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Lascio temporaneamente il rock 'n' roll, per cercare di trovare l'esatto contorno, secondo le mie linee di pensiero, ad alcune delle questioni poste da Renzo Grassano nel saggetto Il Silenzio di Dio (e le difficoltà della Chiesa), senza peraltro entrare nel merito di tutto lo scritto, perchè mi vedrei costretto ad esternare una serie di considerazioni pari ad una tonnellata di carta.

Quando egli scrive che non c'è storicismo che tenga di fronte alle enormità scritte in I Samuele, dimentica, o fa finta di dimenticare, che L'Enciclica Fides Et Ratio, contiene una esplicita condanna dello storicismo.
Dunque, non è questo il problema, se si cerca un dialogo.

A pagina 138 dell'edizione PIEMME, al capitolo VII, intitolato Esigenze e compiti attuali, al paragrafo 87, è scritto: « Per comprendere in maniera corretta una dottrina del passato, è necessario che questa sia inserita nel suo contesto storico e culturale. La tesi fondamentale dello storicismo, invece, consiste nello stabilire la verità di una filosofia sulla base della sua adeguatezza ad un determinato periodo e ad un determinato momento storico. In questo modo, almeno implicitamente, si nega la validità perenne del vero. Ciò che era vero in un'epoca, sostiene lo storicista, può non esserlo più in un'altra. La storia del pensiero, insomma, diventa per lui poco più di un reperto archeologico a cui attingere per evidenziare posizioni del passato ormai in gran parte superate e prive di significato per il presente. Si deve considerare, al contrario, che anche se la formulazione è in certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l'errore in esse espressi si possono in ogni caso, nonostante la distanza spazio temporale, riconoscere e come tali valutare. »
Queste considerazioni sono introduttive alla polemica ed alla condanna specifica del modernismo, visto come una peculiare espressione e conseguenza dello storicismo stesso.
Io non condivido questa condanna, anche perchè sono stato ammaestrato alla tolleranza, al dibattito e non alle scomuniche, ma non desidero nemmeno difendere il modernismo perchè qualche problema lo pone anche a me.
Del resto, le questioni sollevate da Renzo, vanno in tutt'altra direzione.
Non è la Chiesa che chiede al filosofo di adeguare la sua ricerca alla verità della teologia, ma esattamente il contrario, ovvero il filosofo che chiede conto alla Chiesa dei suoi testi sacri, e di come si possa ammettere come Parola di Dio, lo sproloquio blasfemo di Samuele.

Diciamo, intanto, che una difesa (giustificazione) storicistica sarebbe debole. Verrebbe a collocarsi dopo Mosè e la consegna della Legge, e quindi dopo un primo forte inquadramento di cosa è bene e cosa è male per l'uomo, non secondo la debole ragione umana, ma secondo la superiore ed infallibile ragione divina.
Se si dimentica questo evento cruciale, non si possiede alcun orientamento e quindi alcun criterio per valutare bene e male, giustizia ed ingiustizia.
La tesi fondamentale, dunque, il punto di non ritorno, è che in virtù dell'avvenuta consegna della Legge, nasce tra Dio ed il suo popolo una nuova alleanza, non più sancita dal rituale della circoncisione all'ottavo giorno, ma dall'accettazione religiosa, politica, filosofica, integrale che Legge e Parola di Dio sono tutt'uno, e sono inviolabili. Chi viola, sbaglia, pecca, pecca soprattutto contro sé stesso e la sua dignità di uomo. Rispettare la Legge è avere una buona opinione di sé.

Si potrebbe osservare che la Legge aveva un valore solo interno al popolo di Dio, ma che per far fronte al nemico, tutto veniva e viene, purtroppo, considerato lecito.
Inoltre, sulla scorta delle interpretazioni neotestametarie e successive, si potrebbe aggiungere che proprio in quanto momento di imposizione extraumana, o sovraumana, se si preferisce, la Legge si sarebbe scontrata con due ostacoli oggettivi: l'uomo recalcitrante da un lato, la sua rigidità ed insufficienza dall'altro.
Non c'è legge che possa prevedere tutti i casi della vita, dall'omicidio involontario, o per legittima difesa, o per legittima difesa di un altro, persino di un nemico, ad un adulterio involontario, ad esempio, durante un lungo viaggio, dopo aver ricevuto la falsa notizia della morte della consorte.
Ok, si tratta di limiti, ma i pregi sono incommensurabilmente molti di più, perchè la Legge, questo è il punto decisivo, incontra, in molti casi, l'uomo nella sua essenza più vera, il galantuomo, il giusto, il quale sa benissimo, proprio al di là di ogni storicismo che vorrebbe negare questa realtà antropologica, che la volontà di Dio è il suo stesso desiderio, ovvero trovare le basi ultime ed irrinunciabili della convivenza pacifica, a cominciare dal suo popolo, ma per estendersi universalmente, anche come diritto dei deboli ad essere rispettati.

Inoltre, si badi a questo, perchè è importante, la Legge data da Dio a Mosè, nel testo integrale del decalogo, non prevede la pena. Potremmo arguire che l'uomo è lasciato libero di deciderla? Potremmo arguire che era questa la vera volontà di Dio, ovvero che l'uomo, soprattutto il giudice, si dimostrasse giusto, e nel contempo pietoso?
Ed ancora, non era, forse, sempre implicito, che la Legge non voleva rappresentare che in minima parte quello che uno può esigere dagli altri, ma soprattutto quello che uno deve esigere da sé stesso?

Dunque, in altre parole, se le vicende raccontate in Samuele sono da considerarsi storicamente vere, ed io credo di sì, visto che, tra l'altro, non contengono elementi mitologici, ed imprese mirabolanti tali da accrescere il valore del popolo di Israele e dei suoi capi, semmai tutto il contrario, occorre prendere atto che quella fase storica non è un momento di grandezza, di unità e di alleanza tra Dio ed il suo popolo, ma, esattamente, ne rappresenta la caduta.
Il popolo non anela più a vivere bene, libero, in pace e vera sicurezza (la quale non si fonda mai sulla potenza militare dissuasiva, ma su una vita poco appariscente e scarsamente appetibile per i ladroni) ma ad avere un re, quasi che la Legge ed i Giudici non bastassero più, ed a diventare forte, temuto e carogna come gli altri popoli.
Samuele sapeva bene tutto questo, ma cedette alla volontà popolare, cedette alla degenerazione, tradì egli stesso, per primo, la santa Alleanza tra Dio e l'uomo.

Per questo, credo, divenne poi, per motivi schiettamente comprensibili solo in chiave psicoanalitica, il demente invasato che si legge nel passo citato. Trasferì l'odio distruttivo che ormai provava nei confronti del suo popolo sugli altri popoli, su quei poveracci di amaleciti. Qualcosa di molto simile accade a tanti nostri difensori della razza. Trasferiscono il loro disprezzo per i propri concittadini colpevoli di aver ceduto al vizio, alla droga, al richiamo del sesso con le nigeriane sugli extracomunitari.

Dunque, ha detto bene il Papa. Chi ha conosciuto Dio, "roccia di salvezza", e poi lo abbandona, che fine potrà mai fare?
Ma, ancora peggio vanno le cose, a chi, abbandonato Dio, dopo averlo conosciuto, poi pretende persino di predicarlo. Guai a non finire per chi l'ascolta e vi presta credito.

A condizione, ovviamente, che la storia e la Bibbia si leggano così.

gm - 24 dicembre 2002