Stilnovo 8828

 

N e l l a   A n f u s o   -   L à   t r a ' l   s a n g u e   e   l e   m o r t i   -   S i g i s m o n d o   D ' I n d i a   -   M a d r i g a l i

«Là tra 'l sangue e le morti egro giacente
mi pagherai le pene, empio guerriero.
Per nome Armida chiamerai sovente
ne gli ultimi singulti : udir ciò spero.»
Or qui mancò lo spirto a la dolente,
né quest'ultimo suono espresse intero;
e cadde tramortita e si diffuse
di gelato sudor, e i lumi chiuse.


Torquato Tasso
“Gerusalemme Liberata”
CANTO XVI, ottava 60

 

 

 

                   

 

SIGISMONDO D’INDIA

(Palermo 1580 c.- Modena 1629)

 

MADRIGALI

 

Fra le musiche “da cantar solo” dei primi decenni del XVII secolo, fiorite in Italia sulla scia del nuovo stile fiorentino legato alla concezione platonica del Canto Umanistico, si distinguono quelle di un autore palermitano che svolge la sua attività principalmente alle corti di Torino e di Modena, città  in cui si spegne nel 1629.

È una produzione che rivela dei moduli espressivi particolarmente personali. Il suo linguaggio musicale ha un particolare fascino sul piano espressivo caratterizzato, nel genere poetico per eccellenza, cioè nel Madrigale, da un pathos particolarmente pregnante e drammatico.

Fulvio Testi, in una lettera al duca di Modena, del 1634, ricorda Sigismondo D’India “brutto di volto” e “male in arnese” cioè di salute cagionevole. Il musicologo Federico Mompellio si chiede (rispondendo positivamente) se ciò non abbia influito sulla peculiarità delle sue composizioni migliori. Mompellio dà una risposta superficiale e discutibile: in effetti sarebbe bastata una disamina della lunga storia musicale della Sicilia e di alcune sue specifiche peculiarità. Mi riferisco alla storia di un genere che attraversa diversi secoli, a partire dal medioevo, cioè il canto della “Ciciliana” che, come Siciliana, conquisterà tutta l’Europa musicale fino al XVIII secolo compreso.

Alla fine de Trecento risale uno dei primi importanti documenti. Giovanni da Prato nel suo “Il Paradiso degli Alberti” (1389) descrive, durante una cavalcata che da Firenze conduceva a Poppi, un giovane della brigata che inizia a cantare una “Ciciliana”: “con dolcissimi accenti nelle piatose et leggiadre parole a chi udieno dimostrando quanto fa grandissimo male e incomparabile ingiuria  chi amato si è non amare, e con  quanto gloria è dei ferventi amanti amare ed essere amato. Il perché già tutti, le dolcissime parole e piatose udite et lodate quelle essere proprie e perfette e non meno lodando la dolcissima armonia di chi lietamente cantato avea et l’autore di quelle e presso Certomondo in Campaldino cavalcando venimmo”. Il canto particolarmente patetico delle Ciciliane è ricordato variamente (novelle, citazioni sparse  etc.) durante i secoli XV e XVI ma è nei primi decenni del Seicento che abbiamo informazioni più precise.

Vincenzo Giustiniani nel Discorso sopra la musica de’ suoi tempi (1628) ricorda che: “in  Sicilia sono arie particolari e diverse secondo i luoghi, perché in Palermo sarà un’aria, in Messina un’altra, un’altra in Catania et un’altra in Siracusa”. Parole rivelatrici di un canto tipico di alcuni centri, come avveniva per altre località della Penisola: Genova, Roma etc. 

Ma è Pietro della Valle che nel suo vasto e preziosissimo testo “Della musica dell’età nostra” (1640) dà  finalmente notizie precise ed abbastanza esaurienti riguardo le caratteristiche della Siciliana: “Le arie siciliane, che sono galantissime per gli affetti pietosi e malinconici, le quali io, prima forse di tutti, portai in Roma da Napoli prima, e poi anche di Sicilia; dove nell’anno 1611 ebbe in Messina un’aria che ora la sento cantare in Roma per una delle più belle, e mi furono anche donati due libri manoscritti di ottave siciliane assai buone, che ancora li conservo; et infin d’allora, presa un poco quella maniera, anche io di mia testa in quel tuono siciliano qualche cosa schizzai che ho fra i miei scartafacci, e come si vede son cose affettuosissime: nei tempi indietro in Roma non si erano mai sentite; oggi ci si cantano così bene come nell’istessa Sicilia, né so se meglio possa farsi”. Chiariamo che il termine “ottave siciliane” indica l’uso del dialetto siciliano, mentre per “tuono siciliano” si intende un “andamento musicale particolare” rispetto al linguaggio musicale corrente contemporaneo.

È nel primo Seicento che troviamo inserite in raccolte di diversi autori esempi di Siciliane.

Alcune citazioni:

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Giovanni Stefani,  Scherzi amorosi, Canzonette etc (1618)

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Remigio Romano,  Arie per cantare Ottave siciliane ( 1622)

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Carlo Milanuzzi,  Secondo Scherzo delle Ariose vaghezze (1625

Non continuerò nella storia della Siciliana, ma è chiaro che le caratteristiche di questo canto sono sempre state la grande espressività malinconica, l’intensità patetica e fortemente drammatica. Sono peculiarità che ritroviamo nei canti di tradizione orale raccolti nel “Corpus di musiche popolari siciliane” da Alberto Favara fra l’Ottocento ed il Novecento.

Nella storia del Canto la Siciliana è così importante che di essa si occupano i due maggiori specialisti: Pier Francesco Tosi e Giambattista  Mancini.

Scrive il primo: “I passaggi e i trilli nelle Siciliane sono errori. E lo scivolo e lo strascino delizie”. Il Mancini da parte sua è più esplicito: “Se il trillo, per ragione di esempio, si mischiasse in un tempo di Siciliana, ne risulterebbe tosto un pessimo effetto, poiché il moto di quel tempo richiede portamento e insieme legamento di voce, e il trillo in conseguenza gli recherebbe caricatura”.

 Di Sigismondo abbiamo voluto far conoscere alcuni Madrigali che possano dare una idea esauriente delle caratteristiche espressive più salienti.

Tali brani sono tratti equamente (sei per ogni raccolta) da “Le musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarrone, arpa doppia et altri istrumenti simili”, pubblicate a Milano nel 1609, e dal Libro terzo di “Musiche a una e due voci”, edite sempre a Milano nel 1618.

I poeti scelti da Sigismondo sono alcuni suoi grandi contemporanei: da O. Rinuccini a G.B. Guarini, da G.B. Marino a  G. Chiabrera  e T. Tasso.

 Per esprimere i “sensi delle parole” D’India crea un linguaggio particolarmente ricercato sia nel declamato che nei numerosi passaggi sparsi variamente all’interno ed alla fine del suddetto declamato: il risultato è un canto artificioso ma caratterizzato da una espressività particolarmente drammatica e patetica: “io mi posi a ricercar alcune diligenze particolari per ben cantare ad una sol voce, et ritrovai che si poteva comporre con intervalli non ordinarij, passando con più novità possibili da una consonanza all’altra, secondo la varietà de i sensi delle parole , et che per questo mezo i canti havrebbono maggior’ affetto, et maggior forza nel movere gli affetti dell’animo”.

Nel 1608/1609 Sigismondo soggiorna a Firenze: vi conosce la grande Vittoria Archilei, alla cui presenza canta alcune sue composizioni che riscuotono l’interesse della insigne Cantatrice che in casa di Caccini “volse anco concertatole da sé honorarle con la dolcezza, et soavità del suo canto; come fece anco l’eccellentiss. Musico il signor Giulio Caccino, detto Romano”. A seguito di così grande successo, Sigismondo decise di dare alla stampe le musiche che costituiscono la raccolta milanese del 1609.

Il testo riportato ci informa che sia la Archilei che il Caccini “concertavano” quelle musiche alla loro maniera, il che rivela la creatività continua e quindi una libertà da parte di cantori e musicisti eccezionali: Per D’India ciò costituisce un vanto di onore, visto che l’arte fiorentina, sia vocale che estetica, costituisce la novità assoluta non solo in Italia, ma nell’Europa tutta.

La presente edizione costituisce una première da tutti i punti di vista, in quanto mostra finalmente il vero volto di Sigismondo. La registrazione discografica ha avuto luogo a Firenze nella Villa Medicea di Poggio Imperiale, in un luogo dove, nel 1625, fu rappresentato il Balletto “La Liberazione di Ruggiero dall’Isola d’Alcina” di Francesca Caccini. 

 

Nella Anfuso

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella Anfuso   Cantatrice

Elena Polonska   Arpa rinascimentale

 

 

   1. Mercè grido piangendo                       

 [3'21"]

   2. Misera non credea

[2'50"]

   3. Tu parti, ahi lasso

[2'51"]

   4. Ma che? Squallido e oscuro

[2'23"]

   5. Occhi convien morire

[4'01"]

   6. Cruda Amarilli

[3'19"]

   7. Là tra'l sangue e le morti

[1'58"]

   8. Intenerite voi, lagrime mie

[3'09"]

   9. O ben mio

[2'35"]

   10. Giunto à la tomba

[4'41"]

   11. Lagrimate occhi miei

[4'03"]

   12. Ahi chi fia che consoli

[9'16"]

SIGISMONDO D’INDIA

(Palermo 1580 c. - Modena 1629)

 

MADRIGALS

Amongst the “cantar solo” compositions of the early XVII century, which flourished in Italy in the wake of a new Florentine style linked to the platonic conception of Humanistic Singing, there certainly emerges the work of Sigismondo d’India from Palermo. The composer was active mostly at the courts of Turin and Modena, city where he died in 1629.  His production is characterised by highly personal modes of expression. The musical language he deploys possesses a rare expressive quality especially as far as the poetic genre par excellence, the Madrigal, is concerned. These compositions have a deeply tragic pathos.

Fulvio Testi, in a letter to the Duke of Modena in 1634, mentions Sigismondo D’India and describes him as “having an ugly face” and “being worn-down”, that is not possessing a healthy constitution. Musicologist Federico Mompellio wonders whether this condition did not have a direct influence on his best compositions and comes to the superficial and highly disputable conclusion that it may have been so. It would have been more profitable, in order to understand his compositions, to analyse the long history of Sicilian music with its peculiarities: I am referring specifically to the history of a genre, the Ciciliana singing, which, with the name Siciliana, thrived, throughout the whole of  Europe, from mediaeval times until the XVIII century.

One of the most relevant documents dates back to the XIII century. Giovanni da Prato, in his Paradiso degli Alberti (1389), says that, while he was riding from Florence to Poppi, a young man started singing a Ciciliana: “with sweet tones in his moving and graceful words he went on showing to those listening how painful and injurious it is for the loved ones not to love and how glorious it is for lovers to love and be loved. As we had finished listening to his pleasant and moving words, we celebrated them as being perfect and appropriate and we applauded the sweet harmony of both the singer and the composer; we then finally resumed our journey and arrived at Certomondo in Campaldino”. The extremely sentimental singing style of the Ciciliane is mentioned (quotations from short stories and other sources) during the XV and  XVI century, but it is only at the beginning of the XVII century that we find more detailed information.

Vincenzo Giustiniani in his Discorso sopra la musica de’ suoi tempi (1628) writes: “In Sicily we can find different and peculiar melodies in different places and this is true of the cities of Messina, Catania or Palermo”. These words confirm that in Sicily we had a situation similar to that of other areas of Italy: Genoa, Rome, etc.

Yet it is Pietro della Valle who gives us detailed and rather exhaustive information on the Siciliana, in his vast and fundamental text Della musica dell’età nostra (1640): “Sicilian airs are beautiful for their ability to move and for their melancholic tone. I was probably the first to bring them to Rome from Naples and then from Sicily. In Sicily, precisely in Messina, in 1611 there was an air that in Rome has now become renown as one of the most pleasant, and in Messina I was given two books of  beautiful octaves (ottave) that I still have with me. Then I myself took to that manner of music (tuono siciliano) and started jotting down some melodies which are most tender and never heard before in Rome. Now they are sung as beautifully as they are in Sicily that I do not believe they could be performed better.” With the term “ottave” the writer refers to the use of a Sicilian dialect, while when he talks about the “tuono siciliano” he means “a peculiar tune” which differed from the musical style of his times.

In the early XVII century we then find examples of Siciliane in anthologies by various composers. To name a few:

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Giovanni Stefani,  Scherzi amorosi,Canzonette etc (1618)

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Remigio Romano,  Arie per cantare Ottave siciliane ( 1622)

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Carlo Milanuzzi,  Secondo Scherzo delle Ariose vaghezze (1625)

I shall not here continue with the history of the Siciliane, but I believe it is now clear that the features of this mode of singing are the melancholic expression, the intense pathos and the tragic tone. These are peculiarities that we find also in songs belonging to the local oral tradition, collected in the Corpus of Sicilian popular music by Alberto Favara at the end the XIX and beginning of the XX century.

In a history of Singing, the Siciliana holds such relevance that also the two most authoritative scholars in the field, Pier Francesco Tosi e Giambattista  Mancini, deal with it.

  Tosi writes: “In the Siciliana, intermediate notes and trills are mistakes. The scivolo and the strascino are delights”. Mancini is even more straightforward: “If the trill, for example, should be deployed in the tempo of  Siciliana, the effect would be despicable, as the movement in that tempo requires portamento and voice legato: the trill would therefore have a caricatural effect”.

As far as Sigismondo d’India is concerned, we wish to present here some Madrigals which can provide an exhaustive overview of his most peculiar features.

The pieces are taken (six from each book) from: Le musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarrone, arpa doppia et altri istrumenti simili, published in Milan in 1609, and from the third book of Musiche a una e due voci, published once more in Milan in 1618.

The poets Sigismondo chose are amongst his renown contemporaries: from O. Rinuccini to G.B. Guarini, from G.B. Marino to  G. Chiabrera  and T. Tasso.

In order to express the deep meaning of words, D’India created a sophisticated musical language in the “declamato” (declamatory style) as well as in the numerous passages during the “declamato” or at the end of it. The result is a rather artificial mode of singing which is nevertheless characterised by a keen sense of drama and sentimental mode of expression: “I set myself the task of finding the right modes to sing solo parts and I realized that it was possible to write music with unusual intervals, going from a consonance to the other with originality, according also to the significance of words. I also realized that, by proceeding this way, songs would turn out to have more efficacy and power in stirring people’s feelings and emotions”. 

In 1608/1609 Sigismondo lived in Florence: there he met the famous singer Vittoria Archilei and in her presence sang some of his compositions. The compositions captured the attention of the great Cantatrice who, while at the Caccini’s, “decided to perform them in her own peculiar way and celebrate them with the suavity and sweetness of her singing; and the honourable Musician Giulio Caccino, known as Romano, did the same”.

The passage above confirms that Archilei and Caccini performed D’India’s music adapting it to their own manner, which reveals the creativity and artistic freedom those singers and exceptional musicians possessed. For D’India it was a great honour, as the Florentine aesthetic research of the time, not only in vocal music, was an absolute novelty in Italy as well as in the rest of Europe.

 

This edition is a première from many different points of view as it finally provides a portrait of the “real” Sigismondo. The recording took place at the Medici Villa of Poggio Imperiale in Florence, where, in 1625, Francesca Caccini’s ballet La Liberazione di Ruggiero dall’Isola di Alcina was performed.

 

Nella Anfuso

 

 

 

 

 

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