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SENTENZA DELLA CORTE (Sesta Sezione). 8 novembre 2001. «Inadempimento di uno Stato - Attuazione inadeguata della direttiva 91/676/CEE - Protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole»

Nella causa C-127/99,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. P. Stancanelli, in qualità di agente, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dal prof. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. P.G. Ferri, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

avente ad oggetto un ricorso mirante a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso:

- di predisporre uno o più programmi d'azione con i caratteri e alle condizioni previste all'art. 5 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE [1], relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GU L 375, pag. 1),

- di svolgere in maniera completa e corretta i controlli previsti all'art. 6 della stessa direttiva, e

- di elaborare e comunicare una relazione completa ai sensi dell'art. 10 della stessa direttiva,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario,

LA CORTE (Sesta Sezione),

composta dalla sig.ra N. Colneric, presidente della Seconda Sezione, facente funzione di presidente della Sesta Sezione, e dai sigg. C. Gulmann, J.-P. Puissochet, V. Skouris e J.N. Cunha Rodrigues (relatore), giudici,

avvocato generale: L.A. Geelhoed


cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore

vista la relazione d'udienza,

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza dell'8 febbraio 2001, durante la quale la Commissione è stata rappresentata dal sig. P. Stancanelli e la Repubblica italiana dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 31 maggio 2001,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 14 aprile 1999, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, in forza dell'art. 169 del TrattatoCE (divenuto art. 226 CE), un ricorso mirante a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso:

- di predisporre uno o più programmi d'azione con i caratteri e alle condizioni previste all'art. 5 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GU L 375, pag. 1; in prosieguo: la "direttiva"),

- di svolgere in maniera completa e corretta i controlli previsti all'art. 6 della stessa direttiva, e

- di elaborare e comunicare una relazione completa ai sensi dell'art. 10 della stessa direttiva,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto comunitario.

Contesto normativo

2.

Ai sensi del suo art. 1, la direttiva mira a ridurre l'inquinamento delle acque causato direttamente o indirettamente dai nitrati di origine agricola e a prevenire qualsiasi ulteriore inquinamento di questo tipo.

3.

A tal fine, la direttiva prevede la promozione da parte degli Stati membri di numerose iniziative secondo un calendario i cui termini decorrono dalla data di notifica di quest'ultima, avvenuta il 19 dicembre 1991.

4.

In tal senso, l'art. 3, n. 2, della direttiva prevede che gli Stati membri designino le zone vulnerabili ad opera dell'inquinamento entro due anni a decorrere dalla notifica di quest'ultima e che essi notifichino tale designazione iniziale alla Commissione entro sei mesi.

5.

L'art. 4 della direttiva prevede quanto segue:

"1. Al fine di stabilire un livello generale di protezione dall'inquinamento per tutti i tipi di acque, gli Stati membri provvedono, entro due anni dalla notifica della presente direttiva, a:

a) fissare un codice o più codici di buona pratica agricola applicabili a discrezione degli agricoltori, il quale includa disposizioni pertinenti per lo meno agli elementi contemplati nell'allegato II, punto A [2];

b) predisporre, se necessario, un programma comprensivo di disposizioni per la formazione e l'informazione degli agricoltori, per promuovere l'applicazione del codice ovvero dei codici di buona pratica agricola.

2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione informazioni dettagliate sui propri codici di buona pratica agricola. La Commissione include nella relazione di cui all'articolo 11 informazioni relative a tali codici. In base alle informazioni ricevute, la Commissione, qualora lo ritenga necessario, può presentare al Consiglio proposte appropriate".

6.

L'art. 5 della direttiva così dispone:

"1. Entro un periodo di due anni a decorrere dalla prima designazione di cui all'articolo 3, paragrafo 2, o di un anno dopo ogni nuova designazione ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 4, gli Stati membri, per il conseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 1, fissano programmi d'azione per quanto riguarda le zone vulnerabili designate.

2. Un programma d'azione può riguardare tutte le zone vulnerabili nel territorio di uno Stato membro oppure, se lo Stato membro lo giudica opportuno, si possono fissare programmi diversi per diverse zone vulnerabili o parti di zone.

3. I programmi d'azione tengono conto:

a) dei dati scientifici e tecnici disponibili, con riferimento principalmente agli apporti azotati rispettivamente di origine agricola o di altra origine;

b) delle condizioni ambientali nelle regioni interessate dello Stato membro di cui trattasi.

4. I programmi d'azione sono attuati entro quattro anni dalla loro fissazione e comprendono le misure vincolanti seguenti:

a) le misure di cui all'allegato III [3];

b) le misure che gli Stati membri hanno prescritto nel codice o nei codici di buona pratica agricola fissati ai sensi dell'articolo 4, a meno che non siano state sostituite da quelle di cui all'allegato III.

5. Nel quadro dei programmi d'azione gli Stati membri prendono inoltre le misure aggiuntive o azioni rafforzate che essi ritengono necessarie se, dall'inizio o alla luce dell'esperienza tratta dall'attuazione dei programmi d'azione, risulta evidente che le misure di cui al paragrafo 4 non sono sufficienti per conseguire gli obiettivi di cui all'articolo 1. Ai fini della scelta di dette misure o azioni, gli Stati membri tengono conto della loro efficacia e dei loro costi in relazione ad altre misure possibili di prevenzione.

6. Gli Stati membri elaborano ed applicano opportuni programmi di controllo al fine di valutare l'efficacia dei programmi d'azione fissati ai sensi del presente articolo.

Gli Stati membri che applicano l'articolo 5 in tutto il territorio nazionale controllano il contenuto di nitrati delle acque (superficiali e sotterranee) in punti di controllo prescelti, onde poter stabilire l'entità dell'inquinamento nelle acque da nitrati di origine agricola.

7. Gli Stati membri riesaminano e, se del caso, rivedono i propri programmi d'azione, inclusa qualsiasi misura supplementare adottata ai sensi del paragrafo 5, per lo meno ogni quattro anni. Essi informano la Commissione di qualsiasi modifica dei propri programmi d'azione".

7.

L'allegato III della direttiva, intitolato "Misure da inserire nei programmi d'azione conformemente all'articolo 5, paragrafo 4, punto A)", cui fa rinvio l'art. 5, ha la seguente formulazione:

"1. Le misure in questione comprendono norme concernenti:

1) i periodi in cui è proibita l'applicazione al terreno di determinati tipi di fertilizzanti;

2) la capacità dei depositi per effluenti di allevamento; tale capacità deve superare quella necessaria per l'immagazzinamento nel periodo più lungo, durante cui è proibita l'applicazione al terreno di effluenti nella zona vulnerabile, salvo i casi in cui sia dimostrato all'autorità competente che qualsiasi quantitativo di effluenti superiore all'effettiva capacità d'immagazzinamento sarà smaltito in un modo che non causerà danno all'ambiente;

3) la limitazione dell'applicazione al terreno di fertilizzanti conformemente alla buona pratica agricola e in funzione delle caratteristiche della zona vulnerabile interessata, in particolare:

a) delle condizioni del suolo, del tipo e della pendenza del suolo;

b) delle condizioni climatiche, delle precipitazioni e dell'irrigazione;

c) dell'uso del terreno e delle prassi agricole, inclusi i sistemi di rotazione delle colture;

e basata sull'equilibrio tra:

i) il fabbisogno prevedibile di azoto delle colture, e

ii) l'apporto alle colture di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione, corrispondente:

- alle quantità di azoto presente nel terreno nel momento in cui la coltura comincia ad assorbirlo in misura significativa (quantità rimanenti alla fine dell'inverno);

- all'apporto di composti di azoto tramite la mineralizzazione netta delle riserve di azoto organico nel terreno;

- all'aggiunta di composti di azoto proveniente da effluenti di allevamento;

- all'aggiunta di composti di azoto proveniente da fertilizzanti chimici e da altri fertilizzanti.

2. Tali misure garantiranno che, per ciascuna azienda o allevamento, il quantitativo di effluente di allevamento sparso sul terreno ogni anno, compreso quello distribuito dagli animali stessi, non superi un determinato quantitativo per ettaro.

Il suddetto quantitativo per ettaro corrisponde al quantitativo di effluente contenente 170 kg di azoto. Tuttavia:

a) per i primi quattro anni del programma di azione, gli Stati membri possono accordare un quantitativo di effluente contenente fino a 210 kg di azoto;

b) durante e dopo i primi quattro anni del programma di azione, gli Stati membri possono stabilire quantitativi diversi da quelli indicati in precedenza. Questi quantitativi devono essere fissati in maniera tale da non compromettere il raggiungimento degli obiettivi di cui all'articolo 1 e devono essere giustificati in base a criteri obiettivi, ad esempio:

- stagioni di crescita prolungate;

- colture con grado elevato di assorbimento di azoto;

- grado elevato di precipitazioni nette nella zona vulnerabile;

- terreni con capacità eccezionalmente alta di denitrificazione.

Se uno Stato membro accorda un quantitativo diverso ai sensi della presente lettera b), esso ne informa la Commissione che esaminerà la giustificazione addotta ai sensi della procedura stabilita all'articolo 9.

3. Gli Stati membri possono calcolare i quantitativi di cui al paragrafo 2 sulla base del numero di animali.

4. Gli Stati membri informano la Commissione del modo in cui applicano le disposizioni del paragrafo 2. Alla luce delle informazioni ricevute, la Commissione, se lo ritiene necessario, può presentare al Consiglio proposte appropriate ai sensi dell'articolo 11".

8.

Ai sensi dell'art. 6 della direttiva:

"1. Al fine di designare le zone vulnerabili e rivederne le designazioni gli Stati membri devono:

a) entro due anni dalla notifica della presente direttiva, controllare la concentrazione di nitrati nelle acque dolci per un periodo di un anno:

i) alle stazioni di campionamento di cui all'articolo 5, paragrafo 4 della direttiva 75/440/CEE e/o alle altre stazioni di campionamento che sono rappresentative delle acque superficiali degli Stati membri, almeno una volta al mese e più frequentemente durante i periodi di piena;

ii) alle stazioni di campionamento che sono rappresentative delle acque sotterranee degli Stati membri a intervalli regolari e tenendo conto delle disposizioni della direttiva 80/778/CEE;

b) ripetere il programma di controllo specificato al paragrafo 1, lettera a), almeno ogni quattro anni, escludendo le stazioni di campionamento in cui si è riscontrata, in tutti i precedenti campioni, una concentrazione di nitrati inferiore a 25 mg/l, a condizione che non si sia manifestato nessun fattore nuovo che possa avere incrementato il tenore di nitrati; in questi ultimi casi il programma di controllo deve essere ripetuto soltanto ogni otto anni;

c) riesaminare ogni quattro anni lo stato eutrofico delle acque dolci superficiali, estuarine e costiere.

2. Devono essere applicati i metodi di misura di riferimento indicati nell'allegato IV della presente direttiva".

9.

I metodi di misura di riferimento di cui all'art. 6 della direttiva sono definiti nel modo seguente nell'allegato IV della medesima, intitolato "Metodi di misura di riferimento":

"Concimi chimici

Il metodo di misura dei composti dell'azoto è stabilito in conformità della direttiva 77/535/CEE della Commissione, del 22 giugno 1977, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai metodi di campionamento e di analisi per i fertilizzanti, modificata da ultimo dalla direttiva 89/519/CEE.

Acque dolci, acque costiere e acque marine

La concentrazione di nitrati è misurata in conformità dell'articolo 4 bis, paragrafo 3 della decisione 77/795/CEE del Consiglio, del 12 dicembre 1977, che instaura una procedura comune di scambio di informazioni sulla qualità delle acque dolci superficiali nella Comunità, nella versione modificata dalla decisione 86/574/CEE".

10.

L'art. 10 della direttiva prevede quanto segue:

"1. In merito al periodo quadriennale decorrente dalla notifica della presente direttiva e ad ogni periodo quadriennale successivo, gli Stati membri presentano alla Commissione una relazione contenente le informazioni specificate all'allegato V.

2. Una relazione ai sensi del presente articolo è presentata alla Commissione entro sei mesi dalla fine del periodo cui si riferisce".

11.

L'allegato V della direttiva, intitolato "Informazioni da inserire nelle relazioni di cui all'articolo 10", elenca queste ultime nei seguenti termini:

"1. Descrizione dell'azione di prevenzione organizzata ai sensi dell'articolo 4.

2. Una mappa in cui siano indicate:

a) le acque individuate conformemente all'articolo 3, paragrafo 1 e all'allegato I precisando, per ogni tipo di acqua, quale criterio previsto all'allegato I sia stato adottato ai fini dell'individuazione;

b) le zone designate come vulnerabili, distinguendo tra zone precedenti e zone designate dopo l'ultima relazione.

3. Un sommario dei risultati del controllo svolto in base all'articolo 6, con le considerazioni che hanno portato alla designazione di ciascuna zona vulnerabile e ad eventuali revisioni o aggiunte concernenti le designazioni di zone vulnerabili.

4. Un sommario dei programmi d'azione elaborati ai sensi dell'articolo 5 e in particolare:

a) le misure previste all'articolo 5, paragrafo 4, punti a) e b);

b) le informazioni previste dall'allegato III, paragrafo 4;

c) altre eventuali misure o azioni rafforzate prese ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 5;

d) un sommario dei risultati dei programmi di controllo applicati ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 6;

e) le previsioni effettuate dagli Stati membri circa i tempi probabili entro cui si ritiene che le acque individuate in conformità dell'articolo 3, paragrafo 1, possano rispettare le misure del programma d'azione, con l'indicazione del grado di incertezza delle previsioni".

12.

Ai sensi dell'art. 12, n. 1, della direttiva, gli Stati membri dovevano mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla medesima entro due anni dalla notifica e dovevano informarne immediatamente la Commissione.

Fase precontenziosa

13.

Il 25 aprile 1997, la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di addebiti, rilevando che essa non aveva ricevuto la relazione di cui all'art. 10 della direttiva, concernente il primo periodo quadriennale decorrente dalla notifica di quest'ultima, ossia il periodo 20 dicembre 1991 - 20 dicembre 1995. Con tale lettera si rilevava parimenti la mancanza di qualsiasi informazione relativa, da un lato, alla predisposizione dei programmi di azione di cui all'art. 5 della direttiva e, dall'altro, alla realizzazione dei controlli di cui all'art. 6 della medesima.

14.

Le autorità italiane hanno risposto con lettera datata 16 luglio 1997, trasmettendo alcuni documenti relativi ai provvedimenti adottati da talune regioni italiane per proteggere le acque superficiali e sotterranee contro l'inquinamento causato da attività agricole e zootecniche.

15.

La Commissione ha ritenuto che tali informazioni non costituissero una relazione ai sensi dell'art. 10 della direttiva e che esse non le consentissero di verificare in modo soddisfacente l'osservanza degli artt. 5 e 6 della medesima, relativi, rispettivamente, ai programmi di azione e al controllo della concentrazione di nitrati nelle acque dolci. Con lettera datata 19 febbraio 1998, la Commissione ha pertanto notificato alla Repubblica italiana un parere motivato nel quale constatava che quest'ultima era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti non avendo adottato nel termine previsto le disposizioni necessarie per trasporre la direttiva in diritto nazionale e, in particolare, non avendo rispettato gli obblighi imposti dagli artt. 5, 6 e 10 della direttiva, ed essa ha stabilito un termine di due mesi al detto Stato membro per conformarsi a tale parere.

16.

Con lettera datata 18 settembre 1998, le autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione una relazione sullo stato di avanzamento dell'attuazione della direttiva (in prosieguo: la "relazione" o, anche, la "relazione 18 settembre 1998"). Tale relazione menzionava l'elaborazione di un codice di buona pratica agricola nonchél'adozione, da parte di alcune regioni italiane, di provvedimenti miranti a proteggere le acque contro l'inquinamento da nitrati.

17.

Poiché ha considerato che tale relazione non soddisfacesse quanto prescritto dall'art. 10 della direttiva e che le informazioni in suo possesso non le consentissero di accertare se gli obblighi derivanti dagli artt. 5 e 6 della direttiva fossero stati compiutamente adempiuti dalla Repubblica italiana, la Commissione ha proposto il presente ricorso.

18.

Nell'ambito di tale ricorso la Commissione non ripropone più la censura, formulata nel parere motivato, secondo la quale la Repubblica italiana non avrebbe adottato le disposizioni necessarie per trasporre la direttiva in diritto nazionale, bensì si limita agli obblighi specifici imposti dagli artt. 5, 6 e 10 della direttiva.

19.

Peraltro, il 20 maggio 1997 la Commissione aveva proposto contro la Repubblica italiana un primo ricorso avente ad oggetto l'omessa attuazione della direttiva nell'ordinamento italiano nonché la mancata designazione delle zone vulnerabili conformemente all'art. 3, n. 2, di quest'ultima. Il relativo giudizio si è concluso con sentenza 25 febbraio 1999, causa C-195/97, Commissione/Italia (Racc. pag. I-1169), con la quale la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato e non avendo comunicato alla Commissione, entro il termine previsto, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie alla trasposizione della direttiva e non avendo osservato, in particolare, l'obbligo sancito dal suo art. 3, n. 2, è venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 12, n. 1, della direttiva stessa.

20.

L'11 maggio 1999, la Repubblica italiana ha emanato il decreto legislativo n. 152 (supplemento alla GURI n. 124, del 29 maggio 1999), contenente provvedimenti nazionali di attuazione ai sensi dell'art. 12 della direttiva e, in particolare, una definizione delle zone vulnerabili in osservanza dell'art. 3, n. 2, della medesima. Con tale decreto, che si trova allegato al suo controricorso nella presente causa, il governo italiano ritiene di aver dato esecuzione alla citata sentenza Commissione/Italia.

Sulla ricevibilità del ricorso

Argomenti delle parti

21.

Il governo italiano sostiene che il ricorso è irricevibile in quanto le censure in esso formulate conterrebbero differenze di rilievo rispetto a quelle contestate in sede di parere motivato. Infatti, secondo il detto governo:

- la censura fondamentale concernente l'omessa attuazione della direttiva è tacitamente abbandonata;

- la censura relativa all'art. 5 della direttiva è stata modificata: essa non riguarda più l'assenza di programmi, bensì l'assenza di programmi d'azione conformi alle caratteristiche e alle condizioni di cui all'art. 5, n. 1;

- la censura relativa all'art. 6 della direttiva è stata modificata e riguarda adesso lo svolgimento incompleto e scorretto dei controlli;

- la censura relativa all'art. 10 della direttiva è stata modificata e riguarda adesso la mancata presentazione di una relazione completa.

22.

Secondo il governo italiano, la Commissione ha apportato queste modifiche dopo aver esaminato la relazione 18 settembre 1998. Esso sostiene che la Commissione avrebbe dovuto apportare le dette modifiche nell'ambito della fase precontenziosa e, di conseguenza, che essa avrebbe dovuto inviare un nuovo parere motivato o, quantomeno, un parere complementare, invece di proporre un ricorso che si discosta oggettivamente dall'addebito contenuto nel parere motivato 19 febbraio 1998. In realtà, il ricorso mette in discussione per la prima volta le iniziative promosse dalla Repubblica italiana per attuare la direttiva e pone questo Stato membro di fronte ad esigenze difensive assolutamente nuove.

23.

Nella sua controreplica il governo italiano ribadisce il suo argomento secondo il quale la Commissione, chiedendo alla Corte di dichiarare che il governo italiano non ha presentato una relazione completa, domanda una decisione sulle osservazioni concernenti la relazione presentata dopo il parere motivato. Una delle funzioni essenziali del parere motivato consisterebbe nel porre lo Stato membro in grado di evitare di essere citato dinanzi alla Corte, conformandosi alla posizione espressa dalla Commissione nel termine stabilito in tale parere. Questa facoltà, garantita dal Trattato, sarebbe stata negata al governo italiano.

24.

In udienza, il governo italiano ha inoltre eccepito la violazione del principio del ne bis in idem. Infatti, la Commissione chiederebbe alla Corte di sentenziare una nuova volta che la Repubblica italiana non ha rispettato gli obblighi ad essa derivanti dalla direttiva, come essa ha già fatto con la citata sentenza Commissione/Italia.

25.

La Commissione contesta che le censure formulate nel ricorso contengano modificazioni rispetto a quelle esposte nel parere motivato. Secondo la Commissione, le censure articolate in quest'ultimo non vertono tanto sulla mancanza di programmi di azione, di controlli e di relazioni in generale quanto, per l'esattezza, sul fatto che questi ultimi non sono conformi a quanto prescritto dalla direttiva.

26.

Benché il termine di due mesi stabilito nel parere motivato fosse stato ampiamente superato, la Commissione avrebbe esaminato la relazione 18 settembre 1998, al fine di verificare se essa contenesse eventualmente elementi in grado di dimostrare che la Repubblica italiana aveva soddisfatto gli obblighi di cui trattasi, ossia l'elaborazione di programmi d'azione conformemente all'art. 5 e all'allegato III della direttiva, il controllo delle acque dolci imposto dall'art. 6 e dall'allegato IV di quest'ultima, nonché la stesura della relazione di cui all'art. 10 e all'allegato V di questa direttiva. Da tale esame si ricaverebbe che le autorità italiane hanno adottato alcuni provvedimenti diattuazione di queste disposizioni, ma che i suddetti obblighi non sono ancora soddisfatti conformemente alla direttiva.

Giudizio della Corte

27.

Per quanto concerne la violazione del principio del ne bis in idem, occorre ricordare che, nel dispositivo della citata sentenza Commissione/Italia, la Corte ha dichiarato che la Repubblica italiana, non avendo adottato e non avendo comunicato alla Commissione, entro il termine previsto, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie alla trasposizione della direttiva e non avendo osservato, in particolare, l'obbligo sancito dal suo art. 3, n. 2, è venuta meno agli obblighi impostile dall'art. 12, n. 1, della direttiva stessa.

28.

L'uso della locuzione avverbiale "in particolare" potrebbe implicare che la citata sentenza Commissione/Italia abbia ad oggetto la direttiva nel suo insieme. Tuttavia, un esame delle conclusioni e dei motivi delle parti, nonché della motivazione sviluppata dalla Corte a sostegno del dispositivo di questa sentenza, rivela chiaramente che quest'ultima riguarda solo gli obblighi derivanti dagli artt. 3, n. 2, e 12, n. 1, della direttiva.

29.

Dato che la Commissione ha rinunciato nel presente ricorso alla censura, formulata nel parere motivato 19 febbraio 1998, relativa all'omessa attuazione della direttiva, questo ricorso riguarda unicamente alcune disposizioni che non sono state oggetto di contestazione nella causa conclusasi con la citata sentenza Commissione/Italia, ossia gli artt. 5, 6 e 10 della direttiva, e pertanto non viola il principio del ne bis in idem.

30.

Per quanto concerne la presunta modificazione delle altre censure della Commissione, occorre rilevare che le censure formulate nel parere motivato riguardano segnatamente l'inosservanza, da parte della Repubblica italiana, degli obblighi di cui agli artt. 5, 6 e 10 della direttiva. Alla data in cui è stato redatto il parere motivato, la Commissione si lamentava del fatto che, a causa della mancata trasmissione, da parte della Repubblica italiana, delle informazioni previste da tali articoli, essa non disponeva delle informazioni necessarie per verificare l'osservanza effettiva dei suddetti obblighi.

31.

Benché ulteriori informazioni, e in particolare la relazione 18 settembre 1998, abbiano permesso alla Commissione di precisare tali addebiti, l'oggetto delle censure enunciate nel ricorso resta non di meno sostanzialmente lo stesso, ossia l'osservanza degli obblighi derivanti dagli artt. 5, 6 e 10 della direttiva (v., in tal senso, sentenza 12 marzo 1987, causa 178/84, Commissione/Germania, detta "Legge di purezza per la birra", Racc. pag. 1227, punto 22). Come dimostra lo svolgimento delle fasi scritta e orale del giudizio dinanzi alla Corte, lo Stato membro interessato è stato sufficientemente informato riguardo agli addebiti ed ha avuto modo di difendere i propri interessi in tempo utile, conformemente alle disposizioni dell'art. 169 del Trattato.

32.

Di conseguenza, l'eccezione d'irricevibilità sollevata dal governo italiano non può essere accolta.

Nel merito

33.

La Commissione formula tre censure a carico della Repubblica italiana. La prima riguarda l'omessa elaborazione di programmi d'azione in regola con le prescrizioni dell'art. 5 della direttiva. La seconda si basa sull'omessa realizzazione in forma corretta e compiuta dei controlli di cui all'art. 6 della detta direttiva. La terza riguarda l'omessa elaborazione e comunicazione di una relazione completa quale prevista dall'art. 10 della medesima direttiva. E' opportuno esaminare per primo quest'ultimo addebito.

Sull'addebito relativo all'art. 10 della direttiva

34.

La Commissione ricorda che l'art. 10 della direttiva impone agli Stati membri l'obbligo di presentare alla Commissione, con scadenza quadriennale, una relazione contenente le informazioni elencate nell'allegato V della direttiva. La prima relazione doveva coprire il periodo compreso tra il 20 dicembre 1991 e il 20 dicembre 1995 e doveva essere trasmessa alla Commissione entro sei mesi da quest'ultima data, ossia entro il 20 giugno 1996.

35.

La Commissione osserva che la Repubblica italiana non ha inviato nessuna relazione entro il 20 giugno 1996. Inoltre, né la documentazione allegata alla lettera del 16 luglio 1997 né la relazione 18 settembre 1998, trasmesse dalle autorità italiane, sono conformi a quanto prescritto dalla direttiva.

36.

Il governo italiano replica che, nella relazione 18 settembre 1998, esso ha presentato un quadro sintetico dei casi di inquinamento da nitrati constatati e delle azioni promosse per conseguire gli obiettivi stabiliti dall'art. 1 della direttiva. Il carattere relativamente sintetico della relazione non è in contrasto con le prescrizioni di cui all'allegato V, punti 3 e 4, della direttiva, il quale, per quanto concerne, rispettivamente, i risultati dei controlli e i programmi di azione, richiede soltanto che la relazione contenga un sommario.

37.

Alla luce di ciò, il governo italiano sostiene che, in osservanza delle disposizioni di cui all'art. 10 e all'allegato V della direttiva, non sembra che sussistano elementi tanto precisi da giustificare una dichiarazione di inadempimento consistente non nella mancanza di una relazione, bensì nell'incompletezza della medesima.

38.

A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza, l'esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e che la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v., in particolare, sentenza 14 giugno 2001, causa C-207/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4571, punto 27).

39.

Ne consegue che, per valutare l'esistenza o meno di un'inosservanza dell'art. 10 della direttiva, non si deve prendere in considerazione la relazione 18 settembre 1998,poiché essa è stata trasmessa diversi mesi dopo la scadenza del termine stabilito nel parere motivato. A tal fine, occorre tener conto esclusivamente della documentazione trasmessa alla Commissione dalle autorità italiane il 16 luglio 1997.

40.

Viceversa, come rilevato dall'avvocato generale nel paragrafo 26 delle sue conclusioni, poiché i provvedimenti di esecuzione descritti nella relazione non erano necessariamente tardivi, essi potrebbero essere presi in considerazione per la valutazione dell'esistenza della lamentata inosservanza degli artt. 5 e 6 della direttiva.

41.

E' giocoforza constatare che i documenti trasmessi dalle autorità italiane alla Commissione il 16 luglio 1997 non contengono nessun resoconto delle azioni di prevenzione condotte ai sensi dell'art. 4 della direttiva, come imposto dall'allegato V, punto 1, di quest'ultima. Peraltro, questi documenti non contengono una mappa delle acque né delle zone individuate, come imposto dall'allegato V, punto 2, della direttiva. Inoltre, i detti documenti riguardano solo le due province autonome e sette delle diciannove regioni che compongono la Repubblica italiana. Le informazioni contenute in tali documenti sono troppo incomplete per costituire un sommario dei risultati dei controlli o un sommario dei programmi di azione ai sensi dell'allegato V, rispettivamente, punti 3 e 4, della direttiva.

42.

Di conseguenza, occorre dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di presentare alla Commissione una relazione come previsto dall'art. 10 della direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della detta disposizione.

Sulla censura relativa all'art. 5 della direttiva

43.

La Commissione ricorda che l'art. 5 della direttiva obbliga gli Stati membri a elaborare programmi d'azione per le zone vulnerabili entro due anni dalla prima designazione di queste zone. La detta disposizione e l'allegato III della direttiva preciserebbero le caratteristiche che tali programmi d'azione devono presentare. Alla data di deposito del presente ricorso, la Repubblica italiana non avrebbe adottato programmi d'azione aventi queste caratteristiche. Le iniziative prese dalle autorità italiane sarebbero o troppo disparate o troppo generiche per soddisfare questo obbligo.

44.

In allegato al suo controricorso il governo italiano produce il decreto legislativo n. 152/99, adottato dopo la presentazione del ricorso, che designa, in particolare, le zone vulnerabili su scala nazionale, in osservanza dell'art. 3 della direttiva. Esso sostiene che, se il presente motivo è fondato sulla premessa che la Repubblica italiana doveva individuare le zone vulnerabili, si tratterebbe di una violazione dell'art. 3 della direttiva, il quale rimane estraneo all'ambito del presente giudizio per inadempimento.

45.

Questo argomento deve essere respinto. Infatti, si deve osservare che uno Stato membro non può eccepire l'attuazione tardiva di una direttiva da parte sua per giustificare l'inosservanza o il rispetto tardivo di altri obblighi imposti da quella stessa direttiva (v. sentenza 13 aprile 2000, causa C-274/98, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-2823, punto 22).

46.

Inoltre, il governo italiano sostiene che il motivo dedotto dalla Commissione è ambiguo e generico: ambiguo, perché è impossibile intendere con chiarezza se esso comprenda la mancanza totale di programmi concernenti le zone non designate, e generico, poiché non indica con precisione le pretese lacune in relazione specificamente ai programmi adottati.

47.

A tal riguardo, secondo una costante giurisprudenza, nell'ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell'art. 169 del Trattato, spetta alla Commissione provare l'asserita inadempienza, senza che essa possa basarsi su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenza 16 novembre 2000, causa C-214/98, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-9601, punto 42).

48.

I documenti inviati il 16 luglio 1997 alla Commissione dalle autorità italiane e la relazione 18 settembre 1998 non contengono nessuna indicazione in merito all'adozione di provvedimenti che possano far parte di un programma d'azione ai sensi dell'art. 5 della direttiva per quanto concerne le regioni Puglia e Calabria. Parimenti, la detta documentazione rivela una mancanza quasi totale di misure del genere per quanto concerne le regioni Abruzzi e Marche. Se ne ricava inoltre che, benché provvedimenti del tipo di quelli richiesti dalla direttiva fossero programmati nelle regioni Liguria e Campania, queste misure non erano state ancora adottate alla data del 18 settembre 1998. Infine, questi documenti parlano solo di provvedimenti isolati per quanto concerne le regioni Lazio e Sicilia. Di conseguenza, per tutte queste regioni, si evince con sufficiente chiarezza dagli atti che le autorità italiane non hanno predisposto, nel termine stabilito, programmi di azione ai sensi dell'art. 5 della direttiva.

49.

Viceversa, per le altre regioni e province autonome della Repubblica italiana, i documenti del 16 luglio 1997 e la relazione 18 settembre 1998 elencano una serie di provvedimenti che possono essere ricompresi in programmi di azione ai sensi dell'art. 5 della direttiva.

50.

La circostanza che provvedimenti di tal genere siano stati adottati prima della designazione delle zone vulnerabili mediante il decreto legislativo n. 152/99 non osta a che essi possano considerarsi programmi di azione ai sensi dell'art. 5 della direttiva. Infatti, come rilevato dall'avvocato generale nel paragrafo 48 delle sue conclusioni, qualora la designazione formale della zone vulnerabili sia effettuata in ritardo, la direttiva non osta all'adozione dei provvedimenti preparatori miranti a predisporre i programmi d'azione.

51.

Orbene, la Commissione non dimostra con precisione sotto quale aspetto i provvedimenti adottati dalle regioni e province sarebbero insufficienti, limitandosi a tal proposito ad esporre argomenti generici. Alla luce degli atti, è giocoforza constatare, a tal riguardo, che il ricorso è privo della precisione necessaria e che non è corroborato da prove adeguate.

52.

Da quanto sin qui esposto discende che la Repubblica italiana, avendo omesso di predisporre programmi d'azione ai sensi dell'art. 5 della direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della detta disposizione.

Sulla censura relativa all'art. 6 della direttiva

53.

Secondo la Commissione, la documentazione fornita dalle autorità italiane dimostrerebbe che, in almeno cinque regioni (Liguria, Lombardia, Veneto, Marche e Campania), i controlli non sono stati eseguiti conformemente alle prescrizioni dell'art. 6 della direttiva, che, in altre cinque regioni (Piemonte, Umbria, Lazio, Molise e Sicilia) e nelle due province autonome (Trento e Bolzano), i controlli sono stati eseguiti in modo parzialmente insoddisfacente, e che, in tre altre regioni (Abruzzi, Puglia e Calabria), la mancanza totale di informazioni indica che gli obblighi in materia di sorveglianza non sono stati osservati. Alla luce di ciò, la Commissione trae la conclusione che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'art. 6 della direttiva.

54.

Il governo italiano sostiene che le operazioni di cui trattasi hanno natura meramente esecutiva e che la loro funzione, che è di consentire l'individuazione delle zone vulnerabili, è preliminare all'attuazione della direttiva. Poiché questo obbligo mira esclusivamente a garantire l'attuazione dell'art. 3 della direttiva, la sua osservanza non può essere valutata separatamente dall'obbligo finale. In altri termini, potrebbe sussistere un inadempimento dell'art. 6 della direttiva solo in quanto le inefficienze nei controlli comportassero una violazione dell'art. 3 di quest'ultima. Questo motivo sarebbe pertanto infondato in quanto la Commissione non dimostra che la pretesa incompletezza delle dette operazioni abbia comportato una violazione dell'art. 3 della direttiva. In subordine, il governo italiano allega che il motivo è infondato a causa del suo carattere generico, impreciso e privo di riscontri. L'eventuale incompletezza della relazione non può costituire prova dell'omessa adozione dei provvedimenti di cui all'art. 6 della direttiva. Esso aggiunge che i controlli sono stati effettuati in osservanza dell'art. 6, n. 1, lett. a), e dell'allegato IV della direttiva, e pertanto in sede di applicazione delle altre direttive ivi citate. Le informazioni in materia sarebbero già state trasmesse secondo il metodo delle "informazioni standardizzate".

55.

La Commissione replica che l'obbligo di cui all'art. 6 della direttiva è un obbligo specifico, che può essere distinto dagli altri obblighi disposti dalla direttiva e la cui inosservanza ha una rilevanza ad esso peculiare. Essa aggiunge che l'attuazione corretta dell'art. 6 impone che le autorità italiane si conformino ai termini e alle modalità ivi previsti, senza che si possa ritenere sufficiente il rinvio alle modalità di controllo stabilite da altre direttive comunitarie. Dati tali presupposti, sarebbe irrilevante il fatto che le autorità italiane abbiano già comunicato alla Commissione, secondo il metodo delle "informazioni standardizzate", i risultati dei controlli effettuati. Infatti, la rete delle stazioni di campionamento, la frequenza dei campionamenti e l'elaborazione dei dati previsti dalla direttiva di cui trattasi sono diversi da quelli esistenti nell'ambito delle direttive aventi ad oggetto le "informazioni standardizzate". Infine, per quanto concerne la mancanza di prove, la Commissione sostiene che, nel corso della faseprecontenziosa, essa ha chiesto alle autorità italiane di fornirle elementi in grado di dimostrare che l'obbligo di cui all'art. 6 della direttiva era stato rispettato. Le informazioni fornite dimostrerebbero con chiarezza che i controlli di cui trattasi non sono stati effettuati conformemente a quanto prescritto dalla direttiva.

56.

Il governo italiano replica che la Commissione non ha precisato quali siano, tra le informazioni fornite, quelle che dimostrano che i controlli di cui trattasi non siano stati eseguiti conformemente alla direttiva in almeno cinque regioni. Esso ritiene che la Commissione non possa far valere come prova di un inadempimento una carenza di informazioni. Infatti, la mancanza di informazioni sulle operazioni di attuazione di una direttiva può costituire la prova della mancata realizzazione delle dette operazioni solo qualora le informazioni non siano state fornite in violazione di un obbligo di comunicazione. Ebbene, non è previsto, a carico dello Stato membro, nessun obbligo di informare la Commissione in merito all'esecuzione dei controlli imposti dall'art. 6 della direttiva. Peraltro, il governo italiano nega di aver mai ricevuto dalla Commissione una richiesta in tal senso.

57.

A tal proposito, da un lato, occorre rilevare che l'obbligo di procedere a controlli della concentrazione di nitrati, previsto dall'art. 6 della direttiva, esiste indipendentemente da quello, di cui all'art. 3 di quest'ultima, di designare le zone vulnerabili. In particolare, benché l'obbligo di procedere a siffatte operazioni sia previsto inizialmente al fine di designare le zone vulnerabili, esso sussiste dopo l'avvenuta designazione iniziale di queste ultime, e ciò al fine di aggiornare l'elenco predisposto.

58.

D'altro canto, è vero, come il governo italiano ha giustamente ricordato, che l'art. 6 della direttiva non impone agli Stati membri nessun obbligo di informare la Commissione in merito alle iniziative adottate per attuare questa disposizione. Viceversa, l'art. 10 e l'allegato V, punto 3, della direttiva prevedono che gli Stati membri presentino alla Commissione una relazione contenente, in particolare, "un sommario dei risultati del controllo svolto in base all'articolo 6" della direttiva.

59.

E' proprio a causa della mancanza di una relazione del genere che la Commissione, nella lettera di addebiti e nel parere motivato, ha affermato di non disporre delle informazioni necessarie per poter verificare l'attuazione, da parte della Repubblica italiana, delle attività di controllo previste dall'art. 6 della direttiva. Invitando formalmente questo Stato membro a presentare le proprie osservazioni e a conformarsi al parere motivato, la Commissione ha effettivamente chiesto la trasmissione delle informazioni pertinenti.

60.

E' in risposta a questi inviti che le autorità italiane hanno presentato alla Commissione i documenti, in data 16 luglio 1997, e la relazione 18 settembre 1998. Alla luce di questi ultimi, occorre prendere atto che le autorità italiane hanno fornito alla Commissione informazioni del tipo richiesto dall'art. 10 e dall'allegato V, punto 3, della direttiva, per tutte le regioni e province autonome della Repubblica italiana, ad eccezione di tre di esse, ossia gli Abruzzi, la Puglia e la Calabria, regioni per le quali non è stata fornita nessuna informazione.

61.

Per queste tre regioni, la mancanza totale di informazioni nel fascicolo può essere considerata indizio sufficiente di un inadempimento dell'art. 6 della direttiva. Per quanto concerne le altre regioni e le province autonome, spettava alla Commissione provare l'asserito inadempimento nonché fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accertasse l'esistenza dell'inadempimento (v., in particolare, sentenza 29 maggio 2001, causa C-263/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4195, punto 27).

62.

Alla luce di ciò, è giocoforza constatare che la Commissione non fornisce nessun elemento di prova della sua allegazione secondo la quale i controlli non sono stati eseguiti conformemente all'art. 6 della direttiva nelle regioni Liguria, Lombardia, Veneto, Marche e Campania. La Commissione non precisa nemmeno le ragioni per le quali i controlli sarebbero stati eseguiti in modo parzialmente insoddisfacente nelle due province di Trento e Bolzano nonché nelle cinque regioni Piemonte, Umbria, Lazio, Molise e Sicilia, e non fornisce nemmeno la prova di questa allegazione.

63.

Da tutto quanto esposto discende che la Repubblica italiana, avendo omesso di effettuare determinati controlli previsti dall'art. 6 della direttiva, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della detta disposizione.

Sulle spese

64.

Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta sostanzialmente soccombente, deve essere condannata alle spese.

Per questi motivi,

LA CORTE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

1) La Repubblica italiana, avendo omesso:

- di predisporre programmi d'azione ai sensi dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole,

- di effettuare determinati controlli previsti dall'art. 6 della stessa direttiva, e

- di presentare alla Commissione una relazione come previsto dall'art. 10 della stessa direttiva,

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza delle dette disposizioni della direttiva 91/676.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

(Firme)

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l'8 novembre 2001.