Il mutamento vertiginoso che scosse nel profondo
il precario collettivismo economico affermatosi
con Mao, ha portato la Cina ad essere un
paese dalle mille contraddizioni e dalle
più grandi disuguaglianze. Non curiamoci
dei dati. Sono largamente disponibili. Qui
basti ricordare che l'Economist ha recentemente messo in copertina una caricatura
di Mao che sembra porgere ai lettori un fascio
di banconote americane di grosso taglio.
Sopra campeggia il titolo: Buying up the world. The coming wave of Chinese
takeovers. La Cina detiene il 46% del debito federale
degli Stati Uniti, gran parte del quale è
dovuto alle spese militari. E mentre questo
continua a crescere perché i paperoni si
ostinano a non voler pagare il conto delle
enormità che si spendono per difendere primariamente
i loro interessi, nelle banche cinesi si accumulano
le riserve in valuta straniera. L'Occidente
batte moneta, la Cina se ne appropria. Fossi
un demagogo, aggiungerei: affamando il popolo.
Ma, vorrei non esserlo, evitando le battutelle.
I giganteschi passi in avanti compiuti sia
sotto Mao che sotto i suoi successori, in condizioni di estrema difficoltà, non si possono liquidare tranciando giudizi
all'ingrosso. In realtà, i cinesi stanno
salendo sullo stesso piano dei paesi più
ricchi dell'occidente, e quindi riproducono
in proprio tutti i loro insopportabili difetti.
Anche in Cina crescono i paperoni e quindi
si accumulano grandi disuguaglianze. Stiamo
assistendo - per modo di dire, perché da
noi si preferisce assistere al calcio ed
al bunga-bunga televisivo - a quello che
si potrebbe definire un sofferto trapasso
di potenzialità, sia quelle positive che
quelle negative. La Cina e tutto il sud-est
asiatico hanno molta più carne al fuoco.
Anche se resta da chiarire il non trascurabile
dettaglio di quali e quanti mangeranno l'arrosto.
In tutto l'occidente "non c'è più il
futuro di una volta", come scrisse un
poeta anonimo su un muro di Milano. E nessuno
sa dire con precisione come re-inventare
il futuro su grande scala senza una grande
trasformazione che rimetta al vertice delle
priorità l'uomo anziché la finanza, la produttività
ed altre divinità infernali. Si naviga a
vista, alla speraindio, continuando ad affidare
allo spontaneismo dei mercati soluzioni sempre
meno efficaci e durevoli, capaci di resistere
alle nevrosi di un lunedì nero ed alle sofisticate
strategie scacchistiche delle agenzie di
rating. Ma tutto questo non avviene gratis: costa
i miliardi di dollari delle spese militari
che difendono il presunto ordine nel mondo.
La competizione tra ovest e Cina non è una
partita di risiko sulla mappa del pianeta
in cartone ma, un processo reale che cambia
il presente in una miriade di direzioni,
e non porta affatto al comunismo ma, solo
a nuove ineguaglianze e clamorose ingiustizie
a spese dei soliti noti, si chiamino Rossi
Luigi, Lucinda Spreadwinner, Marfa Kakanova
o Toshiro Kakamokazu, lottatore di sumo passato
al wrestling.
Specularmente all'affermarsi in occidente
dell'ideologia dello scontro tra civiltà,
rischia di affermarsi in Cina il suo analago.
Circolano idee del tipo: "noi siamo
superiori all'occidente depravato, e lo stiamo
dimostrando". Non alla maniera dei talebani
ma, in quella molto più raffinata e seria
dei cinesi, per i quali le parole si fondano
sui fatti e non su altre belle parole. Il
profeta armato fino ai denti della riscossa
del dragone si chiama Liu Mingfu. Non credo
vada demonizzato come l'ennesimo principe
del male ma, certo le sue idee viaggiano
su una curvatura troppo nazionalistica per
essere irresponsabilmente trascurate. La
sua previsione è anche la sua ossessione.
"Dobbiamo prepararci ad un'aggressione
militare da parte degli Stati Uniti".
Guai a tagliare le spese militari, dobbiamo
intensificarle. Non saremo noi gli aggressori
ma, è inevitabile che saranno loro ad aggredirci
entro... Liu Mingfu viaggia sul vago, abbozza
scenari ancora lunghi ma, sempre più drammatici
via via che le strategie di soft power teorizzate da Obama verranno a svelarsi come
altrettanto mortali di quelle violente impiegate
da Bush. In più Obama ci ha messo lo smart power, il potere intelligente. Quello che dalle nostre parti si dice ancora
"bastone e carota" a seconda dei
casi. Francamente, non sono in grado di dire
cosa succederà ma, limitandomi a considerare
quello che sta succedendo e i germi che contiene,
mi pare di poter affermare che rivivremo
la tentazione del nazionalismo e dell'ognuno per sé a svantaggio degli
altri. L'anello debole di questa catena è
l'Europa delle nazioni e senza uno stato
unico. Ovvero la zona delle frantumazioni
più ovvie, quelle basate sulle lingue e i
dialetti. Ma, se un rigurgito del nazionalismo
europeo preoccupa per gli effetti devastanti
che potrebbe avere sulle economie e sulle
condizioni di vita, un ritorno del nazionalismo
cinese da un lato e di quello - per altro
sempre in auge - americano dall'altro, dovrebbe
spaventarci molto di più. Fortunatamente,
in Cina è in corso un dibattito di cui si
sa molto poco - questo per colpa nostra -
ma da cui traspare pochissimo. La tradizionale
riservatezza dei saggi si somma alla mancanza
di una glasnost autentica, prima ancora che di una vera democrazia
fondata sull'informazione corretta ed indipendente,
e sul costituirsi di pubbliche opinioni. Qualcosa si muove anche in Cina, dato che
le idee di Liu Mingfu hanno
trovato larga
eco mediante la loro pubblicazione
in edizioni
popolari e non in studi
accademici. Come
a dire che si è messa in
moto una macchina
della propaganda.
Questo non vuol significare che il gruppo
dirigente cinese abbia già scelto quale direzione
prendere. Probabilmente, vuol solo mandare
a dire che potrebbe prendere quella direzione
se... fallisse il piano A. Il problema è
uno solo: il piano B di Liu (che lui vorrebbe
fosse il piano A) costa un sacco di soldi
e distrae enormi risorse. Anche in Cina i
paperoni non pagano le tasse? Non è una domanda
retorica; è che proprio non lo sappiamo perché
nessuno si preoccupa di dare questo genere
di informazioni.
La voce di Zhao Tingyang non parla attraverso
giganteschi amplificatori. Per ora è un bisbiglio
trascurato dai media, sia occidentali che
cinesi. Una rapida ricerca sul web mi ha
portato a constatare che, quantomeno in Italia,
è assai poco conosciuto. Eppure, il suo pensiero
è di estrema importanza perché oppone al
nazionalismo militarista ed a una insensata
marcia a ritroso attraverso una nuova guerra
fredda, una lenta e prudente avanzata sulla
via delle riforme delle istituzioni internazionali.
In primo luogo l'ONU. Non è il piano A dei
dirigenti cinesi attuali, i quali preferiscono
attenersi ad un pragmatismo di basso profilo
e un tatticismo di grande efficacia ma, verrebbe
da augurarsi che essi lo seguano con la stessa
attenzione che prestano al nefasto piano
B di Liu Mingfu.
Secondo Zhao Tingyang,
che risiede in Cina
e non rientra nella categoria
dei "dissidenti
(o in esilio, o in galera)"
ma, insegna
scienze sociali in una
posizione accademica
di tutto rispetto, il processo
di globalizzazione
sta decostruendo la fondatezza del sistema di pensiero da
cui origina la logica degli stati-nazione
come principio regolatore delle relazioni
internazionali. Il passaggio da un sistema
definito di certezze "stato-nazionali"
ad uno ancora indefinibile, provoca disorientamento.
L'alternativa al piano B di Liu Mingfu richiede
uno sforzo, un mix di iniziativa economica,
politica, diplomatica e culturale, ovvero
anche filosofica, che porti ad un piano A
meno prudente e, tutto sommato, meno ipocrita,
di quello perseguito dal gruppo dirigente
attuale. Una volta assunto quell'ancora indefinibile nuovo sistema come orizzonte della globalizzazione
senza aggettivi (l'economico, il politico,
l'ecologico, il linguistico, il culturale,
ecc. come sfere separate), si potrebbe cominciare
a capire la possibilità di riformare le istituzioni
internazionali, sbaraccando tutto ciò che
c'è di vetusto come il sistema di veti incrociati,
il diritto di ingerenza fatto su misura al
potere delle lobbies e così via. Zhao vede molto lucidamente,
insomma, il rischio di una falsa globalizzazzione
che porti ad un semplice rimescolamento di
carte e tarocchi, ovvero all'affermarsi di
stati-nazione come nuovi imperi. Non vorrebbe
nemmeno un nuovo impero cinese, pur vivendoci
dentro in una posizione di grande responsabilità.
Detto in altre parole,
la governance che auspica Zhao Tingyang comporterebbe un
trapasso dei poteri dagli stati-nazione agli
organismi mondiali, e quindi ad una rinuncia
di sovranità. Ovvero ad una sorta di nuovo
"contratto" socio-politico-economico
che l'umanità intera siglerebbe con una nuova,
concreta, visibile e tangibile, sovranità
mondiale. Come scrive Maurizio Scarpari in
Echi del passato nella Cina d ioggi: costruire
un mondo armonioso (1), il punto nevralgico del riorientamento
ruoterebbe attorno al termine
tanxia, che alla lettera significa "tutto
ciò che sta sotto il cielo". Non solo
il valore degli oggetti, non solo il denaro,
non solo tutto quello che ci hanno insegnato
a desiderare e ad usare con la massima disinvoltura
ma, anche tutto il resto. Ed oggi, soprattutto
il resto. Un'autentica organizzazione planetaria
nella quale, secondo le parole di Zhao, "tutti
i problemi nel mondo potrebbero essere reinterpretati come
problemi del mondo" ed essere affrontati in una
pur sempre relativa prospettiva di pace e
moderato benessere. Insistere sull' aggettivo "moderato"
fa parte di quell'arte cinese di dire le
cose che spesso sfugge ai traduttori frettolosi.
Fu usato in tempi non sospetti da Deng Xiaoping,
il successore di Mao. Nel 1979 egli parlò
di xiaokang shehui come nuovo orizzonte. I traduttori tralasciarono
l'aggettivo "moderato" e riferirono
di "società del benessere" e non
"società di moderato benessere".
Una distinzione decisiva. Non solo nel senso
oggettivo di misurabile scientificamente, avvalendosi di indicatori quali il Pil,
il reddito pro-capite,
il livello di disoccupazione,
quello di istruzione e
così via, ma anche
in senso soggettivo. Benessere moderato voleva anche dire che
gli individui devono reimparare a moderarsi,
cioè ad autogovernarsi nei limiti delle loro
possibilità. Il che anche in Cina, e nei
cinesi sparsi per il mondo, sembra essere
molto difficile. Non è solo colpa dell'occidentalizzazione.
E' sempre stato così anche in Cina, con la
differenza che nel paese delle "primavere
e degli autunni", i maestri "veri"
insegnavano in primo luogo l'autogoverno.
Non a stramaledire gli inglesi ed a inveire
contro il destino cinico e baro.
1) Si tratta del saggio
introduttivo a La Cina vol. I* a cura di Maurizio Scarpari - Einaudi
2011, dal quale ho tratto più di un motivo
per questo scritto.
gm - 19 dicembre 2011 |
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