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La Provincia di Venezia rigetta la interpretazione autentica della nozione di rifiuto
Venezia Marghera 23 gennaio 2003

Oggetto: Estratto del verbale della Commissione Consultiva Sanzioni della Provincia di Venezia del 23 gennaio 2002: parere di disapplicazione art. 14 d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge 8 agosto 2002, n. 178

Premessa
Nel corso di un controllo eseguito dalla Guardia di Finanza è stato accertato un trasporto di rifiuti (scarti di alluminio, tranci, pallets in legno) senza il relativo formulario, in violazione dell'art. 15 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Nella memoria presentata ai sensi dell'art. 18 della legge 689/1981, il trasgressore esclude l'illiceità del fatto, richiamandosi all'interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all'art. 6, 1° comma lettera a) del d.lgs. 22/97, contenuta nell'art. 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138. L'argomentazione difensiva appare chiara, nel senso che, in assenza di un "rifiuto", non vi sarebbe alcun obbligo di accompagnare il viaggio del materiale in questione con l'apposito formulario di trasporto.
La definizione di rifiuto riveste importanza fondamentale sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista pratico: dilatare o restringere la nozione di rifiuto significa, di fatto, condizionare l'ambito di applicazione del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, poiché le previsioni e sanzioni del cd. decreto Ronchi presuppongono la presenza di un rifiuto in senso giuridico.
Ai sensi dell'art. 55, 1° comma del d.lgs. 22/97 la Provincia di Venezia è autorità competente all'irrogazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal decreto stesso, con particolare riguardo agli obblighi documentali concernenti formulari di trasporto e registri di carico e scarico dei rifiuti.
Il giorno 8 luglio 2002 il Governo è intervenuto in materia di rifiuti con decretazione d'urgenza, definendo l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto prevista dall'art. 6, 1° comma, lettera a) del d.lgs. 22/97. A partire da questa data, il Settore Politiche Ambientali della Provincia di Venezia ha ricevuto numerosi scritti difensivi ai sensi dell'art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689, con i quali si chiede l'archiviazione dei verbali di accertamento impugnati sulla base della citata interpretazione autentica.


La nozione di rifiuto ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22
Il decreto Ronchi, in recepimento della normativa comunitaria, all'art. 6 lettera a) riproduce la definizione di rifiuto fornita dall'art. 1, lettera a) della direttiva 75/442/CEE, richiedendo per l'individuazione di un rifiuto in senso giuridico due condizioni concorrenti. Il primo elemento necessario è il cd. criterio tabellare, ovvero l'appartenenza della sostanza ad una delle categorie individuate nell'allegato A: si tratta di un'elencazione aperta di carattere non tassativo, come palesemente si evince dai punti Q1 "residui di produzione in appresso non specificati" e Q16 "qualunque sostanza o materia che non rientri nelle categorie sopra elencate". Il secondo elemento costitutivo della definizione di rifiuto è il fatto che di tale sostanza "il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi". Con circolare del Ministro dell'Ambiente n. 3402/V/MIN del 28 giugno 1999, recante chiarimenti interpretativi in materia di definizione di rifiuto, si è precisato che "con il termine disfarsi il legislatore comunitario intende qualificare la destinazione di una sostanza alle operazioni di smaltimento o recupero indicate negli allegati B e C del decreto legislativo 22 febbraio 1997, n. 22". In accoglimento di una nozione estensiva di rifiuto, la circolare citata ha altresì specificato che il concetto di recupero funzionale alla definizione di rifiuto non comprende soltanto le operazioni menzionate nell'allegato C, ma anche procedure di riutilizzo diverse da quelle descritte in siffatto elenco. A completare il quadro, si deve segnalare che, di fronte agli svariati tentativi di escludere dal novero dei rifiuti le sostanze riutilizzabili, in più occasioni la Corte di Giustizia delle Comunità Europee ha fermamente ribadito che la nozione di rifiuto ai sensi delle direttive CEE non deve intendersi nel senso che essa esclude i materiali suscettibili di riutilizzazione economica (per tutte, sentenza del 25 giugno 1997, sez. VI, Tombesi).

L'art. 14 del d.l. 8 luglio 2002 cd. Ronchi quater, n. 138, convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 2002, n. 178
Il decreto legge 8 luglio 2002, n. 138, recante interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree svantaggiate, all'art. 14 contiene l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all'art. 6, comma 1, lettera a) del d.lgs. 22/97. In particolare, il 2° comma del citato art. 14 esclude, in via presuntiva, la decisione o l'obbligo di disfarsi per residui di produzione o consumo in presenza di una delle seguenti condizioni:
a) se i residui possono e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo senza intervento preventivo di trattamento e senza pregiudizio per l'ambiente;
b) se i residui possono e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo un intervento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del d.lgs. 22/97.

Profili di incompatibilità tra l'art. 14 e il diritto comunitario
All'indomani dell'entrata in vigore dell'art. 14 del d.l. 138/2002, sono sorti dubbi in ordine alla sua compatibilità con il diritto comunitario. La citata disposizione pare spingersi dove nessuna normativa nazionale può arrivare: il predetto art. 14 del d.l. 138/2002 sembra limitare l'operatività della nozione comunitaria di rifiuto, restringendone l'applicabilità e, di conseguenza, riducendo l'ambito di applicazione della stessa normativa comunitaria in materia; in questo modo una normativa nazionale impedirebbe di assoggettare alla disciplina comunitaria sostanze che sono effettivamente rifiuti secondo la definizione prevista dall'art. 1 della direttiva 75/442/CEE e ciò sulla base della mera destinazione futura di una sostanza o del suo impatto ambientale.
In modo sintetico, possiamo riassumere che l'art. 14 del d.l. 138/2002 appare contrastare con il diritto comunitario sotto i seguenti profili:
a) Introduzione di elementi ulteriori per l'identificazione di una sostanza come rifiuto: restrizione della nozione comunitaria di rifiuto
In primo luogo, l'art. 14, nell'interpretare la nozione di rifiuto prevista dall'art. 6 del d.lgs. 22/97, sembra aggiungere elementi ulteriori rispetto a quelli necessari e sufficienti sulla base della normativa comunitaria. Mentre secondo il diritto comunitario gli unici criteri indispensabili per qualificare una sostanza come "rifiuto" sono l'appartenenza ad una delle categorie indicate nell'allegato I (recepito in Italia come allegato A al d.lgs. 22/97) e il fatto che il detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene, l'articolo 14 finisce per richiedere degli elementi aggiuntivi, quali l'assenza di una destinazione del residuo a riutilizzo in cicli di produzione e consumo. In particolare, si segnala che il riutilizzo dei residui di produzione o consumo in medesimi o diversi cicli di produzione o consumo coincide proprio con quelle operazioni di gestione dei rifiuti che la direttiva 75/442/CEE mira a sottoporre a controllo e che l'art. 20, 6° comma sottopone prioritariamente al controllo periodico delle Province. Basti pensare che molte operazioni di recupero esplicitamente elencate dall'allegato 1 al D.M. 5 febbraio 1998 sono proprio riutilizzi diretti in cicli produttivi.
b) Introduzione di una presunzione assoluta ai fini dell'esclusione della natura di rifiuto
La Corte di Giustizia CE con la sentenza 15 giugno 2000, ARCO proc. riuniti c-418/97 e c-419/97, si è pronunciata sulla necessità che l'effettiva esistenza di un rifiuto sia accertata caso per caso, senza ricorso a schemi presuntivi. Di conseguenza, pare contrastare con il diritto comunitario una normativa nazionale che, ricorrendo a metodi di prova quali presunzioni iuris et de iure, finisca per escludere la natura di rifiuto di una sostanza e, quindi, restringere l'ambito di applicazione della direttiva stessa.
c) Il concetto di trattamento preventivo di cui alla lettera b) dell'art. 14 del d.l. 138/2002
Per escludere la natura di rifiuto di un residuo, la lettera b) dell'art. 14 richiede che esso abbia subito un trattamento preventivo al quale non sia seguita una operazione di recupero di cui all'allegato C. Quest'ultima condizione appare difficilmente ipotizzabile nella prassi, visto il carattere estremamente ampio e generico dell'elenco delle operazioni di recupero contenuto nell'allegato C; in particolare, si rammenta che, secondo un dato di comune esperienza, un trattamento è qualificabile come preventivo proprio in funzione della successiva attività di recupero.

Lo stato attuale dei provvedimenti relativi all'art. 14 del d.l. 138/2002
I segnalati profili di incompatibilità tra la normativa nazionale in oggetto e la nozione comunitaria di rifiuto sono stati finora rilevati in diverse sedi.
In primo luogo, la Commissione delle Comunità Europee ha deciso di aprire la procedura di infrazione n. C(2002)3868 nei confronti del Governo italiano per violazione degli obblighi derivanti dalla direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE.
Sul tema dell'interpretazione autentica della nozione di rifiuto contenuta nell'art. 14 del d.l. 138/2002 sono intervenuti anche diversi provvedimenti giurisdizionali. Tra questi possiamo ricordare l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine datata 14 ottobre 2002, con la quale è stata rigettata l'opposizione ad un decreto di rigetto delle richieste di restituzione di cose sequestrate proprio sulla base della disapplicazione dell'art. 14 del d.l. 138/2002. Merita, inoltre, di essere segnalata anche l'ordinanza dibattimentale del Tribunale Penale di Terni del 20 novembre 2002, con la quale è stato disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte Europea di Giustizia affinché il giudice comunitario interpreti la definizione di rifiuto introdotta con la direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE, per stabilire se essa "debba essere intesa e interpretata a tutt'oggi in Italia alla luce delle pregresse sentenze in materia della Corte stessa ovvero alla luce dell'articolo 14 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138, convertito in legge 8 agosto 2002, n. 178".


Conclusioni
In applicazione del principio del primato del diritto comunitario cd. compiuto (regolamenti e direttive comunitarie self executing), elaborato dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee sin dal 1978 e recepito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 170/1984, le norme comunitarie prevalgono sulle disposizioni nazionali con esse contrastanti. Tale principio, che pacificamente vale anche per le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, si traduce in un vero e proprio obbligo di disapplicazione per giudici e autorità amministrative della normativa nazionale in contrasto con quella comunitaria.
Per tutti i motivi sopra esposti si comunica di non ritenere applicabile l'art. 14 del d.l. 138/2002 nel procedimento amministrativo sanzionatorio in oggetto, nel quale la sussistenza o meno di un illecito amministrativo in materia di rifiuti dipende proprio dalla esistenza di una sostanza qualificabile come rifiuto ai sensi dell'art. all'art. 6, comma 1, lettera a) del d.lgs. 22/97.
- OMISSIS -