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Il committente di lavori edili non può essere considerato responsabile della mancata osservanza delle norme in materia di smaltimento dei rifiuti

CORTE DI CASSAZIONE PENALE
Sez. III, 21 aprile 2003, n. 15165 (ud. 28 gennaio 2003).
Pres. Toriello – Est. Onorato – P.M. Danesi (diff.) – Ric. Capecchi.
Il committente di lavori edili non può, per ciò solo, essere considerato responsabile della mancata osservanza, da parte dell’assuntore di detti lavori, delle norme in materia di smaltimento dei rifiuti, non essendo derivabile da alcuna fonte giuridica (legge, atto amministrativo o contratto) l’esistenza, in capo al committente, di un dovere di garanzia dell’esatta osservanza delle suindicate norme.
Svolgimento del processo. 1- Con la sentenza in epigrafe il giudice monocratico del tribunale di Pistoia ha dichiarato Massimo Capecchi colpevole del reato di cui all’art. 51, comma 1, lett. a), in relazione agli artt. 28 e 33, del D.Lgs. 22/1997, perché – in concorso con Valfredo e Tiziano Mati, soci responsabili della s.n.c. “Mati Mauro & Figli” – aveva effettuato operazioni di gestione di rifiuti speciali non pericolosi (calcinacci e conglomerati cementiti derivanti dalla demolizione di fabbricati), utilizzandoli per realizzare un sottofondo/riempimento di un’area destinata a piazzale e parcheggio, in assenza di autorizzazione provinciale ex art. 28 o di comunicazione ex art. 33. Reato accertato in Pistoia il 20 marzo 1999.
Per l’effetto, il Capecchi veniva condannato, in concorso con le attenuanti generiche, alla pena di lire 30.000.000 di ammenda, col beneficio della non menzione.
Ai predetti Mati, avendo patteggiato la pena con il pubblico ministero, con sentenza a parte, veniva invece applicata ex art. 444 c.p.p. la pena di lire 2.500.000 di ammenda per ciascuno.
Il giudice accertava che il Capecchi, quale amministratore responsabile della società Lim, aveva commissionato alla ditta Mati la costruzione di un piazzale da destinarsi a parcheggio e deposito materiali, e che la ditta appaltatrice aveva proceduto al riempimento e rialzamento del piano di campagna con calcinacci e altro materiale di risulta proveniente dalla demolizione di un fabbricato (verosimilmente la fabbrica dell’ex-Breda). Tanto premesso, poiché il recupero (rectius smaltimento) di siffatti rifiuti speciali non era legittimato da alcuna autorizzazione o comunicazione all’autorità amministrativa competente, il giudice riteneva integrato il reato contestato, di cui dovevano rispondere sia i Mati, quali esecutori dei lavori, sia il Capecchi, quale committente, giacché aveva omesso colpevolmente di controllare se gli appaltatori si erano muniti dei necessari titoli abilitativi (responsabilità ex art. 40 cpv. c.p. per culpa in vigilando).
2 – il difensore del Capecchi ha presentato ricorso per cassazione, sviluppando tre articolati motivi a sostegno. In estrema sintesi deduce:
2.1 – violazione della norma incriminatrice, per inosservanza dell’art. 57, comma 5, D.Lgs. 22/1997, giacché in virtù di quest’ultima disposizione transitoria, i materiali inerti provenienti da demolizione, come quelli utilizzati per il piazzale in questione, erano esclusi dal campo di applicazione della disciplina sui rifiuti sino al 30 giugno 1999;
2.2 – inosservanza degli artt. 43 e 40 c.p., giacché il Capecchi, quale committente e proprietario dell’area, non era gravato da alcun obbligo di controllo sulla ditta appaltante, che fosse rilevante ai fini dell’art. 40 cpv.; non poteva quindi essere rimproverato di una culpa in vigilando;
2.3 – inosservanza degli artt. 132 e 133 c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
Con atto depositato il 13 gennaio 2003, il difensore ha articolato un nuovo motivo per violazione della norma incriminatrice, sostenendo che, in seguito all’entrata in vigore della legge 8 agosto 2002 n. 178, che ha fornito una interpretazione autentica della nozione di “rifiuto”, esiste un’ulteriore ragione che impedisce di qualificare come rifiuti i materiali inerti de quibus, in quanto materiali residuali di produzione effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in diverso ciclo produttivo senza subire alcun trattamento preventivo e senza recare pregiudizio all’ambiente.
Motivi della decisione. - 3 – E’ sicuramente fondato il secondo motivo di ricorso.
Invero, il committente di lavori edilizi e/o urbanistici, come quelli per la costruzione del piazzale che il Capecchi ha affidato alla ditta Mati, è corresponsabile assieme all’assuntore dei lavori per la violazione delle norme urbanistiche, ai sensi dell’art. 6 legge 47/1985: come tale ha un obbligo di vigilanza ovvero una posizione di garanzia ai sensi dell’art. 40 cpv. cod. pen., sicché può essere ritenuto corresponsabile, per esempio, di lavori edilizi commessi dall’assuntore in difformità dalla concessione, in quanto non ha impedito, dolosamente o colposamente, un evento che aveva l’obbligo di impedire.
Diversa è invece l’ipotesi di violazioni della normativa sui rifiuti, eventualmente commesse dalla ditta assuntrice dei lavori edili. A questo riguardo non è ravvisabile alcuna fonte giuridica (legge, atto amministrativo o contratto) che fondi un dovere del committente di garantire l’esatta osservanza della anzidetta normativa da parte dell’assuntore dei lavori. (In questo senso non sembra condivisibile l’applicazione che dell’art. 40 cpv. c.p. ha fatto Cass. Sez. III, sent. n. 4957 del 21 gennaio 2000, Rigotti e altri, rv. 215943).
Ha errato quindi il giudice del merito nel caricare sul Capecchi un dovere di garanzia e quindi nel ritenerlo corresponsabile per culpa in vigilando della gestione illecita di rifiuti speciali contestata alla ditta assuntrice dei lavori.
4 – Ma anche il primo motivo di ricorso appare fondato.
Infatti, il materiale inerte di natura lapidea proveniente da demolizione è compreso fra quelli che l’art. 1 del D.M. 3 settembre 1994 escludeva dalla disciplina dei rifiuti contenuta nel decreto legge 8 luglio 1994 n. 438 (allegato 1 dello stesso decreto ministeriale).
Ora la disposizione transitoria di cui all’art. 57, comma 5, D.Lgs 5 febbraio 1977 n. 22 e succ. mod. stabilisce che “le attività che in base alle leggi statali e regionali vigenti risultano escluse dal regime dei rifiuti, ivi compreso l’utilizzo dei materiali e delle sostanze individuate nell’allegato 1 al decreto del ministro dell’ambiente 5 settembre 1994 (…) devono conformarsi alle disposizioni del presente decreto entro e non oltre il 30 giugno 1999”.
Secondo il capo di imputazione, l’utilizzo del materiale da demolizione per realizzare il sottofondo del piazzale di cui trattasi è proseguito solo sino al 20 marzo 1999, e quindi entro l’arco temporale transitorio in cui continuava ad avere vigore l’esenzione dal regime dei rifiuti.
Contro questa conclusione, il pubblico ministero di udienza ha osservato che la norma transitoria presuppone una legge statale o regionale che stabilisse l’esenzione.
Ma l’obiezione non ha pregio per due ragioni. Anzitutto il decreto ministeriale 5 settembre 1994 è stato emesso in attuazione degli artt. 2 e 5 del decreto legge 8 luglio 1994 n. 438, che benché non convertito in legge, è stato più volte reiterato e infine “salvato” dalla legge 11 novembre 1996 n. 575, la quale ha espressamente sanato gli effetti della mancata conversione in legge e ha disposto la perdurante validità degli atti e dei provvedimenti adottati, facendo salvi gli effetti prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge non convertiti. Non può quindi dubitarsi che la fonte normativa della esenzione abbia natura di legge statale.
In secondo luogo, seguendo l’obiezione del pubblico ministero, si vanificherebbe indebitamente il senso dell’inciso “ivi compreso l’utilizzo dei materiali e delle sostanze individuate nell’allegato 1 al decreto del ministero dell’ambiente 5 settembre 1994”. Invero, questo inciso ha invece un senso preciso, e cioè che lo stesso legislatore del 1997, nel dettare la disposizione transitoria, aveva ben presente che l’esenzione dal regime dei rifiuti specificata nel citato decreto ministeriale aveva origine legislativa, e come tale intendeva prorogarla sino alla data del 30 giugno 1999.
5 – Gli altri motivi dedotti restano assorbiti.
In conclusione il Capecchi doveva essere assolto perché il fatto non sussiste.