La svolta impressa dal pensatore francescanodel '300 in un momento di crisi tra Papato e Impero

La terza via di Ockham

 

di Dario Antiseri

Con la bolla Unam Sanctam,emanata il 18 novembre del 1302, Bonifacio VIII ribadiva con forza il progetto teocratico già fissato da Gregorio VII e Innocenzo III — progetto consisteva nell'idea che tutte le creature umane, compresi re e imperatori, debbono essere sottomesse al pontefice. Il diritto dei principi ad eleggere l'imperatore "è un privilegio ad essi conferito dalla Santa Sede, che ha trasmesso l'Impero Romano dai Greci ai Germani nella persona di Carlomagno". Questo leggiamo nel decreto Venerabilem fratrem (1202) di Innocenzo III. La plenitudo potestatis, insomma, spetta al papa — convinzione che ritroviamo nella lettera Si memoriam beneficiorum (1236) di Gregorio IX per il quale non va dimenticato che "l'imperatore Costantino si umiliò di sua volontà e affidò in perpetuo l'impero alla cura del Pontefice di Roma con le insegne imperiali, gli scettri, la città e la provincia di Roma". E se nel 1076 Gregorio VII aveva scomunicato Enrico IV, il 17 luglio del 1245 Innocenzo IV emanava una Bolla in cui dichiarava deposto Federico II. Con la Bolla Unam Sanctam Bonifacio VIII si poneva sulla linea di pensiero e di pratica politica di Innocenzo IV. L' Unam Sanctam è la dichiarazione più esplicita della plenitudo potestatis del papato: "…Chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno di dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali". In breve, il papa ha il compito di istituire e giudicare il potere terreno.

Bonifacio VIII muore nell'ottobre del 1303, appena un mese dopo lo "schiaffo" di Anagni. E di lì a pochi anni, nel 1309, la curia pontificia si trasferisce ad Avignone. "Francesizzata", la curia ripropone le sue certezze teocratiche soprattutto nei confronti dei principi tedeschi e degli imperatori. In realtà, "il dorato esilio o, se si preferisce, la sfarzosa cattività avignonese, che indurrà una parte del movimento francescano ad una polemica antipapale in nome dell'evangelica paupertas di Cristo, fa certo vacillare il prestigio morale e religioso del papato, ma non ne smorza le ambizioni di dominio spirituale e politico". Questo afferma Francesco Camastra nella sua istruttiva Introduzione alla traduzione — con testo latino a fronte — delle Octo quaestiones de potestate papae di Guglielmo di Ockham pubblicate da Rusconi con il titolo Il filosofo e la politica: otto questioni circa il potere del papa.

Con la Bolla Cum inter nonnullos, promulgata il 12 novembre del 1323, Giovanni XXII colpisce quella parte del movimento francescano che non era disponibile ad accettare forzature strumentali della Regola e che, in nome del messaggio evangelico, richiamava la gerarchia ecclesiastica e lo stesso Pontefice al dovere dell'imitazione di Cristo. La risposta francescana alla bolla di Giovanni XXII non si fece attendere a lungo. Difatti, è del 22 maggio del 1324 l'Appello di Sachsenhausen — documento inteso alla delegittimazione morale e politica del papato avignonese e nel quale Giovanni XXII viene descritto come un eretico epicureo che "non crede affatto nella vita futura". Ludovico il Bavaro — sovrano tedesco deciso a spezzare l'opposizione papale al riconoscimento del suo titolo di imperatore — non perde la propizia occasione, abbraccia le tesi dell'Appello di Sachsenhausen e le utilizza per dichiarare eretico Giovanni XXII. Nel frattempo, sempre nel 1324, il francescano Guglielmo di Ockham viene convocato ad Avignone per rispondere a sospetti di eresia. E in quei giorni Ludovico il Bavaro stringeva un patto di natura politica e di reciproco appoggio con una parte considerevole del movimento francescano. Nel dicembre del 1327, pure Michele da Cesena, generale dei Frati Minori, è ad Avignone, convocato dal Papa, forse in vista di un compromesso nella contesa che vedeva schierati su sponde rivali la curia papale e i francescani. Ockham e Michele da Cesena si rendono conto di avere gli stessi orientamenti teologici e le stesse idee politiche. E fu così, allora, che — dando attuazione ad un piano di fuga — il 26 maggio del 1328 un gruppo di oppositori di Giovanni XXII, tra i quali c'erano Ockham, Michele da Cesena, Bonagrazia da Bergamo e Francesco d'Ascoli, raggiungono l'Italia a bordo di una nave pisana. E vengono accolti benevolmente da Ludovico il Bavaro, il quale l'11 febbraio del 1328 si farà consegnare le insegne imperiali dai rappresentanti del popolo romano, il 18 aprile dello stesso anno farà deporre, accusandolo di eresia, Giovanni XXII e meno di un mese dopo, precisamente il 12 maggio, farà eleggere papa il minorita Pietro da Corvara col nome di Nicolò V, dal quale si farà incoronare imperatore il 22 maggio.

Osteggiato soprattutto da Roberto d'Angiò, nell'agosto del 1328 Ludovico fu costretto ad abbandonare Roma; e la sua ritirata dall'Italia diventa definitiva nel febbraio del 1330. Ockham segue l'imperatore e si stabilisce nel convento francescano di Monaco, dove sino alla morte (avvenuta nel 1350 circa) lavora senza sosta alla stesura di scritti contro i papi avignonesi — scritti che, come ha affermato Cesare Vasoli, costituiscono "uno dei documenti più importanti della riflessione politica tardomedievale".

Sempre documentato, attento alle ragioni degli altri, con la mente rivolta al Vangelo e alla Regula di San Francesco, il francescano di Ockham fu estremamente duro con Giovanni XXII e nel Compendium errorum Ioannis XXII lo descrisse "digiuno di grammatica, logica e teologia". E, per quel che riguarda la potestà del papa e quella dell'imperatore, Ockham difende la tesi per cui " vi è un potere che deriva da Dio tramite gli uomini, e tale potere è il potere imperiale il quale deriva da Dio, ma tramite gli uomini". Commenta Camastra: "Ockham […] afferma e difende l'autonomia e l'autosufficienza dell'istituzione imperiale facendo esplicito e insistito ricorso alla volontà degli uomini che, sin dalla creazione, sono stati investiti da Dio dell'autorità di scegliersi ovvero di eleggere il sovrano". E qui sta la ragione — precisa Ockham — in base alla quale solo tramite elezione l'imperatore va garantito all'Impero: "poiché l'elezione è una garanzia più autorevole e migliore della successione dinastica; pertanto, il principe di tutti gli uomini deve conseguire il comando supremo tramite l'elezione e non per successione dinastica".

Bastino i precedenti pochi cenni a mostrare l'enorme rilevanza dell'opera di Ockham ora pubblicata da Rusconi. Ockham — ha scritto Nicola Abbagnano — "per venti anni […] difese la causa imperiale con un complesso imponente di opere, la cui mira fondamentale è quella di riportare la Chiesa alla condizione di libera comunità religiosa, aliena da interessi e finalità materiali, garante e custode della libertà che Cristo ha rivendicato per gli uomini".

 

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