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Essay V: On the Definition of Political Economy; and on the Method of Investigation Proper to It
di John Stuart Mill
traduzione a cura di Giulia Bruzzone
Una visione superficiale della natura e degli oggetti che ci circondano porta inevitabilmente a una mera definizione del concetto di “scienza”. Di solito qualsiasi scienza si esprime attraverso tentativi di ipotesi diversi, a seconda del tipo di ricerca effettuata, cosicché tali ipotesi sono il fondamento su cui si basa ogni scienza.
Ma comunque questo spesso non basta: la definizione del concetto di <scienza> non è quasi mai preceduto, ma seguito, dalla creazione della stessa. Come il muro di cinta di una città che è stato innalzato, non per essere un contenitore di edifici, bensì per circoscrivere un’aggregazione già esistente. L’umanità non misurava le fondamenta della cultura prima che attecchisse; non divideva il campo della ricerca in scomparti regolari prima, cominciava poi a rilevare verità sugli intenti già noti; si procedeva in questo modo. Una volta raccolte le informazioni, queste venivano classificate in <gruppi>, aventi in comune gli stessi elementi e a questi <gruppi> veniva assegnato un nome. Ogni <gruppo> era, ovviamente, una scienza.
Passò del tempo prima che ci si rendesse conto che questa era un modo di pensare piuttosto impreciso: bisognava accertare se questi elementi, raggruppati in tal modo fossero distinguibili da altri elementi, aventi le stesse proprietà e di che tipo fossero. La prima risposta fu estremamente imprecisa. E, in verità, per determinare che tipo di scienza fosse, occorreva studiarla a fondo. In altre parole, bisognava definire ogni singolo elemento della stessa rispetto ad altri di apparente tipo diverso.
Molte persone, profondi conoscitori dei dettagli della scienza , si sarebbero occupati di fornire una definizione del concetto di scienza, consapevoli che avrebbero potuto far sollevare obiezioni logiche in caso avessero sbagliato. Da questa osservazione, non possiamo escludere gli autori dei trattati scientifici elementari. Queste definizioni sulla scienza furono o troppo ampie o, viceversa, troppo strette, addirittura molto approssimative; per mezzo di alcune proprietà della stessa le quali possono, indubbiamente, servire al fine di un marchio di distinzione, ma questo ha troppa poca importanza per indurre a definire con un nome la scienza come un oggetto separato di studio.
La definizione di scienza deve, ovvio, essere pianificato tra quella classe di <verità> le quali Dougald Stewart aveva in mente, quando osservò i primi principi di tutte le scienze appartengono alla filosofia dell’uomo. L’osservazione è esatta; e i primi principi di tutte le scienze, inclusi la definizione degli stessi, hanno partecipato fin qui nel vago e nell’incertezza la quale ha pervaso la maggior difficoltà e il conseguente scombussolamento di tutte le branche della conoscenza.
Se noi apriamo qualsiasi libro, sia di matematica oppure di filosofia, è impossibile non avvedersi che ciò che vi leggiamo è rappresentato come nozioni preliminari e fondamentali, e la molta insufficiente maniera nella quale essi si nascondono sotto la veste di <principi> sembra essere fuori luogo, contrastata con la lucidità delle spiegazioni, delle conclusioni e delle dimostrazioni.
Come mai questa anomalia? Perché la certa ammissione dei risultati di quelle scienze non pregiudica la volontà di fermezza nelle loro premesse? Come accadde che John Stuart Mill eresse una solida struttura sopra a una instabile fondamento? La soluzione del paradosso e, che ciò che noi chiamiamo <principi primari> sono, in verità, gli ultimi principi.
Invece di essere il punto cardine da dove la catena di prova la quale supporta tutto il resto della scienza, in realtà era l’ultimo anello della stessa. Sebbene presentata come se tutte le verità fossero state dedotte da loro, sono verità ultime; il risultato dell’ultimo passo della generalizzazione, oppure l’ultimo processo di analisi ai quali le verità della scienza fanno riferimento; quelle particolari verità sono state preventivamente assicurate dalla primaria evidenza della loro natura.
Come le altre scienze, l’economia politica è rimasta su una definizione di forti principi logici, o anche, come è facile intuire, una definizione esattamente co-estesa con le cose definite.
Forse questo non le causò il salto di qualità per definirla <scienza>, ma ciò ha provocato spesso errori, concezioni del modo nel quale una scienza dovrebbe essere studiata.
Procediamo per verificare queste asserzioni esaminando le più comuni definizioni di <scienza>.
Di primo acchitto, non saremo di manica larga – circa la tipica definizione di economia politica – se dichiareremo che è una scienza che insegna, o perlomeno, intende insegnare in che modo una nazione possa arricchirsi. Questa nozione è in un certo qual modo contenuta nel titolo del libro di Adam Smith “Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations”, e gli argomenti sono presentati secondo una certa logica.
Riguardo alla definizione in questione, se così può essere chiamata, sembra essere conseguenza di un processo di astrazione circa i molti modi di parlare sull’oggetto; sembra che ciò confonda l’idea dell’arte e della scienza: esse differiscono l'una dall'altra, come la comprensione differisce dalla volontà, o come il modo indicativo nella grammatica differisce dall'imperativo.
Uno commercia nei fatti, l'altro nei precetti. La scienza è una collezione di verità; l'arte un corpo di regole, o le direttive per Unsettled Questions of Political Economy/89. Il linguaggio della scienza è, questo è, o, questo non è; questo accade, oppure no. Il linguaggio dell'arte è, fai questo, eviti quello. La scienza prende conoscenza di un fenomeno e tenta di scoprire la relativa legge; l'arte propone a se un'estremità ed osserva fuori affinchè gli sneaks la effettui. Pertanto, se l'economia politica è una scienza, non può essere una collezione di regole pratiche; a meno che non sia una scienza inutile, le regole devono essere fondate sulla stessa.
La meccanica stabilisce le leggi del movimento e le proprietà dei corpi e insegna come possiamo servirci di queste per una nostra evoluzione. Un'arte non sarebbe un'arte, a meno che fosse fondata su una conoscenza scientifica delle proprietà di oggetto-materia: senza questo, non sarebbe filosofia, ma empirismo; ömpeirÖa, non röcnh, secondo Platone. Le regole di economia politica, quindi, sono i risultati della scienza. L'economia politica di per se non insegna a come i metodi per l’arricchimenbto di una nazione; una persona qualificata, come l’economista politico, sarebbe in grado di farlo.
2. La definizione che si ritrova in trattati di economia politica è questa: ci informa sulle leggi che regolano la produzione, la distribuzione e il consumo di ricchezza. Questa definizione è spesso accompagnata da una illustrazione famigliare. L’economia politica è dello stato come l’economia domestica è della famiglia.
Questa definizione è esente dal difetto che abbiamo precisato in quello precedente. Ci avvisa che l'economia politica è una scienza e non un'arte; che ha dimestichezza con le leggi della natura, ci insegna come le cose abbiano luogo, non in che modo per noi è consigliabile plasmarle, per raggiungere particolari fini.
Ma benchè la definizione sia su questo punto irreprensibile, per quello che riguarda l’economia domestica ci pare fuori luogo; l'economia politica è realmente scienza, l'economia domestica, è un'arte.
Essa consiste in regole atte a fornire benefici al nucleo famigliare. Applicare le regole di economia politica a una nazione dovrebbe realizzare benefici come l’economia domestica più perfetta compie per una singola famiglia: ma supponendo questo, ci sarebbe la stessa differenza che c’è fra l'arte dell’artiglieria e quella della teoria dei proiettili, oppure fra l’esame di matematica di un geometra e la scienza della trigonometria.
Sulla definizione non c’è molto da obbiettare. A una scienza giovane non è richiesta la precisione scientifica, lo scopo è insinuare nella mente dell’individuo curiosità e concetti.
Lo stesso accade quando si vuole “misurare” a grandi linee la capacità di apprendimento di un individuo, prima che questo cominci a studiare: non avremmo nulla da obbiettare in merito circa il suo modo di imparare, perché differisce da ogni singolo individuo. Ma se andremo a fondo della questione e quindi verificheremo nei minimi particolari questa capacità, la nostra opinione cambierà e di molto.
Questo esempio si può tranquillamente applicare all’economia politica ed è quindi esatto definirla una scienza in quanto tale. “La scienza delle leggi che regola la produzione, la distribuzione e i consumi della ricchezza”.
Il termine “ricchezza” è circondato da un velo di associazioni vaporose, le quali non lasceranno trapelare nulla che esse non vogliano. La ricchezza è definita, tutti gli oggetti utili o in accordo con l’umanità; anziché tutti gli oggetti – qualcuno dice – tutti gli oggetti materiali: la distinzione non ha senso per lo scopo attuale.
Limitare noi stessi alla produzione: se le leggi della produzione di tutti gli oggetti, o anche di tutti gli oggetti materiali, i quali sono utili o in accordo con l’umanità, fossero compresi nell’economia politica, sarebbe difficile dire dove la scienza terminerebbe: tutte le conoscenze fisiche o quasi sarebbero incluse in essa. I cereali e il bestiame sono oggetti materiali, Unsettled Questions of Political Economy/91 in un alto grado di utilità per l’umanità. Le leggi della produzione di uno includono i principii dell’agricoltura; la produzione dell’altro è il soggetto dell’allevamento del bestiame, il quale deve seguire le regole della scienza fisiologica. Le leggi della produzione sui manufatti avviluppa completamente la chimica e la meccanica. Le leggi della produzione della ricchezza - che è estratta dalle viscere della terra - non possono essere disposte senza prendere in considerazione gran parte della geologia.
Quando una definizione sorpassa di molto ciò che professa, dobbiamo pensare che non sia interpretata nella sua interezza, sebbene le limitazioni circa la sua comprensione non sono manifeste.
Forse sarà detto che l’economia politica vada d’accordo soltanto con tali leggi della produzione di ricchezza, applicabili ad ogni tipo di ricchezza: quelle che si riferiscono ai dettagli del commercio o di occupazioni particolari costituiscono un altro argomento e scienze completamente distinte.
Se, tuttavia, non ci fosse distinzione fra economia politica e scienze fisiche, potremmo affermare che ciò non è stato fatto.Nessuna simile divisione esiste in altra branca della conoscenza.
Non dobbiamo dividere la zoologia o la mineralogia in due parti: una tratta le proprietà comuni di tutti gli animali, o di tutti i minerali l’altra. La ragione è ovvia: non ci sono distinzioni tra le leggi generali che governano gli animali e i minerali e le particolari proprietà di particolari specie.
Esiste comunque un’analogia fra queste leggi generali e particolari: molto comunemente, le leggi particolari sono il risultato complesso di una pluralità di leggi generali che si modificano l’una con l’altra.
Una separazione, quindi, fra le leggi generali e quelle particolari, funzionerebbe per forti motivi di convenienza. Il caso sulla produzione della ricchezza è diverso perché le leggi generali differiscono da quelle particolari.
Ma in caso affermativo, la differenza in natura è la distinzione radicale e dovremmo scoprirne il motivo e trovarne quindi la definizione.
Ma i contorni che separano il campo di economia politica da quello della scienza fisica, corre-92/John Stuart Mill con la distinzione fra le verità che interessano tutti i generi di ricchezza e che si riferiscono soltanto ad alcuni generi. Le tre leggi di movimento e la legge di gravitazione, sono comuni, per quanto l'osservazione umana li abbia estesi a tutta la materia; e questi, quindi, essendo fra le leggi della produzione di tutta la ricchezza, dovrebbero fare parte di economia politica. Ci sono dei processi industriali che non dipendono parzialmente dalle proprietà della leva; ma sarebbe una classificazione sconosciuta che ha incluso quelle proprietà fra le verità di economia politica.
Di nuovo, la scienza posteriore si avvale di molte ricerche e studi, e si riferisce quasi esclusivamente all'ordinamento particolare degli oggetti materiali, come per esempio dei rami della scienza fisica. L'indagine sull’ordinamento che regola il prezzo di cereale, ha a che fare con le leggi comuni alla produzione di tutta la ricchezza, e lo stesso succede nel campo dell’agricoltura. L'inchiesta nell'affitto delle miniere o delle industrie della pesca, o nel valore dei metalli preziosi, trae le verità che hanno riferimento immediato alla produzione di un genere particolare di ricchezza; tuttavia questo è ammesso in economia politica.
La vera distinzione fra economia politica e scienza fisica deve essere cercata in maniera più profonda rispetto la natura dell’argomento in questione, il quale è la parte più comune di entrambe, vale a dire, tutti gli oggetti che conducono alla convenienza e al soddisfacimento dei bisogni, anche se essi sono branche perfettamente distinte di conoscenza.
3. Se noi osserviamo l’intero campo dell’umana conoscenza, raggiunto o raggiungibile, troviamo che si separa da se stesso spontaneamente in due divisioni, le quali si mettono in opposizione l’una con l’altra. Questa sono, la scienza fisica, morale o psicologica. La differenza fra queste due branche della conoscenza non risiede nel contenuto, con le quali esse sono in rapporto, sebbene si possa in verità affermare che esse si occupano di diversi argomenti, cioè, una riguardante la mente, l’altra con tutte le cose eccetto la mente: questa distinzione non ha presa fra le più alte regioni delle due.
La scienza politica o la legge: chi dirà che queste sono scienze fisiche? E ancora non è ovvio che siano in rapporto Unsettled Questions of Political Economy/93 sia con la materia che con la mente? Lo stesso dicasi con la musica, la pittura e altre arti. Ciò che segue sembra essere la spiegazione razionale della distinzione fra la scienza fisica e morale.
Nel rapporto fra l’uomo e la natura, notiamo che gli effetti e i fenomeni dipendono da due tipi di cause: le proprietà dell’oggetto in azione e le cause che questo provoca. E questa è la legge o le leggi della materia, oppure una legge o le leggi della mente umana. Il grano prodotto dal lavoro dell’uomo è il risultato di una <legge mentale> e di molte leggi della materia. Le leggi della materia sono quelle proprietà del suolo e della vita vegetale che causano la germinazione del seme nel terreno, e quelle proprietà dell’uomo il quale lo trasforma in alimento necessario.
La legge della mente è che l’uomo desidera ottenere ciò che serve al suo sostentamento. Le leggi della mente e quelle della natura sono molto dissimili nella loro natura, che sarebbe contrario a tutti i principii farne un miscuglio per farle diventare parte dello stesso studio. In tutti i metodi scientifici, sono disposte a parte. Qualsiasi effetto o fenomeno che appartenga sia alle leggi della mente sia a quelle della materia deve essere per forza di cose distinto in due scienze diverse: l’una, che tratta i fenomeni in sé, appartiene soltanto alle leggi della materia; l’altra, alle leggi della mente.
Le scienze fisiche sono quelle che trattano delle leggi della materia, in particolare di tutti i fenomeni complessi. La scienza mentale o morale tratta fenomeni riguardanti le leggi della mente.
La maggior parte delle scienze morali presuppongono le scienze fisiche; ma poche di queste ultime presuppongono quelle morali. La ragione è ovvia: vi sono molti fenomeni che appartengono esclusivamente alla legge della materia, e quindi non hanno nulla a che fare con la scienza morale, pertanto 94/John Stuart Mill le scienze fisiche vengono percepite soltanto come strumento di conoscenza, senz’altro non come una causa che produce effetti.
Ma non ci sono fenomeni che dipendono esclusivamente dalle leggi della mente, anche se i fenomeni della mente vi appartengono parzialmente (fisiologia umana). Tutte le scienze mentali devono tenere presente che dipendono da una gran varietà di verità fisiche, prendendo i fenomeni complessi dove la scienza fisica li lascia. Questo è ciò che significa <economia politica>.
Le leggi della produzione degli oggetti che costituiscono la ricchezza, sono argomento dell’economia politica e di tutte le scienze fisiche. Le leggi della materia appartengono alla scienza fisica: alcune di queste sono leggi della mente umana e appartengono all’economia politica.
L'economia politica, quindi, presuppone tutte le scienze fisiche; prende in considerazione tutti gli oggetti che generano ricchezza e che sono di sostentamento all’uomo o almeno ammette che la parte fisica avviene in un certo modo: Si domanda in che modo il fenomeno della <mente> sia coinvolto nella produzione e nella distribuzione di questi beni; prende in prestito dalla scienza pura le leggi di quei fenomeni, e indaga sul rapporto legge mentale/legge fisica.
Ne conviene che <l’economia politica è la scienza che tratta sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza, per quanto essa dipenda dalle leggi della natura> O anche <la scienza concernente le leggi morali o fisiologiche della produzione e della distribuzione della ricchezza>.
Questa definizione è ampiamente sufficiente, sebbene a corto di esattezza per scopi filosofici. L’economia politica non tratta della produzione e della distribuzione della ricchezza in tutte le condizioni dell’umanità, ma soltanto in ciò che è chiamato <stato sociale> e in una certa porzione delle cosiddette leggi della natura umana. L’economia politica deve essere vista in questa chiave Unsettled Questions of Political Economy/95, ovvero come una divisione enciclopedica di un campo della scienza. Vista in altro modo, non può essere considerata affatto una scienza.
Questo ci apparirà chiaro se faremo un’indagine generale delle scienze morali, con un occhio di riguardo per assegnare l’esatto posto che compete all’economia politica; mentre invece, se osserveremo più a fondo l’intera faccenda vedremo che i processi della natura sono oggetti che appartengono a queste scienze.
L’uomo, considerato come un individuo avente una natura morale o mentale, è l’argomento di tutte le scienze morali. Potremmo indagare su di lui prima considerandolo come una singola unità, poi come appartenente a una collettività e sui compiti svolti nella stessa. Di questo ultimo stato, è ingrediente comune un governo politico o la sottomissione a un superiore
Di questa ultima condizione, il governo politico, o la sottomissione
ad un superiore comune, è un ingrediente ordinario, ma non fa necessariamente parte
della concezione e, riguardo al nostro scopo attuale, non deve
più essere ribadito.
Quelle leggi che regolano il singolo individuo ed non ammettono come condizione necessaria la presenza di altre persone, formano una parte dell’argomento di pura filosofia mentale. Comprendono tutte le leggi dell’intelletto puro e quelle che regolano i nostri più intimi desideri.
Ovvero gli affetti, la coscienza, il dovere, l’amore: queste fanno parte della sua natura e sono gli elementi basilari della scienza morale ed etica.
La moralità non è una scienza ma un’arte, è composta da regole, non da verità. Le verità sulle quali le regole sono fondate sono disseminate da una varietà di scienze; ma la principale di loro appartiene a una branca della scienza della mente. Infine, vi sono certi principii della natura umana i quali sono peculiari a questa particolare arte, e sono connessi con e le idee e i sentimenti generati dall’uomo 96/John Stuart Mill che vive in società e ciò forma una unione o un’aggregazione di esseri umani aventi scopi comuni.
In effetti ben poche di queste leggi sono fondamentali per questo stato di cose, quasi tutto può essere definito come <azione> nelle altre due condizioni. Ma queste semplici leggi, operanti in un campo più esteso, danno un risultato di carattere generale, e anche sufficientemente semplice: sono chiamate leggi sociali, della società. Queste leggi, o verità, sono elementi che compongono l’economia sociale; piuttosto meno felicemente la politica speculativa e la scienza della politica.
Questa scienza è applicata nel sociale, come l’anatomia e la fisiologia nella medicina. Dimostra quali sono le cause che inducono l’uomo a introdursi nella società, la sua posizione nella stessa, i suoi interessi, i suoi sentimenti e gli effetti che questi producono su di lui. Quanto l’associazione tende ad avvicinarsi e come la cooperazione effettui l’operazione contraria; il tipo d scopi e i mezzi che hanno permesso il loro avanzamento; il tipo di relazioni che gli esseri umani stabiliscono fra loro come conseguenza ordinaria dell’unione sociale; i differenti tipi di condizioni sociali e in che modo questi si sono succeduti; e quali conseguenze hanno avuto sull’uomo.
Questo ramo della scienza, l’economia sociale, presuppone per intero la scienza della natura e della mente individuale, in quanto tutte le leggi alle quali questa si ispira sono applicate nella società e le leggi delle verità sono <statements> nei quali leggi semplici hanno effetto in circostanze complicate.
La filosofia pura, quindi, è una parte fondamentale della filosofia politica. La scienza dell’economia sociale abbraccia qualsiasi parte della natura dell’uomo, influenzando il comportamento e la condizione dello stesso nell’ambito della società e quindi si può chiamare <politica speculativa> , facente parte dell’arte del governare e della legislazione. Questo è ampiamente illustrato in Unsettled Questions of Political Economy/97. Ovvero l’economia politica, anche se questo termine ha da tempo cessato di avere così ampio significato. Ogni autore ha usato questo termine secondo i suoi paramentri di giudizio rispetto a quelli che sono gli scopi generali di ricerca delle verità e Mr Say ha fatto ciò, senza che vi sia stato un motivo forte che lo abbia spinto a far questo; alterare un termine avente un significato ben preciso trasferendolo su un <oggetto> del quale si possono trovare altre denominazioni.
L’economia politica è un ramo della politica speculativa, tratta soltanto sui procedimenti che portano alla ricchezza, studia soltanto il modo in cui lo stato sociale si pone nei confronti della ricchezza, fa un’analisi completa sui desideri dell’uomo per raggiungerla, escludendo quei motivi che sono antagonisti della stessa, per esempio l’avversione al lavoro.
L’economia politica considera l’umanità tesa al raggiungimento e al godimento della ricchezza e studia le azioni, i ruoli e i desideri dell’uomo in tale contesto.
Insegna come accumulare ricchezza e su come impiegarla per produrne sempre di più; sanziona l’accordo per l’istituzione della proprietà, stabilisce leggi che impediscono la violazione della stessa, definisce la produttività del lavoro, definendo la divisione dei prodotti ottenuti mediante l’influenza della concorrenza, regolata da determinate leggi. Tutte queste operazioni, sebbene siano il risultato di svariate motivazioni, sono considerate dall’economia politica come fluenti dal desiderio di ricchezza.
La scienza provvede poi ad indagare su quali leggi governino queste operazioni, ovvero determina se siano necessarie all’uomo in quanto individuo: senza nessun’altra eccezione, possiamo considerare le ipotesi sopra elencate. E’ assurdo pensare che un economista la pensi in tal modo, ma questo è il procedimento basilare nel quale ogni scienza procede.
Quando un effetto dipende da una concorrenza di cause, queste vanno studiate una alla volta, per prevederne e controllarne gli effetti, sino a quando la legge dell’eretto (che diavolo è???) è composta da leggi di tutte le cause che lo determinano. La legge della forza centripeta e tangenziale devono essere state conosciute prima che il movimento della terra e dei pianeti potevano essere spiegati. Lo stesso si può dire della condotta dell’uomo nella società. Per giudicare il suo comportamento sotto l’influenza di desideri ed avversioni, dobbiamo prima conoscere il suo comportamento sotto l’influenza di uno di essi in particolare.
Non c’è azione umana nella quale non si noti un desiderio di ricchezza, anche in quelli nei quali, all’apparenza, la stessa non è un desiderio primario: l’economia politica non pretende di generalizzare. Ma ci sono certe azioni umane nelle quali la ricchezza è stile di vita: Difatti l’economia si occupa di questi casi formulando ipotesi semplici e il più vicine alla verità.
L’economista politico indaga sulle cause che producono questi desideri: fa un’approssimazione il più possibile corretta su questi impulsi, tenendo conto degli effetti che essi producono e ne fa una descrizione differente per ognuno di questi.
Come premesso, il più grande desiderio dell’uomo è quello di accumulare ricchezza <ma> con la minor fatica possibile, pertanto le conclusioni saranno di difficile applicazione ed incomplete.
L’economia politica può essere definita come segue <<la scienza che segue le leggi della produzione della ricchezza dell’uomo all’interno della società, finchè questi fenomeni non saranno modificati da qualsiasi altro interesse>>.
Ma mentre questa è una definizione corretta di economia politica come parte del campo della scienza, lo scrittore didattico nella sua esposizione unirà le verità della scienza pura con modifiche pratiche come la volontà.
Noi consideriamo la scienza come inseparabile dal metodo filosofico.
In ogni scienza esistono divergenze di opinioni, che son detti <differenza di principii> e che si distinguono da <differenza di fatti o dettagli>: queste differenze possono essere riscontrate se si applica il cosiddetto <metodo filosofico>. Esse differiscono non soltanto in ciò che riescono a vedere, ma anche in quello che pensano di vedere. E’ teoria basata sull’esperienza. In economia sociale e politica vi sono sue tipi di pensatori: quelli che si chiamano <teorici> e quelli che vengon detti <pratici>. La distinzione è piuttosto ampia. Come è stato ampiamente dimostrato che chi accusa di fatti ed esperienze disastrose, professa pienamente fatti ed esperienze; mentre chi rinnega questa teoria non può fare un solo passo avanti senza servirsi della teoria.
I cosidetti <pratici> richiedono esperienza specifica (partendo da un fatto specifico e giungendo a conclusioni generali) mentre invece i <teorici> sviluppano un campo più ampio dell’esperienza (partendo da un fatto specifico, giungendo a un principio generale, costituito da una varietà di specifiche conclusioni).
Supponendo, per esempio, che la domanda fosse <se I re fossero soddisfatti di impiegare il loro potere per il benessere oppure per opprimere. I <pratici> sarebbero giunti alla conclusione di “un comportamento riscontrato in alcuni despoti”, mentre invece per i “teorici” la conclusione sarebbe stata “un’osservazione delle tendenze umane nella varietà di situazioni nelle quali un individuo viene a trovarsi, ovvero un despota fa un uso cattivo del potere”. Quest’ultima conclusione porta anche a pensare che la storia può aver dato informazioni errate.
Il primo di questi metodi (chiamato “a posteriori”)è induttivo, l’altro è un mix di induzione e razionalità (chiamato “a priori”).
Il metodo <a priori> caratterizza un modo di fare filosofia, e non si basa su esperienza alcuna.
Con il metodo “a posteriori” ci si basa su esperienza specifica, quindi su applicazioni.
Questa è l’applicazione della scienza.
L’economia politica è scienza astratta e si basata sul metodo “a priori”, si basa su ipotesi, chiamate <definizioni> e questi sono anche le basi che regolano tutte le altre scienze astratte.
La geometria presuppone un’arbitraria definizione di <linea>: allo stesso modo l’economia politica presuppone una definizione arbitraria dell’uomo (ricchezza ottenuta con il minimo sforzo del lavoro). E’ vero che questa definizione non è formalmente prefissata in qualsiasi lavoro di economia politica, come la definizione di linea è prefissata in geometria.
Pertanto, sia l’economia politica che la geometria, sono scienze astratte che si basano su supposizioni certe.
L’economista, se nega ciò, sbaglia. Il metodo “a priori” è l’unico che determina la verità in qualsiasi ramo della scienza sociale essa si presenta.
Ciò che è verità nell’astratto, è sempre verità nel concreto. Una causa concreta produce sempre un concreto effetto; lo stesso effetto, modificato da tutte le altre cause concorrenti, corrisponderà ai risultati reali che ha prodotto.
Nessun matematico ha mai pensato che la definizione di <linea> corrisponda a una linea attuale, lo stesso dicasi per l’economista (reale è oggetto di ricchezza): ma entrambi sono giustificati, perché essi hanno avuto a che fare con quelle parti della natura umana le quali hanno un pecuniario vantaggio per i loro principali oggetti; anche perché nessun massimo generale potrebbe essere stabilito, a meno che alcune delle circostanze del caso particolare fossero prese da considerazione.
Ma andremmo oltre se affermassimo che il metodo “a priori” è legittimo nell’applicazione delle scienze morali; il metodo “a posteriori” è inefficace in quelle scienze che ambiscono ad arrivare alla verità, sebbene sia di valido aiuto al metodo “a priori”.
Esiste una proprietà comune a quasi tutte le scienze morali: in queste non si possono fare esperimenti. In chimica e nella filosofia naturale non possiamo osservare ciò che accade in tutte le combinazioni della natura, ma possiamo provare un indefinito numero di combinazioni. Raramente si fa in etica, mai in scienza politica. Non possiamo provare forme di governo e di sistemi di politica nazionale su scala nei nostri laboratori, modellando i nostri esperimenti pensando che essi ci conducano ad un avanzamento della conoscenza: gran parte dei processi studiati sfuggirebbero alla nostra osservazione. Raramente otterremo ciò che Bacon definì “experimentum crucis”. Una scienza che ammetta un numero illimitato di esperimenti, prevede sempre questa opzione.
Chiamate <effetto B> e quanta influenza può avere sull’<effetto A>.
Proviamo un esperimento in cui tutte le circostanze circostanti sono alterate, tranne A da solo: se
l' effetto B tuttavia è prodotto 104/John Stuart Mill, A è la causa di esso o, invece di lasciare A e cambiare le altre circostanze, lasciamo tutte le altre circostanze e cambiamo A se l' effetto B in quel caso non avviene, allora ancora A è una condizione necessaria della sua esistenza.
Ma questo succede raramente nelle scienze morali, vista l’immensa moltitudine di influenze e la scarsa varietà di esperimenti. Lo stesso dicasi se cominciamo uno studio su un individuo. Per esempio, l’effetto di una particolare circostanza circa la sua educazione, o la formazione del suo carattere: possiamo provare una varietà di teorie, ma non saremo sicuri al 100% che nessuno di quei casi differiscano da tutti gli altri, eccetto uno, del quale noi vogliamo quantificare l’influenza.
Quanto più grande debba essere questa difficoltà negli affari di stato, dove il numero di esperimenti è così scarso se comparato con la varietà e la moltitudine dei casi insiti in esso.
Come, per esempio, come possiamo fare un esperimento cruciale sull’effetto di una politica commerciale restrittiva nei confronti della ricchezza? Dobbiamo trovare due nazioni simili, allo stesso livello, che posseggano un qualcosa che le conduca all’opulenza nazionale, e che adottino la stessa politica nello svolgimento dei loro compiti, ma che differiscano in questo, ovvero che una addotti un sistema di restrizioni commerciali, e l’altra usi il libero commercio.
Questo potrebbe essere un esperimento decisivo, simile a quelli svolti in fisica sperimentale.
Ma dubito che ciò sia una conclusione esauriente.
Lasciamo che chiunque consideri quanto siano infinite, numerose e varie le circostanze che influenzano – direttamente e indirettamente – la ricchezza nazionale, e poi che si chieda quali sono le probabilità per cui due nazioni saranno trovate nella rivoluzione più lunga, che sono conformi e che possono essere indicate come tali, in tutte quelle circostanze, eccetto una?
E’ vano pensare che si possa arrivare alla verità, sia in economia politica o in altra scienza sociale, mentre guardiamo al concreto dei fatti, ricoperti in tutta la loro complessità con i quali la natura li ha cinti, e sforzarsi di trarre una legge Unsettled Questions of Political Economy/105 per mezzo di un processo di induzione da un confronto di dettagli; non rimane altro metodo che quello “a priori”, o quello della speculazione astratta.
Sebbene quanto detto prima non sia permesso in politica – per una soddisfacente induzione per mezzo di una comparazione degli effetti – tutte le cause possono essere rese all’argomento dell’esperimento specifico. Queste cause sono le leggi della natura umana e i fattori esterni che inducono l’uomo all’azione. I desideri e le proprietà umane sono alla nostra portata di mano per l’osservazione. Possiamo anche osservare gli argomenti che portano all’eccitazione. Ognuno è in grado di far sua questa conoscenza, con ragionevole considerazione delle differenze, della quale esperienza rivela l’esistenza, fra lui e gli altri.
Pertanto, conoscendo esattamente le proprietà delle sostanze interessate, possiamo cercare di ragionare con certezza sull’insieme di circostanze nelle parti più dimostrative della fisica.
Sarà insignificante se le circostanze esaminate non saranno rassomiglianti a quelle reali; ma se il presupposto è corretto e differisce al contrario dalla verità tanto quanto una parte differisce
dall' intero, allora le conclusioni dedotte correttamente costituiranno la verità astratta; ed una volta
completate aggiungendo o sottraendo l' effetto delle circostanze non messe in conto, saremo di fronte al concreto, applicabile quindi nel pratico.
L’economia politica è descritta in questo modo negli scritti dei suoi più bravi insegnanti.
Per renderla perfetta come scienza astratta, le combinazioni delle circostanze che presuppone, per
seguire i loro effetti, dovrebbero comprendere tutte le circostanze che sono comuni a tutti i casi; e similarmente le circostanze che sono comuni a qualunque codice categoria importante dei casi. Le
conclusioni dedotte da questi presupposti, sarebbero verità matematiche in astratto; essere così vicino ad un' approssimazione come la verità astratta, significa stare nel concreto.
Quando i principii di economia politica devono essere applicati ad un caso particolare, si devono considerare tutte le diverse circostanze dello stesso; non soltanto esaminando a che tipo di circostanze astratte corrispondono, ma che tipo di circostanze esistono nel caso, le quali, non essendo comuni ad esso, non cadano sotto la conoscenza della scienza. 106/John Stuart Mill.
Queste sono chiamate “cause di disturbo”. Quando un solo elemento incerto entra nel processo inerente la natura di questi complessi fenomeni, crea l’impossibilità di essere abbastanza sicuri che tutte le circostanze del particolare caso ci siano note in dettaglio.
Questo crea problemi sia in economia politica che nelle scienze morali.
Quando sono note, non costituiscono deviazione alcuna da un “metodo a priori”. Come l’attrito in meccanica, dapprima sono considerate come una deduzione che deve essere ottenuta dal risultato dato dai principii generali della scienza; ma molte di loro sono portate all’interno della scienza stessa e il loro effetto è data da un’accurata stima che ammette come siano effetti forti e modificanti.
Le cause di disturbo hanno le loro leggi, come del resto anche quelle “disturbate”; la natura del disturbo può essere predetta “a priori”, come l’operato delle leggi più generali le quali possono disturbare o modificare; le cause di disturbo sono talora circostanze che operano sull’umana condotta attraverso lo stesso principio dell’umana natura con il quale l’economia politica è in rapporto, cioè, il desiderio di ricchezza. Di ciò, ogni economista è in grado di produrre esempi. In altri esempi, la causa di disturbo è dovuta a qualche altra legge dell’umana natura.
Quest’ultimo caso non appartiene all’economia politica e qui, l’economista politico che non ha studiato nessun scienza, fallirà se vuole applicare la sua scienza.
Le altre cause di disturbo potrebbero essere portate all’interno della scienza astratta, Unsettled Questions of Political Economy/107 ma se dovessimo metterle in pratica, non seguiremmo il metodo della scienza astratta nei suoi dettagli; vi inseriremo fra queste ipotesi tutta una serie di nuove circostanze, e così aggiungendo pro hic vice un’appendice o un teorema.
Abbiamo dimostrato che il metodo a priori – sia in economia politica che nella scienza morale – è un metodo scientifico e certo per arrivare alla verità e che il metodo “a posteriori” è invece inapplicabile a questi soggetti, anche se ha un grande valore nelle scienze morali; per verificare la verità e <non> dimostrarla.
Avremmo un piccolo vantaggio aggiuntivo se fossimo abbastanza certi di aver compreso tutti i fatti del singolo caso, in questo modo sapere quale sarà il loro effetto, senza una prova effettiva di ogni possibile combinazione. Poiché le cause sono sensazioni umane e circostanze che stimolano l’individuo (e che quindi ci sono familiari), possiamo giudicare il loro effetto combinato da questa familiarità, come da qualsiasi evidenza la quale può essere suscitata dalle complicate circostanze implicate nell’esperimento.
Se questa conoscenza è a noi nota, poi, se la nostra scienza astratta fosse perfetta, dovremmo diventare profeti.
In caso contrario, esse saranno poste sotto osservazione, anche se l’esito può creare incertezza; alcune di queste possono portare oltre l’osservazione e possono sfuggirci. Per evitare ciò, possiamo soltanto fare un piano di lunga osservazione e guardarle nella giusta ottica, in questo modo saremo pressoché sicuri che gli eventuali errori di valutazione saranno ridotti al minimo.
108/John Stuart Mill
La discrepanza fra le nostre previsioni e il fatto preso in esame è spesso l’unica circostanza che avrebbe attirato la nostra attenzione nei confronti di alcune importanti cause di disturbo che noi avevamo trascurato. Spesso ci induce in errore il fatto che omettiamo qualsiasi proprietà che possa determinare una causa di disturbo. Questo ci rivela che la base stessa del nostro argomento è insufficiente, che i dati, da cui avevamo ragionato, comprendono soltanto una parte (e non sempre la più importante) delle circostanze da cui il risultato è realmente determinato.
Tali sviste sono commesse sia da buoni ragionatori e sia da buoni osservatori, è un tipo di errore del quale sono responsabili di chi ha una visione ampia e filosofica; ossia, vi è quel tipo di mentalità che resta ancorata a quelle leggi, qualità e tendenze, le quali sono comuni a una larga classe di casi, e cui appartengono allo spazio e al tempo; mentre succede spesso che le circostanze quasi particolari per il particolare caso o era abbiano a che fare molto di più che nel governare che nel singolo caso
Un filosofo è convinto che nessuna verità generale possa essere conseguita negli affari di una nazione per mezzo del metodo <a posteriori> rispetto alla misura delle sue opportunità per vagliare ed esaminare i dettagli di ogni specifico esperimento. Senza questo, egli può essere un eccellente professore di scienza astratta; una persona definisce correttamente quali effetti seguiranno da certe combinazioni di possibili circostanze e in che zona di casi ipotetici queste possano essere trovate. Questi – con il legislatore - ha lo stesso tipo di rapporto che intercorre fra il geografo e il navigatore pratico, dicendogli la latitudine e la longitudine. Unsettled Questions of Political Economy/109
Se comunque egli decide di non andare oltre a questo, non prenderà parte in politica pratica e avrà una modesta opinione (o non l’avrà affatto) sulla questione. Chi vuole governare non può non voler conoscere il modo effettivo con cui si conducono gli affari di una nazione, le sensazioni, le tendenze morali, le idee del suo paese o della sua era. Il vero statista pratico è colui che combina questa esperienza con una conoscenza profonda di filosofia politica. In caso contrario, sarà un personaggio ostinato, insufficiente ed inconsapevole.
Quindi l’uso di entrambi i metodi – a priori e a posteriori – è ottimale sia in economia politica come negli altri rami della scienza filosofica. Siamo convinti che ben pochi – fra tutti coloro che hanno scritto su questo argomento – abbiano dato il giusto valore a questi metodi.
Una delle peculiarità dei tempi moderni – la separazione della teoria dalla pratica – ha dato una tendenza errata alle idee e ai sentimenti sia dello studente che dell’uomo d’affari. Ognuno sottovaluta quel gruppo di pensieri con i quali non ha familiarità: se da una parte questo disdegna una visione globale, dall’altra trascura i dettagli. Uno ha una visione dell’universo basata su pochi oggetti che nel corso della sua vita sono diventati familiari, l’altro fa una dimostrazione di parte, dimenticando che è soltanto una mera dimostrazione.
Difatti egli trova una buona scusa quando i fatti portano ad invalidare le ipotetiche conclusioni. In questi argomenti complessi, gli uomini hanno idee preconcette: capita spesso che durante un anno di ascoltare falsità sbalorditive con le quali grandi uomini si appoggiano l’uno con l’altro, non tanto perché una verità dichiarata sia vera, quanto perché la sua natura può esserlo; ciò porta una persona sincera ad indagare sulla faccenda. Egli impiegherà le affermazioni degli avversari non come prova ma come indicazioni a scopo dimostrativo. 110/John Stuart Mill
Ma mentre il filosofo e l’uomo comune discutono mezze verità l’uno con l’altro, noi possiamo andare oltre senza trovarne uno che – postosi in una grande eminenza di pensiero – comprenda in generale ciò che essi notano in parti separate; l’osservazione dell’uomo comune mettono in guardia il filosofo che qualcosa deve essere aggiunto alla sua teoria. In tempi moderni, l’esempio più memorabile per un uomo che ha unito lo spirito di filosofia con gli insegnamenti di vita attiva, si è mantenuto totalmente chiaro dalle parzialità e dai pregiudizi sia dello studente che dello statista pratico, fu Turgot.
Sebbene sia impossibile fornire qualsiasi prova per cui un pensatore speculativo, o in economia politica o in qualsiasi altro ramo di filosofia sociale, possa essere più o meno idoneo a giudicare sull’applicazione dei suoi principi alla condizione sua personale e di altri paesi, indicazioni possono suggerirci se egli è consapevole o meno della sua incapacità.
La sua conoscenza dovrebbe almeno permettergli di render conto della sua persona.
Se un economista politico, per esempio, si trova confuso da qualsiasi fenomeno commerciale recente o attuale; se sia all’oscuro dello stato presente o passato dell’industria produttiva.
Egli deve sapere se il suo sistema di opinioni sia una guida sicura in circostanze esistenti.
Oppure fatti che influiscono sulla situazione del paese e sul corso degli eventi, non sono a lui noti; in caso contrario, non sa quali effetti possano fare. Nell’ultimo caso il suo, come in scienza astratta, è un <sistema difettoso>, non è in grado di tracciare tutte le conseguenze.
Sebbene egli getti dubbi Unsettled Questions of Political Economy/111 sulla realtà di certuni fenomeni, dei quali è chiamato a spiegare, il suo compito non è ancora completo; quindi egli è chiamato a mostrare il modo in cui l’opinione – da lui ritenuta infondata - si è presentata; e qual è la reale natura degli aspetti che hanno dato colore di probabilità ad asserzioni dimostratesi false.
Quando il politico speculativo ha attraversato questo passaggio, allora può ritenersi per applicare in pratica i suoi principii: dovrà continuare ad esercitare la stessa disciplina su ogni nuova combinazione di fatti, quando essa si ripresenterà; essere indulgente nei confronti delle cause di disturbo e guardare con attenzione il risultato di ogni esperimento, in modo tale che ogni fatto residuo che non gli permette di esplicare, possa diventare il soggetto di un’analisi fresca, e fornire l’occasione per un ingrandimento o correzione delle sue opinioni generali.
Il metodo del filosofo è quindi formato da due processi: analitico e sintetico. Deve analizzare lo stato della società nei suoi elementi, non tralasciandone nemmeno uno. Dopo aver fatto riferimento all’esperienza dell’uomo singolo per apprendere la legge di ciascuno di questi elementi, cioè, imparare quali sono i suoi effetti naturali e quanto questo effetto segue la causa nel caso non sia opposta da qualsiasi altra causa, non gli rimane altro che sintetizzare il tutto, ovvero riunire assieme tutti questi effetti e comprendere l’effetto finale di tutte le cause, agendo immediatamente.
Il risultato sarebbe profetico se il procedimento di cui sopra fosse eseguito correttamente, ma siccome ciò può essere fatto in maniera approssimativa, avremo un grado più o meno ampio di probabilità.
Nonostante tutte queste precauzioni, ci sarà il pericolo di cadere in sviste, anche se noi avremo preso le contromisure per evitare ciò; tutto quello che noi possiamo fare in più sarà cercare di essere critici imparziali delle nostre teorie, inoltre dovremo liberarci dalla riluttanza dalla quale pochi sono completamente esenti, ammettere la realtà o l’attinenza di qualsiasi fatto da loro non preventivato e quindi negato dai loro sistemi di studio.
Se infatti ogni fenomeno non era generalmente l’effetto di più di una causa, una conoscenza della legge di quella causa – a meno che non esistesse un errore logico nel nostro ragionamento – ci permetterebbe di essere fiduciosi e pertanto predire tutte le circostanze del fenomeno stesso.
Pertanto abbiamo potuto – se avevamo esaminato con attenzione le nostre premesse e il nostro ragionamento e non avevamo trovato errori – rifiutarci di credere che la conseguenza fosse diversa rispetto a ciò che avevamo pronosticato.
Se le cause di conclusioni erronee fossero sempre basate sui ragionamenti che conducono ad esse, l’umana comprensione sarebbe di gran lunga uno strumento più che fidato.
Ma l’esame più profondo del processo ci aiuterà ben poco verso la scoperta del nostro ragionamento. Gli effetti sono comunemente determinati da un concorrenza di cause.
Se abbiamo trascurato una causa, anche le altre porteranno a un ragionamento sbagliato. Se le nostre premesse saranno veritiere o corrette, ancora il risultato non avrà valore in un caso particolare.
Esiste uno spazio per un dubbio modesto circa le nostre conclusioni pratiche. Contro le false premesse e ragionamenti instabili, una buona disciplina mentale ci conforta; ma contro il pericolo di trascurare qualcosa, nessuna forza comprensiva o intellettuale può essere una protezione difettosa.
Una persona può essere sicura della verità di ciò che ha visto, ma nessuno può essere sicuro che nell’esistenza non ci sia nulla che egli non abbia visto affatto.
Egli deve accontentarsi di ciò che ha visto in ciò che è visibile in altre persone le quali hanno convenuto con l’argomento. Per questo motivo egli deve cercare di mettersi nei loro panni e cercare con serietà l’oggetto che essi vedono, non rinunciare al tentativo fino a che egli non abbia raggiunto l’aspetto e si sia assicurato che non si tratti di un inganno ottico.
I principi che abbiano dichiarato aleggiano nella foschia, cioè non sono completamente invisibili.
Avremmo potuto presentare l’ultima parte di essi in una fraseologia particolare, avremmo potuto avvertire gli studiosi contro una generalizzazione estesa, avremmo potuto ricordare loro che ci sono le eccezioni a tutte le regole. Unsettled Questions of Political Economy/113
Parla così chi diffida completamente, senza però averne nessuno concetto chiaro.
Abbiamo evitato l’uso di queste espressioni apposta, perché le riteniamo superficiali ed imprecise.
L’errore, quando c’è errore, non sorge perché si generalizza radicalmente: indubbiamente un uomo spesso fa un’affermazione parziale su di un’intera classe ciò che è verità o parte di essa, ma il suo errore generalmente consiste nell’ampliare un’affermazione, ma facendo un certo tipo di affermazioni sbagliate: predica il risultato attuale, quando avrebbe dovuto soltanto predicarne una tendenza.
Nel merito ad eccezioni, in qualsiasi scienza abbastanza avanzata non esiste tal cosa come un’eccezione.
Ciò che è pensato come eccezione a un principio e sempre qualche altro e distinto principio che intacca il precedente: che sia una forza che urta contro la prima? E lo devia nella sua direzione. Non ci sono <legge> ed <eccezione> a quella legge - la legge che agisce in 99 casi, eccetto uno. Ci sono due leggi, che agiscono nei cento casi nella loro globalità, che causano un tuttuno dalla loro operazione congiunta.
Se la forza di disturbo prevale in alcuni casi sull’altra forza, allora il caso è chiamato <eccezione>: la stessa forza agisce come causa modificante in altri casi i quali nessuno chiamerà <eccezioni>.
Se ciò fosse stabilito come legge della natura, quella in cui tutti i corpi pesanti cadono a terra, essa sarebbe probabilmente definita che la resistenza dell’atmosfera, che impedisce a un pallone di cadere, il pallone costituirebbe un’eccezione a quella finta legge di natura. Ma in realtà la legge è che tutti i corpi tendono a cadere, e questa non è un’eccezione, nemmeno il sole e la luna; anche se questi, come ogni astronomo sa, tendono verso la terra, con una forza esattamente uguale a quella con cui la terra tende verso loro.
La resistenza dell’atmosfera……. nel caso del pallone che trionfa sulla legge….. ma ciò sarebbe una mala interpretazione della legge sulla gravitazione; ma il suo effetto di disturbo è perfettamente reale in ogni altro caso, poiché sebbene non eviti, ritarda la caduta di tutti i corpi. La regola e la cosiddetta eccezione non dividono i casi fra loro; ognuno di essi è una regola completa che si estende a tutti i casi. Chiamare uno di questi un’eccezione agli altri è superficiale e contrario ai corretti principii di nomenclatura 114/John Stuart Mill. Un effetto posteriore di una stessa causa non dovrebbe essere posto in due differenti categorie, sia che esista o meno un’altra causa che lo supera.
E’ solo nell’arte, a differenza della scienza, che possiamo parlare di eccezioni, non ha nulla da spartire con cause, escluso i mezzi che determinano gli effetti. Tuttavia, porta tutti gli effetti in un unico calcolo, a seconda che il risultato sia plus o minus, a seconda che cada sopra o sotto una certa linea. L’arte dice, fai questo, o astieniti dal farlo. L’eccezione non corre nella regola su livelli insensibili, come in scienza su quelle che sono chiamate <eccezioni>.
In pratica accade frequentemente che una cosa sia fatta o sia adattata per essere eseguita. Se, nella maggioranza dei casi, prevale quest’ultima opzione, la regola è fatta. Successivamente, quando si verifica un caso inatteso, si volta completamente pagina, la regola viene scartata: viene introdotto un nuovo treno di idee e viene posta una linea di demarcazione fra l’ultimo caso che rientra nella regola e il primo dell’eccezione, esiste soltanto la differenza di un’ombra: ma quell’ombra probabilmente pone un intervallo fra l’agire in un modo e in uno totalmente diverso.
Possiamo quindi, parlando di arte, definire regola ed eccezione; di regola, nei casi nei quali esiste preponderanza, anche leggera, di induzione ad agire in un modo particolare; di eccezione, i casi nei quali la preponderanza sta nella parte contraria.
THE END
Notes
1. Elements of Political Economy, by James Mill, Esq., 3rd edit., pp.
120–1.
2. le figure utilizzate sono naturalmente arbitrarie.
3. Non abbiamo ritenuto fornire appunti in maniera particolareggiata tutte le circostanze che potrebbero modificare i risultati menzionate nel testo.
Per esempio, se prendiamo ad esempio il primo caso, nel quale la domanda di indumenti in Germania
interessa poco sull’origine del prezzo in conseguenza della tassa, la quantità acquistata eccede nel suo valore pecuniario originario. I consumatori tedeschi investono più in tessuti rispetto ad altri beni simili come la biancheria, e questo può aumentare la domanda per quest’ultima in Inghilterra, per riequilibrare degli import-export, senza alcun passaggio di denaro. Per questi motivi gli inglesi acquisteranno biancheria ancora più a buon mercato.
Ancora, nel caso, opposto (nel quale la tassa diminuisce la domanda), è richiesto un più piccolo valore pecuniario. I consumatori tedeschi si industriano in altre cose, queste e la biancheria, salirà, ma questo può diminuire la domanda di biancheria in Inghilterra, per ripristinare l’equilibrio senza la trasmissione di denaro. Ma l’effetto, rispetto alla divisione del vantaggio, è ancora stabilito nel testo.
4. Si guadagna svendendo. Se, nel caso supposto, l’Inghilterra fosse costretta da un trattato commerciale ad escludere la biancheria di Flanders dal suo mercato, la ricchezza globale del mondo sarebbe diminuita.116/John Stuart Mill
Qual è la causa che permette a Flanders di svendere in Germania?
Che Flanders scambierebbe biancheria con tessuto a tariffa si scambio più vantaggiosa in Inghilterra.
E perchè Falnders fa ciò?
I casi sono l’uno o l’altro, perché Flanderspuò produrre l’articolo con una quantità meno comparativa di lavoro in Germania, e quindi il vantaggio totale che deve essere diviso fra i due paesi è più grande nel caso sia di Flanders che della Germania, o altro perché, sebbene il vantaggio non sia molto grande, Flanders ottiene un piccolo scambio da esso, e la sua domanda sui tessuti diventa più alta, alla stessa tariffa di scambio di quello della Germania.
Escludendo la biancheria di Flemish dall’Inghilterra, si creerebbe un risparmio più grande di lavoro.
L’esclusione sarebbe inefficace per l’unico fine al quale potrebbe essere destinato, per esempio, a beneficio della Germania, a meno che il denaro prodotto da Flemish non serva all’Inghilterra.
Flanders comprerebbe tessuto inglese, pagandolo con denaro, fino a quando la caduta dei suoi prezzi non gli permettesse di pagarlo con qualcos’altro: il risultato ultimo sarebbe che, dall’origine dei prezzi in Inghilterra, la Germania dovrebbe pagare un prezzo più alto per il suo tessuto, perdendo così una parte di vantaggio nonostante l’accordo, mentre l’Inghilterra pagherebbe lo stesso prezzo per la biancheria tedesca, ma poiché i redditi della gente sono incrementati, lo stesso prezzo implicherebbe un sacrificio più piccolo.
5. L’effetto ultimo su un’introduzione del libero commercio è stato indicato in un articolo inerente la domanda di seta, in un lavoro troppo breve, the Parliamentary Review.
6. I fabbricanti seguirebbero, con il loro capitale, i loro clienti. Inoltre, la maggior parte di persone cambierà piuttosto la loro abitazione che il proprio impiego, ma lo spostamento sarebbe reciproco.
7. Sarebbe facile controllare nello stesso modo ogni altro caso. Per esempio, possiamo supporre che, invece di fare a meno di tutto il capitale fisso, i materiali, ecc ed assumere lo stesso numero di manovali, si potrà fare a meno soltanto di metà del capitale e dei materiali. Invece di 60 manovali su un capitale fisso di 60 quarter di mais, avremo 80 manovali e un capitale fisso di 30. La dichiarazione numerica di questo caso è Unsettled Questions of Political Economy/117 molto più intricata rispetto a quello descritto nel testo, ma il risultato non cambia.
8. Noi diciamo che la produzione e la distribuzione non è ben descritta da scrittori di questa scienza. L’economia politica non ha nulla a che fare con il consumo di ricchezza, tanto quanto questo è inseparabile dal concetto di produzione e distribuzione. Non conosciamo alcuna legge sul consumo di ricchezza che abbia come argomento una scienza distinta: esse non possono essere diverse dalle leggi di umano godimento.
Gli economisti politici non hanno mai trattato di <consumo>, ma sempre di che tipo di consumi influiscono sulla produzione e la distribuzione della ricchezza. In trattati sulla scienza troviamo:
la distinzione fra consumo produttivo ed improduttivo
l’indagine atta a verificare la quantità di ricchezza prodotta, e relativo suo utilizzo allo scopo di un’ulteriore produzione della stessa
la teoria di tassazione, vale a dire la valutazione di quanto le tasse influiscano sulla produzione.
9. Le leggi sulla produzione di oggetti utili sono comprese in economia politica; la maggior parte di loro, tuttavia, hanno del grossolano. Poche sono specifiche e sembrano prendere in prestito quelle verità dalle scienze alle quali appartengono correttamente.
10. <Scienza di legislazione> è un’espressione errata: la legislazione fa leggi. <Scienza> non significa <fare qualsiasi cosa>. Anche <scienza del governare> è un’espressione sgradevole, non è l’atto in sé del governare, bensì la condizione di uno stato che deve essere governato o la vita sotto un governo.
Un’espressione preferibile sarebbe <scienza di società politica>, un ramo principale della scienza più estesa di <società>, caratterizzata nel testo.
11. Uno dei motivi più validi per disegnare la linea di demarcazione fra scienza e arte è la seguente: il principio di classificazione nella scienza segue la classificazione delle cause 118/John Stuart Mill, mentre le arti devono essere classificate secondo gli effetti, la cui produzione è il loro appropriato fine.
Ora, un effetto, sia in fisica che in morale, dipende da una convergenza di cause, e spesso succede che molte di queste appartengono a scienze differenti.
Ad esempio, nella costruzione dei motori, occorre tenere a mente la composizione chimica dei materiali, in proprietà elettriche e magnetiche e così via. Da questo ne consegue che sebbene il necessario fondamento di tutte le arti è la scienza, cioè la conoscenza delle proprietà o delle leggi degli oggetti, sui quali e con i quali l’arte si esprime e fa il suo lavoro; non è comunque ugualmente vero che ogni arte corrisponda a una scienza particolare. Ogni arte presuppone, non una singola scienza, ma la scienza in generale; o, almeno, molte scienze distinte.