabilire la risarcibilità del danno - al principio della c.d.soccombenza virtuale, applicabile di norma per le spese di giudizio.

Ora, se si applica nel caso di specie questo principio, è a dire che il punto 2) della parte dispositiva della deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002 si sottrae ai rilievi attorei.

Il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203(recante: “Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell'aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell'art. 15 della L. 16 aprile 1987, numero 183”), all’art. 10, ha previsto che: “ 1. In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie, l'autorità regionale competente procede secondo la gravità delle infrazioni:

a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le irregolarità;

b) alla diffida e contestuale sospensione della attività autorizzata per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute e/o per l'ambiente;

c) alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'impianto, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo e di danno per la salute e/o per l'ambiente”.

Nella fattispecie, con la deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002 era stato intimato alla società ricorrente di effettuare interventi di completa ristrutturazione del sistema di captazione dei fumi del forno EAF(punto 1), e di sospendere , in via cautelativa, l’attività del forno EAF fino al completamento degli interventi di cui sopra(punto 2).

Questa sospensione, osserva il Collegio, è ascrivibile al paradigma dell’art. 10, comma 1, lett. b) del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, posto che si erano manifestate situazioni di pericolo per la salute e/o per l'ambiente.

Queste situazioni sono state puntualmente indicate nelle premesse della deliberazione n. 1866/2002: esse sono, oltre a quelle segnalate dall’ARPA , dalla Regione, dal Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri, nonché dalla competente Azienda socio sanitaria, anche quelle di cui ai provvedimenti impugnati con il ricorso n. 298/02 sopra esaminato.

Vero è che questi provvedimenti sono stati ritenuti illegittimi dal Collegio perché viziati per difetto di motivazione; purtuttavia, essi non costituiscono – de plano – atti presupposti – in senso tecnico-giuridico - rispetto alla deliberazione n. 1866/2002, ma meri antecedenti storici, che ne hanno determinato l’adozione insieme ad altri fatti ed atti.

In ogni caso, non è fondatamente disconoscibile che l’Autorità regionale agente non fosse tenuta a sindacare i suddetti provvedimenti, ben potendo limitarsi a prenderne atto.

Circa la censura afferente la mancata indicazione del termine della sospensione dell’attività del forno, osserva il Collegio che in realtà la

sospensione della attività autorizzata è stata disposta per un tempo determinato, come vuole il citato art. 10, comma 1, lett. b) del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203: la sospensione è stata rapportata , infatti, al “completamento degli interventi” di cui al punto 1).

In definitiva, il punto 2) della parte dispositiva della deliberazione della Giunta regionale n. 1866 del 29.5.2002 appare immune da vizi.

Non può avere ingresso, quindi, la richiesta risarcitoria; anche perché difetterebbe comunque l’elemento soggettivo della colpa, non potendosi ravvisare nel comportamento regionale una violazione delle regole di imparzialita', correttezza e buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l'esercizio della funzione amministrativa, e che il giudice ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalita' amministrativa.

3. In conclusione, alla stregua delle complessive considerazioni che precedono, il ricorso n. 298/02 va accolto; il ricorso n. 299/02 va dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse; va rigettata la domanda di risarcimento del danno proposta con i due ricorsi.

4. Le spese dei due giudizi riuniti possono essere compensate nella loro integralità, sussistendone le giuste ragioni.


p. q. m.


il Tribunale amministrativo regionale del Friuli - Venezia Giulia, definitivamente pronunziando sui ricorsi nn. 298/02 e 299/02 in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, li

riunisce;
accoglie il ricorso n. 298/02, e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati, meglio specificati in epigrafe;
dichiara improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse il ricorso n. 299/02;
rigetta la domanda di risarcimento del danno proposta con i due ricorsi.
 

Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste, in camera di consiglio, il 18.4.2003 .
f.to Vincenzo Sammarco - Presidente
f.to Vincenzo Farina - Estensore
f.to Eliana Nardon - Segretario
Depositata nella segreteria del Tribunale il 26 maggio 2003
f.to il Segretario Generale