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Pro Derotario
Testo/Traduzione
Traduzione
1. Confesso che, in tutte le cause di una certa importanza, C. Cesare,
iniziando a parlare, di solito provo un'emozione maggiore di quella che
richiedono la mia esperienza e la mia età: ma in questa causa sono così numerosi
i motivi di agitazione che, se da un lato la mia coscienza mi dà tanto impegno
per sostenere la difesa del re Deiotaro, dall'altro l'apprensione mi toglie la
facoltà di parola. Anzitutto io parlo in difesa della vita e dei beni di un re,
e sebbene tutto ciò non sia ingiusto, se teniamo conto del pericolo corso da te,
tuttavia è così inconsueto che un re sia accusato di delitto capitale da non
averlo mai sentito fino a oggi.
2. In secondo luogo, proprio questo re che più volte di fronte al senato al
completo ho lodato per le sue continue benemerenze verso la nostra repubblica,
mi trovo ora costretto a difenderlo dall'accusa più terribile. Inoltre, mi sento
molto a disagio per la crudeltà di uno due accusatori e la bassezza dell'altro.
Crudele è Castore, per non dire scellerato ed empio: lui, un nipote che ha
trascinato il nonno in un giudizio capitale, e che lo ha indotto ad aver paura
della sua giovinezza mentre avrebbe dovuto validamente difenderlo perché
vecchio, lui che al suo ingresso nella vita ha presentato quali referenze
empietà e delitti, che ha corrotto uno schiavo del nonno e lo ha spinto ad
accusare il suo padrone, lo ha allontanato dal servizio di accompagnare gli
ambasciatori.
3. E poi, uno schiavo fuggiasco che accusa il padrone, e per di più un padrone
che è assente e per di più un padrone assai legato alla nostra repubblica:
quando io lo guardavo in faccia, quando lo ascoltavo parlare, non provavo dolore
perché era stata così calpestata la dignità di un re, ma piuttosto provavo
terrore considerando la sorte di tutti. Infatti, mentre secondo la nostra
tradizione non è consentito far testimoniare uno schiavo contro il padrone
neppure con la tortura, anche se in un interrogatorio tale la sofferenza fisica
può strappare la verità perfino a chi non vuol parlare, è venuto fuori uno
schiavo ad accusare, senza alcuna tortura, una persona che neppure fra i
tormenti si potrebbe denunciare.
4. A tratti, o C. Cesare, avverto anche un altro motivo di agitazione, e
tuttavia nel momento in cui io considero a fondo il tuo carattere cesso di stare
in apprensione, perché si tratta di una situazione sfavorevole di fatto, che
diventa però la più favorevole grazie alla tua saggezza. Parlare infatti di un
delitto di fronte alla persona contro la vita del quale si è accusati di averlo
ordito, se si considera la cosa in sé, sarebbe un compito grave, giacché non c'è
praticamente nessuno che, giudicando una causa riguardante un pericolo da lui
corso, non si mostri meglio disposto verso se stesso che verso l'imputato. Ma la
tua natura straordinaria e superiore, o Cesare, ha dissipato questo mio timore:
sono preoccupato infatti per la decisione che vorrai prendere sul re Deiotaro,
ma più ancora comprendo quale giudizio tu desideri che gli altri esprimano sul
tuo conto.
5. Sono turbato anche dalla stessa novità del luogo; una causa tanto importante
quanto nessuna altra mai è venuta in discussione, la difendo fra le pareti di
un'abitazione privata, la difendo lontano da quel folto uditorio, in cui di
solito trova sostegno la passione degli oratori; è nei tuoi occhi,
nell'espressione del tuo volto che io trovo conforto, te solo io guardo, a te
solo si rivolge tutto il mio discorso; se queste circostanze sono molto
importanti nel darmi la speranza di far trionfare la verità, sono meno valide a
riscaldare il mio animo e a conferire impeto e animazione a tutte le mie parole.
6. Se infatti questa causa, o C. Cesare, la difendessi nel foro, anche se fossi
sempre tu ad ascoltare e giudicare, quale entusiasmo mi infonderebbe l'accorrere
del popolo di Roma! Quale cittadino infatti non mostrerebbe favore per quel re e
non ricorderebbe che ha trascorso tutta la sua vita combattendo a fianco del
popolo di Roma? Avrei dinanzi agli occhi la Curia, guarderei nel foro e infine
invocherei il cielo stesso. Così, ricordandomi dei benefici degli dèi immortali,
del popolo di Roma e del senato nei confronti del re Deiotaro, in nessun modo
mancherebbe forza al mio discorso.
7. Ma poiché le pareti di una casa rendono meno validi questi argomenti e la
difesa della causa così notevole viene condizionata dal luogo, spetta a te,
Cesare, che hai difeso più volte molte persone, giudicare da te stesso quale sia
il mio stato d'animo, affinché la tua equanimità da un lato e la tua attenzione
nell'ascoltarmi dall'altra compensino questa mia emozione. Ma prima di parlare
dell'accusa vera e propria, dirò qualche parola su quello che sperano gli
accusatori; costoro, anche se non sembrano dotati né di capacità né di profonda
esperienza, tuttavia si sono presentati a questo processo non senza qualche
speranza e qualche piano prestabilito.
8. Che tu fossi irritato contro il re Deiotaro non lo ignoravano; che egli
avesse subito dei danni morali e materiali a causa del tuo risentimento essi lo
ricordavano, e che tu fossi in collera con lui, ma loro amico, l'avevano saputo:
e poiché parlavano del pericolo che hai corso da te personalmente, pensavano che
in un animo prevenuto avrebbe facilmente fatto presa una falsa accusa. Per
questo motivo, Cesare, in nome della tua lealtà, della tua rettitudine e della
tua clemenza, liberaci anzitutto da questa paura: non dobbiamo avere il sospetto
che in te agisca qualche sentimento di rancore. Ti supplico in nome di questa
destra, che hai teso al re Deiotaro come ospite a chi è stato ospite: questa
destra, io dico, ben ferma non tanto in guerra né in battaglia quanto nella
lealtà della parola data. Sei tu che hai voluto entrare nella casa di quello, tu
hai voluto rinnovare un'antica ospitalità; te accolsero i suoi penati, te videro
amico e sereno gli altari e i focolari del re Deiotaro.
9. Come di solito, o Cesare, sei sensibile alle preghiere, così come ti lasci
convincere una volta per sempre. Nessuno che fosse tuo avversario ti ha mai
placato per poi ravvisare in te la presenza di qualche traccia di risentimento.
E tuttavia a chi sono sconosciute le lagnanze da parte tua sul conto di Deiotaro?
Non gli hai mai rinfacciato di essere un nemico, tutt'al più un amico che ha
adempiuto poco il suo dovere, perché a tuo giudizio era stato più solerte
nell'amicizia con Cn. Pompeo che in quella con te; però dicevi che gli avresti
perdonato appunto questo atteggiamento, se allora avesse sì mandato aiuti a
Pompeo e perfino il proprio figlio, ma avesse per se stesso accampato la scusa
dell'età.
10. Così, scagionandolo dalle gravissime responsabilità, gli attribuivi una
colpa molto lieve. Di conseguenza non soltanto non hai preso provvedimenti nei
suoi confronti, ma lo hai liberato da ogni timore, l'hai riconosciuto come
ospite, lo hai lasciato re. Egli infatti non ha agito per odio contro di te, ma
è caduto nell'errore condiviso da tutti. Quel re, cui il senato si era spesso
rivolto con questo titolo in decreti molto onorevoli per lui e che fin dalla
giovinezza aveva considerato quell'assemblea la più autorevole e sacra, si è
lasciato confondere, lui, uomo che viveva lontano e di stirpe diversa dalla
nostra, dalle medesime valutazioni che hanno sviato noi, nati e sempre vissuti
nel cuore di Roma.
11. Nel sentire che, per decisione unanime del senato, erano state prese le armi
ed era stato dato l'incarico di difendere lo Stato ai consoli, ai pretori, ai
tribuni della plebe, a noi investiti dell' imperium , egli era rimasto
profondamente scosso e, da uomo molto legato al nostro impero, era in
apprensione per la salvezza del popolo romano, dalla quale vedeva dipendere
anche la propria. Tuttavia, pur in una situazione di enorme timore, pensava di
doversi mantenere neutrale. Ma fu davvero assai turbato quando sentì che i
consoli erano fuggiti dall'Italia e che tutti gli ex consoli, queste erano le
notizie che gli giungevano, il senato al completo, l'intera Italia si era
dispersa. Infatti a notizie e a chiacchiere del genere si apriva la via
dell'Oriente, senza che fossero seguite da altre vere. Egli non sapeva nulla
delle condizioni che avevi posto, nulla dei tuoi sforzi per un accordo e per la
pace, nulla delle trame di certi personaggi contro la tua dignità. Eppure,
stando così le cose, si mantenne neutrale fino al momento in cui arrivarono da
lui dei corrieri con una lettera da parte di Cn. Pompeo.
12. Perdona, o Cesare, perdona il re Deiotaro, perdonalo se ha ceduto di fronte
all'autorevolezza di quell'uomo che tutti noi abbiamo seguito, sulle cui spalle
gli dèi e gli uomini hanno accumulato tutti gli onori, ma anche tu stesso gliene
hai concesso innumerevoli e grandissimi. Infatti, se è vero che le tue imprese
hanno oscurato la gloria degli altri, non per questo abbiamo perduto il ricordo
di Cn. Pompeo. Chi ignora quanto fu grande il suo nome, quanto grande la sua
potenza, quanto grande la sua gloria in ogni genere di guerra, quanto grandi gli
onori attribuitigli dal popolo di Roma, dal senato, da te? Egli aveva superato
in gloria chi era venuto prima di lui come tu hai primeggiato su tutti. Per
questo contavamo ammirati le guerre, le vittorie, i trionfi, i consolati di Cn.
Pompeo, ma non possiamo calcolare i tuoi.
13. Il re Deiotaro, dunque, in questa guerra disgraziata e fatale venne da colui
che aveva aiutato prima in guerre giuste e contro nemici esterni, da colui con
il quale era stato legato non soltanto dall'ospitalità ma anche da amicizia; e
venne da lui richiesto come un amico, mandato a chiamare come un alleato,
convocato come chi ha imparato a obbedire al senato; e venne infine da uno che
fuggiva e non da uno che inseguiva il nemico, con cui dividere il rischio, non
la vittoria. E così, combattuta la battaglia di Farsalo, si separò da Pompeo,
non volle continuare a seguire una speranza incerta, ritenne di aver dato
abbastanza sia al dovere, se era stato in debito di qualcosa, sia all'errore, se
qualcuno ne aveva commesso senza saperlo; tornò in patria e, mentre tu
combattevi la guerra alessandrina, servì i tuoi interessi.
14. E’ stato lui ad aiutare con le sue case e i suoi mezzi l'esercito di quell'uomo
nobilissimo che è Cn. Domizio, è stato lui a inviare denaro a Efeso a colui che
hai scelto fra tutti i tuoi come il più fidato e il più affidabile, e sempre lui
una seconda volta e poi una terza, dopo aver messo all'incanto i suoi beni, ha
offerto il denaro da usare per la tua guerra; è stato lui ad affrontare il
pericolo con il proprio corpo, a essere sul campo al tuo fianco contro Farnace e
a pensare che il tuo nemico fosse suo nemico. E questi servigi tu li hai
apprezzati, o Cesare, in modo tale da riconoscergli il più alto onore, il titolo
di re .
15. Quest'uomo, dunque, che tu hai non solo liberato dal pericolo, ma anche
insignito del più alto onore, è accusato di aver tramato il tuo assassinio in
casa sua: ma tu, a meno di non giudicarlo completamente pazzo, su questo non
puoi nutrire di certo alcun dubbio. Infatti, tralasciando quanto grande delitto
sarebbe stato uccidere un ospite davanti agli dei penati, quanto grande
brutalità spegnere l'astro più fulgido di tutti i popoli e di tutti i tempi,
quale bestialità non tremare di paura di fronte al vincitore del mondo, quanta
rozzezza e ingratitudine dimostrarsi un tiranno nella persona dalla quale si è
ricevuto il titolo di re; per tralasciare tutto ciò, quale pazzia sarebbe stata
suscitare unicamente contro di sé tutti i re, molti dei quali erano confinanti,
tutti i popoli liberi, tutti gli alleati, tutte le province e insomma tutti gli
eserciti di tutti? Come avrebbe potuto evitare di essere sterminato con il suo
regno, con la sua casa, con la moglie, con il figlio amatissimo, se avesse non
dico portato a compimento, ma anche soltanto tramato un delitto tanto grave?
16. Eppure, immagino l'obiezione, un uomo incosciente e temerario non poteva
vedere tutto ciò; ma c'era qualcuno più riflessivo, più previdente di lui? Del
resto, a questo punto ritengo che Deiotaro debba essere difeso non tanto per la
sua prudenza quanto per la sua vita leale e irreprensibile. Tu conosci bene, o
Cesare, l'onestà della persona, la sua moralità, la sua fedeltà. Chi inoltre ha
sentito parlare del popolo di Roma senza sentire dell'integrità,
dell'autorevolezza, della virtù, della lealtà di Deiotaro? E allora, il delitto
che non riuscirebbe a concepire né uno sconsiderato, per la paura di morte
immediata, né un criminale, a meno di non essere per di più completamente fuori
di sé, voi immaginate che sia stato tramato da un uomo irreprensibile, che è
pure una persona tutt'altro che sciocca?
17. Ma questo non soltanto non è credibile ma non fa sorgere neppure il più
piccolo sospetto! L'accusatore dice: «Quando tu sei arrivato nella fortezza di
Blucio e ti sei fermato nella dimora del re tuo ospite, c'era una sala in cui
erano stati raccolti i doni che il re aveva deciso di offrirti; qui ti voleva
accompagnare dopo che avevi fatto il bagno e prima che ti mettessi a cena:
infatti proprio qui erano stati disposti uomini armati per ucciderti». Ecco
l'accusa, ecco il motivo per cui uno schiavo fuggiasco chiama in giudizio un re,
uno schiavo il suo padrone! Quanto a me, o Cesare, all'inizio, allorché mi fu
presentata la causa in questi termini, che cioè il medico Fidippo, schiavo del
re, che era stato inviato fra i legati, era stato corrotto dal giovanotto qui
presente, io fui preso da un sospetto del genere: «Ha istigato il medico a fare
il delatore; senz'altro inventerà qualche veneficio». Anche se l'ipotesi era
lontana dalla verità, tuttavia non era molto distante dal comune modo di
formulare le accuse. Che dice il medico? Non una parola sul veleno.
18. Eppure avrebbe potuto essere somministrato anzitutto più di nascosto in una
bevanda, nel cibo; e poi anche in modo più sicuro, perché, una volta
somministrato, si può negare di averlo fatto. Se ti avesse fatto uccidere
apertamente, avrebbe attirato su di sé non soltanto l'odio di tutti i popoli ma
anche i loro eserciti; se l'avesse fatto con il veleno, di certo non avrebbe mai
potuto agire di nascosto a Giove protettore degli ospiti, ma agli uomini forse
sì. E allora, ciò che avrebbe potuto tramare lui stesso in modo più nascosto ed
eseguire con maggior sicurezza, non lo confidò a te, seppure sei medico esperto
e schiavo che credeva fedele: e invece non volle tenerti all'oscuro di sicari,
di armi, di agguati?
19. Ma com'è ben ordita questa accusa! «Ti ha salvato» dice l'accusatore,
«ancora una volta la stessa fortuna che è sempre con te: quella volta hai detto
che non volevi andare a vedere i doni». [VII] E poi cosa accadde? Forse Deiotaro,
visto che quel giorno era andato a monte il suo piano, in seguito depose le
armi? non c'era nessun'altra occasione per l'agguato? Eppure tu avevi detto che
saresti andato nella famigerata sala dopo cena, e così hai fatto. Sarebbe stata
una difficoltà far restare nel medesimo luogo gli uomini armati, così come erano
stati disposti, per un'ora o due? Dopo aver partecipato alla cena in un clima di
affabilità e buon umore, ti sei recato là, come avevi detto; in quella sala hai
sperimentato che Deiotaro nei tuoi confronti si era comportato come il re Attalo
con P. Africano, al quale egli inviò dall'Asia fino a Numanzia doni ricchissimi
(così dicono le fonti scritte), che l'Africano accolse alla presenza
dell'esercito. E dopo che Deiotaro personalmente fece lo stesso gesto con
l'atteggiamento e i modi degni di un re, ti sei ritirato nella tua stanza.
20. Ti prego, o Cesare, richiama alla memoria quel momento, fatti tornare
davanti quel giorno, ricorda l'espressione degli uomini che ti guardavano con
ammirazione. C'è forse qualche segno di inquietudine, qualche segno di
disordine, qualcosa che non si accordi con il decoro, con la calma, con la
compostezza degna della personalità più autorevole e più rispettabile? Pertanto
che razza di motivazione si può ricostruire sostenendo che egli avrebbe voluto
ucciderti dopo il bagno ma non lo avrebbe più voluto dopo la cena?
21. L'accusatore dice: «Ha rimandato al giorno seguente, per poter mettere in
atto il suo piano quando si fossero trasferiti nel castello». Io non mi spiego
la ragione del cambiamento di luogo, ma tuttavia ammettiamo che la decisione
abbia avuto uno scopo criminoso. L'accusatore prosegue: «Quando dopo cena hai
detto di voler vomitare, allora si disposero ad accompagnarti al bagno: era lì
infatti che era pronto l'agguato. Ma ti ha salvato ancora una volta la tua
fortuna: hai detto che preferivi andare nella tua stanza». Gli dèi ti
maledicano, schiavo fuggiasco! Ora è chiaro che sei un buono a nulla e un
disonesto, e in aggiunta sei anche stupido e senza testa. Perché? Nel bagno egli
aveva forse messo statue di bronzo, che non avrebbero potuto passare dal bagno
alla camera da letto? Queste sono le accuse sull'agguato! non ha detto nulla di
più. Dice: «Ero a conoscenza di questo piano». E allora? Deiotaro sarebbe stato
così dissennato da lasciar partire colui che aveva messo a parte di un misfatto
così grave, e da mandarlo addirittura a Roma, dove sapeva che si trovavano suo
nipote, suo grande nemico, nonché C. Cesare, contro il quale aveva tramato?
tanto più sapendo che quello era il solo a poterlo denunciare approfittando
della sua assenza?
22. Dice: «I miei fratelli poi, poiché erano a conoscenza del piano, li gettò in
prigione». Dunque, mentre imprigionava quelli che aveva sotto mano, lasciava
libero te e ti inviava a Roma, anche se eri a conoscenza dei medesimi fatti di
cui dici che erano a conoscenza loro?
[VIII] Il resto dell'accusa è articolato in due capi: il primo, che il re è
sempre stato all'erta, essendo d'animo ostile nei tuoi confronti; il secondo,
che egli ha raccolto contro di te una grande armata. Dell'esercito dirò in
breve, come delle altre accuse: il re Deiotaro non ha mai avuto truppe così
valide da essere in grado di far guerra a Roma, ma solo per difendere il proprio
territorio dalle incursioni e dalle scorribande dei predoni e per inviare aiuti
militari ai nostri generali; e poi prima avrebbe di certo potuto mantenere
truppe più numerose, mentre ora può a stento conservarle a ranghi ridotti.
23. Eppure - si obietta - ha inviato emissari a un non ben identificato Cecilio;
ma quelli che aveva scelto, poiché si sono rifiutati di andare, li ha gettati in
prigione. Non sto a indagare la verosimiglianza del fatto che il re abbia avuto
o no persone da inviare, o che gli incaricati dell'ambasceria non abbiano
obbedito, o ancora che quelli, pur non avendo obbedito all'ordine in una
situazione tanto delicata, siano stati imprigionati e non piuttosto messi a
morte. Ma tuttavia, nel momento in cui cercava di inviare messi a Cecilio, non
sapeva che quella causa era perduta o riteneva questo Cecilio un uomo valoroso?
Deiotaro che ha imparato a conoscere molto bene i nostri uomini, non lo avrebbe
preso in considerazione, sia che non lo conoscesse bene sia che lo conoscesse.
24. Si aggiunge anche un'altra accusa: ha inviato dei contingenti di cavalleria
che non erano i migliori. 0 Cesare, io credo che abbia inviato ben poca cosa in
confronto alla tua cavalleria, ma ha inviato i migliori fra quelli di cui
disponeva. Dice inoltre, l'accusatore, che fra essi è stato riconosciuto un
certo tal schiavo: io non ci credo e non l'ho sentito dire; ma in questo fatto,
anche se fosse accaduto, sono portato a credere che non vi sia stata alcuna
colpa del re.
[IX] E poi, come ha manifestato la sua ostilità d'animo nei tuoi confronti? Egli
ha sperato, suppongo, che le vie d'uscita da Alessandria sarebbero state per te
difficoltose a causa della natura del territorio e del fiume. Eppure proprio in
quel momento ti ha dato del denaro, ha rafforzato il tuo esercito, non ha avuto
alcuna mancanza verso colui che avevi messo a capo dell'Asia; quando hai vinto è
stato a tua disposizione non soltanto per ospitarti, ma per proteggerti e anche
per combattere al tuo fianco.
25. Poi è venuta la guerra d'Africa. Sul tuo conto circolavano voci
preoccupanti, che eccitarono anche quel pazzo di Cecilio. Quali sentimenti verso
di te dimostrò allora il re, che arrivò a mettere i propri beni all'incanto e
preferì privarsene piuttosto che non contribuire alla tua causa con denaro? Si
obietta: «Eppure proprio in quel periodo inviava emissari a Nicea e a Efeso
perché raccogliessero le voci dall'Africa e gliele riportassero in fretta. E
così, alla notizia che Domizio era morto nel naufragio e che tu eri assediato
nella fortezza, ha citato un verso greco di contenuto analogo al nostro:
«Periscano gli amici, purché con loro cadano i nemici!». Ma egli, se pure fosse
stato il tuo più grande nemico, non lo avrebbe mai citato, perché lui è un mite,
il verso invece è disumano. Del resto, come avrebbe potuto essere amico di
Domizio uno che fosse tuo nemico? E d'altra parte, perché avrebbe dovuto essere
tuo nemico, dato che aveva bene in mente che tu, pur avendo potuto metterlo a
morte secondo il diritto di guerra, lo avevi riconosciuto come re insieme a suo
figlio?
26. Che altro c'è? dove vuole arrivare quel furfante? Dice che Deiotaro,
eccitato dalla gioia per la notizia, si sia ubriacato e abbia danzato nudo
durante un banchetto. Quale croce potrebbe dare adeguato supplizio a questo
fuggiasco? Chi ha mai visto Deiotaro danzare o ubriacarsi? In quel re convivono
tutte le doti, e ritengo che tu, Cesare, non lo ignori, ma in particolare una
singolare e ammirevole frugalità; e d'altronde io so che di solito questo non è
un termine usato per lodare i re. Esser chiamato frugale non è una gran lode per
un re; fortezza, giustizia, austerità, solennità, magnanimità, generosità,
beneficenza, liberalità: queste sono lodi per un re, mentre quella di prima è
adatta a un privato cittadino. Ciascuno la prenda come vuole: io ritengo che la
frugalità, cioè il senso del limite e la moderazione, sia la dote più grande. E
questa virtù è in lui fin dagli anni giovanili e fu conosciuta a fondo sia
dall'intera Asia, sia dai nostri magistrati e legati, sia dai cavalieri di Roma
che in Asia hanno svolto la loro attività.
27. Attraverso una lunga serie di servigi resi al nostro Stato egli è arrivato a
questo titolo di re, ma tuttavia tutto il tempo che gli restava libero dalle
guerre a fianco del popolo di Roma lo impiegava per stringere con nostri
concittadini relazioni, amicizie, rapporti commerciali; e così finì per essere
considerato non soltanto nobile tetrarca ma anche eccellente padre di famiglia,
contadino e allevatore esperto. Dunque chi da giovane, senza aver ancora
acquisito così chiara fama, non si è mai comportato se non in modo assai austero
e solenne, giunto alla reputazione e all'età che ha ora, si sarebbe messo a
danzare?
28. E tu, o Castore, avresti dovuto imitare la rigorosa moralità di tuo nonno
piuttosto che diffamare un uomo eccellente e notissimo per bocca di uno schiavo
fuggiasco! Anche se tu avessi avuto come nonno un ballerino e non un uomo tale
da offrire esempi di onorata morigeratezza, tuttavia questa tua diffamazione non
avrebbe alcun senso, data l'età. Quelle passioni di cui si era imbevuto fin
dagli anni giovanili, non per la danza ma per l'abile uso delle armi e per
l'abilissimo maneggio dei cavalli, lo avevano tuttavia abbandonato, perché era
ormai trascorsa l'età adatta a esse. E così, dopo che molti servi avevano issato
Deiotaro a cavallo, di solito lo guardavamo con ammirazione, perché poteva,
vecchio com'era, star saldo in sella; invece il giovanotto qui presente, che fu
mio soldato in Cilicia e in Grecia mio commilitone, quando cavalcava nelle fila
di quel mio esercito con i suoi cavalieri scelti, che insieme a lui suo padre
aveva inviato a Pompeo, quale folla soleva radunare, come si vantava, come si
metteva in mostra, come non era secondo a nessuno in passione ed entusiasmo per
quella causa!
29. Ma, una volta battuto l'esercito, io, che sono sempre stato un fautore della
pace e che, specialmente dopo la battaglia di Farsalo, avevo consigliato non di
deporre le armi ma di abbandonarle del tutto, non sono stato capace di indurre
costui a seguire il mio esempio, perché lui stesso ardeva dal desiderio di
continuare la guerra e perché riteneva di doverlo fare per compiacere al padre.
Fortunata questa casa, che non ha ottenuto soltanto l'impunità ma anche la
libertà di accusare altri; infelice Deiotaro, che viene accusato da chi ha
combattuto dalla stessa parte, e non soltanto davanti a te ma addirittura dai
suoi parenti. Voi, o Castore, non potreste accontentarvi della vostra buona
stella senza volere anche la rovina dei vostri parenti?
30. Ammettiamo pure che esista inimicizia, che non avrebbe dovuto esistere, il
re Deiotaro ha fatto uscire dalle tenebre alla luce la vostra famiglia, che era
di umile condizione e sconosciuta: tuo padre, chi ha saputo chi era prima di
sapere di chi era genero? ma pur ripudiando in modo ingrato ed empio i vincoli
di parentela, tuttavia avreste potuto comportarvi da avversari, ma in modo
umano, e non perseguitare con un'accusa falsa, chiedere la vita, reclamarne
persino la testa! Concediamo anche questo grande accanimento e questo grande
odio: ma fino al punto di violare tutte le leggi sull'incolumità della vita
individuale, della società civile e perfino dell'umanità? Istigare uno schiavo,
corromperlo con promesse per il futuro, portarselo a casa propria, armargli la
mano contro il padrone: tutto ciò significa proclamare una guerra sacrilega non
contro un singolo congiunto ma contro tutte le famiglie . In effetti, se questo
episodio di corruzione di schiavo risulterà impunito e per di più ammesso da una
personalità tanto autorevole, non ci sarà parete domestica, non ci sarà legge,
non ci sarà diritto a tutelare la nostra incolumità; perché, quando ciò che è
intimo e nostro può impunemente prendere il volo e combattere contro di noi, chi
è padrone diventa schiavo e chi è schiavo diventa padrone.
31. O tempi, o costumi ! Quel famoso Cn. Domizio, che da bambino ho visto
console, censore, pontefice massimo, in qualità di tribuno della plebe aveva
chiamato in giudizio davanti al popolo M. Scauro, una delle personalità più in
vista; uno schiavo di Scauro andò di nascosto nottetempo a casa sua dicendo che
avrebbe formulato accuse contro il proprio padrone, ma egli ordinò di catturare
quell'uomo e di condurlo da Scauro. Considera la differenza: è vero, non è
corretto paragonare Castore a Domizio; e comunque lui ha fatto riportare lo
schiavo al proprio avversario mentre tu lo hai portato via a tuo nonno, lui non
l'ha corrotto e non l'ha voluto ascoltare mentre tu l'hai corrotto, lui ha
rifiutato l'aiuto di uno schiavo contro il padrone mentre tu l'hai sfruttato
anche come accusatore.
32. Ma - si può obiettare- costui è stato corrotto da voi una sola volta: dopo
esser stato accompagnato qui e dopo esser restato con te, non è forse tornato
dai legati? non è andato forse da Cn. Domizio, qui presente? I qui presenti Ser.
Sulpicio, personalità ben nota, che per caso era ospite a cena da Domizio, e T.
Torquato, giovane stimato, non l'hanno forse sentito ammettere di esser stato
corrotto da te e di essere stato spinto a testimoniare il falso dalle tue
promesse? [XII] Che razza di disumanità è questa, tanto sfrenata, tanto crudele,
tanto smisurata? Per questo sei venuto in questa città, per corrompere le leggi
e i modelli di vita di questa città e per contaminare la civiltà di noi che
l'abitiamo con la barbarie della tua patria?
33. Ma con quanta finezza sono state messe insieme le accuse! Dice l'accusatore:
«Blesamio (citava infatti il nome di quest'uomo irreprensibile e a te non ignoto
per diffamarti) ha scritto più volte al re che tu eri malvisto, che eri ritenuto
un tiranno, che l'animo della gente era stato molto irritato vedendo collocare
la tua statua fra quella dei re, che comunemente non venivi applaudito». Non
capisci, o Cesare, che queste dicerie sono state raccolte da costoro fra le
chiacchiere dei maligni che vivono a Roma? Blesamio avrebbe potuto scrivere che
Cesare è un tiranno? Per forza! Aveva visto cadere la testa di molti cittadini,
molti perseguitati, bastonati, uccisi per ordine di Cesare, molte famiglie
rovinate e distrutte, il foro pieno di soldati armati! Quegli eccessi che
abbiamo sempre patito ad opera dei vincitori delle guerre civili non li abbiamo
visti quando il vincitore sei stato tu.
34. Tu sei il solo, lo ribadisco, C. Cesare, la cui vittoria non ha provocato la
morte di nessuno se non negli scontri. E colui che noi, nati nel periodo di
massima libertà di Roma, consideriamo non soltanto l'antitesi del tiranno ma
anche il vincitore più clemente, costui può apparire tiranno agli occhi di
Blesamio, che vive in un regime monarchico? E poi chi c'è che si lamenta della
statua, di una in particolare, quando ne vede tante? allora dovremmo guardare
assai male le statue di un uomo i cui trofei non guardiamo male! Se infatti è il
luogo a suscitare malumore, non ce n'è sicuramente uno più onorifico dei rostri
per una statua. E a proposito degli applausi poi che cosa dovrei rispondere? Non
li hai mai desiderati e qualche volta la gente li ha trattenuti perché
ammutolita dalla stessa ammirazione: forse li ha tralasciati per il fatto che
tutto ciò che si attribuisce a tanti non può sembrare degno di te.
35. Penso di non aver tralasciato nulla, credo, ma un argomento l'ho volutamente
riservato per l'ultima parte della causa: che cioè il mio discorso ti faccia
completamente riconciliare con Deiotaro. Non ho infatti paura che tu nutra
risentimento contro di lui: temo questo, che tu sospetti che ne nutra lui verso
di te, il che è ben lontano dall'essere vero, credimi, Cesare. In effetti egli
ricorda bene quello che conserva per grazia tua, non quello che ha perso, e non
ritiene di esser stato punito da te, anzi, dal momento che pensavi di dovere
molta riconoscenza a molte persone, non si oppose a che tu lo privassi di quei
beni, visto che aveva combattuto dall'altra parte.
36. Antioco il Grande, il famoso re dell'Asia, nonostante avesse perso tutta la
parte di Asia che oggi è nostra provincia, dopo che fu definitivamente vinto da
L. Scipione e gli fu imposto di limitare il proprio regno al Tauro, soleva dire
che il popolo di Roma aveva agito benevolmente nei suoi confronti, perché,
liberatosi di una amministrazione troppo impegnativa, possedeva un regno di
giusta estensione; ebbene, Deiotaro si può consolare più facilmente di lui: in
effetti quello era stato punito per la sua follia, costui per un errore. Tu, o
Cesare, hai dato tutto a Deiotaro quando hai lasciato a lui e a suo figlio il
titolo di re; mantenuto e salvato questo titolo, egli ritiene che non gli è
venuto meno nessun beneficio del popolo di Roma e nessuna espressione di stima
da parte del senato. E’ di animo coraggioso e fiero e non soccomberà mai di
fronte ai nemici e nemmeno di fronte alla sorte.
37. Egli crede sia di aver acquisito molti meriti per la sua precedente condotta
sia di averne molti nel suo animo generoso, tali da non poterli perdere in alcun
modo: quale destino o quale evento o quale ingiustizia tanto grave potrebbe
annullare le decisione a favore di Deiotaro prese da tutti i generali? Infatti,
da quando ha avuto l'età per poter stare in un accampamento, egli è stato
elogiato da tutti quelli che hanno combattuto guerre in Asia, Cappadocia, Ponto,
Cilicia, Siria; e poi i riconoscimenti a lui da parte del senato, così numerosi
e così onorifici, che sono stati registrati sulla documentazione ufficiale e sui
monumenti del popolo di Roma, quale volgere dei secoli mai li oscurerà o quale
oblio tanto profondo li cancellerà? Che cosa dovrei dire delle sue virtù morali,
della grandezza d'animo, dell'austerità, della fermezza? Gli uomini di cultura e
i filosofi dicono che queste qualità sono i beni sommi, e alcuni che sono
addirittura gli unici beni e che l'uomo virtuoso si accontenta di essi per una
vita non soltanto retta ma anche felice.
38. Egli, facendo queste considerazioni e meditazioni giorno e notte, non
soltanto non nutre risentimento verso di te - in questo caso sarebbe un ingrato
e, ancor più, un pazzo -, ma anche attribuisce alla tua clemenza la serenità
interiore e la quiete che ha avuto in vecchiaia.
[XIV] Nutrendo dunque questi sentimenti già prima, non dubito che si sia sentito
ancor più sollevato e libero da ogni preoccupazione grazie alla tua lettera che
a Tarragona hai consegnato al qui presente Blesamio per lui e che ho letto in
copia: lo esorti a sperare in bene e a stare di buon animo, e io so che di
solito non lo scrivi invano. Ricordo infatti che mi hai scritto quasi nei
medesimi termini e con la tua lettera mi esortavi non invano a bene sperare.
39. E' vero, la causa del re Deiotaro mi sta a cuore; con lui gli affari di
Stato mi hanno fatto stringere amicizia, la simpatia reciproca ha fatto nascere
rapporti di ospitalità, la frequentazione ha approfondito l'affetto e infine le
sue notevoli attenzioni verso di me e verso il mio esercito hanno prodotto uno
strettissimo legame di riconoscenza . Ma se sono in pensiero per lui, lo sono
pure per molti personaggi assai ragguardevoli: bisogna che il tuo perdono
risulti concesso loro una volta per tutte, che la tua generosità non venga messa
in dubbio, che non resti fissa nell'animo della gente un'eterna inquietudine,
che non capiti che cominci ad avere paura di te qualcuno di quelli che hai
liberato dalla paura già una volta.
40. Non mi corre l'obbligo, o Cesare, ciò che di solito si fa in casi così
delicati, e cioè di cercare un artificio con cui suscitare la tua pietà: non è
assolutamente necessario, perché essa di solito spontaneamente va incontro ai
supplici e ai disgraziati, senza esser sollecitata dall'orazione di qualcuno.
Mettiti davanti agli occhi i due re e raffigurati con la mente ciò che non puoi
contemplare con gli occhi; sicuramente concederai alla tua misericordia ciò che
hai rifiutato all'ira. Sono numerose le testimonianze della tua clemenza, ma lo
è soprattutto l'incolumità di coloro ai quali hai salvato la vita, e se queste
testimonianze sono per te motivo di gloria in caso di privati cittadini, saranno
molto più memorabili se si tratta di re. In questa città è sempre stato sacro il
titolo di re, e a maggior ragione sacrosanto quello dei re alleati e amici.
41. Quel titolo, i due re di cui parliamo, hanno avuto paura di perderlo quando
tu sei risultato vincitore, ma l'hanno conservato, confermato da te, e confidano
di tramandarlo anche ai loro discendenti. I messi del re qui presenti ti offrono
il loro corpo in cambio della salvezza dei loro re: Iera, Blesamio e Antigono,
noti a te e a noi tutti ormai da lungo tempo, e Dorilao, anch'egli uomo leale e
virtuoso, che è stato inviato di recente come ambasciatore presso di te insieme
a Iera; si tratta di persone molto fedeli ai re ma anche - io spero - stimate da
te.
42. Indaga su Blesamio, se davvero ha scritto al re qualcosa di lesivo della tua
dignità. E Iera poi si addossa tutta la responsabilità e chiede che si proceda
contro di lui invece del re per quelle accuse. Egli fa appello alla tua memoria,
che hai tenacissima, afferma di non essersi mai allontanato di un passo da te
nella tetrarchia di Deiotaro, dichiara di averti scortato facendo il tuo
ingresso nelle sue terre e di averti assistito fino alla tua uscita, di esser
stato con te quando sei uscito dal bagno, quando hai passato in rassegna quei
doni dopo la cena, quando ti sei ritirato nella tua stanza, e di esser stato
presente accanto a te il giorno dopo con la medesima assiduità. Di conseguenza,
se è vero che hanno tramato qualcuna di quelle insidie che sono state
denunciate, non si oppone a che tu ascriva a lui tale delitto. 43. Pertanto, C.
Cesare, vorrei che tu avessi chiaro che oggi la tua decisione porterà ai re o la
più miseranda rovina e il disonore più grande o la persistenza della buona fama
e la salvezza: desiderare la prima soluzione si addice alla crudeltà degli
accusatori, realizzare la seconda è conforme alla tua clemenza.
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