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SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA CE
(Sesta Sezione) 25 aprile 2002
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Nella causa C-396/00,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. G. Valero Jordana e R. Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. U. Leanza, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
avente ad oggetto il ricorso diretto a far constatare che la Repubblica italiana - non avendo provveduto affinché, al più tardi entro il 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano, situati all'interno di un bacino drenante nelle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nordoccidentale», definite dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, e 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GURI 29 maggio 1999, Suppl. ord.), come sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40), fossero sottoposti ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 di quest'ultima direttiva - è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell'art. 5, n. 2, della detta direttiva come richiamato dal n. 5 dell'articolo medesimo,
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta dalla sig.ra F. Macken (relatore), presidente di sezione, dalla sig.ra N. Colneric, dai sigg. C. Gulmann, R. Schintgen e V. Skouris, giudici,
avvocato generale: F.G. Jacobs
cancelliere: R. Grassvista la relazione del giudice relatore,
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza dell'11 dicembre 2001,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1.Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 26 ottobre 2000, la Commissione delle Comunità europee ha proposto, ai sensi dell'art. 226 CE, un ricorso diretto a far dichiarare che la Repubblica italiana - non avendo provveduto affinché, al più tardi entro il 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano, situati all'interno di un bacino drenante nelle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nordoccidentale», definite dal decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, e 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole (GURI 29 maggio 1999, Suppl. ord.; in prosieguo:il «decreto»), come sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane (GU L 135, pag. 40; in prosieguo: la «direttiva»), fossero sottoposti ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 di quest'ultima direttiva - è venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi dell'art. 5, n. 2, della detta direttiva come richiamato dal n. 5 dell'articolo medesimo.
Contesto normativo
2.
Ai sensi del suo art. 1, la direttiva concerne la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali e ha lo scopo di proteggere l'ambiente dalle ripercussioni negative provocate dallo scarico di acque reflue.
3.
L'art. 2 della direttiva definisce le «acque reflue urbane» come «acque reflue domestiche o il miscuglio di acque reflue domestiche, acque reflue industriali e/o acque meteoriche di dilavamento».
4.
L'art. 3, n. 1, secondo comma, della direttiva precisa che, per le acque reflue urbane che si immettono in acque recipienti considerate «aree sensibili» ai sensi della definizione di cui all'art. 5, gli Stati membri garantiscono che gli agglomerati con oltre 10 000 abitanti equivalenti siano provvisti di sistemi di raccolta delle acque reflue urbane al più tardi entro il 31 dicembre 1998. L'art. 2 della direttiva definisce l'abitante equivalente (in prosieguo: l'«a.e.») come «il carico organico biodegradabile, avente una richiesta biochimica di ossigeno a 5 giorni (BOD5) di 60 g di ossigeno al giorno».
5.
Le regole generali applicabili alle acque reflue urbane sono contenute nell'art. 4 della direttiva, che dispone, al n. 1, primo trattino:
«Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, secondo le seguenti modalità:
- al più tardi entro il 31 dicembre 2000 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 15 000 a.e.».
6.
L'art. 5 della direttiva precisa:
«1. Per conseguire gli scopi di cui al paragrafo 2, gli Stati membri individuano, entro il 31 dicembre 1993, le aree sensibili secondo i criteri stabiliti nell'allegato II.
2. Gli Stati membri provvedono affinché le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico in aree sensibili, ad un trattamentopiù spinto di quello descritto all'articolo 4 al più tardi entro il 31 dicembre 1998 per tutti gli scarichi provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e.
(...)
4. In alternativa, i requisiti stabiliti ai paragrafi 2 e 3 per i singoli impianti non necessitano di applicazione nelle aree sensibili in cui può essere dimostrato che la percentuale minima di riduzione del carico complessivo in ingresso a tutti gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane in quella determinata area è pari almeno al 75% per il fosforo totale e almeno al 75% per l'azoto totale.
5. Gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane situati all'interno dei bacini drenanti in aree sensibili e che contribuiscono all'inquinamento di tali aree, sono soggetti ai paragrafi 2, 3 e 4.
(...)».
7.
L'art. 18, secondo comma, lett. b) e c), del decreto identifica come aree sensibili «il delta del Po» e «le aree costiere dell'Adriatico Nord Occidentale, dalla foce dell'Adige a Pesaro, e i corsi d'acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa».
Procedimento precontenzioso
8.
Con lettera 18 novembre 1997 la Commissione ha chiesto al governo italiano di fornirle informazioni sullo stato della raccolta e del trattamento delle acque reflue urbane dell'agglomerato urbano di Milano.
9.
Il 29 gennaio 1998 il governo italiano ha risposto che era stata progettata la costruzione di tre impianti di depurazione che avrebbero coperto il 95% degli scarichi. Esso allegava alla sua risposta una nota del Ministero dell'Ambiente e una relazione tecnica sullo stato della raccolta e del trattamento delle acque reflue urbane nella zona di Milano.
10.
La Commissione ha dedotto da tale risposta che l'agglomerato di Milano non disponeva di impianti di depurazione delle acque reflue urbane, con la conseguenza che gli scarichi provenienti dai circa 2,7 milioni di abitanti si riversavano senza previo trattamento nel sistema fluviale del Lambro-Olona, affluente del Po, il quale sfocia in una zona dell'Adriatico molto inquinata e soggetta a eutrofizzazione.
11.
Con lettera 30 aprile 1999 la Commissione, considerando che la Repubblica italiana non aveva adottato alcun provvedimento concreto, ha diffidato tale Stato ingiungendogli di presentarle le sue osservazioni in ordine ad un eventuale inadempimento degli obblighi ad esso incombenti ai sensi della direttiva. Essa precisava che il fatto di non sottoporre ad un trattamento più rigoroso del trattamento secondario, previsto all'art. 4 della direttiva, le acque reflue urbane della città di Milano, che scaricano in un bacinodrenante in un'area che avrebbe dovuto essere designata, entro il 31 dicembre 1998, come area sensibile ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva, costituiva una violazione dell'art. 5, n. 2, della direttiva.
12.
Con lettere 9 luglio e 27 ottobre 1999 le autorità italiane hanno contestato tale assunto facendo valere, in particolare, di non essere tenute a sottoporre gli scarichi in questione ad un trattamento più rigoroso in quanto essi non si riversano, per lo meno direttamente, in un'area individuata quale sensibile dal decreto.
13.
Ritenendo la risposta insoddisfacente, la Commissione ha emesso, il 21 gennaio 2000, un parere motivato con il quale invitava la Repubblica italiana ad adottare le misure necessarie per conformarsi al detto parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla sua notifica.
14.
Nella sua risposta del 6 aprile 2000 il governo italiano ha ribadito la sua posizione evidenziando l'avvenuta richiesta, da parte sua, della dichiarazione dello stato di emergenza che avrebbe così consentito l'adozione di una procedura semplificata per la rapida realizzazione dei tre impianti depurativi previsti per gli agglomerati di Milano.
15.
Di conseguenza, la Commissione ha proposto il presente ricorso.
Nel merito
16.
La Commissione chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 5, n. 2, della direttiva e di condannare quest'ultimo Stato alle spese.
17.
Anticipando gli argomenti dedotti dal governo italiano a sua difesa, la Commissione ritiene che sia contrario al contenuto normativo della direttiva l'esclusione di qualsiasi trattamento delle acque reflue provenienti da una città come Milano per il solo fatto che esse non si riversano direttamente in un'area sensibile.
18.
Infatti, secondo la Commissione, risulta evidente dall'art. 5, nn. 2 e 5, della direttiva che tutte le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e. e che si riversano in aree sensibili dovevano essere sottoposte, al più tardi entro il 31 dicembre 1998, ad un trattamento più spinto di quello di cui all'art. 4 della direttiva.
19.
L'art. 5 della direttiva implicherebbe che, se i bacini drenanti che scaricano in aree sensibili raccolgono acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e., che contribuiscono all'inquinamento di tali aree, essi dovrebbero essere dotati di impianti di trattamento i cui scarichi rispondano agli stessi requisiti di quelli che si riversano direttamente nelle aree sensibili.
20.
Così, secondo la Commissione, tutte le acque reflue urbane provenienti da agglomerati con oltre 10 000 a.e. pervenienti in aree sensibili, sia direttamente sia attraverso i cosiddetti bacini drenanti dovevano, entro il 31 dicembre 1998, essere depurate mediante sottoposizione al trattamento più spinto.
21.
Il governo italiano chiede alla Corte di respingere il ricorso in esame e di condannare la Commissione alle spese.
22.
Pur precisando di farsi carico dell'urgenza e della gravità della situazione ponendo in essere tutti gli adempimenti acceleratori possibili per la realizzazione degli impianti di depurazione delle acque reflue urbane della città di Milano, tale governo fa tuttavia valere che il territorio di detta città non ricade né in un'area sensibile né in un bacino drenante in area sensibile.
23.
Esso sottolinea infatti che il decreto non ha definito tutto il territorio italiano come area sensibile. Ora, dato che l'individuazione delle aree sensibili risultanti dal decreto non è stata contestata dalla Commissione, essa dovrebbe essere considerata parametro idoneo a verificare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'art. 5 della direttiva.
24.
Secondo il governo italiano, il territorio del Comune di Milano non rientra in nessuna delle aree sensibili identificate direttamente dal decreto o designate dalla Regione Lombardia.
25.
Al riguardo, esso sostiene che è irrilevante ai fini della pretesa infrazione contestatagli la circostanza che tutte le acque reflue urbane della città di Milano siano riversate nel sistema fluviale Lambro-Olona, affluente del Po, il quale sfocia in una zona dell'Adriatico molto inquinata e soggetta a eutrofizzazione.
26.
Esso precisa infatti che il Po non è stato individuato come zona sensibile per il suo intero corso, ma unicamente per il suo delta, che dista da Milano oltre 300 chilometri. Inoltre, nessun tratto del Po è stato identificato come area sensibile dalla Regione Lombardia.
27.
Questo argomento non può essere accolto.
28.
Infatti, risulta dall'art. 5, n. 2, della direttiva che tutte le acque reflue urbane provenienti da agglomerati, come quello di Milano, con oltre 10 000 a.e. che si riversano in aree sensibili avrebbero dovuto essere sottoposte, entro e non oltre il 31 dicembre 1998, ad un trattamento più spinto di quello considerato all'art. 4 della direttiva.
29.
Contrariamente a quanto assume il governo italiano, è indifferente, in proposito, che tali acque reflue si riversino direttamente o indirettamente in un'area sensibile.
30.
Infatti, l'art. 3, n. 1, secondo comma, della direttiva, che riguarda gli scarichi di acque reflue urbane che s'immettono in acque recipienti considerate aree sensibili, e l'art. 5,n. 2, della direttiva, che prescrive che le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte ad un trattamento più spinto prima dello scarico in aree sensibili, non fanno alcuna distinzione a seconda che gli scarichi in un'area sensibile siano diretti o indiretti.
31.
Del resto, quest'interpretazione viene suffragata dalla finalità della direttiva che, ai sensi del suo art. 1, è di proteggere l'ambiente, nonché dall'art. 174, n. 2, CE, che dispone che la politica della Comunità in materia ambientale miri ad un elevato livello di tutela.
32.
Ora, tale finalità sarebbe compromessa qualora le sole acque reflue che si riversano direttamente in un'area sensibile fossero sottoposte ad un trattamento più spinto di quello considerato dall'art. 4 della direttiva.
33.
Per quanto riguarda l'argomento del governo italiano secondo cui, giacché l'individuazione delle aree sensibili derivante dal decreto non è stata contestata dalla Commissione, essa deve essere considerata parametro idoneo a verificare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'art. 5 della direttiva, basta rilevare che la censura della Commissione verte, non sull'individuazione delle aree sensibili operata dalle autorità italiane, bensì sull'applicazione delle misure, previste dalla direttiva, riguardanti gli scarichi di acque reflue urbane nelle aree sensibili definite dalle autorità italiane.
34.
Nel caso di specie, le acque reflue urbane della città di Milano, che il governo italiano non contesta che non siano sottoposte ad un trattamento più spinto di quello descritto all'art. 4 della direttiva, si riversano, passando per il bacino del Po, nelle aree sensibili del delta del Po e della costa nordoccidentale dell'Adriatico.
35.
Di conseguenza, si deve ritenere fondato il ricorso proposto dalla Commissione.
36.
Occorre quindi dichiarare che la Repubblica italiana - non avendo provveduto affinché, entro e non oltre il 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano all'interno di un bacino drenante pertinente alle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nordoccidentale», definite dal decreto come aree sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva, fossero sottoposti ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 della detta direttiva - è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 5, n. 2, della medesima direttiva.
Sulle spese
37.
Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle spese.
Per questi motivi,
LA CORTE (Sesta Sezione)
dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana - non avendo provveduto affinché, entro e non oltre il 31 dicembre 1998, gli scarichi delle acque reflue urbane della città di Milano all'interno di un bacino drenante pertinente alle aree «delta del Po» e «costiere dell'Adriatico nordoccidentale», definite dal decreto legislativo della Repubblica italiana 11 maggio 1999, n. 152, recante disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento e recepimento delle direttive 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, e 91/676/CEE, relativa alla protezione delle acque dall'inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole, come aree sensibili ai sensi dell'art. 5 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1991, 91/271/CEE, concernente il trattamento delle acque reflue urbane, fossero sottoposti ad un trattamento più spinto di quello secondario o equivalente previsto dall'art. 4 della detta direttiva - è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell'art. 5, n. 2, della medesima direttiva.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.