De Amicitia
(Testo/Traduzione)
De Amicitia TESTO
1 Q. Mucius augur multa narrare de C. Laelio socero suo memoriter et iucunde
solebat nec dubitare illum in omni sermone appellare sapientem; ego autem a
patre ita eram deductus ad Scaevolam sumpta virili toga ut quoad possem et
liceret a senis latere numquam discederem; itaque multa ab eo prudenter
disputata multa etiam breviter et commode dicta memoriae mandabam fierique
studebam eius prudentia doctior. Quo mortuo me ad pontificem Scaevolam contuli
quem unum nostrae civitatis et ingenio et iustitia praestantissimum audeo dicere.
Sed de hoc alias; nunc redeo ad augurem. l. Quinto Mucio l'augure 1 soleva
raccontare piacevolmente affidandosi alla memoria molte cose intorno a Gaio
Lelio suo suocero; e non esitava a chiamarlo in ogni discorso «sapiente»; io Poi
Presa la toga virile ' ero stato condotto dal padre mio a Scevola con
l'intenzione che finché potessi e mi fosse consentito non mi allontanassi mai
dal fianco del vecchio; e così molte cose da lui con sapienza discusse molte
dette con brevità e garbo le mandavo a memoria e mi studiavo di farmi con la sua
esperienza più dotto. Morto lui mi sono recato da Scevola pontefice che oso dire
superiore per ingegno e rettitudine a tutti i nostri concittadini. Ma di lui
un'altra volta: adesso ritorno all'augure.
2 Cum saepe multa tum memini domi in hemicyclio sedentem ut solebat cum et ego
essem una et pauci admodum familiares in eum sermonem illum incidere qui tum
forte multis erat in ore. Meministi enim profecto Attice et eo magis quod P.
Sulpicio utebare multum cum is tribunus plebis capitali odio a Q. Pompeio qui
tum erat consul dissideret quocum coniunctissime et amantissime vixerat quanta
esset hominum vel admiratio vel querella. 2 E come spesso discorreva di molte
cose così mi ri cordo che una volta sedendo in casa sua nell'emiciclo secondo il
suo solito (c'ero anch'io e alcuni pochi intimi) andò a finire in quel dis corso
che allora era sulla bocca di molti. E tu ti ricordi certo Attico ~6 tanto più
che eri in gran dimestichezza con Publio SUlpiCio~7 quanto fosse lo stupore e la
riprovazione della gente perché egli tribuno della plebe avversava con odio
mortale Quinto Pom peo allora console col quale prima era vissuto in amicizia
strettissima.
3 Itaque tum Scaevola cum in eam ipsam mentionem incidisset exposuit nobis
sermonem Laeli de amicitia habitum ab illo secum et cum altero genero C. Fannio
Marci filio paucis diebus post mortem Africani. Eius disputationis sententias
memoriae mandavi quas hoc libro exposui arbitratu meo; quasi enim ipsos induxi
loquentes ne 'inquam' et 'inquit' saepius interponeretur atque ut tamquam a
praesentibus coram haberi sermo videretur. 3 Dunque allora Scevola essendoglì
capitato proprio di accennare a quel tema ci riferì la conversazione di Lelio
sull'amicizia quella fatta con lui e con l'altro suo genero Gaio Fannio 9 figlio
di Marco pochi giorni dopo la morte dell'Africano.10 1 concetti di quella
discussione li ho tenuti a mente e ora li ho esposti a modo mio in questo
libro; e quasi facendo parlare quelli stessi perché non si dovesse ripetere
troppe volte: «dico» «dice» e la conversazione sembrasse tenuta da persone che
fossero lì dinanzi agli occhi dell'ascoltatore.
4 Cum enim saepe mecum ageres ut de amicitia scriberem aliquid digna mihi res
cum omnium cognitione tum nostra familiaritate visa est. Itaque feci non invitus
ut prodessem multis rogatu tuo. Sed ut in Catone Maiore qui est scriptus ad te
de senectute Catonem induxi senem disputantem quia nulla videbatur aptior
persona quae de illa aetate loqueretur quam eius qui et diutissime senex fuisset
et in ipsa senectute praeter ceteros floruisset sic cum accepissemus a patribus
maxime memorabilem C. Laeli et P. Scipionis familiaritatem fuisse idonea mihi
Laeli persona visa est quae de amicitia ea ipsa dissereret quae disputata ab eo
meminisset Scaevola. Genus autem hoc sermonum positum in hominum veterum
auctoritate et eorum inlustrium plus nescio quo pacto videtur habere gravitatis;
itaque ipse mea legens sic afficior interdum ut Catonem non me loqui existimem.
4 E poiché tu spesso mi suggerivi di scrivere qualcosa sull'amicizia e
l'argomento mi è sembrato degno Come dell'interesse generale così della nostra
intimità io ho fatto la cosa non malvolentieri in maniera di giovare a molti per
tuo invito.Ma come nel Catone il Vecchio che io ho scritto sulla vecchiezza
dedicandolo a te ho fatto parlare Catone 12 già vecchio perché nessuna persona
mi sembrava più adatta a parlare di quell'età che colui il quale era vissuto per
lunghissimo tempo vecchio e proprio nella vecchiezza era stato sopra tuttì
fiorentissimo; così poiché dai nostri antenati abbiamo saputo che l'amicizia di
Lelio e di Publio Scipione è stata più d'ogni altra degna d'essere ricordata il
personaggio di Lelio mi è sembrato idoneo a esporre intorno all'amicizia gli
argomenti che Scevola ricordava essere stati sostenuti da lui. Questa specie di
discorsi che si appoggia all'autorità d'uomini antichi ed illustri sembra avere
non so come più peso. E leggendo le mie parole ne sono così colpito che penso di
non parlar io ma Catone.
5 Sed ut tum ad senem senex de senectute sic hoc libro ad amicum amicissimus
scripsi de amicitia. Tum est Cato locutus quo erat nemo fere senior temporibus
illis nemo prudentior; nunc Laelius et sapiens (sic enim est habitus) et
amicitiae gloria excellens de amicitia loquetur. Tu velim a me animum parumper
avertas Laelium loqui ipsum putes. C. Fannius et Q. Mucius ad socerum veniunt
post mortem Africani; ab his sermo oritur respondet Laelius cuius tota
disputatio est de amicitia quam legens te ipse cognosces. 5 Ma come allora per
un vecchio io vecchio ho scritto sulla vecchiezza così in questo libro per un
amico io amicissimo ho scritto sull'amicizia. Allora ha parlato Catone del quale
nessuno v'era in quei tempi che fosse più vecchio nessuno più assennato; ora
dell'amicizia parlerà Lelio e sapiente (così difatti è stimato) e famoso per la
gloria dell'amicizia.Vorrei che tu per un poco distaccassi l'animo da me
pensassi che Lelio stesso parla. Gaio Fannio e Q. Mucio vengono al suocero dopo
la morte dell'Africano; il discorso comincia da loro; Lelio risponde e tutte le
argomentazioni sull'amicizia sono sue e tu leggendole vi riconoscerai te
stesso.
6 Fannius: Sunt ista Laeli; nec enim melior vir fuit Africano quisquam nec
clarior. Sed existimare debes omnium oculos in te esse coniectos unum; te
sapientem et appellant et existimant. Tribuebatur hoc modo M. Catoni; scimus L.
Acilium apud patres nostros appellatum esse sapientem; sed uterque alio quodam
modo Acilius quia prudens esse in iure civili putabatur Cato quia multarum rerum
usum habebat; multa eius et in senatu et in foro vel provisa prudenter vel acta
constanter vel responsa acute ferebantur; propterea quasi cognomen iam habebat
in senectute sapientis. 6 FANNIO. E' così Lelio: non ci fu uomo migliore né più
illustre dell'Africano. Ma tu devi pensare che gli occhi di tutti sono rivolti
su te solo: te solo chiamano e stimano sapiente. Questo nome si dava poco fa a
Marco Catone e sappiamo che Lucio Acilio dai nostri padri era detto sapiente; ma
l'uno e l'altro in un senso diverso: Acilio perché si stimava che fosse esperto
nel diritto civile; Catone perché aveva esperienza di molte cose; di lui molte
cose si raccontavano o con accortezza previste o con fermezza operate o con
acutezza risposte e in senato e nel foro: perciò nella vecchiezza già aveva per
così dire il soprannome di Sapiente.
7 Te autem alio quodam modo non solum natura et moribus verum etiam studio et
doctrina esse sapientem nec sicut vulgus sed ut eruditi solent appellare
sapientem qualem in reliqua Graecia neminem (nam qui septem appellantur eos qui
ista subtilius quaerunt in numero sapientium non habent) Athenis unum accepimus
et eum quidem etiam Apollinis oraculo sapientissimum iudicatum; hanc esse in te
sapientiam existimant ut omnia tua in te posita esse ducas humanosque casus
virtute inferiores putes. Itaque ex me quaerunt credo ex hoc item Scaevola
quonam pacto mortem Africani feras eoque magis quod proximis Nonis cum in hortos
D. Bruti auguris commentandi causa ut adsolet venissemus tu non adfuisti qui
diligentissime semper illum diem et illud munus solitus esses obire. 7 Ma te ti
stimano sapiente in un senso diverso non solo per l'indole e i costumi sì anche
per l'amore della scienza; e non come il volgo suole ma come sogliono dire uno
sapiente le persone colte; quale nessuno in tutto il resto della Grecia (ché
quelli che son chiamati i sette non sono messi nel numero dei sapienti da coloro
che vanno un po' per il sottile) ma uno solo in Atene sappiamo esservi stato e
lui proprio giudicato sapientissimo anche dall'oracolo di Apollo: questa
sapienza essi stimano esservi in te onde tu ritieni che ogni cosa tua è dentro
di te e che la virtù è superiore ai casi umani. Perciò domandano a me e credo
pure a questo mio Scevola come tu sopporti la morte dell'Africano tanto più che
nelle passate None quando ci riunimmo ai giardini dell'augure Decimo Bruto per
le solite nostre osservazioni tu non c'eri mentre sei sempre stato
diligentissimo nell'osservare quel giorno e nel compiere quell'ufficio.
8 Scaevola: Quaerunt quidem C. Laeli multi ut est a Fannio dictum sed ego id
respondeo quod animum adverti te dolorem quem acceperis cum summi viri tum
amicissimi morte ferre moderate nec potuisse non commoveri nec fuisse id
humanitatis tuae; quod autem Nonis in collegio nostro non adfuisses valetudinem
respondeo causam non maestitiam fuisse. Laelius: Recte tu quidem Scaevola et
vere; nec enim ab isto officio quod semper usurpavi cum valerem abduci incommodo
meo debui nec ullo casu arbitror hoc constanti homini posse contingere ut ulla
intermissio fiat officii. 8 SCEVOLA. Me lo chiedono sì Lelio molti come ha detto
Fannio ma io rispondo quel che ho osservato io stesso che cioè tu sopporti con
moderazione il dolore che t'è venuto dalla morte di un uomo sommo e a te
amicissimo; e che non potevi non commuoverti né ciò del resto l'avrebbe permesso
la tua umanità; quanto al fatto che nelle passate None tu non sei stato presente
alla nostra adunanza rispondo che la causa fu la salute e non il cordoglio.
LELIO. Tu Scevola hai risposto proprio il vero: né infatti una mia disgrazia mi
avrebbe dovuto distogliere da codesto dovere che sempre ho compiuto quando stavo
bene né credo che per alcun caso a un uomo di carattere possa capitare di
trascurare il suo dovere.
9 Tu autem Fanni quod mihi tantum tribui dicis quantum ego nec adgnosco nec
postulo facis amice; sed ut mihi videris non recte iudicas de Catone; aut enim
nemo quod quidem magis credo aut si quisquam ille sapiens fuit. Quo modo ut alia
omittam mortem filii tulit! memineram Paulum videram Galum sed hi in pueris Cato
in perfecto et spectato viro. 9 Ma tu Fannio dicendo che mi si attribuisce tanta
importanza quanta io né riconosco in me né chiedo agisci sí da amico; però non
la pensi mi sembra esattamente su Catone; o difatti non vi fu mai nessun
sapiente (e questo io piuttosto credo) o se qualcuno vi fu questo fu lui. Come
per non dir altro sopportò la morte del figlio! Mi ricordavo Paolo avevo visto
Galo; ma questi per dei fanciulli: Catone per un uomo già fatto e di
sperimentato valore.
10 Quam ob rem cave Catoni anteponas ne istum quidem ipsum quem Apollo ut ais
sapientissimum iudicavit; huius enim facta illius dicta laudantur. De me autem
ut iam cum utroque vestrum loquar sic habetote: Ego si Scipionis desiderio me
moveri negem quam id recte faciam viderint sapientes; sed certe mentiar. Moveor
enim tali amico orbatus qualis ut arbitror nemo umquam erit ut confirmare possum
nemo certe fuit; sed non egeo medicina me ipse consolor et maxime illo solacio
quod eo errore careo quo amicorum decessu plerique angi solent. Nihil mali
accidisse Scipioni puto mihi accidit si quid accidit; suis autem incommodis
graviter angi non amicum sed se ipsum amantis est. 10 Quindi non anteporre a
Catone neppure codesto uomo stesso che Apollo come dici giudicò l'uomo più
sapiente: dell'uno infatti si lodano le opere dell'altro le parole. Quanto poi a
me voi (per parlar con l'uno e con l'altro) ritenete questo: Io se dicessi di
non soffrire per la mancanza di Scipione quanto bene farei lo vedano i sapienti;
ma certo mentirei. Poiché privato di un tale amico quale credo nessuno mai sarà
quale posso affermare nessuno certo fu soffro; ma non ho bisogno di medicina: mi
consolo da me e soprattutto con quella consolazione che mi viene dall'esser
libero dall'errore per cui di solito i più s'angosciano alla morte degli amici.
Io penso che nulla di male è accaduto a Scipione; a me è accaduto se qualcosa di
male è accaduto: essere gravemente angosciato dei propri guai è di chi ama se
stesso non l'amico.
11 Cum illo vero quis neget actum esse praeclare? Nisi enim quod ille minime
putabat immortalitatem optare vellet quid non adeptus est quod homini fas esset
optare? qui summam spem civium quam de eo iam puero habuerant continuo
adulescens incredibili virtute superavit qui consulatum petivit numquam factus
consul est bis primum ante tempus iterum sibi suo tempore rei publicae paene
sero qui duabus urbibus eversis inimicissimis huic imperio non modo praesentia
verum etiam futura bella delevit. Quid dicam de moribus facillimis de pietate in
matrem liberalitate in sorores bonitate in suos iustitia in omnes? nota sunt
vobis. Quam autem civitati carus fuerit maerore funeris indicatum est. Quid
igitur hunc paucorum annorum accessio iuvare potuisset? Senectus enim quamvis
non sit gravis ut memini Catonem anno ante quam est mortuus mecum et cum
Scipione disserere tamen aufert eam viriditatem in qua etiam nunc erat Scipio.
11 Ma a lui chi mai potrebbe dire che non gli sia andata nel migliore dei modi?
A meno che infatti volesse desiderare l'immortalità al che non pensava di certo
quale cosa non ottenne che fosse lecito a un uomo desiderare? Egli che sùbito
giovinetto con l'incredibile suo valore superò l'immensa speranza che i suoi
concittadini avevano riposto in lui fin da fanciullo; egli che non si candidò
mai al consolato e fu fatto console due volte la prima innanzi tempo la seconda
a suo tempo quanto a lui ma quanto alla repubblica direi troppo tardi ; egli che
distrutte due Città nemicissime a questo impero nostro spense non solamente le
presenti guerre ma anche le future. Che dirò dei suoi modi amabilissimi della
sua devozione verso la madre delle sue liberalità verso le sorelle della sua
bontà verso i suoi della sua giustizia verso tutti? Sono cose a voi note. Quanto
poi fosse caro alla città lo si poté giudicare dal dolore manifestato nei suoi
funerali. Che cosa dunque gli avrebbe giovato l'aggiunta di altri pochi anni? La
vecchiezza difatti quantunque non sia greve come io mi ricordo che Catone un
anno prima di morire sostenne con me e con Scipione tuttavia toglie quel fresco
vigore in cui Scipione era ancora.
12 Quam ob rem vita quidem talis fuit vel fortuna vel gloria ut nihil posset
accedere moriendi autem sensum celeritas abstulit; quo de genere mortis
difficile dictu est; quid homines suspicentur videtis; hoc vere tamen licet
dicere P. Scipioni ex multis diebus quos in vita celeberrimos laetissimosque
viderit illum diem clarissimum fuisse cum senatu dimisso domum reductus ad
vesperum est a patribus conscriptis populo Romano sociis et Latinis pridie quam
excessit e vita ut ex tam alto dignitatis gradu ad superos videatur deos potius
quam ad inferos pervenisse. 12 Sicché la sua vita per fortuna e gloria fu tale
che nulla si poteva aggiungere; e la rapidità della morte gli tolse il senso di
morire. Ma di tal specie di morte è difficile discorrere; che cosa la gente
sospetti voi lo vedete; tuttavia si può ben dir questo che a Publio Scipione di
molti giorni che egli vide nella sua vita festeggiatissimi e lietissimi il più
luminoso fu quello in cui terminate le sedute in senato fu ricondotto verso sera
a casa dai padri coscritti dal popolo romano dagli alleati e dai Latini giorno
avanti quello in cui uscì di vita cosi che da tanto alto grado di dignità sembra
naturale sia salito ai Superi piuttosto che disceso agli Inferi.
13 Neque enim assentior iis qui haec nuper disserere coeperunt cum corporibus
simul animos interire atque omnia morte deleri; plus apud me antiquorum
auctoritas valet vel nostrorum maiorum qui mortuis tam religiosa iura tribuerunt
quod non fecissent profecto si nihil ad eos pertinere arbitrarentur vel eorum
qui in hac terra fuerunt magnamque Graeciam quae nunc quidem deleta est tum
florebat institutis et praeceptis suis erudierunt vel eius qui Apollinis oraculo
sapientissimus est iudicatus qui non tum hoc tum illud ut in plerisque sed idem
semper animos hominum esse divinos iisque cum ex corpore excessissent reditum in
caelum patere optimoque et iustissimo cuique expeditissimum. 13 lo non posso
infatti esser del parere di quelli che hanno preso a sostenere or non è molto
che l'anima perisce insieme col corpo e ogni cosa è distrutta dalla morte vale
di più per me l'autorità degli antichi o dei nostri antenati i quali assegnarono
ai morti così sacri diritti cosa che non avrebbero certo fatto se avessero
pensato che nulla potesse avere importanza per essi; o dì quelli i quali vissero
in questa terra e istruirono la Magna Grecia che ora è sì distrutta ma allora
fioriva con gli istituti e gli insegnamenti loro; o di colui che dall'oracolo di
Apollo fu giudicato l'uomo più sapiente il quale non diceva ora una cosa ora
un'altra come i più fanno ma sempre la medesima cosa cioè che l'anima dell'uomo
è divina e le è dischiuso il ritorno al cielo tanto più facilmente quanto più
uno è buono e giusto.
14 Quod idem Scipioni videbatur qui quidem quasi praesagiret perpaucis ante
mortem diebus cum et Philus et Manilius adesset et alii plures tuque etiam
Scaevola mecum venisses triduum disseruit de re publica; cuius disputationis
fuit extremum fere de immortalitate animorum quae se in quiete per visum ex
Africano audisse dicebat. Id si ita est ut optimi cuiusque animus in morte
facillime evolet tamquam e custodia vinclisque corporis cui censemus cursum ad
deos faciliorem fuisse quam Scipioni? Quocirca maerere hoc eius eventu vereor ne
invidi magis quam amici sit. Sin autem illa veriora ut idem interitus sit
animorum et corporum nec ullus sensus maneat ut nihil boni est in morte sic
certe nihil mali; sensu enim amisso fit idem quasi natus non esset omnino quem
tamen esse natum et nos gaudemus et haec civitas dum erit laetabitur. 14 E la
medesima cosa sembrava a Scipione il quale quasi ne avesse il presentimento
pochissimi giorni prima di morire essendo presenti Filo e Manio Manilio e
parecchi altri ed anche tu Scevola essendo venuto con me discusse per tre giorni
intorno allo stato e di questa discussione la parte finale fu essenzialmente
intorno alla immortalità dell'anima cose che egli diceva di aver udito
dall'Africano nella quiete del sonno in una visione. E se è così che l'anima
d'uno quanto più è buono tanto più facilmente vola via come dalla prigione e
dalle catene del corpo a chi pensiamo sia stato più facile salire agli dei che a
Scipione? Perciò soffrire per la sua sorte io temo che sia più di un invidioso
che di un amico. Se invece questo è più vero che l'anima finisce insieme col
corpo e nessuna sensibilità più rimane come nulla di bene v'è nella morte così
nulla di male: perduta infatti la capacità di sentire è lo stesso che se non
fosse affatto nato quello Scipione che noi siamo ben lieti che sia nato; e
questa città finché esisterà se ne rallegrerà sempre.
15 Quam ob rem cum illo quidem ut supra dixi actum optime est mecum incommodius
quem fuerat aequius ut prius introieram sic prius exire de vita. Sed tamen
recordatione nostrae amicitiae sic fruor ut beate vixisse videar quia cum
Scipione vixerim quocum mihi coniuncta cura de publica re et de privata fuit
quocum et domus fuit et militia communis et id in quo est omnis vis amicitiae
voluntatum studiorum sententiarum summa consensio. Itaque non tam ista me
sapientiae quam modo Fannius commemoravit fama delectat falsa praesertim quam
quod amicitiae nostrae memoriam spero sempiternam fore idque eo mihi magis est
cordi quod ex omnibus saeculis vix tria aut quattuor nominantur paria amicorum;
quo in genere sperare videor Scipionis et Laeli amicitiam notam posteritati fore.
15 Perciò come ho detto prima a lui è andata benissimo non troppo a me che
sarebbe stato più giusto uscissi di vita prima come prima vi ero entrato. Ma
tuttavia così mi godo il ricordo della nostra amicizia che mi sembra d'aver
vissuto felicemente perché sono vissuto con Scipione col quale ho condiviso le
cure pubbliche e private col quale ho avuto in comune la casa e la vita militare
e cosa in cui è tutta l'essenza dell'amicizia il massimo accordo delle volontà
delle propensioni delle opinioni. Quindi non tanto codesta fama di sapienza che
testé Fannio ha ricordato mi fa piacere tanto più che non è veritiera quanto la
speranza che la memoria della nostra amicizia durerà eterna; e ciò mi è pur caro
perché in tutto il corso dei secoli appena tre o quattro coppie di amici son
ricordate; e sotto questo rispetto mi pare di poter sperare che l'amicizia di
Lelio e Scipione sarà nota ai posteri.
16 Fannius: Istuc quidem Laeli ita necesse est. Sed quoniam amicitiae mentionem
fecisti et sumus otiosi pergratum mihi feceris spero item Scaevolae si quem ad
modum soles de ceteris rebus cum ex te quaeruntur sic de amicitia disputaris
quid sentias qualem existimes quae praecepta des. Scaevola: Mihi vero erit
gratum; atque id ipsum cum tecum agere conarer Fannius antevertit. Quam ob rem
utrique nostrum gratum admodum feceris. 16 FANNIO. Ma certo Lelio sarà
senz'altro così. Poiché però hai accennato all'amicizia e siamo liberi da ogni
occupazione mi farai cosa graditissima e spero anche a Scevola se come di tutte
le altre cose quando ne sei richiesto così tratterai dell'amicizia: quali siano
le tue opinioni in proposito di che natura la giudichi che consigli su essa tu
dia. SCEVOLA. Certo che mi farà piacere; eh sì quando io già tentavo di far con
te questa medesima cosa Fannio mi ha preceduto. Perciò farai grandissimo piacere
a tutti e due.
17 Laelius: Ego vero non gravarer si mihi ipse confiderem; nam et praeclara res
est et sumus ut dixit Fannius otiosi. Sed quis ego sum? aut quae est in me
facultas? doctorum est ista consuetudo eaque Graecorum ut iis ponatur de quo
disputent quamvis subito; magnum opus est egetque exercitatione non parva. Quam
ob rem quae disputari de amicitia possunt ab eis censeo petatis qui ista
profitentur; ego vos hortari tantum possum ut amicitiam omnibus rebus humanis
anteponatis; nihil est enim tam naturae aptum tam conveniens ad res vel secundas
vel adversas. 17 LELIO. E io non farei certo difficoltà se avessi fiducia in me
stesso; poiché l'argomento è bellissimo e poi come ha detto Fannio siamo liberi
da ogni occupazione. Ma io chi sono? che capacità ho io? E' codesto un uso dei
filosofi e più precisamente dei filosofi greci di porre un problema intorno a
cui discutere anche all'improvviso: è un affare serio e vuole un esercizio non
piccolo. Perciò penso che quel che si può dire discutendo intorno all'amicizia
l'andiate a chiedere a quelli che professano codesta arte; io solamente vi posso
raccomandare di anteporre l'amicizia a tutte le cose umane: nulla è infatti così
conforme alla natura così adatto e ai momenti felici e ai momenti avversi.
18 Sed hoc primum sentio nisi in bonis amicitiam esse non posse; neque id ad
vivum reseco ut illi qui haec subtilius disserunt fortasse vere sed ad communem
utilitatem parum; negant enim quemquam esse virum bonum nisi sapientem. Sit ita
sane; sed eam sapientiam interpretantur quam adhuc mortalis nemo est consecutus
nos autem ea quae sunt in usu vitaque communi non ea quae finguntur aut optantur
spectare debemus. Numquam ego dicam C. Fabricium M'. Curium Ti. Coruncanium quos
sapientes nostri maiores iudicabant ad istorum normam fuisse sapientes. Quare
sibi habeant sapientiae nomen et invidiosum et obscurum; concedant ut viri boni
fuerint. Ne id quidem facient negabunt id nisi sapienti posse concedi. 18 Sono
però d'avviso anzitutto che non vi può essere amicizia se non tra i buoni; e non
voglio con questo penetrare fino al vivo della questione come quelli che
discutono su ciò con grande sottigliezza e forse con verità ma con poca utilità
pratica: dicono essi difatti che nessuno è buono se non il sapiente. E sia pure;
ma per sapienza intendono quella che fino ad ora nessun mortale ha raggiunto;
noi invece dobbiamo guardare a ciò che è nella realtà della vita comune e non a
ciò che è nella immaginazione e nel desiderio. Mai io direi che Gaio Fabrizio
Manio Curio Tiberio Coruncanio dai nostri vecchi giudicati sapienti furono
sapienti secondo il criterio di costoro. Perciò si tengano pure quel concetto
ch'essi hanno della sapienza odioso e oscuro ma ammettano che quelli furono
buoni. Neppur questo faranno: sosterranno che ciò non può ammettersi che del
sapiente.
19 Agamus igitur pingui ut aiunt Minerva. Qui ita se gerunt ita vivunt ut eorum
probetur fides integritas aequitas liberalitas nec sit in eis ulla cupiditas
libido audacia sintque magna constantia ut ii fuerunt modo quos nominavi hos
viros bonos ut habiti sunt sic etiam appellandos putemus quia sequantur quantum
homines possunt naturam optimam bene vivendi ducem. Sic enim mihi perspicere
videor ita natos esse nos ut inter omnes esset societas quaedam maior autem ut
quisque proxime accederet. Itaque cives potiores quam peregrini propinqui quam
alieni; cum his enim amicitiam natura ipsa peperit; sed ea non satis habet
firmitatis. Namque hoc praestat amicitia propinquitati quod ex propinquitate
benevolentia tolli potest ex amicitia non potest; sublata enim benevolentia
amicitiae nomen tollitur propinquitatis manet. 19 E noi trattiamo la cosa come
si dice alla buona. Coloro i quali si comportano in modo tale e in modo tale
vivono che si constati la loro lealtà la loro integrità il loro sentimento
dell'equità la loro generosità né sia in essi cupidigia alcuna alcuna
sfrenatezza di passioni e temerarietà e abbiano gran fermezza di carattere come
l'ebbero quelli che ho testé nominato costoro sì pensiamo che sian da chiamare
buoni come buoni furono ritenuti poiché seguono per quanto gli uomini possono la
natura che è la miglior guida a vivere bene. Così dunque mi par di scorgere che
siamo venuti al mondo con questo principio che vi sia una specie dì vincolo fra
tutti più stretto per altro quanto più uno viene a trovarcisi vicino. Quindi i
concittadini sono più cari che i forestieri i parenti che gli estranei. Con essi
infatti la natura medesima genera !'amicizia; ma non è abbastanza salda. Poiché
l'amicizia in questo è superiore alla parentela ché alla parentela può togliersi
l'affetto all'amicizia no: tolto l'affetto l'amicizia non c'è più; la parentela
invece rimane.
20 Quanta autem vis amicitiae sit ex hoc intellegi maxime potest quod ex
infinita societate generis humani quam conciliavit ipsa natura ita contracta res
est et adducta in angustum ut omnis caritas aut inter duos aut inter paucos
iungeretur. Est enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque
rerum cum benevolentia et caritate consensio; qua quidem haud scio an excepta
sapientia nihil melius homini sit a dis immortalibus datum. Divitias alii
praeponunt bonam alii valetudinem alii potentiam alii honores multi etiam
voluptates. Beluarum hoc quidem extremum illa autem superiora caduca et incerta
posita non tam in consiliis nostris quam in fortunae temeritate. Qui autem in
virtute summum bonum ponunt praeclare illi quidem sed haec ipsa virtus amicitiam
et gignit et continet nec sine virtute amicitia esse ullo pacto potest. 20
Quanta poi sia la forza dell'amicizia si può vedere da questo che il legame
della smisurata società umana costituita dalla natura stessa si riduce e si
stringe talmente che ogni affetto si accende fra due o fra pochi. L'amicizia
difatti è niente altro se non un perfetto accordo nelle cose divine e umane
unito con un sentimento di benevolenza e di affetto; e di essa certo non so se
eccettuata la sapienza dagli dèi sia stata data all'uomo cosa migliore. Alcuni
le antepongono la ricchezza altri la buona salute altri la potenza altri gli
onori molti anche i piaceri. Questa ultima cosa è propria delle bestie le altre
poi sono passeggere e incerte poiché non tanto dipendono dal nostro senno quanto
dal capriccio della fortuna. Quelli poi che pongono il bene supremo nella virtù
fanno sì benissimo però questa virtù stessa genera e mantiene l'amicizia né
l'amicizia senza la virtù in alcun modo può esservi.
21 Iam virtutem ex consuetudine vitae sermonisque nostri interpretemur nec eam
ut quidam docti verborum magnificentia metiamur virosque bonos eos qui habentur
numeremus Paulos Catones Galos Scipiones Philos; his communis vita contenta est;
eos autem omittamus qui omnino nusquam reperiuntur. 21 la virtù intendiamola
secondo il senso comune della vita e del nostro linguaggio corrente e non
definiamola con pompa di parola come fanno certi filosofi; e mettiamo nel numero
dei buoni quelli che son ritenuti tali cioè persone come Paolo Catone Galo
Scipione Filo; di questi si contenta la comune vita; e lasciamo perdere quelli
che non si trovano affatto in nessuna parte.
22 Talis igitur inter viros amicitia tantas opportunitates habet quantas vix
queo dicere. Principio qui potest esse vita 'vitalis' ut ait Ennius quae non in
amici mutua benevolentia conquiescit? Quid dulcius quam habere quicum omnia
audeas sic loqui ut tecum? Qui esset tantus fructus in prosperis rebus nisi
haberes qui illis aeque ac tu ipse gauderet? adversas vero ferre difficile esset
sine eo qui illas gravius etiam quam tu ferret. Denique ceterae res quae
expetuntur opportunae sunt singulae rebus fere singulis divitiae ut utare opes
ut colare honores ut laudere voluptates ut gaudeas valetudo ut dolore careas et
muneribus fungare corporis; amicitia res plurimas continet; quoquo te verteris
praesto est nullo loco excluditur numquam intempestiva numquam molesta est;
itaque non aqua non igni ut aiunt locis pluribus utimur quam amicitia. Neque ego
nunc de vulgari aut de mediocri quae tamen ipsa et delectat et prodest sed de
vera et perfecta loquor qualis eorum qui pauci nominantur fuit. Nam et secundas
res splendidiores facit amicitia et adversas partiens communicansque leviores.
22 L'amicizia fra uomini così fatti ha tanti lati belli quanti a stento posso
dire. Prima di tutto in che modo può essere «vitale» come dice Ennio una vita
che non riposa nel mutuo affetto con un amico? E quale cosa più dolce che avere
uno con cui tu possa dire tutto come con te stesso? E che gran frutto verrebbe
dalla buona fortuna se tu non avessi qualcuno che ne godesse come tu stesso? La
cattiva poi sarebbe addirittura dìffícile sopportarla senza uno che ne soffrisse
anche più di te. Insomma tutte le altre cose che si desiderano servono ciascuna
per ciascun fine determinato: le ricchezze per procacciarsi ciò che occorre; la
potenza per ottenere il rispetto; le cariche pubbliche per avere lodi e omaggi i
piaceri per provare la gioia di vivere; la salute per non sentir dolore e avere
la piena disponibilità delle forze fisiche. L'amicizia invece tiene in sé uniti
moltissimi beni: dovunque tu vada la trovi; da nessun luogo è esclusa non è mai
intempestiva non è mai molesta; sicché non dell'acqua non dei fuoco ci serviamo
come si dice in più occasioni che dell'amicizia. E io ora non parlo
dell'amicizia volgare o della mediocre la quale tuttavia pure piace e giova ma
della vera e perfetta quale fu quella di coloro che son pochi e famosi. Poiché
l'amicizia fa più splendida la buona fortuna e più lieve l'avversa
condividendola e facendola così anche propria.
23 Cumque plurimas et maximas commoditates amicitia contineat tum illa nimirum
praestat omnibus quod bonam spem praelucet in posterum nec debilitari animos aut
cadere patitur. Verum enim amicum qui intuetur tamquam exemplar aliquod intuetur
sui. Quocirca et absentes adsunt et egentes abundant et imbecilli valent et quod
difficilius dictu est mortui vivunt; tantus eos honos memoria desiderium
prosequitur amicorum. Ex quo illorum beata mors videtur horum vita laudabilis.
Quod si exemeris ex rerum natura benevolentiae coniunctionem nec domus ulla nec
urbs stare poterit ne agri quidem cultus permanebit. Id si minus intellegitur
quanta vis amicitiae concordiaeque sit ex dissensionibus atque ex discordiis
percipi potest. Quae enim domus tam stabilis quae tam firma civitas est quae non
odiis et discidiis funditus possit everti? Ex quo quantum boni sit in amicitia
iudicari potest. 23 E pur contenendo altri moltissimi e grandissimi beni essa è
certo superiore a tutte le cose umane per il fatto che ci fa splendere innanzi
la buona speranza sull'avvenire e non lascia che l'anima s'indebolisca e
prostri. Chi rimira infatti un vero amico rimira come una immagine di se stesso.
Perciò e gli assenti sono presenti e i bisognosi sono ricchi e i deboli sono
validi e cosa più difficile a dirsi i morti vivono: tanto li accompagna l'onore
il ricordo il rimpianto degli amici. Di quelli par dunque felice la morte; di
questi degna di lode la vita. Che se toglierai alla natura il vincolo
dell'affetto né una casa potrà reggersi né una città e nemmeno l'agricoltura
durare. E se questo non si capisce quanta cioè sia la forza dell'amicizia e
della concordia lo si può vedere dai dissidi e dalle discordie. Quale casa
infatti è così salda quale città così forte che odii e disordini non possano
rovesciarla dalle fondamenta? Da questo si può giudicare quanto di buono vi sia
nell'amicizia.
24 Agrigentinum quidem doctum quendam virum carminibus Graecis vaticinatum
ferunt quae in rerum natura totoque mundo constarent quaeque moverentur ea
contrahere amicitiam dissipare discordiam. Atque hoc quidem omnes mortales et
intellegunt et re probant. Itaque si quando aliquod officium exstitit amici in
periculis aut adeundis aut communicandis quis est qui id non maximis efferat
laudibus? Qui clamores tota cavea nuper in hospitis et amici mei M. Pacuvi nova
fabula! cum ignorante rege uter Orestes esset Pylades Orestem se esse diceret ut
pro illo necaretur Orestes autem ita ut erat Orestem se esse perseveraret.
Stantes plaudebant in re ficta; quid arbitramur in vera facturos fuisse? Facile
indicabat ipsa natura vim suam cum homines quod facere ipsi non possent id recte
fieri in altero iudicarent. Hactenus mihi videor de amicitia quid sentirem
potuisse dicere; si quae praeterea sunt (credo autem esse multa) ab iis si
videbitur qui ista disputant quaeritote. 24 Ed in realtà raccontano che un
filosofo d'Agrigento rivelò in versi greci che tutte le cose le quali nella
natura e nell'universo intero sono immote o si muovono tutte le compone
l'amicizia le dissipa la discordia. E questo sì tutti i mortali lo capiscono e
lo riconoscono alla prova dei fatti. Quindi se mai qualche segno di fedeltà ai
doveri dell'amicizia un amico dà nell'affrontare pericoli o nel prendervi parte
chi vi è che non esalti ciò con le più grandi lodi? Che scroscio d'applausi or
non è molto per tutto il teatro al nuovo dramma del mio ospite e amico Marco
Pacuvio quando ignorando il re quale dei due fosse Oreste Pilade affermava di
essere Oreste per morire al suo posto e Oreste invece così come era si ostinava
a sostenere che Oreste era lui! In piedi applaudivano a una finzione; che
avrebbero mai fatto innanzi alla realtà? Certo la natura mostrava essa stessa la
sua forza poiché degli uomini quel che essi non sapevano fare lo giudicavano
generosa condotta in un altro. Fino a questo punto mi pare d'aver potuto dire
quel che io penso dell'amicizia: se altro v'è oltre a questo (e credo che vi
siano molte altre cose) l'andrete a chiedere se vi parrà a quelli che di queste
cose sono soliti discutere.
25 Fannius: Nos autem a te potius; quamquam etiam ab istis saepe quaesivi et
audivi non invitus equidem; sed aliud quoddam filum orationis tuae. Scaevola:
Tum magis id diceres Fanni si nuper in hortis Scipionis cum est de re publica
disputatum adfuisses. Qualis tum patronus iustitiae fuit contra accuratam
orationem Phili! Fannius: Facile id quidem fuit iustitiam iustissimo viro
defendere. Scaevola: Quid? amicitiam nonne facile ei qui ob eam summa fide
constantia iustitiaque servatam maximam gloriam ceperit? 25 FANNIO. E noi
preferiamo chiederlo a te quantunque pure a costoro spesso mi sono rivolto e li
ho ascoltati non senza piacere in verità; ma la stoffa del tuo discorso è
un'altra. SCEVOLA. Oh lo diresti anche più Fannio se fossi stato pure tu
presente nei giardini di Scipione or non è molto quando s'è discusso intorno
allo stato. Quale patrono della giustizia egli fu allora contro la forbita
orazione di Filo! FANNIO. In realtà fu una cosa facile questa a un uomo
giustissimo difendere la giustizia. SCEVOLA. E allora? Non sarà facile difendere
l'amicizia a colui che per averla conservata con fedeltà somma con costanza e
giustizia ha conseguito grandissima gloria?
26 Laelius: Vim hoc quidem est adferre. Quid enim refert qua me ratione cogatis?
cogitis certe. Studiis enim generorum praesertim in re bona cum difficile est
tum ne aequum quidem obsistere. Saepissime igitur mihi de amicitia cogitanti
maxime illud considerandum videri solet utrum propter imbecillitatem atque
inopiam desiderata sit amicitia ut dandis recipiendisque meritis quod quisque
minus per se ipse posset id acciperet ab alio vicissimque redderet an esset hoc
quidem proprium amicitiae sed antiquior et pulchrior et magis a natura ipsa
profecta alia causa. Amor enim ex quo amicitia nominata est princeps est ad
benevolentiam coniungendam. Nam utilitates quidem etiam ab iis percipiuntur
saepe qui simulatione amicitiae coluntur et observantur temporis causa in
amicitia autem nihil fictum est nihil simulatum et quidquid est id est verum et
voluntarium. 26 LELIO. Ma questo è proprio un far violenza. Che importa infatti
con che mezzo mi costringete? Certo voi mi costringete. Ché opporsi ai desideri
dei generi specialmente in una cosa buona è difficile e neppure è giusto. Molto
spesso quando rifletto sull'amicizia mi sembra che sì debba considerare prima
d'ogni cosa questo: se l'amicizia sia desiderata per la debolezza nostra e la
scarsezza dei nostri mezzi cosicché dando e ricevendo favori ciò che uno da sé
non potesse fare lo ricevesse da un altro e a sua volta lo contraccambiasse; o
questo sì sia il proprio dell'amicizia ma la causa ne sia un'altra più intima e
più bella e più veramente naturale. L'amore infatti dal quale trae il nome
l'amicizia è la prima spinta a volersi bene. Ché vantaggi se ne traggono sì
spesso anche da quelli che per opportunità del momento si coltivano e si
corteggiano con una simulazione d'amicizia; ma nell'amicizia nulla v'è di finto
nulla di simulato: tutto quel che vi è tutto è vero e spontaneo.
27 Quapropter a natura mihi videtur potius quam ab indigentia orta amicitia
applicatione magis animi cum quodam sensu amandi quam cogitatione quantum illa
res utilitatis esset habitura. Quod quidem quale sit etiam in bestiis quibusdam
animadverti potest quae ex se natos ita amant ad quoddam tempus et ab eis ita
amantur ut facile earum sensus appareat. Quod in homine multo est evidentius
primum ex ea caritate quae est inter natos et parentes quae dirimi nisi
detestabili scelere non potest; deinde cum similis sensus exstitit amoris si
aliquem nacti sumus cuius cum moribus et natura congruamus quod in eo quasi
lumen aliquod probitatis et virtutis perspicere videamur. 27 Perciò l'amicizia
mi sembra piuttosto sorta dalla natura che dalla indigenza più per inclinazione
dell'anima con un certo suo senso d'amore che per riflessione sulla utilità che
essa avrebbe poi avuto. E di che natura sia tale istinto si può in realtà vedere
anche in certe bestie le quali così amano fino a un certo momento i loro nati e
sono da essi amate che facilmente si scorge il loro sentimento. E questo è molto
più evidente nell'uomo in primo luogo per quell'affetto che c'è tra i figli e i
genitori il quale non può essere distrutto se non da una detestabile
scelleratezza; in secondo luogo allorché sorge un simile sentimento d'amore se
c'imbattiamo in qualcuno con i cui costumi e con la cui indole concordiamo
poiché ci par di scorgere in lui quasi una luce di bontà e di virtù.
28 Nihil est enim virtute amabilius nihil quod magis adliciat ad diligendum
quippe cum propter virtutem et probitatem etiam eos quos numquam vidimus quodam
modo diligamus. Quis est qui C. Fabrici M'. Curi non cum caritate aliqua
benevola memoriam usurpet quos numquam viderit? quis autem est qui Tarquinium
Superbum qui Sp. Cassium Sp. Maelium non oderit? Cum duobus ducibus de imperio
in Italia est decertatum Pyrrho et Hannibale; ab altero propter probitatem eius
non nimis alienos animos habemus alterum propter crudelitatem semper haec
civitas oderit. 28 Nulla v'è infatti più amabile della virtù nulla che più
alletti ad amare poiché per la virtù e la rettitudine in certo modo amiamo anche
quelli che non abbiamo mai visti. Chi vi è che non ricordi Gaio Fabrizio e Manio
Curio con un certo sentimento affettuoso pur non avendoli mai visti? Chi invece
v'è che non odi Tarquinio il Superbo chi non Spurio Cassio chi non Spurio Melio?
Con due generali s'è combattuto in Italia per l'egemonia: Pirro e Annibale;
l'uno per la sua rettitudine non l'abbiamo in troppa avversione l'altro per la
sua crudeltà sempre questa città l'avrà in odio.
29 Quod si tanta vis probitatis est ut eam vel in iis quos numquam vidimus vel
quod maius est in hoste etiam diligamus quid mirum est si animi hominum
moveantur cum eorum quibuscum usu coniuncti esse possunt virtutem et bonitatem
perspicere videantur? Quamquam confirmatur amor et beneficio accepto et studio
perspecto et consuetudine adiuncta quibus rebus ad illum primum motum animi et
amoris adhibitis admirabilis quaedam exardescit benevolentiae magnitudo. Quam si
qui putant ab imbecillitate proficisci ut sit per quem adsequatur quod quisque
desideret humilem sane relinquunt et minime generosum ut ita dicam ortum
amicitiae quam ex inopia atque indigentia natam volunt. Quod si ita esset ut
quisque minimum esse in se arbitraretur ita ad amicitiam esset aptissimus; quod
longe secus est. 29 E se tanta è la forza della rettitudine che la amiamo sia in
quelli che non abbiamo visto mai sia cosa ancora più grande pure nel nemico qual
meraviglia se gli animi degli uomini si commuovono quando sembri loro di
scorgere virtù e probità in quelli coi quali sono per avventura congiunti per
consuetudine di vita? Naturalmente l'amore è rinforzato e dal bene ricevuto e
dalla devozione constatata e dalla familiarità sopravvenuta e se queste cose si
uniscono a quel primo moto di simpatia ne divampa una meravigliosa grandezza di
affetto. Ora se alcuni credono che essa derivi dalla debolezza umana la quale va
in cerca d'uno con l'aiuto del quale si possa conseguire ciò di cui si sente la
mancanza attribuiscono davvero all'amicizia una nascita per così dire umile e
niente affatto nobile poiché la vogliono figlia della miseria e del bisogno. E
se così fosse quanto meno uno pensasse d'avere doti in sé tanto più sarebbe
adatto a stringere amicizie; e invece la cosa è assai diversa.
30 Ut enim quisque sibi plurimum confidit et ut quisque maxime virtute et
sapientia sic munitus est ut nullo egeat suaque omnia in se ipso posita iudicet
ita in amicitiis expetendis colendisque maxime excellit. Quid enim? Africanus
indigens mei? Minime hercule! ac ne ego quidem illius; sed ego admiratione
quadam virtutis eius ille vicissim opinione fortasse non nulla quam de meis
moribus habebat me dilexit; auxit benevolentiam consuetudo. Sed quamquam
utilitates multae et magnae consecutae sunt non sunt tamen ab earum spe causae
diligendi profectae. 30 Quanto più infatti uno confida in sé quanto più uno è
armato di virtù e di sapienza (così armato da non aver bisogno di nessuno e da
poter pensare d'avere tutte le sue cose in se stesso) tanto più cerca e coltiva
amicizie. E allora? L'Africano aveva forse bisogno di me? No per Ercole! E
neppure io di lui; ma io per una certa ammirazione della sua virtù ho preso ad
amare lui egli a sua volta forse per una qualche stima che aveva dei miei
costumi ha preso ad amare me; la familiarità ha poi accresciuto l'affetto. Ma
quantunque molte e grandi utilità ne siano seguite non tuttavia dalla speranza
di esse è venuto il motivo del nostro affetto.
31 Ut enim benefici liberalesque sumus non ut exigamus gratiam (neque enim
beneficium faeneramur sed natura propensi ad liberalitatem sumus) sic amicitiam
non spe mercedis adducti sed quod omnis eius fructus in ipso amore inest
expetendam putamus. 31 Come infatti siamo benèfici e liberali non per riscuotere
gratitudine (ché noi non diamo a prestito con interesse i benefici ma per natura
siamo propensi alla liberalità) così riteniamo che sia da ricercare l'amicizia
non per la speranza di un guadagno che ne venga ma perché tutto il suo frutto è
proprio lì nell'amore.
32 Ab his qui pecudum ritu ad voluptatem omnia referunt longe dissentiunt nec
mirum; nihil enim altum nihil magnificum ac divinum suspicere possunt qui suas
omnes cogitationes abiecerunt in rem tam humilem tamque contemptam. Quam ob rem
hos quidem ab hoc sermone removeamus ipsi autem intellegamus natura gigni sensum
diligendi et benevolentiae caritatem facta significatione probitatis. Quam qui
adpetiverunt applicant se et propius admovent ut et usu eius quem diligere
coeperunt fruantur et moribus sintque pares in amore et aequales propensioresque
ad bene merendum quam ad reposcendum atque haec inter eos sit honesta certatio.
Sic et utilitates ex amicitia maximae capientur et erit eius ortus a natura quam
ab imbecillitate gravior et verior. Nam si utilitas amicitias conglutinaret
eadem commutata dissolveret; sed quia natura mutari non potest idcirco verae
amicitiae sempiternae sunt. Ortum quidem amicitiae videtis nisi quid ad haec
forte vultis. Fannius: Tu vero perge Laeli; pro hoc enim qui minor est natu meo
iure respondeo. 32 Da queste idee dissentono quelli che riconducono come le
bestie ogni cosa al piacere e non fa meraviglia: a niente che sia alto a niente
che sia magnifico e divino possono alzare lo sguardo quelli che hanno abbassato
tutti i loro pensieri a cosa tanto umile e spregevole. Perciò escludiamo costoro
da questo discorso e cerchiamo di capire per parte nostra che per natura nascono
il sentimento d'amore e la tenerezza d'affetto apparsi che siano certi indizi di
rettitudine. E quelli che aspirano ad essa si avvicinano sempre più a colui che
hanno preso ad amare per poterne godere la familiarità ed i modi per essere pari
ed uguali in amore e più inclini a render servizi che a domandarne; perché vi
sia tra loro questa nobile gara. Così deriveranno i maggiori vantaggi
dall'amicizia e il suo nascere dalla natura piuttosto che dalla debolezza umana
sarà più nobile e più conforme a verità. Di fatto se l'utilità unisse le
amicizie mutata che fosse anche le scioglierebbe; ma poiché la natura non si può
mutare per questo le vere amicizie durano eterne. Ecco detto quale è in verità
l'origine dell'amicizia; a meno che vogliate aggiungere qualcosa. FANNIO.
Continua tu Lelio; rispondo io come è mio diritto per lui che è minore di età.
33 Scaevola: Recte tu quidem. Quam ob rem audiamus. Laelius: Audite vero optimi
viri ea quae saepissime inter me et Scipionem de amicitia disserebantur.
Quamquam ille quidem nihil difficilius esse dicebat quam amicitiam usque ad
extremum vitae diem permanere. Nam vel ut non idem expediret incidere saepe vel
ut de re publica non idem sentiretur; mutari etiam mores hominum saepe dicebat
alias adversis rebus alias aetate ingravescente. Atque earum rerum exemplum ex
similitudine capiebat ineuntis aetatis quod summi puerorum amores saepe una cum
praetexta toga ponerentur. 33 SCEVOLA. E giustamente rispondi tu. E dunque
ascoltiamo. LELIO. Ebbene udite ottimi giovani quel che assai spesso tra me e
Scipione si diceva discutendo sull'amicizia. Quantunque in realtà egli affermava
che nulla è più difficile d'un'amicizia che duri fino all'ultimo giorno della
vita. Poiché spesso accade egli diceva che gli interessi dei due amici non
coincidano o che in politica non abbiano entrambi la medesima opinione; e si
mutano anche spesso diceva i costumi degli uomini a volte per le avversità a
volte per l'aumentare del peso dell'età. E prendeva a esempio di ciò casi
analoghi della prima età ché ardenti amori di ragazzi si depongono spesso
insieme con la toga pretesta;
34 Sin autem ad adulescentiam perduxissent dirimi tamen interdum contentione vel
uxoriae condicionis vel commodi alicuius quod idem adipisci uterque non posset.
Quod si qui longius in amicitia provecti essent tamen saepe labefactari si in
honoris contentionem incidissent; pestem enim nullam maiorem esse amicitiis quam
in plerisque pecuniae cupiditatem in optimis quibusque honoris certamen et
gloriae; ex quo inimicitias maximas saepe inter amicissimos exstitisse. 34 e se
invece li hanno fatti durare fino alla giovinezza a volte son rotti per un
contrasto o intorno a un partito di matrimonio o intorno a un qualche bene che
non possono tutti e due raggiungere contemporaneamente. Se poi alcuni sono
andati anche più lontano nella loro amicizia eccola tuttavia tante volte
vacillare perché si trovano in competizione per una magistratura: non c'è
difatti peste più grande per l'amicizia che nei più la brama di denaro nei
migliori la lotta per le cariche pubbliche e per la gloria; dalla quale spesso
inimicizie grandissime sono sorte fra uomini che erano amicissimi.
35 Magna etiam discidia et plerumque iusta nasci cum aliquid ab amicis quod
rectum non esset postularetur ut aut libidinis ministri aut adiutores essent ad
iniuriam; quod qui recusarent quamvis honeste id facerent ius tamen amicitiae
deserere arguerentur ab iis quibus obsequi nollent. Illos autem qui quidvis ab
amico auderent postulare postulatione ipsa profiteri omnia se amici causa esse
facturos. Eorum querella inveterata non modo familiaritates exstingui solere sed
odia etiam gigni sempiterna. Haec ita multa quasi fata impendere amicitiis ut
omnia subterfugere non modo sapientiae sed etiam felicitatis diceret sibi videri.
35 Gravi dissidi anche e per lo più giusti nascono quando si chiede agli amici
qualcosa che non è onesto di essere cioè o strumenti nostri nella soddisfazione
di un nostro capriccio o aiuto a noi nel recare offesa a qualcuno; e quelli che
si rifiutano a questo sebbene ciò facciano secondo onestà sono accusati di
violare i diritti dell'amicizia da coloro a cui non vogliono obbedire. Quelli
invece che osano chiedere qualsiasi cosa a un amico colla loro stessa richiesta
fanno capire che essi per un amico sono disposti a far tutto. E dalle rampogne
di quelli non solo di solito sono spente pur antiche affettuose amicizie ma
anche sono generati odi che durano eterni. Queste fatalità per così chiamarle
sovrastano diceva all'amicizia di modo che saperle evitare tutte gli sembrava un
privilegio non solo della sapienza ma anche della fortuna.
36 Quam ob rem id primum videamus si placet quatenus amor in amicitia progredi
debeat. Numne si Coriolanus habuit amicos ferre contra patriam arma illi cum
Coriolano debuerunt? num Vecellinum amici regnum adpetentem num Maelium
debuerunt iuvare? 36 Perciò vediamo anzitutto se vi piace fino a che punto
nell'amicizia debba spingersi l'attaccamento. Forse che se Coriolano ebbe degli
amici essi avrebbero dovuto portare con lui le armi contro la patria? Forse che
gli amici avrebbero dovuto aiutare Vecellino quando aspirava al regno? Aiutare
Melio?
37 Ti. quidem Gracchum rem publicam vexantem a Q. Tuberone aequalibusque amicis
derelictum videbamus. At C. Blossius Cumanus hospes familiae vestrae Scaevola
cum ad me quod aderam Laenati et Rupilio consulibus in consilio deprecatum
venisset hanc ut sibi ignoscerem causam adferebat quod tanti Ti. Gracchum
fecisset ut quidquid ille vellet sibi faciendum putaret. Tum ego: 'Etiamne si te
in Capitolium faces ferre vellet?' 'Numquam' inquit 'voluisset id quidem; sed si
voluisset paruissem.' Videtis quam nefaria vox! Et hercule ita fecit vel plus
etiam quam dixit; non enim paruit ille Ti. Gracchi temeritati sed praefuit nec
se comitem illius furoris sed ducem praebuit. Itaque hac amentia quaestione nova
perterritus in Asiam profugit ad hostes se contulit poenas rei publicae graves
iustasque persolvit. Nulla est igitur excusatio peccati si amici causa
peccaveris; nam cum conciliatrix amicitiae virtutis opinio fuerit difficile est
amicitiam manere si a virtute defeceris. 37 Ho visto con questi occhi Q.
Tuberone e gli amici della sua generazione abbandonare Tiberio Gracco quando
cominciò a gettare scompiglio nello stato. Invece Gaio Blossio Cumano ospite
della vostra famiglia o Scevola quando venne da me a pregarmi di perdonargli
poiché assistevo nel consiglio i consoli Rupilio e Lenate recava come sua
giustificazione di avere avuto in così grande stima Tiberio Gracco da credere di
dover fare qualunque cosa egli volesse. Allora io: «Anche se voleva che tu
portassi le fiaccole accese contro il Campidoglio?». «Mai» rispose «avrebbe
voluto questo; ma se l'avesse voluto av ubbidito.» Che nefande parole! vedete. E
fece così per Ercole; o anche più di quel che aveva detto: non difatti obbedì
lui alla temerità di Tiberio Gracco ma fu lui capo; e non si offerse compagno
alla follia di quello ma se ne fece condottiero. E così per questa sua pazzia
impaurito dall'istituzione di una nuova commissione d'inchiesta si rifugiò in
Asia si recò da nemici pagò alla repubblica pene gravi e giuste. Non è dunque
per nulla giustificazione della colpa l'aver tu sbagliato a cagion d'un amico.
Poiché se l'esser tu ritenuto virtuoso ha fatto nascere con te l'amicizia è
difficile che l'amicizia rimanga quando tu abbia disertato dalla virtù.
38 Quod si rectum statuerimus vel concedere amicis quidquid velint vel impetrare
ab iis quidquid velimus perfecta quidem sapientia si simus nihil habeat res
vitii; sed loquimur de iis amicis qui ante oculos sunt quos vidimus aut de
quibus memoriam accepimus quos novit vita communis. Ex hoc numero nobis exempla
sumenda sunt et eorum quidem maxime qui ad sapientiam proxime accedunt. 38 Ora
se avessimo deciso che è cosa retta sia concedere agli amici qualunque cosa
vogliano sia cercare di ottenere da essi qualunque cosa vogliamo: certo saremmo
perfettamente saggi se non ne scaturisse inconveniente alcuno. Ma noi parliamo
di quegli amici che abbiamo innanzi agli occhi quelli che abbiamo visto noi
stessi o di cui ci è giunto il ricordo quelli che s'incontrano nella vita
comune. Da questi noi dobbiamo trarre esempi e specialmente da quelli di essi
che più si avvicinano alla saggezza.
39 Videmus Papum Aemilium Luscino familiarem fuisse (sic a patribus accepimus)
bis una consules collegas in censura; tum et cum iis et inter se coniunctissimos
fuisse M'. Curium Ti. Coruncanium memoriae proditum est. Igitur ne suspicari
quidem possumus quemquam horum ab amico quippiam contendisse quod contra fidem
contra ius iurandum contra rem publicam esset. Nam hoc quidem in talibus viris
quid attinet dicere si contendisset impetraturum non fuisse? cum illi
sanctissimi viri fuerint aeque autem nefas sit tale aliquid et facere rogatum et
rogare. At vero Ti. Gracchum sequebantur C. Carbo C. Cato et minime tum quidem
C. frater nunc idem acerrimus. 39 Noi vediamo che Emilio Papo fu intimo di
Luscino (così sappiamo dai nostri padri) due volte consoli insieme colleghi
nella censura; è stato inoltre tramandato che Manio Curio e Tiberio Coruncanio
furono e a quelli e tra loro legatissimi. Ebbene nemmeno il sospetto noi
possiamo avere che qualcuno di loro abbia preteso dall'amico qualcosa che fosse
contro la lealtà contro la parola data contro lo stato. E non c'è nemmeno
bisogno di dire trattandosi di tali uomini che se alcuno l'avesse preteso non
l'avrebbe ottenuto; poiché essi erano uomini integerrimi e non è lecito una
simile cosa né farla quando uno ce la chiede né chiederla noi stessi. Ma per
contro Tiberio Gracco lo seguivano Gaio Carbone Gaio Catone e non il fratello
Gaio che ora però è accesissimo anche lui.
40 Haec igitur lex in amicitia sanciatur ut neque rogemus res turpes nec
faciamus rogati. Turpis enim excusatio est et minime accipienda cum in ceteris
peccatis tum si quis contra rem publicam se amici causa fecisse fateatur. Etenim
eo loco Fanni et Scaevola locati sumus ut nos longe prospicere oporteat futuros
casus rei publicae. Deflexit iam aliquantum de spatio curriculoque consuetudo
maiorum. 40 Si sancisca dunque nell'amicizia questa legge: che né chiediamo noi
cose turpi né richiesti le facciamo. E' una turpe scusa difatti e per nulla
accettabile come per tutte le altre colpe così se uno dichiari di aver agito
contro lo stato a causa di un amico. Noi siamo in tal punto o Fannio e Scevola
che bisogna saper prevedere di lontano i futuri casi dello stato. Il costume
degli antenati ormai ha perduto alquanto terreno e s'è alquanto allontanato
dalla carreggiata:
41 Ti. Gracchus regnum occupare conatus est vel regnavit is quidem paucos menses.
Num quid simile populus Romanus audierat aut viderat? Hunc etiam post mortem
secuti amici et propinqui quid in P. Scipione effecerint sine lacrimis non queo
dicere. Nam Carbonem quocumque modo potuimus propter recentem poenam Ti. Gracchi
sustinuimus; de C. Gracchi autem tribunatu quid expectem non libet augurari.
Serpit deinde res; quae proclivis ad perniciem cum semel coepit labitur. Videtis
in tabella iam ante quanta sit facta labes primo Gabinia lege biennio autem post
Cassia. Videre iam videor populum a senatu disiunctum multitudinis arbitrio res
maximas agi. Plures enim discent quem ad modum haec fiant quam quem ad modum iis
resistatur. 41 Tiberio Gracco tentò di arrogarsi la potestà regia o meglio per
pochi mesi fu veramente re. Aveva mai udito o visto qualcosa di simile il popolo
romano? Che cosa gli amici e i parenti seguendolo anche dopo la morte fecero
contro Scipione io non lo posso dire senza lagrime. Ciò perché abbiamo tollerato
in qualunque modo abbiamo potuto Carbone per il fatto che pochissimo tempo era
passato dalla punizione inflitta a Tiberio Gracco. Che cosa io poi mi possa
aspettare da un tribunato di Gaio Gracco non mi piace tentar di presagire .
Serpeggia ormai il male che poi come per un pendio una volta che ha cominciato
precipita verso la rovina. Voi vedete quanto guasto già sia stato fatto nelle
votazioni prima con la legge Gabinia due anni dopo con la legge Cassia . Mi par
di vedere il popolo ormai diviso dal senato e le questioni di più grave
importanza regolate dall'arbitrio della moltitudine. E molto più spesso si
apprenderà come sollevare tali scompigli che come porvi termine.
42 Quorsum haec? Quia sine sociis nemo quicquam tale conatur. Praecipiendum est
igitur bonis ut si in eius modi amicitias ignari casu aliquo inciderint ne
existiment ita se alligatos ut ab amicis in magna aliqua re publica peccantibus
non discedant; improbis autem poena statuenda est nec vero minor iis qui secuti
erunt alterum quam iis qui ipsi fuerint impietatis duces. Quis clarior in
Graecia Themistocle quis potentior? qui cum imperator bello Persico servitute
Graeciam liberavisset propterque invidiam in exsilium expulsus esset ingratae
patriae iniuriam non tulit quam ferre debuit fecit idem quod xx annis ante apud
nos fecerat Coriolanus. His adiutor contra patriam inventus est nemo; itaque
mortem sibi uterque conscivit. 42 E a che scopo io dico questo? Perché senza
compagni nessuno può tentare una tal cosa. Si deve dunque raccomandare ai buoni
che se inavvertitamente per un caso siano caduti in amicizie di tal fatta non
pensino di essere così legati da non potersi distaccare da amici che
colpevolmente sbaglino in qualche grave questione politica; si deve d'altro
canto stabilire una pena per i malvagi e non minore per quelli i quali avranno
seguìto un altro che per quelli i quali saranno stati essi stessi i capi
dell'azione empia contro la patria. Chi più famoso in Grecia di Temistocle? chi
più potente? Ebbene egli che come comandante nella guerra persiana aveva
liberato la Grecia dal pericolo della schiavitù ed era stato per invidia mandato
in esilio non seppe tollerare l'offesa che l'ingiustizia patita gli recava
mentre avrebbe dovuto tollerarla e fece quel che vent'anni prima da noi aveva
fatto Coriolano . Ma a costoro non si trovò nessuno che li aiutasse contro la
patria; e così l'uno e l'altro si dettero la morte.
43 Quare talis improborum consensio non modo excusatione amicitiae tegenda non
est sed potius supplicio omni vindicanda est ut ne quis concessum putet amicum
vel bellum patriae inferentem sequi; quod quidem ut res ire coepit haud scio an
aliquando futurum sit. Mihi autem non minori curae est qualis res publica post
mortem meam futura quam qualis hodie sit. 43 Dunque non solo non si deve coprire
con la scusa dell'amicizia l'accordo con i malvagi ma piuttosto lo si deve
colpire con ogni specie di pene affinché nessuno pensi che sia lecito seguire un
amico persino se fa guerra alla patria: e questo invero da come hanno cominciato
ad andare le cose non so se non avverrà. A me del resto non dà meno da pensare
in qual condizione sarà lo stato dopo la mia morte che non in quale condizione
sia già oggi.
44 Haec igitur prima lex amicitiae sanciatur ut ab amicis honesta petamus
amicorum causa honesta faciamus ne exspectemus quidem dum rogemur; studium
semper adsit cunctatio absit; consilium vero dare audeamus libere. Plurimum in
amicitia amicorum bene suadentium valeat auctoritas eaque et adhibeatur ad
monendum non modo aperte sed etiam acriter si res postulabit et adhibitae
pareatur. 44 Prima legge dell'amicizia sia questa: che agli amici chiediamo cose
oneste per cagione degli amici cose oneste facciamo non aspettiamo neppure di
esserne richiesti; sempre vi sia sollecitudine; non vi sia mai esitazione; anzi
osiamo francamente dar consigli; moltissimo valga nell'amicizia l'autorità degli
amici che persuadono al bene; e la si usi ad ammonire non solo apertamente ma
anche severamente se la cosa lo richiederà; e a una tale autorità si obbedisca.
45 Nam quibusdam quos audio sapientes habitos in Graecia placuisse opinor
mirabilia quaedam (sed nihil est quod illi non persequantur argutiis): partim
fugiendas esse nimias amicitias ne necesse sit unum sollicitum esse pro pluribus;
satis superque esse sibi suarum cuique rerum alienis nimis implicari molestum
esse; commodissimum esse quam laxissimas habenas habere amicitiae quas vel
adducas cum velis vel remittas; caput enim esse ad beate vivendum securitatem
qua frui non possit animus si tamquam parturiat unus pro pluribus. 45 A certuni
che sento dire essere stati ritenuti in Grecia sapienti piacquero certe idee per
mio conto strane (ma non c'è nulla su cui quella gente non cavilli): parte
ritengono che sian da fuggire amicizie troppo intime affinché non debba uno solo
darsi pensiero per parecchi; che ognuno ne ha abbastanza e d'avanzo delle sue
proprie cose e troppo impicciarsi dei fatti altrui è cosa molesta; la miglior
cosa è invece tener le redini dell'amicizia più lente che si può e tirarle
quando tu voglia o tirate allentarle; punto capitale infatti a viver felici è la
tranquillità della quale non può godere l'animo se uno solo deve in certo modo
soffrire i travagli del parto per parecchi.
46 Alios autem dicere aiunt multo etiam inhumanius (quem locum breviter paulo
ante perstrinxi) praesidii adiumentique causa non benevolentiae neque caritatis
amicitias esse expetendas; itaque ut quisque minimum firmitatis haberet
minimumque virium ita amicitias appetere maxime; ex eo fieri ut mulierculae
magis amicitiarum praesidia quaerant quam viri et inopes quam opulenti et
calamitosi quam ii qui putentur beati. 46 Altri poi si dice sostengono cosa
molto più contraria alla natura dell'uomo (punto che ho toccato brevemente poc'anzi)
e cioè che le amicizie si hanno da cercare per aiuto e difesa non per
benevolenza e affetto. E così quanto meno di sicurezza di sé quanto meno di
forze uno abbia tanto più cerca amicizie; e per questo avviene che le femminette
cercano gli appoggi dell'amicizia più degli uomini e i bisognosi più dei ricchi
e gli sventurati più di quelli che si ritengono felici.
47 O praeclaram sapientiam! Solem enim e mundo tollere videntur qui amicitiam e
vita tollunt qua nihil a dis immortalibus melius habemus nihil iucundius. Quae
est enim ista securitas? Specie quidem blanda sed reapse multis locis repudianda.
Neque enim est consentaneum ullam honestam rem actionemve ne sollicitus sis aut
non suscipere aut susceptam deponere. Quod si curam fugimus virtus fugienda est
quae necesse est cum aliqua cura res sibi contrarias aspernetur atque oderit ut
bonitas malitiam temperantia libidinem ignaviam fortitudo; itaque videas rebus
iniustis iustos maxime dolere imbellibus fortes flagitiosis modestos. Ergo hoc
proprium est animi bene constituti et laetari bonis rebus et dolere contrariis.
47 Oh la grande sapienza! Il sole infatti par che tolgano al mondo quelli che
tolgono alla vita l'amicizia della quale nulla di meglio abbiamo avuto dagli dèi
immortali nulla di più piacevole! Che sorta di tranquillità è codesta? In
apparenza seducente in realtà per molti rispetti esecrabile. Non è ragionevole
infatti non intraprendere una cosa o una azione onesta oppure intrapresa
lasciarla per non essere inquieto. Che se rifuggiamo dalle preoccupazioni
dobbiamo rifuggire dalla virtù la quale è necessario che con qualche
inquietudine sprezzi e odi le cose a sé contrarie come la rettitudine la malizia
la temperanza la libidine la viltà il coraggio; e così puoi vedere i giusti
massimamente affliggersi per le ingiustizie i forti per le viltà i moderati per
le azioni vergognose. là dunque proprio di un animo ben formato e allietarsi
delle cose buone e dolersi delle contrarie.
48 Quam ob rem si cadit in sapientem animi dolor qui profecto cadit nisi ex eius
animo exstirpatam humanitatem arbitramur quae causa est cur amicitiam funditus
tollamus e vita ne aliquas propter eam suscipiamus molestias? Quid enim interest
motu animi sublato non dico inter pecudem et hominem sed inter hominem et
truncum aut saxum aut quidvis generis eiusdem? Neque enim sunt isti audiendi qui
virtutem duram et quasi ferream esse quandam volunt; quae quidem est cum multis
in rebus tum in amicitia tenera atque tractabilis ut et bonis amici quasi
diffundatur et incommodis contrahatur. Quam ob rem angor iste qui pro amico
saepe capiendus est non tantum valet ut tollat e vita amicitiam non plus quam ut
virtutes quia non nullas curas et molestias adferunt repudientur. Cum autem
contrahat amicitiam ut supra dixi si qua significatio virtutis eluceat ad quam
se similis animus applicet et adiungat id cum contigit amor exoriatur necesse
est. 48 Per la qual cosa se l'animo del sapiente è accessibile al dolore e certo
lo è a meno di pensare che dal suo animo sia estirpata la natura stessa d'uomo
che ragione v'è che togliamo radicalmente dalla vita l'amicizia per non
incontrare a cagion d'essa qualche molestia? E tolto ogni moto dell'animo che
differenza v'è non dico tra la bestia e l'uomo ma tra l'uomo e il tronco o il
sasso o una qualsiasi cosa di tal genere? Né sono da ascoltare coloro i quali
vogliono che in certo modo la virtù sia dura e quasi ferrea. Mentre essa
realmente come in molte altre cose così nell'amicizia è tenera e malleabile
tanto che ad uno sia pur virtuoso s'allarga il cuore per i beni d'un amico gli
si stringe per i suoi mali. Perciò codesta angoscia che si deve spesso soffrire
per un amico non basta a far togliere dalla vita l'amicizia non più che
s'abbiano a ripudiare le virtù per gli affanni e le molestie che portano. Poiché
fa nascere l'amicizia come dicevo prima qualche segno di virtù che da qualcuno
splenda alla quale un animo che le somigli si stringe e unisce quando questo
avviene non può non esser che nasca l'amore.
49 Quid enim tam absurdum quam delectari multis inanimis rebus ut honore ut
gloria ut aedificio ut vestitu cultuque corporis animante virtute praedito eo
qui vel amare vel ut ita dicam redamare possit non admodum delectari? Nihil est
enim remuneratione benevolentiae nihil vicissitudine studiorum officiorumque
iucundius. 49 Quale cosa è tanto assurda infatti quanto provar gioia di molte
cose vane come degli onori della gloria d'un edificio d'un vestito o d'un
ornamento del corpo; e d'un essere vivo dotato di virtù di tale creatura che può
amare o per cosi dir riamare non provar grandissima gioia? Nulla v'è infatti più
piacevole che la ricompensa dell'affetto nulla più piacevole che il
contraccambio delle premure e dei servigi.
50 Quid si illud etiam addimus quod recte addi potest nihil esse quod ad se rem
ullam tam alliciat et attrahat quam ad amicitiam similitudo? concedetur profecto
verum esse ut bonos boni diligant adsciscantque sibi quasi propinquitate
coniunctos atque natura. Nihil est enim appetentius similium sui nec rapacius
quam natura. Quam ob rem hoc quidem Fanni et Scaevola constet ut opinor bonis
inter bonos quasi necessariam benevolentiam qui est amicitiae fons a natura
constitutus. Sed eadem bonitas etiam ad multitudinem pertinet. Non enim est
inhumana virtus neque immunis neque superba quae etiam populos universos tueri
iisque optime consulere soleat; quod non faceret profecto si a caritate vulgi
abhorreret. 50 E che se aggiungiamo anche questo e senza errore si può
aggiungere non esservi nulla che a sé alletti e attragga cosa alcuna quanto
all'amicizia la somiglianza? Si concederà certo esser vero che i buoni amano e a
sé attirano i buoni quasi fossero congiunti per parentela e natura: nulla
infatti brama di più che la natura cose simili a sé e a sé le rapisce. Per la
qual cosa o Fannio e Scevola sia chiaro come credo che per i buoni tra i buoni
v'è un necessario volersi bene e questa è la fonte dell'amicizia costituita
dalla natura. Ma la medesima bontà si stende anche all'altra gente. La virtù
infatti non è disumana non egoista non superba essa che suole proteggere anche
interi popoli e provvedere ottimamente ai loro bisogni: cosa che certo non
farebbe se rifuggisse dall'affetto per gli uomini.
51 Atque etiam mihi quidem videntur qui utilitatum causa fingunt amicitias
amabilissimum nodum amicitiae tollere. Non enim tam utilitas parta per amicum
quam amici amor ipse delectat tumque illud fit quod ab amico est profectum
iucundum si cum studio est profectum; tantumque abest ut amicitiae propter
indigentiam colantur ut ii qui opibus et copiis maximeque virtute in qua
plurimum est praesidii minime alterius indigeant liberalissimi sint et
beneficentissimi. Atque haud sciam an ne opus sit quidem nihil umquam omnino
deesse amicis. Ubi enim studia nostra viguissent si numquam consilio numquam
opera nostra nec domi nec militiae Scipio eguisset? Non igitur utilitatem
amicitia sed utilitas amicitiam secuta est. 51 E anzi mi pare proprio tolgano il
più amabile nodo che l'amicizia stringe quelli che fan sorgere le amicizie a
causa dell'utilità. Non tanto infatti l'utilità che ci venga dall'amico quanto
l'amore stesso dell'amico piace e poi ciò che dall'amico ci viene può farci
piacere se da lui viene col suo attaccamento. E si è così lontani dal coltivare
le amicizie per il bisogno che coloro i quali per posizione e mezzi e
soprattutto per la virtù che costituisce il più valido presidio non hanno alcun
bisogno d'un altro sono gli uomini più generosi e benèfici. E non so se nemmeno
sia opportuno che mai e del tutto agli amici manchi alcuna cosa. In che difatti
il mio affetto avrebbe potuto dimostrar la sua forza se mai del mio consiglio
mai della mia opera né in pace né in guerra Scipione avesse avuto bisogno? Non
dunque l'amicizia ha seguito l'utilità ma l'utilità ha seguito l'amicizia.
52 Non ergo erunt homines deliciis diffluentes audiendi si quando de amicitia
quam nec usu nec ratione habent cognitam disputabunt. Nam quis est pro deorum
fidem atque hominum! qui velit ut neque diligat quemquam nec ipse ab ullo
diligatur circumfluere omnibus copiis atque in omnium rerum abundantia vivere?
Haec enim est tyrannorum vita nimirum in qua nulla fides nulla caritas nulla
stabilis benevolentiae potest esse fiducia omnia semper suspecta atque sollicita
nullus locus amicitiae. 52 Non si dovrà quindi dare ascolto a uomini rammolliti
dai piaceri se mai discuteranno dell'amicizia che essi non conoscono affatto né
per teoria né per pratica. E chi v'è per gli dèi e per gli uomini che vorrebbe
senza amare qualcuno né essere da qualcuno amato nuotare in mezzo alle ricchezze
e vivere nell'abbondanza? Questa è la vita dei tiranni vita nella quale
naturalmente non v'è lealtà nessuna nessun affetto; non può esservi nessuna
fiducia che l'affetto sia durevole; tutto sempre è sospetto e inquietudine;
nessun posto v'è per l'amicizia.
53 Quis enim aut eum diligat quem metuat aut eum a quo se metui putet? Coluntur
tamen simulatione dumtaxat ad tempus. Quod si forte ut fit plerumque ceciderunt
tum intellegitur quam fuerint inopes amicorum. Quod Tarquinium dixisse ferunt
tum exsulantem se intellexisse quos fidos amicos habuisset quos infidos cum iam
neutris gratiam referre posset. 53 Chi difatti potrebbe amare o colui che egli
dovesse temere o colui dal quale egli pensasse di dover essere temuto? Tuttavia
almeno per un certo tempo si fa con simulazione la corte ai tiranni. Ma se per
avventura come per lo più avviene cadono allora si capisce quanto fossero poveri
d'amici. E questo raccontano che dicesse Tarquinio sul punto di andare in esilio
che allora egli aveva capito quali amici avesse avuto fidi e quali infidi quando
ormai non poteva più rendere loro il contraccambio:
54 Quamquam miror illa superbia et importunitate si quemquam amicum habere
potuit. Atque ut huius quem dixi mores veros amicos parare non potuerunt sic
multorum opes praepotentium excludunt amicitias fideles. Non enim solum ipsa
Fortuna caeca est sed eos etiam plerumque efficit caecos quos complexa est;
itaque efferuntur fere fastidio et contumacia nec quicquam insipiente fortunato
intolerabilius fieri potest. Atque hoc quidem videre licet eos qui antea
commodis fuerint moribus imperio potestate prosperis rebus immutari sperni ab
iis veteres amicitias indulgeri novis. 54 quantunque io mi meraviglio che con
quella sua superbia e intrattabilità abbia potuto avere qualcuno amico. E come
il carattere di costui che ho detto non poté procurargli veri amici così i mezzi
stessi degli strapotenti rendono impossibili fedeli amicizie con loro. Infatti
la fortuna non è solamente cieca ma per lo più rende ciechi pure quelli che
tiene fra le braccia; e così si lasciano quasi trasportare dall'alterigia e
dall'arroganza; e nessuna cosa può esservi più insopportabile di un uomo
fortunato che non abbia senno. E in realtà si può vedere anche questo che quelli
che prima erano alla mano per l'autorità dei comando militare per il potere
politico per la prosperità si mutano disprezzano i vecchi amici sono tutti
teneri per i nuovi.
55 Quid autem stultius quam cum plurimum copiis facultatibus opibus possint
cetera parare quae parantur pecunia equos famulos vestem egregiam vasa pretiosa
amicos non parare optimam et pulcherrimam vitae ut ita dicam supellectilem?
etenim cetera cum parant cui parent nesciunt nec cuius causa laborent (eius enim
est istorum quidque qui vicit viribus) amicitiarum sua cuique permanet stabilis
et certa possessio; ut etiamsi illa maneant quae sunt quasi dona Fortunae tamen
vita inculta et deserta ab amicis non possit esse iucunda. Sed haec hactenus. 55
Qual cosa d'altra parte più stolta che procurarsi quando si possa moltissimo per
l'abbondanza dei mezzi e la posizione sociale tutte le altre cose che si possono
procurare col denaro cavalli servi abiti di lusso vasi preziosi non procurarsi
amici che sono per così dire la migliore e la più bella suppellettile della
vita? Difatti quelli che fan ciò le altre cose quando le procurano non sanno per
chi le procurino né sanno a vantaggio di chi s'affatichino (ognuno di codesti
beni infatti è di colui che alla fine risulta più forte): il possesso delle
amicizie. dura invece stabile e certo a chi ne possieda: quantunque pur se quei
beni che son come doni della fortuna restassero tuttavia una vita che gli amici
non coltivano ma trascurano non sarebbe piacevole. Ma di ciò basta.
56 Constituendi autem sunt qui sint in amicitia fines et quasi termini diligendi.
De quibus tres video sententias ferri quarum nullam probo unam ut eodem modo
erga amicum adfecti simus quo erga nosmet ipsos alteram ut nostra in amicos
benevolentia illorum erga nos benevolentiae pariter aequaliterque respondeat
tertiam ut quanti quisque se ipse facit tanti fiat ab amicis. 56 Ora si deve
stabilire quali siano nell'amicizia i confini e direi quasi i limiti
dell'affetto. Su essi vedo presentarsi tre opinioni ma non ne approvo nessuna: e
l'una è che noi si porti all'amico lo stesso affetto che a noi stessi l'altra
che si voglia bene agli amici nello stesso modo nella stessa misura che gli
amici vogliono bene a noi la terza che tanto uno sia stimato dagli amici quanto
egli stimi se stesso.
57 Harum trium sententiarum nulli prorsus assentior. Nec enim illa prima vera
est ut quem ad modum in se quisque sit sic in amicum sit animatus. Quam multa
enim quae nostra causa numquam faceremus facimus causa amicorum! precari ab
indigno supplicare tum acerbius in aliquem invehi insectarique vehementius quae
in nostris rebus non satis honeste in amicorum fiunt honestissime; multaeque res
sunt in quibus de suis commodis viri boni multa detrahunt detrahique patiuntur
ut iis amici potius quam ipsi fruantur. 57 lo non sono proprio d'accordo con
nessuna di queste opinioni. E non è vera infatti quella prima che uno cioè debba
essere verso l'amico nella medesima disposizione d'animo che verso sé. Quante
cose infatti che per amore nostro mai faremmo facciamo invece per amore degli
amici: chiedere con preghiere a uno indegno supplicare inveire contro qualcuno
con qualche asprezza dargli addosso con qualche violenza; le cose che
trattandosi di noi non è del tutto bello fare è bellissimo farle per gli amici.
E molte cose vi sono in cui gli uomini perbene diminuiscono essi stessi di molto
i vantaggi che ne possono trarre e se li lasciano diminuire perché ne godano gli
amici piuttosto che essi.
58 Altera sententia est quae definit amicitiam paribus officiis ac voluntatibus.
Hoc quidem est nimis exigue et exiliter ad calculos vocare amicitiam ut par sit
ratio acceptorum et datorum. Divitior mihi et affluentior videtur esse vera
amicitia nec observare restricte ne plus reddat quam acceperit; neque enim
verendum est ne quid excidat aut ne quid in terram defluat aut ne plus aequo
quid in amicitiam congeratur. 58 L'altra opinione è quella che limita l'amicizia
a una parità di doveri e di voleri. Questo in realtà è un ridurre troppo
meschinamente e grettamente l'amicizia a un semplice calcolo per modo che il
bilancio del dato e del ricevuto sia in pareggio. Più ricca e generosa mi sembra
che sia la vera amicizia e non badi rigorosamente a non rendere più di quello
che ha ricevuto: e non si deve infatti aver paura che qualcosa cada fuori o
qualcosa trabocchi in terra o sia conferito all'amicizia qualcosa più del
giusto.
59 Tertius vero ille finis deterrimus ut quanti quisque se ipse faciat tanti
fiat ab amicis. Saepe enim in quibusdam aut animus abiectior est aut spes
amplificandae fortunae fractior. Non est igitur amici talem esse in eum qualis
ille in se est sed potius eniti et efficere ut amici iacentem animum excitet
inducatque in spem cogitationemque meliorem. Alius igitur finis verae amicitiae
constituendus est si prius quid maxime reprehendere Scipio solitus sit dixero.
Negabat ullam vocem inimiciorem amicitiae potuisse reperiri quam eius qui
dixisset ita amare oportere ut si aliquando esset osurus; nec vero se adduci
posse ut hoc quem ad modum putaretur a Biante esse dictum crederet qui sapiens
habitus esset unus e septem; impuri cuiusdam aut ambitiosi aut omnia ad suam
potentiam revocantis esse sententiam. Quonam enim modo quisquam amicus esse
poterit ei cui se putabit inimicum esse posse? quin etiam necesse erit cupere et
optare ut quam saepissime peccet amicus quo plures det sibi tamquam ansas ad
reprehendendum; rursum autem recte factis commodisque amicorum necesse erit angi
dolere invidere. 59 La terza definizione dei limiti dell'amicizia poi è la
peggiore di tutte cioè che tanto uno sia stimato dagli amici quanto egli stimi
se stesso. Spesso infatti in certuni vi è o un'anima troppo avvilita o una
troppo fiacca speranza di migliorare la propria sorte. E non è dunque proprio
d'un amico essere tale verso un altro quale egli è verso se stesso ma piuttosto
sforzarsi e fare in modo di sollevare l'anima prostrata dell'amico e condurla a
speranze e a pensieri migliori. Devo dunque stabilire un altro termine per la
vera amicizia; ma dopo che avrò detto che cosa specialmente solesse condannare
Scipione. Diceva che mai s'era potuta trovare un'espressione più nemica
all'amicizia. che quella di colui che aveva detto così doversi amare come se un
giorno si dovesse odiare. E soggiungeva che non poteva indursi a credere che
questo comunque lo si stimasse fosse stato detto da Biante il quale era stato
ritenuto uno dei sette sapienti; che certo era il pensiero di un uomo corrotto o
ambizioso o che tirava tutto alla sua potenza. In che modo infatti uno potrà mai
essere amico a colui al quale penserà di poter essere nemico? E anzi bisognerà
desiderare e bramare che l'amico sbagli il più spesso possibile perché ci dia
più appigli per così dire a riprenderlo; e d'altra parte invece per le buone
azioni e i successi degli amici bisognerà angustiarsi addolorarsi provar
invidia.
60 Quare hoc quidem praeceptum cuiuscumque est ad tollendam amicitiam valet;
illud potius praecipiendum fuit ut eam diligentiam adhiberemus in amicitiis
comparandis ut ne quando amare inciperemus eum quem aliquando odisse possemus.
Quin etiam si minus felices in diligendo fuissemus ferendum id Scipio potius
quam inimicitiarum tempus cogitandum putabat. 60 Perciò in realtà questo
precetto di chiunque sia vale a sopprimere l'amicizia; si sarebbe dovuto
piuttosto dire quest'altro: che usassimo nello stringere amicizie tale
attenzione da non incominciar ad amare uno che un giorno potessimo odiare. E
anzi Scipione riteneva che se anche fossimo stati poco felici nella scelta si
dovesse piuttosto sopportare questo che non pensare al tempo di future
inimicizie.
66 Accedat huc suavitas quaedam oportet sermonum atque morum haudquaquam
mediocre condimentum amicitiae. Tristitia autem et in omni re severitas habet
illa quidem gravitatem sed amicitia remissior esse debet et liberior et dulcior
et ad omnem comitatem facilitatemque proclivior. 66 Bisogna che a ciò si
aggiunga una certa dolcezza di parole e di modi condimento nulla affatto
mediocre dell'amicizia. L'aspetto arcigno la serietà severa in ogni circostanza
ha sì essa una sua gravità ma l'amicizia deve essere un po' più alla mano più
sciolta e indulgente più incline alla cortesia e all'affabilità.
67 Exsistit autem hoc loco quaedam quaestio subdifficilis num quando amici novi
digni amicitia veteribus sint anteponendi ut equis vetulis teneros anteponere
solemus. Indigna homine dubitatio! Non enim debent esse amicitiarum sicut
aliarum rerum satietates; veterrima quaeque ut ea vina quae vetustatem ferunt
esse debet suavissima; verumque illud est quod dicitur multos modios salis simul
edendos esse ut amicitiae munus expletum sit. 67 Sorge a questo punto una
questione un po' difficile: se mai si debbano anteporre amici nuovi degni di
amicizia a vecchi come a cavalli vecchiotti siamo soliti anteporre puledri.
Dubbio indegno dell'uomo. Non vi deve essere infatti sazietà nell'amicizia come
v'è in altre cose; quanto più è vecchia un'amicizia tanto più deve essere cara
come quei vini che sopportano l'invecchiamento; ed è vero quel detto che si
devono mangiare molte moggia di sale insieme perché si raggiunga la piena intesa
nell'amicizia.
68 Novitates autem si spem adferunt ut tamquam in herbis non fallacibus fructus
appareat non sunt illae quidem repudiandae vetustas tamen suo loco conservanda;
maxima est enim vis vetustatis et consuetudinis. Quin in ipso equo cuius modo
feci mentionem si nulla res impediat nemo est quin eo quo consuevit libentius
utatur quam intractato et novo. Nec vero in hoc quod est animal sed in iis etiam
quae sunt inanima consuetudo valet cum locis ipsis delectemur montuosis etiam et
silvestribus in quibus diutius commorati sumus. 68 Le novità se portano qualche
speranza così che già come in germogli non fallaci ne appaia il frutto non sono
davvero da respingersi; tuttavia le vecchie amicizie son da mantenersi al loro
posto: grandissima è in fatti la forza di una consuetudine antica. Anzi quanto
proprio al cavallo di cui ho fatto or ora menzione se niente lo impedisce non
v'è nessuno che non usi più volentieri quello a cui è avvezzo che uno mai
montato e nuovo. E non solo in questo che è un animale ma pure in quelle cose
che sono inanimate ha forza la consuetudine tanto è vero che ci sono cari quei
luoghi nei quali siamo stati a lungo pur se sono montuosi e silvestri.
69 Sed maximum est in amicitia parem esse inferiori. Saepe enim excellentiae
quaedam sunt qualis erat Scipionis in nostro ut ita dicam grege. Numquam se ille
Philo numquam Rupilio numquam Mummio anteposuit numquam inferioris ordinis
amicis Q. vero Maximum fratrem egregium virum omnino sibi nequaquam parem quod
is anteibat aetate tamquam superiorem colebat suosque omnes per se posse esse
ampliores volebat. 69 Ma la cosa più importante nell'amicizìa è il saperci
sentir pari a uno che ci sia inferiore. Spesso infatti vi sono personaggi
eminenti come era Scipione nel nostro per cosi dire gregge. Mai egli si antepose
a Filo mai a Rupilio mai a Munimio mai ad amici di rango sociale inferiore. Il
fratello Quinto Massirno poi egregio uomo sotto ogni rispetto ma non certo pari
a lui poiché gli era maggiore d'età egli lo onorava come un superiore e voleva
che per opera sua tutti i suoi potessero migliorare la loro condizione.
70 Quod faciendum imitandumque est omnibus ut si quam praestantiam virtutis
ingenii fortunae consecuti sint impertiant ea suis communicentque cum proximis
ut si parentibus nati sint humilibus si propinquos habeant imbecilliore vel
animo vel fortuna eorum augeant opes eisque honori sint et dignitati. Ut in
fabulis qui aliquamdiu propter ignorationem stirpis et generis in famulatu
fuerunt cum cogniti sunt et aut deorum aut regum filii inventi retinent tamen
caritatem in pastores quos patres multos annos esse duxerunt. Quod est multo
profecto magis in veris patribus certisque faciendum. Fructus enim ingenii et
virtutis omnisque praestantiae tum maximus capitur cum in proximum quemque
confertur. 70 E questo lo devono fare e imitare tutti per modo che se hanno
raggiunto qualche eccellenza di virtù d'ingegno di fortuna facciano di queste
cose partecipi i loro e chiamino a goderne i più vicini onde se sono nati da
umili genitori se hanno parenti o poco dotati o non troppo fortunati aumentino
le risorse di quelli e procurino loro onore e autorità. A esempio nelle
rappresentazioni teatrali coloro che finché è rimasta ignota la loro stirpe e
razza sono stati nella condizione di schiavi una volta riconosciuti e scoperti
figli o di dèi o di re conservano tuttavia l'amicizia verso i pastori che essi
hanno creduto per molti anni loro padri. E questo certo si deve molto più fare
trattandosi dei padri veri e certi. Il frutto dell'ingegno e delle virtù e di
ogni altra nostra eccellenza lo si coglie massimo allora che se ne fanno
partecipi tutti quelli che sono a noi più vicini.
71 Ut igitur ii qui sunt in amicitiae coniunctionisque necessitudine superiores
exaequare se cum inferioribus debent sic inferiores non dolere se a suis aut
ingenio aut fortuna aut dignitate superari. Quorum plerique aut queruntur semper
aliquid aut etiam exprobrant eoque magis si habere se putant quod officiose et
amice et cum labore aliquo suo factum queant dicere. Odiosum sane genus hominum
officia exprobrantium; quae meminisse debet is in quem conlata sunt non
commemorare qui contulit. 71 Come dunque coloro che nel vincolo dell'amicizia e
della parentela si trovano superiori debbono sapersi mettere a pari degli
inferiori così gli inferiori non debbono dolersi d'essere superati dai loro o
nell'ingegno o nella fortuna o nel prestigio. E invece la maggior parte di
costoro o sempre si lagnano dì qualcosa o anche fanno qualche rimbrotto e tanto
più se credono d'aver cosa che possano dire di aver fatta con premura e amicizia
e qualche loro incomodo. Razza d'uomini veramente odiosa quella dì coloro che
rinfacciano i servizi resi; mentre questi li deve ricordare colui al quale
furono fatti non colui che li fece.
72 Quam ob rem ut ii qui superiores sunt submittere se debent in amicitia sic
quodam modo inferiores extollere. Sunt enim quidam qui molestas amicitias
faciunt cum ipsi se contemni putant; quod non fere contingit nisi iis qui etiam
contemnendos se arbitrantur; qui hac opinione non modo verbis sed etiam opere
levandi sunt. 72 Perciò come coloro che sono superiori devono nell'amicizia
abbassarsi così in un certo modo gli inferiori devono innalzarsi. Vi sono
infatti alcuni che ritengono fastidiose le amicizie poiché pensano d'essere
disprezzati; e ciò invece d'ordinario non capita se non a quelli che si
ritengono essi degni di essere disprezzati; orbene costoro bisogna liberarli da
questa opinione ch'essi hanno di sé non solo con le parole ma pure coi fatti.
73 Tantum autem cuique tribuendum primum quantum ipse efficere possis deinde
etiam quantum ille quem diligas atque adiuves sustinere. Non enim neque tu
possis quamvis excellas omnes tuos ad honores amplissimos perducere ut Scipio P.
Rupilium potuit consulem efficere fratrem eius L. non potuit. Quod si etiam
possis quidvis deferre ad alterum videndum est tamen quid ille possit sustinere.
73 Bisogna poi fare avere a ciascuno in primo luogo quanto tu possa ottenergli
in secondo luogo quanto colui che tu ami e aiuti possa sostenere. Non potresti
infatti per importante che tu sia far giungere tutti i tuoi alle più alte
cariche come Scipione che poté far diventare console Publio Rupilio e non il
fratello di lui Lucio. Che se anche tu potessi far avere ad un altro qualsiasi
cosa bisognerebbe tuttavia considerare che cosa egli potrebbe sostenere.
74 Omnino amicitiae corroboratis iam confirmatisque et ingeniis et aetatibus
iudicandae sunt nec si qui ineunte aetate venandi aut pilae studiosi fuerunt eos
habere necessarios quos tum eodem studio praeditos dilexerunt. Isto enim modo
nutrices et paedagogi iure vetustatis plurimum benevolentiae postulabunt; qui
neglegendi quidem non sunt sed alio quodam modo aestimandi. Aliter amicitiae
stabiles permanere non possunt. Dispares enim mores disparia studia sequuntur
quorum dissimilitudo dissociat amicitias; nec ob aliam causam ullam boni
improbis improbi bonis amici esse non possunt nisi quod tanta est inter eos
quanta maxima potest esse morum studiorumque distantia. 74 In generale si deve
decidere sull'amicizia quando il carattere è formato e l'età matura e non se
qualcuno nella prima giovinezza è stato amante della caccia o della palla deve
ritenere amici quelli che allora egli prediligeva perché avevano la stessa
passione. In codesto modo infatti nutrici e pedagoghi per diritto d'anzianità
pretenderanno per sé il più grande affetto; e se essi non sono da mettere in
disparte sono però da tenere in una certa qual altra considerazione. In altro
modo le amicizie non possono durare salde. Diversità di caratteri mena con sé
diversità di gusti e la dissomiglianza di questi scioglie le amicizie; né per
alcun'altra causa le persone perbene non possono essere amici ai malfattori i
malfattori alla gente perbene se non perché tanta è tra loro la differenza dei
caratteri e dei gusti quanta può essere la più grande che vi sia.
75 Recte etiam praecipi potest in amicitiis ne intemperata quaedam benevolentia
quod persaepe fit impediat magnas utilitates amicorum. Nec enim ut ad fabulas
redeam Troiam Neoptolemus capere potuisset si Lycomedem apud quem erat educatus
multis cum lacrimis iter suum impedientem audire voluisset. Et saepe incidunt
magnae res ut discedendum sit ab amicis; quas qui impedire vult quod desiderium
non facile ferat is et infirmus est mollisque natura et ob eam ipsam causam in
amicitia parum iustus. 75 Anche si può nell'amicizia prescrivere questo: che lo
sregolato affetto come spessissimo accade non impedisca agli amici di fare cose
grandemente utili. Difatti (ritorno così al teatro) Neottolemo non avrebbe
potuto prendere Troia se avesse voluto dare ascolto a Licomede presso cui era
stato educato e che con molte lagrime tentava d'impedirgli d'andar via. E spesso
càpitano cose importanti per le quali ci si deve allontanare dagli amici; ora
chi vuol impedirlo perché pensa di non poter sopportare la lontananza dell'amico
è debole e fiacco e per ciò stesso manca di spirito di giustizia di fronte
all'amicizia.
76 Atque in omni re considerandum est et quid postules ab amico et quid patiare
a te impetrari. Est etiam quaedam calamitas in amicitiis dimittendis non numquam
necessaria; iam enim a sapientium familiaritatibus ad vulgares amicitias oratio
nostra delabitur. Erumpunt saepe vitia amicorum tum in ipsos amicos tum in
alienos quorum tamen ad amicos redundet infamia. Tales igitur amicitiae sunt
remissione usus eluendae et ut Catonem dicere audivi dissuendae magis quam
discindendae nisi quaedam admodum intolerabilis iniuria exarserit ut neque
rectum neque honestum sit nec fieri possit ut non statim alienatio disiunctioque
faciunda sit. 76 Insomma in ogni circostanza si deve considerare e che cosa tu
possa chiedere a un amico e che cosa tu sia disposto a concedere. Vi è anche una
specie di sciagura nel disfare le amicizie ma talvolta inevitabile. Ormai
difatti il mio discorso scivola giù dalle familiarità dei sapienti alle amicizie
comuni. Saltano spesso fuori cattive azioni d'amici tanto verso gli stessi amici
quanto verso estranei di cui tuttavia la vergogna ricade sugli amici. Tali
amicizie sì devono sciogliere allentando a poco a poco i rapporti e come ho
sentito che Catone soleva dire piuttosto si devono scucire che strappare a meno
che sia venuta fuori un'offesa proprio intollerabile sicché non sia né giusto né
lodevole né possibile non romper subito ogni rapporto e farla finita.
77 Sin autem aut morum aut studiorum commutatio quaedam ut fieri solet facta
erit aut in rei publicae partibus dissensio intercesserit (loquor enim iam ut
paulo ante dixi non de sapientium sed de communibus amicitiis) cavendum erit ne
non solum amicitiae depositae sed etiam inimicitiae susceptae videantur. Nihil
est enim turpius quam cum eo bellum gerere quocum familiariter vixeris. Ab
amicitia Q. Pompei meo nomine se removerat ut scitis Scipio; propter
dissensionem autem quae erat in re publica alienatus est a collega nostro
Metello; utrumque egit graviter auctoritate et offensione animi non acerba. 77
Se invece vi sarà stato un qualche mutamento o di abitudini o di gusti come
suole accadere o sarà intervenuto un dissenso nelle posizioni politiche (parlo
s'intende ormai come ho detto poc'anzi non delle amicizie dei saggi ma delle
amicizie comuni) bisognerà stare attenti a che non sembri che non solo si sia
abbandonata un'amicizia ma si abbia anche iniziato un'inimicizia. Nulla è
infatti più brutto che fare guerra con colui col quale tu sia vissuto in
dimestichezza. Dall'amicizia di Quinto Pompeo s'era allontanato per cagion mia
come sapete Scipione; per dissenso in questioni politiche s'era allontanato dal
collega nostro Metello; ma in tutti e due i casi agì dignitosamente facendo
sentire la sua autorità e senza risentirsi dell'offesa in modo troppo aspro.
78 Quam ob rem primum danda opera est ne qua amicorum discidia fiant; sin tale
aliquid evenerit ut exstinctae potius amicitiae quam oppressae videantur.
Cavendum vero ne etiam in graves inimicitias convertant se amicitiae; ex quibus
iurgia maledicta contumeliae gignuntur. Quae tamen si tolerabiles erunt ferendae
sunt et hic honos veteri amicitiae tribuendus ut is in culpa sit qui faciat non
is qui patiatur iniuriam. Omnino omnium horum vitiorum atque incommodorum una
cautio est atque una provisio ut ne nimis cito diligere incipiant neve non
dignos. 78 Si deve dunque cercare anzitutto che non scoppino dissidi tra amici;
e se qualcosa di simile avvenga bisogna cercare che le amicizie sembrino
piuttosto spente che soffocate. E si deve in verità badare che le amicizie non
si mutino addirittura in grandi inimicizie; dalle quali nascono litigi
maldicenze offese. E queste se saranno tollerabili bisogna sopportarle poiché
tale onore va reso all'antica amicizia così che sia in colpa chi fa l'offesa non
chi la riceve. Insomma l'unico mezzo di potersi guardare e premunire da questi
difetti e guai è che non si cominci a voler bene troppo presto e a chi non ne
sia degno.
79 Digni autem sunt amicitia quibus in ipsis inest causa cur diligantur. Rarum
genus. Et quidem omnia praeclara rara nec quicquam difficilius quam reperire
quod sit omni ex parte in suo genere perfectum. Sed plerique neque in rebus
humanis quicquam bonum norunt nisi quod fructuosum sit et amicos tamquam pecudes
eos potissimum diligunt ex quibus sperant se maximum fructum esse capturos. 79
Sono ora degni d'amicizia coloro che hanno in sé stessi la ragione di essere
amati. Rara specie d'uomini. E in realtà ogni cosa eccellente è rara e non vi è
nulla più difficile che scoprire cosa la quale sia da ogni parte nel suo genere
perfetta. Ma i più degli uomini non riconoscono buona alcuna cosa umana se non è
fruttuosa e per amici come se si trattasse di animali scelgono soprattutto
quelli dai quali possano sperar di ricavare frutto grandissimo.
80 Ita pulcherrima illa et maxime naturali carent amicitia per se et propter se
expetita nec ipsi sibi exemplo sunt haec vis amicitiae et qualis et quanta sit.
Ipse enim se quisque diligit non ut aliquam a se ipse mercedem exigat caritatis
suae sed quod per se sibi quisque carus est. Quod nisi idem in amicitiam
transferetur verus amicus numquam reperietur; est enim is qui est tamquam alter
idem. 80 Così restano privi di quella bellissima e naturalissima amicizia quella
da sé e per sé desiderata né sanno essere di esempio a se medesimi di quanta e
quale sia la forza di questa amicizia. Ciascuno infatti ama se stesso non come
se avesse a esigere da sé una mercede del suo amore ma perché ciascuno è caro a
sé per se stesso. Se non si farà nell'amicizia la medesima cosa non si troverà
mai un vero amico: tale è infatti colui che è come un altro se stesso.
81 Quod si hoc apparet in bestiis volucribus nantibus agrestibus cicuribus feris
primum ut se ipsae diligant (id enim pariter cum omni animante nascitur) deinde
ut requirant atque appetant ad quas se applicent eiusdem generis animantis idque
faciunt cum desiderio et cum quadam similitudine amoris humani quanto id magis
in homine fit natura! qui et se ipse diligit et alterum anquirit cuius animum
ita cum suo misceat ut efficiat paene unum ex duobus. 81 Che se questo si vede
tra gli animali volatili natanti selvatici domestici feroci cioè che prima di
tutto si amano (ciò infatti nasce insieme con ogni essere vivente) e poi cercano
per istinto femmine della stessa specie con cui si accoppino e ciò fanno con
desiderio e una certa parvenza d'amore umano quanto più è naturale che ciò
avvenga nell'uomo! Il quale e ama se stesso e cerca un altro la cui anima così
mescoli con la sua da fare quasi una sola cosa di due.
82 Sed plerique perverse ne dicam impudenter habere talem amicum volunt quales
ipsi esse non possunt quaeque ipsi non tribuunt amicis haec ab iis desiderant.
Par est autem primum ipsum esse virum bonum tum alterum similem sui quaerere. In
talibus ea quam iam dudum tractamus stabilitas amicitiae confirmari potest cum
homines benevolentia coniuncti primum cupiditatibus iis quibus ceteri serviunt
imperabunt deinde aequitate iustitiaque gaudebunt omniaque alter pro altero
suscipiet neque quicquam umquam nisi honestum et rectum alter ab altero
postulabit neque solum colent inter se ac diligent sed etiam verebuntur. Nam
maximum ornamentum amicitiae tollit qui ex ea tollit verecundiam. 82 Ma la
maggior parte degli uomini hanno l'irragionevole per non dire impudente pretesa
di avere un amico tale quali essi non sanno essere; e quel che essi non danno
agli amici lo desiderano da loro. Sarebbe giusto invece che prima uno fosse lui
un uomo perbene e poi cercasse un altro del tutto simile a sé. Fra uomini così
fatti sì può rafforzare quella stabilità dell'amicizia di cui già da tempo
trattiamo; e cioè quando persone congiunte dall'affetto in primo luogo
comanderanno a quelle passioni delle quali gli altri sono schiavi; in secondo
luogo avranno piacere dell'equità e della giustizia; e a tutto uno si
sobbarcherà per l'altro e niente mai uno chiederà all'altro che non sia
onorevole e retto; e non solo si coltiveranno e ameranno ma anche si
rispetteranno l'un l'altro. Toglie difatti all'amicizia il suo maggior ornamento
chi le toglie il reciproco rispetto.
83 Itaque in iis perniciosus est error qui existimant libidinum peccatorumque
omnium patere in amicitia licentiam; virtutum amicitia adiutrix a natura data
est non vitiorum comes ut quoniam solitaria non posset virtus ad ea quae summa
sunt pervenire coniuncta et consociata cum altera perveniret. Quae si quos inter
societas aut est aut fuit aut futura est eorum est habendus ad summum naturae
bonum optumus beatissimusque comitatus. 83 Quindi v'è un pernicioso errore in
coloro che pensano che sia aperta all'amicizia la licenziosa via d'ogni
capriccio e d'ogni peccato; esempio di virtù non compagna di vizi ci fu data
l'amicizia dalla natura affinché se la virtù d'uno solo non potesse giungere a
quella che è la cima più alta congiunta e associata con la virtù di un altro là
ella giungesse. E se tra alcuni o v'è o v'è stata od è per esservi tale
associazione la compagnia loro è da ritenersi la migliore e la più felice a
conseguire il bene supremo della natura umana.
84 Haec est inquam societas in qua omnia insunt quae putant homines expetenda
honestas gloria tranquillitas animi atque iucunditas ut et cum haec adsint beata
vita sit et sine his esse non possit. Quod cum optimum maximumque sit si id
volumus adipisci virtuti opera danda est sine qua nec amicitiam neque ullam rem
expetendam consequi possumus; ea vero neglecta qui se amicos habere arbitrantur
tum se denique errasse sentiunt cum eos gravis aliquis casus experiri cogit. 84
Questa è dico l'associazione in cui vi sono tutti i beni che gli uomini stimano
desiderabili l'onore la gloria la tranquillità dell'animo e la letizia sicché
quando queste cose ci sono la vita è felice e senza esse non può. E poiché
questa è la più grande la miglior cosa se noi la vogliamo conseguire bisogna che
mettiamo mano alla virtù senza la quale né amicizia né cosa alcuna desiderabile
possiamo raggiungere; messala invece da parte quelli che credono di avere amici
s'accorgono finalmente d'avere sbagliato proprio allora quando qualche grave
caso li costringe a far la prova.
85 Quocirca (dicendum est enim saepius) cum iudicaris diligere oportet non cum
dilexeris iudicare. Sed cum multis in rebus neglegentia plectimur tum maxime in
amicis et diligendis et colendis; praeposteris enim utimur consiliis et acta
agimus quod vetamur vetere proverbio. Nam implicati ultro et citro vel usu
diuturno vel etiam officiis repente in medio cursu amicitias exorta aliqua
offensione disrumpimus. 85 Perciò (e lo si deve dire più e più volte) bisogna
scegliere quando si è giudicato non giudicare quando si è scelto. Ma come in
molte circostanze dobbiamo pagare il fio della nostra negligenza così
massimamente nello scegliere e nel coltivare amici; noi ci valiamo infatti del
senno di poi e peroriamo la causa a sentenza pronunciata sebbene ce lo vieti un
antico proverbio? Difatti quando già siamo legati da una parte e dall'altra o
dalla lunga consuetudine o anche dagli obblighi morali d'improvviso a mezzo il
corso avvenuto qualche urto siamo costretti a rompere le amicizie
86 Quo etiam magis vituperanda est rei maxime necessariae tanta incuria. Una est
enim amicitia in rebus humanis de cuius utilitate omnes uno ore consentiunt.
Quamquam a multis virtus ipsa contemnitur et venditatio quaedam atque ostentatio
esse dicitur; multi divitias despiciunt quos parvo contentos tenuis victus
cultusque delectat; honores vero quorum cupiditate quidam inflammantur quam
multi ita contemnunt ut nihil inanius nihil esse levius existiment! itemque
cetera quae quibusdam admirabilia videntur permulti sunt qui pro nihilo putent;
de amicitia omnes ad unum idem sentiunt et ii qui ad rem publicam se contulerunt
et ii qui rerum cognitione doctrinaque delectantur et ii qui suum negotium
gerunt otiosi postremo ii qui se totos tradiderunt voluptatibus sine amicitia
vitam esse nullam si modo velint aliqua ex parte liberaliter vivere. 86 E perciò
è anche più biasimevole tanta noncuranza in cosa sopra tutte necessaria. La sola
fra le cose umane intorno alla cui necessità sono tutti unanimemente d'accordo è
l'amicizia. Quantunque da molti la virtù per se stessa è disprezzata e è detta
una specie di mostra e ostentazione; molti non tengono in nessun conto la
ricchezza e contenti di poco a loro piace una maniera di vivere semplice e
modesta; le cariche pubbliche poi dal cui desiderio alcuni sono addirittura
infiammati quanti invece tanto le disprezzano da pensare che nulla sia più vano
nulla più futile; ugualmente molte altre cose che a taluni sembrano ammirevoli
moltissimi vi sono che non le stimano un bel niente; sull'amicizia invece tutti
fino all'ultimo la pensano allo stesso modo e quelli che amano scienze e
filosofia e quelli che fanno i fatti loro lontano dalla politica infine quelli
che si son dati interamente ai piaceri se vogliono s'intende vivere per qualche
parte nobilmente: e cioè che senza amicizia la vita non è vita.
87 Serpit enim nescio quo modo per omnium vitas amicitia nec ullam aetatis
degendae rationem patitur esse expertem sui. Quin etiam si quis asperitate ea
est et immanitate naturae congressus ut hominum fugiat atque oderit qualem
fuisse Athenis Timonem nescio quem accepimus tamen is pati non possit ut non
anquirat aliquem apud quem evomat virus acerbitatis suae. Atque hoc maxime
iudicaretur si quid tale posset contingere ut aliquis nos deus ex hac hominum
frequentia tolleret et in solitudine uspiam collocaret atque ibi suppeditans
omnium rerum quas natura desiderat abundantiam et copiam hominis omnino
aspiciendi potestatem eriperet. Quis tam esset ferreus qui eam vitam ferre
posset cuique non auferret fructum voluptatum omnium solitudo? 87 Serpeggia
infatti non so in che modo per la vita di tutti l'amicizia e non lascia che
condizione alcuna di vita sia priva di lei. Anzi se alcuno fosse di sì aspra e
fiera natura da fuggire e odiare il trovarsi con gli altri quale si dice sia
stato non so qual Timone d'Atene tuttavia egli non potrebbe tralasciar di
cercare uno con cui sfogare il veleno dell'asprezza sua. E ciò massimamente si
capirebbe se ci potesse capitare qualcosa di questa fatta che cioè un dio ci
togliesse da questo consorzio d'uomini e ci ponesse in un qualche deserto e ivi
pur dandoci grande abbondanza di tutte le cose che la natura nostra desidera ci
togliesse la possibilità di vedere qualche uomo. Chi avrebbe animo tanto ferreo
da poter tollerare una tal vita e a cui non togliesse il frutto d'ogni piacere
la solitudine?
88 Verum ergo illud est quod a Tarentino Archyta ut opinor dici solitum nostros
senes commemorare audivi ab aliis senibus auditum: 'si quis in caelum
ascendisset naturamque mundi et pulchritudinem siderum perspexisset insuavem
illam admirationem ei fore; quae iucundissima fuisset si aliquem cui narraret
habuisset.' Sic natura solitarium nihil amat semperque ad aliquod tamquam
adminiculum adnititur; quod in amicissimo quoque dulcissimum est. Sed cum tot
signis eadem natura declaret quid velit anquirat desideret tamen obsurdescimus
nescio quo modo nec ea quae ab ea monemur audimus. Est enim varius et multiplex
usus amicitiae multaeque causae suspicionum offensionumque dantur quas tum
evitare tum elevare tum ferre sapientis est; una illa sublevanda offensio est ut
et utilitas in amicitia et fides retineatur: nam et monendi amici saepe sunt et
obiurgandi et haec accipienda amice cum benevole fiunt. 88 E questo si dunque è
ciò che io ho udito i nostri vecchi ricordare di aver udito da altri vecchi e
cioè che il tarantino Archita mi sembra era solito ripetere che se qualcuno
fosse salito al cielo e avesse contemplato la struttura del mondo e la bellezza
degli astri quella contemplazione non gli avrebbe dato nessun piacere; mentre
glielo avrebbe dato grandissimo s'egli avesse avuto qualcuno a cui raccontare la
cosa. Così la natura non ama che vi sia cosa alcuna solitaria e sempre
s'appoggia per cosi dire a un qualche sostegno; e gli amici più cari
costituiscono il più dolce dei sostegni. Ma sebbene con tanti segni la natura
stessa mostri che cosa voglia ricerchi desideri tuttavia non so perché facciamo
i sordi e non diamo ascolto alle sue esortazioni. Varia infatti e molteplice è
la maniera d'essere amici e si danno molte ragioni di sospetto e di offesa che è
dovere dell'uomo savio ora evitare ora attenuare ora sopportare; ma perché si
salvino l'utilità e la buona fede nell'amicizia un motivo d'offesa specialmente
bisogna eliminare: ché gli amici li si devono ammonire e rimproverare e
ammonizione e rimprovero si devono accogliere amichevolmente quando son fatti
con animo benevolo.
89 Sed nescio quo modo verum est quod in Andria familiaris meus dicit: Obsequium
amicos veritas odium parit. Molesta veritas siquidem ex ea nascitur odium quod
est venenum amicitiae sed obsequium multo molestius quod peccatis indulgens
praecipitem amicum ferri sinit; maxima autem culpa in eo qui et veritatem
aspernatur et in fraudem obsequio impellitur. Omni igitur hac in re habenda
ratio et diligentia est primum ut monitio acerbitate deinde ut obiurgatio
contumelia careat; in obsequio autem quoniam Terentiano verbo libenter utimur
comitas adsit assentatio vitiorum adiutrix procul amoveatur quae non modo amico
sed ne libero quidem digna est; aliter enim cum tyranno aliter cum amico
vivitur. 89 Eppure non so come è vero quel che nell'Andria dice il mio amico:
L'ossequio partorisce amici la verità odio. Infesta è la verità se da lei nasce
l'odio che è veleno dell'amicizia; ma la compiacenza ossequiosa e molto più
infesta poiché lascia andare l'amico alla rovina essendo indulgente verso i suoi
difetti; grandissima è poi la colpa di colui che disprezza la verità ed è spinto
all'inganno dalla compiacenza. Si deve dunque in tutto questo affare usar
accortezza e garbo prima perché l'ammonimento sia senza asprezza poi perché il
rimprovero sia senza offesa; e semmai nell'«ossequio» (uso volentieri la parola
terenziana) ci sia della gentilezza non però dell'adulazione che non solo non è
degna di un amico ma neppure di un libero; in un modo infatti si vive con un
tiranno in un altro con un amico.
90 Cuius autem aures clausae veritati sunt ut ab amico verum audire nequeat
huius salus desperanda est. Scitum est enim illud Catonis ut multa: 'melius de
quibusdam acerbos inimicos mereri quam eos amicos qui dulces videantur; illos
verum saepe dicere hos numquam.' Atque illud absurdum quod ii qui monentur eam
molestiam quam debent capere non capiunt eam capiunt qua debent vacare; peccasse
enim se non anguntur obiurgari moleste ferunt; quod contra oportebat delicto
dolere correctione gaudere. 90 Colui che ha le orecchie così chiuse alla verità
da non poter udire il vero da un amico costui non si può sperar di salvarlo. E'
ben azzeccato un detto di Catone come molti altri: «Rendono a certuni miglior
servizio aspri nemici di quegli amici che han l'aria d'essere dolci: quelli
spesso dicono il vero questi mai». Ed è questa una cosa assurda che i
rimproverati quel dispiacere che dovrebbero provare non lo provano; provano
invece quello che non li dovrebbe toccare; d'avere sbagliato infatti non si
angustiano; sopportano con dispiacere d'essere rimproverati. E sarebbe dovuto
essere il contrario: dolersi della colpa godere della correzione.
91 Ut igitur et monere et moneri proprium est verae amicitiae et alterum libere
facere non aspere alterum patienter accipere non repugnanter sic habendum est
nullam in amicitiis pestem esse maiorem quam adulationem blanditiam
assentationem; quamvis enim multis nominibus est hoc vitium notandum levium
hominum atque fallacium ad voluntatem loquentium omnia nihil ad veritatem. 91
Come dunque è proprio della vera amicizia e ammonire ed essere ammoniti; e l'una
cosa fare francamente non aspramente l'altra accoglierla pazientemente non
dispettosamente; così si deve ritenere che non c'è peste maggiore nelle amicizie
che l'adulazione la cortigianeria la piaggeria. Chiamalo con quanti vuoi nomi;
si deve bollare questo vizio di uomini leggeri e ingannevoli che dicono ogni
cosa per il piacere altrui niente per la verità.
92 Cum autem omnium rerum simulatio vitiosa est (tollit enim iudicium veri idque
adulterat) tum amicitiae repugnat maxime; delet enim veritatem sine qua nomen
amicitiae valere non potest. Nam cum amicitiae vis sit in eo ut unus quasi
animus fiat ex pluribus qui id fieri poterit si ne in uno quidem quoque unus
animus erit idemque semper sed varius commutabilis multiplex? 92 E come poi la
simulazione è in ogni cosa colpevole (toglie difatti il discernimento del vero e
lo adultera) così specialmente fa a pugni coll'amicizia: distrugge infatti la
verità e senza essa non può aver valore il nome d'amicizia. Difatti se la forza
dell'amicizia sta in questo che quasi una sola anima si fa di più anime come
potrà ciò avvenire se neppure in uno solo vi sarà una sola anima e la medesima
sempre ma varia mutevole molteplice?
93 Quid enim potest esse tam flexibile tam devium quam animus eius qui ad
alterius non modo sensum ac voluntatem sed etiam vultum atque nutum convertitur?
Negat quis nego; ait aio; postremo imperavi egomet mihi Omnia adsentari ut ait
idem Terentius sed ille in Gnathonis persona quod amici genus adhibere omnino
levitatis est. 93 Che cosa infatti vi può essere tanto pieghevole tanto ambiguo
quanto l'anima di colui che non solo al sentimento e alla volontà d'un altro ma
all'aspetto del volto e al cenno si muta? «Nega uno nego; afferma affermo;
insomma ho fatto legge io stesso a me di dar sempre ragione in tutto» come dice
il medesimo Terenzio; ma nel personaggio di Gnatone; accettare però un amico di
tal fatta è leggerezza senza pari.
94 Multi autem Gnathonum similes cum sint loco fortuna fama superiores horum est
assentatio molesta cum ad vanitatem accessit auctoritas. 94 E poiché molti che
son la copia di Gnatone sono più su per nascita fortuna rinomanza la loro
adulazione è rovinosa in quanto alle varie ciance si congiunge la loro autorità.
95 Secerni autem blandus amicus a vero et internosci tam potest adhibita
diligentia quam omnia fucata et simulata a sinceris atque veris. Contio quae ex
imperitissimis constat tamen iudicare solet quid intersit inter popularem id est
assentatorem et levem civem et inter constantem et severum et gravem. 95 Si può
tuttavia distinguere e riconoscere se vi si fa attenzione l'amico lusingatore
dal vero così bene come tutto ciò che è contraffatto e falso da ciò che è
schietto e vero. L'assemblea popolare che è formata di uomini inespertissimi sa
tuttavia di solito giudicare la differenza che c'è tra un demagogo un cittadino
cioè d'animo leggero adulatore del popolo e un cittadino che sia uomo di
carattere serio e ponderato.
96 Quibus blanditiis C. Papirius nuper influebat in auris contionis cum ferret
legem de tribunis plebis reficiendis! Dissuasimus nos; sed nihil de me de
Scipione dicam libentius. Quanta illi di immortales fuit gravitas quanta in
oratione maiestas! ut facile ducem populi Romani non comitem diceres. Sed
adfuistis et est in manibus oratio. Itaque lex popularis suffragiis populi
repudiata est. Atque ut ad me redeam meministis Q. Maximo fratre Scipionis et L.
Mancino consulibus quam popularis lex de sacerdotiis C. Licini Crassi videbatur!
Cooptatio enim collegiorum ad populi beneficium transferebatur; atque is primus
instituit in forum versus agere cum populo. Tamen illius vendibilem orationem
religio deorum immortalium nobis defendentibus facile vincebat. Atque id actum
est praetore me quinquennio ante quam consul sum factus; ita re magis quam summa
auctoritate causa illa defensa est. 96 Con che lusinghe cercava Gaio Papirio di
insinuarsi nelle orecchie del popolo riunito in assemblea quando presentava la
legge sulla rielezione dei tribuni della plebe. L'ho combattuto io; ma nessuna
parola su me; parlerò più volentieri di Scipione. Quanta fu allora dèi immortali
la sua dignità! quanta la sua maestà nel discorso che tenne! Come senza fatica
l'avresti detto capo del popolo romano non compagno! Ma tu eri presente ed è
nelle mani di tutti il discorso. Quindi la legge ispirata dai popolari fu dal
suffragio del popolo respinta. E per tornare a me tu ricordi quanto al tempo dei
consoli Quinto Massimo fratello di Scipione e Lucio Mancino sembrava popolare la
legge sui sacerdozi di Gaio Licinio Crasso. La scelta dei colleghi la quale
spettava ai membri dei vari collegi sacerdotali egli cercava di trasferirla al
popolo e per primo prese l'iniziativa di rivolgersi verso il foro per
sottomettere un progetto di legge all'assemblea dei popolo. Tuttavia la
religione degli dèi immortali con la nostra difesa facilmente vinse quella sua
orazione fatta per piacere a molti. E questo avvenne che io ero pretore cinque
anni prima che fossi fatto console; e così quella causa fu difesa più dalla sua
stessa bontà che dalla mia autorevolezza.
97 Quod si in scaena id est in contione in qua rebus fictis et adumbratis loci
plurimum est tamen verum valet si modo id patefactum et illustratum est quid in
amicitia fieri oportet quae tota veritate perpenditur? in qua nisi ut dicitur
apertum pectus videas tuumque ostendas nihil fidum nihil exploratum habeas ne
amare quidem aut amari cum id quam vere fiat ignores. Quamquam ista assentatio
quamvis perniciosa sit nocere tamen nemini potest nisi ei qui eam recipit atque
ea delectatur. Ita fit ut is assentatoribus patefaciat aures suas maxime qui
ipse sibi assentetur et se maxime ipse delectet. 97 Ché se sulla pubblica scena
voglio dire nell'assemblea popolare in cui vi è moltissimo posto per le
invenzioni e le ombre della fantasia tuttavia il vero ha il suo valore purché
sia rivelato e messo in luce che cosa deve accadere nell'amicizia la quale tutta
si misura alla stregua della verità? Ché se in essa tu non vedessi come si dice
un cuore aperto e tu stesso non mostrassi il tuo di nulla potresti fidarti né
essere sicuro di nulla neppure d'amare o di essere amato dal momento che non
sapresti con quanta sincerità la cosa si faccia. Tuttavia codesta adulazione
sebbene sia perniciosa non può nuocere se non a colui che la accoglie e se ne
compiace. Cosi avviene che necessariamente presta orecchio alle adulazioni colui
il quale si adula da se stesso e se ne compiace.
98 Omnino est amans sui virtus; optime enim se ipsa novit quamque amabilis sit
intellegit. Ego autem non de virtute nunc loquor sed de virtutis opinione.
Virtute enim ipsa non tam multi praediti esse quam videri volunt. Hos delectat
assentatio his fictus ad ipsorum voluntatem sermo cum adhibetur orationem illam
vanam testimonium esse laudum suarum putant. Nulla est igitur haec amicitia cum
alter verum audire non vult alter ad mentiendum paratus est. Nec parasitorum in
comoediis assentatio faceta nobis videretur nisi essent milites gloriosi. Magnas
vero agere gratias Thais mihi? Satis erat respondere: 'magnas'; 'ingentes'
inquit. Semper auget assentator id quod is cuius ad voluntatem dicitur vult esse
magnum. 98 Insomma la virtù è sì amante di se stessa: infatti benissimo ella si
conosce e sa quanto sia amabile. Ma ora io non parlo della virtù ma della
parvenza di virtù. Della reale virtù infatti molti vogliono non tanto essere
quanto sembrare dotati. A questi fa piacere l'adulazione; costoro quando si
rivolge ad essi un discorso foggiato unicamente così da far loro piacere pensano
che quelle vane ciance siano testimonianza dei meriti loro. Non c'è dunque
affatto amicizia quando l'uno non vuol udire la verità l'altro è pronto a
mentire. E non ci sembrerebbe faceta l'adulazione dei parassiti nelle commedie
se non ci fossero soldati fanfaroni. Davvero mi ringrazia Taide grandemente? Era
sufficiente rispondere: «Grandemente»; dice: «Immensamente». Sempre accresce
l'adulatore la cosa che quello secondo la cui volontà è detta vuole già che sia
grande.
99 Quam ob rem quamquam blanda ista vanitas apud eos valet qui ipsi illam
allectant et invitant tamen etiam graviores constantioresque admonendi sunt ut
animadvertant ne callida assentatione capiantur. Aperte enim adulantem nemo non
videt nisi qui admodum est excors; callidus ille et occultus ne se insinuet
studiose cavendum est; nec enim facillime agnoscitur quippe qui etiam adversando
saepe assentetur et litigare se simulans blandiatur atque ad extremum det manus
vincique se patiatur ut is qui illusus sit plus vidisse videatur. Quid autem
turpius quam illudi? Quod ut ne accidat magis cavendum est. Ut me hodie ante
omnes comicos stultos senes Versaris atque inlusseris lautissume. 99 Per la qual
cosa quantunque codesta blandizia di vane ciance ha forza su quelli che la van
sollecitando e cercando essi stessi; tuttavia anche quelli che sono più seri e
posati si devono ammonire perché stiano in guardia di non essere accalappiati da
una astuta adulazione. Ognuno infatti vede chi scopertamente adula a meno che
sia proprio senza testa; ma bisogna stare bene attenti che uno non si insinui
con astuzia e di nascosto; e infatti non lo si riconosce molto facilmente come
colui che anche contrastando adula e fingendo di litigare lusinga e infine dà le
mani e si lascia incatenare affinché colui che è stato illuso sembri aver visto
meglio. E quale cosa è più brutta che il lasciarsi illudere? Maggiormente perciò
si deve stare in guardia che questo non accada. Sicché tu oggi potresti
raggirare e corbellare magnificamente me più che tutti gli stupidi vecchi delle
commedie.
100 Haec enim etiam in fabulis stultissima persona est improvidorum et
credulorum senum. Sed nescio quo pacto ab amicitiis perfectorum hominum id est
sapientium (de hac dico sapientia quae videtur in hominem cadere posse) ad leves
amicitias defluxit oratio. Quam ob rem ad illa prima redeamus eaque ipsa
concludamus aliquando. Virtus virtus inquam C. Fanni et tu Q. Muci et conciliat
amicitias et conservat. In ea est enim convenientia rerum in ea stabilitas in ea
constantia; quae cum se extulit et ostendit suum lumen et idem aspexit
agnovitque in alio ad id se admovet vicissimque accipit illud quod in altero
est; ex quo exardescit sive amor sive amicitia; utrumque enim dictum est ab
amando; amare autem nihil est aliud nisi eum ipsum diligere quem ames nulla
indigentia nulla utilitate quaesita; quae tamen ipsa efflorescit ex amicitia
etiamsi tu eam minus secutus sis. 100 Difatti questo personaggio stupidissimo
del vecchio sprovveduto e credulone lo si trova anche nei lavori teatrali. Ma
non so come dalle amicizie degli uomini perfetti cioè dei sapienti (di quella
sapienza intendo che sembra potersi trovare in un uomo) il discorso è scivolato
giù alle amicizie futili. Perciò torniamo a quel nostro primo argomento e
concludiamolo una buona volta. La virtù la virtù dico o Gaio Fannio e tu mio
Quinto Mucio la virtù concilia e conserva le amicizie. in essa è l'armonia in
essa la stabilità in essa la costanza; ora questa quando s'è levata e ha
mostrato il suo lume e ne ha visto e riconosciuto uno simile in un altro a
quello s'avvicina e a sua volta riceve la luce che è in quell'altro; di che
s'accende sia l'amore sia l'amicizia: difatti entrambi traggono il loro nome da
«amare»; amare è poi niente altro se non voler bene a colui che sì ama senza
pensare ad alcun bisogno da soddisfare ad alcuna utilità da ricevere; la quale
tuttavia spontaneamente fiorisce dall'amicizia anche se non si sia andati a
cercarla.
101 Hac nos adulescentes benevolentia senes illos L. Paulum M. Catonem C. Galum
P. Nasicam Ti. Gracchum Scipionis nostri socerum dileximus haec etiam magis
elucet inter aequales ut inter me et Scipionem L. Furium P. Rupilium Sp.
Mummium. Vicissim autem senes in adulescentium caritate acquiescimus ut in
vestra ut in Q. Tuberonis; equidem etiam admodum adulescentis P. Rutili A.
Vergini familiaritate delector. Quoniamque ita ratio comparata est vitae
naturaeque nostrae ut alia ex alia aetas oriatur maxime quidem optandum est ut
cum aequalibus possis quibuscum tamquam e carceribus emissus sis cum isdem ad
calcem ut dicitur pervenire. 101 Di questo affetto noi giovanetti amammo Lucio
Paolo Marco Catone Gaio Galo Publio Nasica Tiberio Gracco suocero del nostro
Scipione ed erano già vecchi; questo affetto ancor più riluce tra coetanei come
tra me e Scipione Lucio Furio Publio Rupilio Spurio Mummio. A nostra volta poi
vecchi troviamo conforto e riposo nell'affetto dei giovani come nel vostro come
in quello di Quinto Tuberone e davvero anche mi dà gioia la familiarità del
giovanissimo Publio Rutilio di Aulo Verginio. E poiché la condizione della
nostra vita e natura è tale che una generazione sorge dall'altra sarebbe davvero
massimamente desiderabile che tu potessi giungere al traguardo come si dice con
quegli stessi coetanei coi quali sei stato fatto uscire dalle sbarre.
102 Sed quoniam res humanae fragiles caducaeque sunt semper aliqui anquirendi
sunt quos diligamus et a quibus diligamur; caritate enim benevolentiaque sublata
omnis est e vita sublata iucunditas. Mihi quidem Scipio quamquam est subito
ereptus vivit tamen semperque vivet; virtutem enim amavi illius viri quae
exstincta non est; nec mihi soli versatur ante oculos qui illam semper in
manibus habui sed etiam posteris erit clara et insignis. Nemo umquam animo aut
spe maiora suscipiet qui sibi non illius memoriam atque imaginem proponendam
putet. 102 Ma poiché le cose umane sono fragili e caduche si deve sempre cercare
qualcuno da amare e che ci ami; tolti infatti I'affetto e la simpatia ogni gioia
è tolta alla vita. Per me invero Scipione quantunque mi sia stato
improvvisamente rapito vive tuttavia e sempre vivrà: io di quell'uomo infatti
amai la virtù e questa non s'è spenta; né a me solo che quasi la toccai con mano
sta innanzi agli occhi; ma ai posteri essa splenderà sempre e sarà gloriosa.
Nessuno mai concepirà nell'animo suo o spererà cose un po' grandi che non pensi
di doversi mettere innanzi per esempio la memoria e l'immagine di lui.
103 Equidem ex omnibus rebus quas mihi aut fortuna aut natura tribuit nihil
habeo quod cum amicitia Scipionis possim comparare. In hac mihi de re publica
consensus in hac rerum privatarum consilium in eadem requies plena oblectationis
fuit. Numquam illum ne minima quidem re offendi quod quidem senserim nihil
audivi ex eo ipse quod nollem; una domus erat idem victus isque communis neque
solum militia sed etiam peregrinationes rusticationesque communes. 103 E invero
di tutte le cose che o la fortuna o la natura mi ha dato nulla ho che io possa
paragonare all'amicizia di Scipione. In essa c'era l'accordo sulle questioni
politiche in essa il consiglio per gli affari privati in essa infine un riposo
colmo di dilettevoli svaghi. Mai io lo offesi ch'io mi sia accorto nella più
piccola cosa né da lui a mia volta udii cosa ch'io non volessi; una era la casa
medesimo il modo di vivere; di più il cibo preso insieme e non solo fatto
insieme il servizio militare ma anche i viaggi e le villeggiature.
104 Nam quid ego de studiis dicam cognoscendi semper aliquid atque discendi? in
quibus remoti ab oculis populi omne otiosum tempus contrivimus. Quarum rerum
recordatio et memoria si una cum illo occidisset desiderium coniunctissimi atque
amantissimi viri ferre nullo modo possem. Sed nec illa exstincta sunt alunturque
potius et augentur cogitatione et memoria mea et si illis plane orbatus essem
magnum tamen adfert mihi aetas ipsa solacium. Diutius enim iam in hoc desiderio
esse non possum. Omnia autem brevia tolerabilia esse debent etiamsi magna sunt.
Haec habui de amicitia quae dicerem. Vos autem hortor ut ita virtutem locetis
sine qua amicitia esse non potest ut ea excepta nihil amicitia praestabilius
putetis. 104 E che dirò io degli studi fatti per conoscere ed imparare qualcosa
nei quali passavamo tutto il nostro tempo libero lontani dagli occhi del popolo?
Che se la viva memoria di queste cose si fosse spenta con lui in nessun modo
potrei sopportare la privazione di uno a cui ero legato da così stretti vincoli
di reciproco affetto. Ma quei ricordi non sono spenti e anzi sono alimentati e
accresciuti dal mio continuo pensarvi e se di essi io fossi stato privato grande
consolazione tuttavia mi porta l'età stessa. Ormai difatti io non posso durare
gran tempo in questo mio rimpianto di lui. E tutte le cose brevi devono essere
tollerabili anche se sono grandi. Questo avevo da dire sull'amicizia. E voi io
vi esorto ad attribuire alla virtù senza la quale non può esservi amicizia un
valore cosi grande da ritenere che al di fuori di quella niente vi sia di meglio
dell'amicizia.
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