Le
parole di Ockham
Meditazioni
sulla politica alla fine di questo millennio
di Matteo
Guerini
Di Ockham, autore scomodo, eretico e
"di confine", si apprende normalmente al liceo che era nominalista ed
empirista, che non voleva "moltiplicare gli enti praeter necessitatem"
e che ebbe qualche problema con i papi avignonesi. Quando ci si spinge un poco
oltre, si ricorda il rapporto assai stretto tra il suo pensiero
"critico" nei confronti delle ideologie e dei poteri costituiti
dell'epoca e la fase di decadenza rapida e tragica della splendida civiltà
urbana del Duecento (soprattutto in area italiana e provenzale) che si
incamminava, tra carestie, fallimenti bancari, guerre civili, scomuniche e
deposizioni, verso l'abisso della peste nera.
Difficile è spingersi oltre questi scontati
cliché, per scoprire in questo filosofo inglese del Trecento i tratti della
modernità, dell'attualità, ed anche qualche insegnamento per la fine del
millennio, specie nel campo della politica, che sembra consegnata ormai all'usa
e getta della cronaca spicciola, ovvero al totale disincanto del post-moderno e
della fine delle ideologie.
Un valido e interessante aiuto in questa
direzione è il libro curato da Francesco Camastra Il filosofo e la politica,
uscito nella collana "Testi a fronte" di Rusconi (pagg.621, lire
33.000). Come è nello stile dell'ormai prestigiosa ed affermata collana,
l'opera contiene, oltre all'originale latino delle Octo quastiones de
potestate papae di Guglielmo d'Ockham, la loro traduzione italiana chiara
ed efficace (ad opera dello stesso Camastra), un glossario delle poche ed
essenziali "parole chiave" di carattere specialistico usate da
Ockham, un'attenta e utile bibliografia delle opere politiche e della critica,
e soprattutto un piacevole ed elegante saggio introduttivo che ha il raro
pregio di comunicare la voglia di "fare il salto" e immergersi nelle
pagine di questo strano e sconosciuto autore medievale.
Del curatore si deve almeno dire, contro la
sua naturale ritrosia e riservatezza, che non è affatto nuovo a queste
ricerche, avendo dedicato gli ultimi vent'anni (e varie opere uscite tra il
1978 e il 1991) ad autori e questioni che vanno da Bonaventura da Bagnoregio a
Gregorio Magno, dal tema del libero arbitrio nella teologia del Duecento, alle
teorie politiche dei secoli a cavallo del Mille. Questo lavoro ce lo fa
conoscere non solo come attento e serio docente del liceo "Calini" di
Brescia o come fine traduttore dal mediolatino e studioso documentato del
dibattito politico medievale, ma anche come persona da sempre impegnata sul
piano civile ed intellettuale, lontana dalle facili polemiche e dalle virulente
semplificazioni, attento alla descrizione della complessità, piuttosto che alla
sua riduzione secondo ricette belle e pronte.
Il suo Ockham bene lo rappresenta, sia sul
piano metodologico, che su quello dei contenuti; questa sovrapponibilità di
immagine più ci fa apprezzare entrambi, perché alla fine di questo millennio
non è né agli "specialisti della politica", né ai mistici invasati che
ci dobbiamo rivolgere per avere una parola rassicurante circa i fini ultimi del
nostro agire politico. La francescana "simplicitas" di Ockham ci
addita poche, essenziali, parole-chiave: una solidarietà che deve essere
intesa come "dare più di quanto si riceve"; una paupertas Christi
da intendersi come legge evangelica e legge di natura, così riassumibile:
"Per diritto di natura tutte le cose sono comuni e comune ne è il
possesso, e unica è la libertà di tutti" (op. cit. IV,9); un concetto di tolleranza
e fratellanza tra gli uomini, che sembra anticipare lo Spinoza del Trattato
teologico-politico: "La legge non esiste contro la libertà, ma a
tutela della libertà" (op. cit. III,11).
Tra le "piste di lettura"
suggerite nell'introduzione, almeno due vanno ricordate: innanzitutto la
sottolineatura in Ockham del ruolo e del significato strumentale della politica
e della gestione dello stato rispetto al benessere dell'individuo (che sembra
anticipare la "scoperta del soggetto" al momento della crisi del
medioevo, rispetto a quello dell'opposizione al pieno sviluppo della macchina
degli stati moderni) e il riconoscimento della centralità dell'uomo, delle sue
scelte di libertà e della sua contingenza, dei suoi "vissuti
esistenziali", rispetto alle astratte formule e alle ideologie.
La forza e la freschezza di Ockham
consistono nella capacità di parlare con semplice sincerità del quotidiano,
nello stare dalla parte di chi è povero e soffre, nell'indicarci che proprio la
politica, anche quando è di necessità insieme di meccaniche operazioni su forze
e potenze materiali, non è solo questo, perché l'uomo non può ridursi a
"ciò che mangia".
Nella denuncia dell'"epicureismo"
dei papi avignonesi, come nella sua battaglia contro i giuristi al loro
servizio (oggi si direbbe i "tecnocrati") che riducono il popolo a
"servo" di chi detiene la forza in modo dittatoriale, Ockham si basa
su una fedele lettura della Regola francescana che, come sostiene Camastra nel
suo saggio introduttivo, "aveva statuito una forma di obbedienza e di
sottomissione all'autorità costituita, che era socialmente originale,
religiosamente coerente con la direttiva evangelica, e politicamente
innovativa". Si obbedisce cioè non per rispetto al principio di autorità,
ma per costruire una civitas o communitas "capace di suscitare,
di valorizzare e di sostenere la consapevolezza critica e la forza spirituale
di ogni persona", la cui regolafondamentale è la seguente: "non è
obbedienza quella in cui si commette delitto o peccato".
La Chiesa ufficiale non scelse questa
strada: anche Ockham, come molti "eretici", è rimasto tra i perdenti;
tuttavia rispunta qua e là, prima o poi, nella storia e nelle scelte
individuali, quale punto di riferimento, oppure quale importante punto
interrogativo con cui confrontarsi.
Ed è anche cosa di cui dobbiamo ringraziare
questa recente lettura.
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