2 Giorni sugli Appennini
L’estate, il periodo delle ferie, il sole, il caldo,
divertimento e rilassamento sono tutte caratteristiche che si sposano bene e che
per la maggior parte delle persone sono la consuetudine durante il ferragosto,
ma non per un endurista.Da tempo
avevamo atteso le ferie per programmare un uscita in moto che durasse più della
classica cavalcata organizzata o del giro della domenica. Volevamo fare un
pernotto fuori strada senza andare nelle classiche mete dell’enduro, come la
Tunisia o la Romania, ma rimanere nel nostro bel paese, magari sulle montagne
che frequentiamo di solito, e che tanto ci piacciono, ma con itinerari che non
abbiamo mai fatto. Le caratteristiche che abbiamo elencato non si sposano molto
l’una con l’altra ma siamo ottimisti e cerchiamo un poco di avventura,
altrimenti che enduristi siamo, solo che la cerchiamo dietro casa, non abbiamo
voglia di seguire la strada di mattoni gialli come a fatto
Dorothy nel
mago di Oz, l’avventura si può trovare ovunque.
Per realizzare questo progetto ci organizziamo il meglio possibile con carte
geografiche della zona dove individuiamo decine di mulattiere, almeno cosi le
chiama la carta, e sentieri vari, la partenza non è niente male la cosa sembra
più facile del previsto, i percorsi abbondano, dunque con un paio di
birre,
una penna e la consapevolezza che molti di questi percorsi non saranno
transitabili con una moto ci limitiamo a selezionare quelli che sono indicati
come mulattiere convinti che se un mulo carico di merce ci fosse passato saremmo
stati in grado di farlo anche noi con una moto. Anche con queste limitazioni non
sembra difficile trovare un percorso ma siamo ancora più previdenti e per ogni
tratto in mulattiera selezioniamo la mulattiera alternativa e il relativo
percorso su asfalto proprio per evitare sorprese, anche se siamo convinti che
l’asfalto non sarà necessario.
L’esaltazione è al massimo il percorso stabilito e
prepariamo un road-book giusto per avere sempre la situazione sotto controllo e
non essere costretti a tirare fuori, di continuo, la cartina dallo zaino. Sul
road-book segniamo con tre colori diversi i relativi percorsi a seconda della
priorità del percorso, a questo punto tutto sembra pronto basta stabilire cosa
mettere nello zaino per il bivacco notturno e decidere come e quando partire.
Due amici di
Milano si aggiungono alla comitiva, la cosa non ci preoccupa ansi ci fa piacere,
l’organizzazione è al massimo cosi ci diamo appuntamento. Per scrupolo qualche
giorno prima decidiamo di andare in perlustrazione sui tratti iniziali del
nostro giro, ma la pioggia e qualche imprevisto ci costringono a tornare in
dietro senza completare la nostra missione, non importa siamo fiduciosi e
andiamo avanti.
Ecco il giorno fatidico la partenza è alle otto, non troppo
presto non troppo tardi, del resto siamo in ferie. Dopo un primo tratto di
asfalto obbligatorio eccoci arrivati alla prima mulattiera, la imbocchiamo senza
paura e il percorso si prospetta bene. La strada e larga ben messa in un
sottobosco piacevole, completamente priva di difficoltà del resto era quello che
volevamo visto che appena partiti ancora non abbiamo fatto l’abitudine allo
zaino e alla tenda sulle spalle, in effetti ci sentiamo un poco lessi nella
guida, con tutto quel peso addosso.
Dopo circa un chilometro e mezzo una frana ci sbarra la
strada il sentiero si interrombe bruscamente per riprendere dopo circa 10-15
metri. “Cristo ... cosa facciamo?, nessun problema!... ma che enduristi siamo se
non siamo preparati a queste situazioni? ... andiamo avanti!!!, leghiamo le moto
e in quattro si portano dall’altra parete una per una”.
Sembra più facile a dirsi che a farsi; ma è proprio quello
che facciamo e cosi dopo mezzora di lavoro ci ritroviamo di là dalla frana, la
mulattiera prosegue dolce per il momento tutto bene se non fosse per quella
frana che ora ci impedisce di tornare in dietro.
Le cose si complicano dopo circa un altro chilometro
comincia una serie di tornanti tostissimi con una
pendenza niente male e un
fondo di pietre smosse, per fortuna abbiamo legato delle maniglie di corda sulle
piastre delle forcelle anteriori della moto, cosi da rendere più facile la
classica spinta come si usa nelle gare di enduro estremo, tutto diventa più
semplice ma le nostre energie si esauriscono rapidamente come la scorta d’acqua.
Le pause e le soste per riposare diventano sempre più lunghe e la convinzione di
essere vicini alla fine del primo tratto ci spinge avanti, forse la paura di
dover riaffrontare quella frana ci ha confuso le idee, del resto eravamo appena
partiti e la voglia di moto era fresca e pressante.
I tornanti si susseguivano l’uno dietro l’alto rimanendo
ciechi alla vista, non si riusciva a vedere molto oltre il tornante successivo
ma la fine non doveva essere lontana. Niente di più sbagliato, più andavamo
avanti più le cosi si facevano difficili e la fatica cresceva, la corda passava
da una moto all’altra, andavamo avanti di dieci metri per poi tornare in dietro
a prendere lo zaino e aiutare gli altri, le parole erano sempre le stesse: ”non
deve mancare molto, vedrai che siamo vicini alla fine, stringi indenti, un
ultimo sforzo”.
Finalmente la strada asfaltata si apriva dietro un
tostissimo tornante preceduto da gradini di legno ravvicinati dove il pneumatico
non faceva presa, per nulla, ma la strada era li a portata di mano e questa
maledetta mula infernale era finita, non so se i muli passano di li ma se lo
facevano bestemmiavano sicuramente; gradini di 60-70 cm, tratti di roccia viva
scivolosi come se fossero cosparsi d’olio, tornanti strettissimi con fondo di
pietre smosse tutto con pendenze da scalinata e senza tregua. Ci abbiamo
messo quattro ore e mezzo per fare una mula di circa dieci al massimo tredici
chilometri ed eravamo esausti, fradici di sudore, assetati e affamati, una
meritata sosta ci attendeva ma prima dovevamo trovare l’acqua.
Una fonte montana non era lontana e con essa un piccolo
rifugio dove un te caldo ci a ristorato, il tempo si stava mettendo al brutto e
un vento gelido stava gelando le magliette sudate che avevamo ancora addosso. Si
riparte senza indugi ulteriori, si stava facendo tardi, i chilometri da fare
sono ancora tanti e noi siamo ancora all’inizio della nostra avventura.
La mulattiera successiva sembra essere un’altra cosa se non
che dopo qualche chilometro termina nel nulla, subito prendiamo le carte e
qualcosa non quadra i riferimenti non corrispondono o meglio siamo confusi,
torniamo in dietro e notiamo una strada che scende verso valle come avremmo
dovuto fare noi. “Ecco la direzione giusta! Andiamo!”.
Qualcosa continua a non convincermi si aprono troppi
tornanti che sulla carta non sono indicati e questa mula sembra inutilizzata da
molto tempo; anni per lo meno, piccoli alberi anno invaso la mulattiera e il
fondo e cosparso di rami tagliati ma tutti marci si spaccano come fossero di
cartone sotto il peso della moto. La percorriamo con la convinzione che questa
strada ci porterà senza dubbio da qualche parte, poco importa dove visto che una
volta sull’asfalto possiamo fare di nuovo il punto e organizzare un eventuale
percorso alternativo.
Il percorso e duro, mal messo, pieno di rami e alberi ma la
mula è larga e in discesa dunque andiamo avanti spediti. In fondo l’ennesima
brutta sorpresa un piccolo guado e poi il nulla, una fitta boscaglia su un
pendio invalicabile ci sbarra la strada e niente percorsi alternativi non resta
che tornare in dietro, ci guadiamo negli occhi, con la speranza di leggere nel
viso del compagno quella risposta, quella soluzione diversa dall’inevitabile
tornare in dietro, ma vediamo solo la stanchezza.
Si riaccende il
motore, un colpo di gas, si gira la moto e via su per lo stesso sentiero, delusi
e sconfitti ancora una volta.
Siamo di nuovo sull’asfalto, e la situazione non è cambiata
mentre la nostra destinazione programmata è ancora lontana, Campo Catino.
Decidiamo di proseguire per asfalto, dato che si sta
facendo tardi, e in ogni modo, l’asfalto da fare era comunque tanto, dato che
Campo Catino è all’interno del parco delle Apuane non lo potevamo raggiungere in
mulattiera. Prendiamo la via dell’asfalto, delusi, stanchi e sconfitti,
personalmente mi sentivo demoralizzato e logorato nel fisico e nello spirito
come il guerriero che dopo una dura battaglia dove ha impegnato tutte le sue
energie, riprende la marcia, è si contento di essere sopravvissuto, ma quella
battaglia lui l’a persa. In ogni modo la
strada è stata divertente tortuosa e simpatica, con qualche sterrato, non certo
da fare con il gas spalancato ma con tranquillità, del resto avevamo gia dato
anche troppo.
Che bello!; Campo Catino è un posto meraviglioso, forse perché è la nostra
prima meta, forse perché è stato cosi duro arrivarci o forse perché questa
giornata è finita, in ogni modo scendo dalla moto (il mio culo era diventato
tutt’uno con la sella, quando la simbiosi con il proprio mezzo si fa totale),
soddisfatto e felice di non rimontarci fino al giorno dopo.
La notte, io e Massi, la passiamo in tenda, visto che il
faro della sua DRZ400 deve avere un contatto rotto, che provoca un corto e fa
saltare il fusibile, cercare un filo guasto non è semplice di notte con solo una
torcia e decidiamo di bivaccare sul posto mentre i Luca e Claudio (i Milanesi)
scendono verso Vagli (il paese sottostante) dove hanno trovato una stanza in
locanda. Il mattino seguente si riparte, ma io sono gia stanco, non
vedo l’ora di mettermi davanti a un tavolino per una colazione come si deve.
Fatta colazione
l’asfalto ci attende, che frase brutta vero! Ma è la verità dobbiamo rimetterci
in sella per uscire dal parco e cominciare di nuovo i sentieri stabiliti,
Castelnuovo di Garfagnana la prossima meta.
Dal punto di vista del programma il secondo giorno doveva
essere molto più lungo rispetto al primo, i chilometri molti di più, l’asfalto
molto meno, ma la luce del mattino ha dato a tutti un aria meno spavalda
rispetto al giorno prima, cosi le decisioni da prendere sono state più votate
alla razionalità rispetto a quello spirito di avventura che ci ha spinto il
giorno prima. Ora si apre davanti a noi una serie di mulattiere
completamente sconosciute, cosa fare? Reduci dell’esperienza passata siamo
restii a gettarci allo sbaraglio cosi diamo un controllo più approfondito alle
carte a nostra disposizione; cerchiamo i dislivelli e scartiamo i tratti che si
muovono in verticale lungo la pendenza massima, questo però ci porta a scartare
gran parte del percorso pianificato. Poco male la cosa importante ora è farsi
una passeggiata tranquilla. Ci gettiamo in una mulattiera a caso, fuori dal percorso
stabilito, che però aveva le caratteristiche giuste, un dislivello decente. I
risultati sono buoni un ottimo percorso, tranquillo senza difficoltà
insormontabili e molto scorrevole, ma ecco che tra una decisione e l’altra è
arrivata l’ora di pranzo cosi ci fermiamo a un rifugio in cima al Passo delle
Radici. D’ora in avanti sono tutti sentieri conosciuti o quasi solo
una deviazione rimane fuori dal gia visto e non sappiamo il punto esatto dove si
trova infatti riusciamo a perderci anche qui. La stanchezza, un poco di
nervosismo ci fanno fare più strada del previsto e quando decidiamo di fare il
punto con la carta siamo decisamente fuori rotta, ma dove di preciso? Nessuno
lo riesce a capire, come al solito non resta che fare una cosa, trovare qualcuno
che sia in grado di dirci dove ci troviamo, come se fosse semplice trovare gente
nei boschi sui sentieri di montagna. Può sembrare strano ma lo troviamo, infatti
dopo l’ennesimo tratto senza uscita, intrapreso, quando sembrava di essere
riusciti ad orientarsi troviamo dei muratori che stavano lavorando ad una
casetta proprio in fondo ad una strada sterrata, che con poche parole ci
indicano il percorso da seguire per arrivare a Barga.Siamo
decisamente fuori strada, ma chi se ne frega, abbiamo di nuovo una meta e
possiamo fare di nuovo il punto, ma manca la carta siamo troppo fuori strada.
Poco male questa
volta si può andare a naso siamo vicini alla meta, infatti una
volta arrivati a Barga dopo un breve tratto di asfalto siamo di nuovo sui nostri
sentieri, ora e veramente tutto gia visto, non ogni tanto come in precedenza ma
tutte le domeniche o quasi, questa volta non ci possiamo perdere ed il rientro,
finalmente a casa, è garantito.
Questa seconda giornata è stata molto più tranquilla non
solo per il percorso che è stato completamente privo di difficoltà, ma anche per
la mancanza di quella voglia di estremo e di dimostrare la propria capacita nei
passaggi difficili che caratterizza l'endurista, voglia che si era andata
esaurendo, direi completamente, nella prima giornata. In oltre
abbiamo sbagliato strada anche il secondo giorno, del resto non è facile
orientarsi con le cartine quando si va all'avventura, ma questo non ci ha
impedito di divertirci ugualmente, non siamo nel deserto, in Italia se prendi un
sentiero sconosciuto prima o poi sbuchi da qualche parte dove sicuramente puoi
chiedere informazioni e fare il punto della situazione, un ottimo modo per
orientarsi e fare esperienza con le carte cosa che a noi mancava completamente.
Ecco che possiamo trarre le relative conclusioni su questa
piccola avventura:
La gita è stata bellissima anche se faticosa sopra tutto il
primo giorno, abbiamo imparato molto sulle carte e la loro interpretazione, ci
siamo messi alla prova su sentieri impegnativi e imparato a giudicare i passaggi
difficili in maniera diversa rispetto a come lo facevano prima, indubbiamente
abbiamo individuato dei percorsi nuovi che potremo affrontare in un secondo
momento, abbiamo visto paesaggi bellissimi e fatto delle belle foto, direi che
nel complesso tutto è andato bene visto che nessuno si è fatto male; un
esperienza da rifare.
Altre
Foto
Autore: Riccardo
Fotografo:Claudio
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