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Interpretazione autentica della nozione di rifiuto - il rottame ferroso non è rifiuto

Sentenza Corte di Cassazione penale 24 febbraio 2003, n. 1642

Corte di Cassazione penale, Sezione III - Sentenza 24 febbraio 2003, n. 1642
(c.c. 13 dicembre 2002). Pres. Savignano - Est. Tardino - Pm Favalli (diff.) - Ric. Ferriere Nord S.p.A. ed altro.

Svolgimento del processo e motivi della decisione
Il Tribunale di Udine, con ordinanza in data 14 giugno 2002, rigettava le istanze di riesame proposte dalle Ferriere Nord S.p.A., in persona del legale rappresentante (...) e della Ditta La Metallurgica S.a.s., in persona del suo procuratore (...), avverso il provvedimento del Procuratore della Repubblica che aveva convalidato il sequestro di Pg di 2020 tonnellate di rottame ferroso acquistati dalle Ferriere Nord, e di due cumuli di materiale ferroso di proprietà della Metallurgica Piemontese. Il Tribunale, dando atto del sequestro operato dai Carabinieri del Nucleo operativo ecologico presso il Porto Marghereth di San Giorgio di Nogaro, con riguardo a cumuli di rottame ferroso, di rottami ferrosi eterogenei e di assali di treno (non più utilizzabili per gli scopi originari), di proprietà, questi ultimi della Metallurgica Piemontese, e i primi due della Ferriere Nord - società, queste, che non erano in possesso di autorizzazione alla gestione dei rifiuti - confermava il provvedimento di convalida, configurando nei confronti dei rispettivi legali rappresentanti l'ipotesi di reato di cui all'articolo 51 del Dlgs 22/97.
Ricorrevano per Cassazione gli indagati, che eccepivano la violazione di legge, anche con riguardo ad un'errata interpretazione della normativa comunitaria.
In particolare, (...), contestando la qualificabilità del rottame in questione come rifiuto (... trattandosi di rottame ferroso acquistato da soggetti terzi e reimpiegato nei processi produttivi dell'acciaio, eventualmente previo deposito presso gli stabilimenti di produzione), rilevava la doverosa disapplicazione della normativa italiana sui rifiuti perché in contrasto con quella ceca, eventualmente rimettendo gli atti alla Corte di Giustizia;
(...) deduce la violazione dell'articolo 321 C.p.p. per insussistenza del fumus del reato, assumendo come, attraverso il procedimento industriale di recupero, i materiali sequestrati dovevano essere considerati prodotti finiti e merce a tutti gli effetti.

I ricorsi sono fondati e devono essere accolti, con il conseguente annullamento dell'ordinanza impugnata.
La soluzione del caso di specie non può prescindere dall'esame del decreto legge 8 luglio 2002 n. 138, con il quale il legislatore, reinterpretando la nozione di rifiuto contenuta nel Dlgs 22/97, significava come "non ricorresse la decisione di disfarsi di cui alla lettera b) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo, se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati... senza subire alcun trattamento preventivo di trattamento".
Trattasi, in sostanza, di una problematica attinente alla qualificazione giuridica, e quindi ad una questione squisitamente normativa, essendo pacifiche, sulla base delle risultanze processuali, le caratteristiche materiali del rottame.
Trattasi, cioè, di vedere se quel materiale, esaustivamente identificato come in atti sia qualificabile come rifiuto. Quello che sembra essere stato trascurato dal Tribunale, con conseguenti erronee implicazioni giuridiche, è l'essenzialità del requisito soggettivo relativo alla determinazione all'animus derelictionis, ovvero alla volontà di disfarsi di quel materiale da parte del venditore: se, cioè, questi abbia inteso disfarsene, o non invece abbia venduto come materia prima; se l'acquirente abbia comprato in vista di utilizzarlo nel ciclo produttivo. E infatti, il decreto legislativo n. 22/97, nel dettare la nuova disciplina in materia di rifiuti, ha inteso individuare un dato oggettivo (presenza di una sostanza nelle categorie riportate nell'allegato A, del decreto, che sia stata già disfatta dal suo detentore ovvero sia in atto di essere disfatta, oppure oggetto di un dovere giuridico in tal senso) e un elemento soggettivo, descritto dalla norma come volontà del detentore di disfarsi di quella sostanza.
La considerazione che, pertanto, s'impone in via preliminare è che le sostanze rientranti nelle categorie riportate nell'allegato A) - Codice europeo dei rifiuti - non sono, di per sé, caratterizzabili come rifiuti se il detentore non se ne è disfatto o non intende disfarsene, o non è obbligato per legge o in forza di un provvedimento amministrativo.
È proprio su questo terreno che è mancata l'analisi del Tribunale: che ha erroneamente ritenuto che quel materiale ferroso, reimpiegabile tale e quale senza necessità di trattamento, dovesse essere assoggettato dall'acquirente che lo avesse comprato per utilizzarlo nei propri processi produttivi, alla normativa vigente nel nostro paese in tema di rifiuti. La questione del regime giuridico, al quale assoggettare materiali che provengano da precedenti processi produttivi e che, previo o meno trattamento, vengano poi riutilizzati in altri processi industriali, è certamente complessa e da tempo oggetto di dispute tra quanti sono portatori delle esigenze del mondo produttivo e che rifiutano le parole e gli appesantimenti burocratici..., e quanti altri sono preoccupati del controllo pubblico in tema di tutela ambientale; ed è, in forza di questa sensibilizzazione che il legislatore ha configurato la gestione dei rifiuti come attività di pubblico interesse (articolo 2, comma primo, Dlgs n. 22/97).
Ma è anche vero che, all'interno del più ampio concetto di gestione, il legislatore ha collocato, tra le altre, l'attività di recupero... come fase distinta e autonoma rispetto allo smaltimento (articolo 6, comma 1, lettera d) e articolata in più operazioni diversificate, assoggettandola ad una disciplina autorizzatoria semplificata (articolo 33, comma 1, Dlgs n. 22/97); ed è anche corretto, pertanto, che i soggetti che svolgono operazioni di recupero... siano sottoposti agli obblighi di legge previsti per i gestori di rifiuti (procedure semplificate). Il punto critico della questione, e da cui la problematicità del caso, è il regime giuridico che caratterizza il risultato finale delle operazioni di recupero; e, in questa lettura normativa, bisogna fare riferimento al Dm 5 febbraio 1998 che, recependo le direttive comunitarie (direttiva 91/156/Cee del Consiglio del 18 marzo 1991), sancisce testualmente che il risultato del recupero non è più un rifiuto, ma una nuova merce.
Ma il problema residuale di grandissima rilevanza è ancora quello del riutilizzo, a prescindere da operazioni di trattamento e di recupero, sul quale è stato illuminante il Ministero dell'ambiente con la sua Circolare del 28 giugno 1999 (Circolare recante chiarimenti interpretativi in materia di definizione di rifiuto): nella quale è stato ribadito che il materiale ricavato dalle operazioni di riutilizzo/recupero, effettuate sui rifiuti, debba essere qualificato come una merce. Sul punto si è pronunciata anche la Corte di Giustizia (16 giugno 2000, in cause C-418/97 e C-419/97) nel senso che "una sostanza perderebbe le caratteristiche del rifiuto, in relazione ad un'operazione di recupero completo; e quando, cioè, possa essere trattata allo stesso modo di una materia prima". In questa prospettiva di valutazione, così come avviata dal Giudice comunitario, e con riferimento al caso di specie, e cioè, al caso di residui riutilizzati senza trattamento, bisogna fissare il principio che: quando non vi sia necessità di trattamento, ma possibilità di riutilizzo immediato nel ciclo produttivo, non si possa parlare di rifiuto, ma di materia prima secondaria, di per sé riutilizzabile.
Con riguardo, pertanto, alla fattispecie in esame bisogna allora dire che il rottame ferroso, riutilizzato di per sé, senza alcuna operazione di trattamento preliminare, è inquadrabile in quest'ultimo caso: con la conseguente inapplicabilità della normativa relativa ai rifiuti. Ed è ancora, su questo versante che è mancata l'analisi del Tribunale, che ha, praticamente omesso di valorizzare adeguatamente l'attività in concreto svolta dalle Ferriere Nord col rottame acquistato, che non è attività assimilabile a quella di raccolta e di smaltimento.
Per quanto riguarda il cumulo di assali risulta agli atti che il rifiuto vero e proprio, e cioè il carro ferroviario dismesso dalla SAAF, è stato demolito da altre società rumene, che avevano provveduto a recuperare e a ridurre i vari materiali che lo componevano, e che i prodotti risultanti da tale attività di recupero sono stati a loro volta ceduti; che la Ditta Euro Metal Works aveva acquistato dalla SAAF assali completi di ruote, affidando alla società Dobroport le operazioni di manipolazione, operazioni eseguite attraverso l'utilizzo di procedimenti tecnologici di rilievo che ha dato vita alla materia prima secondaria acquistata dalla Eurineo Trading S.r.l., che a sua volta ha venduto come prodotto finito, e quindi come merce, gli assali alla Metallurgica Piemontese.
Stante il fatto che il sequestro probatorio è solo funzionale alla necessarietà del vincolo per l'accertamento dei fatti in relazione ad un'ipotesi di reato; e quindi, un provvedimento provvisorio per ragioni di urgenza legate ad un'indispensabile motivazione di ricerca della prova, il caso in esame, del tutto pacifico nei suoi elementi fattuali e sicuro da inverosimili manipolazioni, non si prestava e non si presta ad un cautelamento probatorio: anche perché l'acquisto di rottame ferroso in forza di un contratto lecito e legittimo, non costituisce, di per sé, reato; e il bene consegnato in virtù di questo contratto, non è qualificabile come corpo di reato.
L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio al Tribunale di Udine.

(omissis)

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