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Cos'è la psicoanalisi
di Guido Marenco



Fu lo stesso Sigmund Freud (1856 - 1939) a dare, nel 1922, quando fu chiamato a scrivere la voce "psicoanalisi" per il Dizionario di sessuologia, una definizione della disciplina che aveva iniziato.
La psicoanalisi è 1) un procedimento per l'indagine dei processi psichici cui altrimenti sarebbe pressochè impossibile accedere; 2) un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.
Credo che neppure Freud ritenesse soddisfacente tale definizione, specie per quanto attiene il terzo punto.
Tuttavia potremmo prenderla per buona come introduzione alla" cosa" di cui ci stiamo occupando e poi verificarla via che approfondiremo determinati aspetti.
Per intanto potremmo osservare che nella definizione non compare la parola sessualità, che riveste invece una importanza centrale nella teoria psicoanalitica.
Ma se poniamo attenzione al fatto che questa definizione fu redatta appositamente per un dizionario che trattava problemi sessuali, questa omissione non ha allora una grandissima importanza, non fu uno dei tanti lapsus "freudiani" :-)))

La centralità del sesso nella teoria psicoanalitica si spiega facilmente. Freud visse in un epoca definibile come "vittoriana", dove il massimo del perbenismo borghese si sposava con il massimo di ipocrisia e di frustrazioni. Per una ragazza bene delle famiglie bene di Vienna come di Berlino, di Praga come di Londra o Parigi era "sconveniente" qualsiasi rapporto con coetanei o giovanotti che non fossero educati, presuntuosi e socialmente posizionati. Il sentimento di attrazione prima ancora della stessa sessualità era negato, rimosso, considerato come l'ultimo valore. Con la rivoluzione francese non era morto soltanto qualcosa di odioso, come la nobità ereditaria ed il vivere nel dolce far niente a spese del popolo ridotto alla fame: era morto anche il mondo delle "relazioni pericolose" , della giocosa sessualità delle puttane di corte e delle varie Madames che rendeva gaia e leggera la vita dei nobili. Puritanesimo e romanticismo avevano distrutto il bel mondo dell'altro ieri. La borghesia non sapeva vivere allo stesso modo della nobiltà festosa.
Classe grigia, meschina, ipocrita e complessata esprimeva campioni di perbenismo e professava il perbenismo istituzionalizzato e ritualizzato. Dalla Ginevra di Calvino alla Vienna cattolicissima una sola ed unica costante: ricchezza materiale e miseria morale.
Unica consolazione i valzer di Strauss, i cavalli bianchi (vero tormentone della psicoanalisi da salotto letterario) e le feste delle debuttanti.
Al di fuori di questo quadro diventerebbe difficile comprendere l'isteria precoce di Anna O. , il caso trattato da Breuer e indirettamente da Freud, il primo vero "scandalo" della psiconalisi ed insieme il suo inizio, ovvero il punto di partenza per il cammino di una lunga riflessione.
Scandalo e psicoanalisi in realtà non sono facilmente scindibili. L'oggetto stesso della psicoanalisi è lo scandaloso, l'inaccettabile.
Per questo fu essa stessa scandalosa.
Se abbiamo presente che significa vivere in camicia inamidata, portare un cilindro sulla testa ed inchinarsi ad ogni incontro, anche quando ti verrebbe di mandarli "a fan culo", abbiamo compreso tanto "disagio da civiltà", altro tormentone della teoria freudiana, che spiegherebbe il perchè delle nevrosi attraverso l'opposizione di "cultura" e "natura", di "spirito" e "materialità", di "dovere" e "piacere".
Già da questo il lettore dovrebbe intendere che la produzione freudiana non fu solo una psicologia diversa, ma anche un modello culturale, un'antropologia, per tanti aspetti una filosofia. Questo spiega sia la sua influenza sulla cultura del '900, sia l'estensione e la qualità dei suoi critici e dei suoi oppositori, opposizione che non investe solo alcuni settori della psicologia ma, comprende filosofi e letterati, religiosi e studiosi di molte discipline.
In questo file ci occuperemo tuttavia solo di psicoanalisi. Rinviamo ai file su Freud gli approfondimenti sulla cultura psicoanalitica.

Il primo elemento che differenzia la psicoanalisi da tutti gli studi psicologici precedenti consiste, dunque, nel riconoscere che l'attività psichica non ha origine ( e quindi non può trovare spiegazioni) solo nelle sensazioni studiate dalla fisiologia e dalla neurologia. Pensieri e soprattutto sentimenti sono ritenuti come dotati di relativa autonomia. Pertanto le cause dei malesseri psichici trovano una localizzazione diversa da quella semplicemente fisica o nervosa, ad esempio nell'interpretazione che ognuno da alle proprie esperienze ed al proprio vissuto, anche se, sovente, essi si convertono in sintomi fisici.
Si pensi, ad esempio, all'isteria[isteria] già menzionata, uno dei primi casi clinici con cui Freud ebbe a che fare. Una certa medicina dell'ottocento aveva ipotizzato che essa fosse una malattia di tipo schiettamente femminile e che fosse dovuta a malformazioni uterine. Lo stesso termine, isteria, è di origine greca e deriva dalla parola che significa "utero".
Oggi si preferisce distinguere tra diverse categorie diagnostiche ed è improprio parlare di isteria.
Abbiamo così tra le altre: i disturbi di conversione, i disturbi di dissociazione, i disturbi di somatizzazione, le malattie immaginarie e dunque l'ipocondria.
La conversione, ad esempio, trasforma, secondo teorie che non sono più strettamente psicoanalitiche, ma devono alla psicoanalisi molte ipotesi fondamentali, un malessere psichico in un malanno fisico.
Represse sul piano psichico, alcune emozioni negative che procurano angoscia e sensi di colpa sia razionali, (ho fatto davvero qualcosa di male!) sia irrazionali (ho fatto qualcosa che la cultura dominante giudica "male", ad esempio, mi sono masturbato) sfociano in una paralisi d'organo, in una forma di mutismo e così via.
La conversione dovrebbe servire a placare l'ansia ed in generale l'individuo colpito dalla patologia potrebbe anche trarne beneficio in quanto ogni lesione procura, o dovrebbe procurare (al giorno d'oggi non si sa mai), comprensione e cura da parte degli altri ed una diminuzione delle responsabilità.
Sarebbe interessante ad esempio fare una statistica di donne che hanno abortito non per motivi terapeutici, ma sociali, familiari od egoistici, e vedere in quale misura si è instaurato un senso di colpa e quali effetti ha prodotto.
Ma queste statistiche non si fanno per l'ovvio motivo che sono al di là della cultura e della sensibilità degli antiabortisti ed allo stesso tempo procurano qualche problema di coscienza agli stessi sostenitori del "meglio un aborto, che è pur sempre una cosa sbagliata, che una vita d'inferno".
Prima Breuer e poi Freud, che collaborò per qualche tempo con Breuer, compresero che l'isteria aveva cause di tutt'altra natura e che questa andava indagata specificamente. Non solo, lo stesso Freud dimostrò più tardi che esiste un'isteria maschile.

Sarebbe tuttavia sbagliato vedere in questa posizione, che trae sicuramente ispirazione dalle idee del filosofo Franz Brentano, le cui lezioni Freud seguì a Vienna, una sorta di fondazione "idealistica" della psicoanalisi.
A mio avviso la fondazione della psicoanalisi è tipo medico perchè Freud era soprattutto un medico fortemente impressionato dal carattere anomalo di patologie psichiche con una eziologia che, rimanendo all'interno del quadro teorico dell'ottocento, non riusciva a dar conto delle cause inafferrabili della patologia stessa.
In realtà tutta la teoria della sessualità infantile si basa, ad esempio, sulla individuazione delle zone erogene del corpo del bambino che, come vedremo, passa attraverso diverse fasi di sessualità.
Disturbo psichico e immaturità sono spesso alla base di ogni patologia: la nevrosi è sintomo di immaturità come mancato sviluppo di una fase particolare.
Inoltre non può sfuggire, ancora ad esempio, che una semplice depressione non passeggera, ma costante nel tempo, non possa essere riportata semplicemente a sensazioni contingenti ma, affondi le proprie radici in qualche evento passato di importanza fondamentale per il soggetto depresso.

Il secondo elemento caratterizzante consiste nel fatto che la ricerca delle cause del malessere psichico non si limita ai processi coscienti, ma si rivolge ad interrogare l'inconscio individuale, dunque le esperienze fondamentali di un singolo individuo, a partire però dal riconoscimento che queste stesse esperienze non sono presenti nella loro profondità e nella loro complessità alla coscienza normale dello stesso, come del resto non sono presenti nella coscienza normale degli individui che hanno rapporti con quello considerato.
Far emergere questi contenuti costituisce dunque il compito specifico della psicoanalisi.
Gli strumenti via via adottati da Freud, che ha proceduto per esperienze e tentativi, sono stati in primo luogo l'ipnosi, poi la libera associazione di parole e di pensieri, consistente nel vedere quali parole e quali pensieri venivano spontaneamente al paziente stimolato dallo psicoanalista, ed infine l'interpretazione dei sogni.
Non a caso uno delle opere più importanti di Freud rimane "L'interpretazione dei sogni".
Per la verità, come sottolineò Freud, l'inizio della psicoanalisi coincise con l'abbandono dell'ipnosi. Ma non si trattò di un ripudio esplicito ed è per questo che nel file su Freud avanzo alcune ipotesi.
Fu l'interpretazione in generale, quindi non solo quella ristretta alle fantasie oniriche, ma estesa a tutte le dichiarazioni del paziente, che venne a costituire in certo senso l'arte e la scienza dell'analista.
Freud, in una suggestiva metafora, richiamò l'archeologia come modello. La psicoanalisi è un lavoro di scavo negli strati della psiche.
Riaffiorano reperti. Ma qual'è il loro il loro significato, a quale epoca risalgono?
L'importanza centrale che viene data al vissuto infantile è persino ovvia. Noi siamo quello che siamo in virtù di uno sviluppo che è stato facile, difficile, controverso, negato, bloccato, incoraggiato o gravemente osteggiato.
Dal vissuto infantile possiamo pescare qualunque tipo di animale sottomarino, qualsiasi mostruosità abissale, come pure qualsiasi bellezza celestiale.
Nel modello esplicativo dell'isteria si afferma che le isteriche hanno sofferto di un trauma di natura sessuale, spesso un tentativo di seduzione da parte del padre. Ma il trauma è così precoce che il soggetto non è in grado di recepirlo e rappresentarlo. Rimane sul fondo, come evento difficilmente verificabile, incorporato in mezzo a mille altri ricordi, nascosto.
Avviene così, talvolta, che durante la pubertà si verifichino eventi che immediatamente riportano ad associare il presente al passato remoto. In tal caso le reazioni energetiche al trauma infantile riaffiorano e rientrano in circolo, dando luogo a manifestazioni neurotiche la cui causa rimane inconscia.

Il problema, tuttavia, è che di ciò che emerge dal racconto frammentario possiamo non fidarci. La menzogna del paziente è una forma di difesa, un modo di attirare l'attenzione, un espediente per mostrare l'unicità della propria esperienza.
Non tutti mentono, ma moltissimi mentono, o cominciano a sparare "cazzate" da un certo momento in poi, alternando verità e fantasie, mescolando verità e fantasie.
In Freud la fantasia assume comunque una realtà, che è come dire che " a forza di parlarne, anche un evento mai accaduto è accaduto sul serio, quantomeno nella psiche del paziente."
Seguire il paziente anche su questo piano può essere importante. L'affermazione diviene il sintomo della negazione, cioè di cosa non si è verificato, ma ci sarebbe piaciuto un sacco.
Se non si sospetta l'inganno non si può nemmeno interpretare. Ma come destreggiarsi? Come non vedere che l'incoerenza è dovuta sia a dati oggettivi (una mente disturbata da fobie non può mai essere totalmente lucida) sia a fattori soggettivi, alle intenzioni ed ai propositi.
Alcune fobie, poi, potrebbero essere state inventate di sana pianta.
Conosco una persona che disse di avere il terrore dell'ascensore. Fu con grande sorpresa che dopo pochi giorni la vidi uscire dall'ascensore di un edificio pubblico come se nulla fosse.
Un'amica psicoanalista mi ha candidamente confessato che quando la psicoanalisi era una moda e le signore bene andavano a farsi analizzare per non essere da meno delle altre, esse finivano per "giocare". Gioco dispendioso, e gli analisti facevano bene a farsi pagare profumatamente in questi casi. Ma dietro al gioco c'è sempre qualcosa ed in tal caso l'insoddisfazione per il partner, ed anche per l'amante, per Ambrogio l'autista, per Richard Gere che sostituisce l'autista ma solo nella fantasia.

Se il sospetto è una componente essenziale dell'interpretazione più smaliziata, anche il suo opposto viene ad assumere una importanza decisiva. Si deve credere a quello che emerge tutte le volte che si prova la sensazione di avere a che fare con persone che sono veramente al collasso.
Attualmente lo stress è uno dei fattori che contribuiscono maggiormente ad alterare lo stato psichico di un individuo.
Non è assolutamente vero che faccia bene, come ho letto da qualche parte, svolazzando sui siti medici del web.
Accettare sfide è un conto; caricarsi di sfide, sentirsi sfidati ad ogni piè sospinto dalla catena di disfunzioni, di illogicità, di irrazionalità che presiedono all'organizzazione del lavoro e dei servizi nella società italiana attuale, specie nelle istituzioni che avevano un carattere totale fino a poco tempo fa (vedi sanità, ferrovie, poste, uffici pubblici) è tutt'altro.
La ricerca dell'efficienza a tutti i costi, anche quando i materiali sono scadenti e le procedure richieste continuano ad essere burocratiche; la "tolleranza zero" con gli errori degli altri, quando è manifesto che vi una tolleranza mille nell'indulgere a considerare il proprio atteggiamento come "rigoroso" ed "esigente", quando è solo distante dalla realtà, diventano coefficienti di stress che moltiplicano all'infinito le penalizzazioni ed inducono a perdere quella poca autostima che l'individuo è riuscito a costruirsi nel tempo.
Sembrerebbe che il numero di "inadeguati" ai nuovi modelli sia destinato a salire, anche grazie alle tecniche di mobbing, brillantemente descritte da Doriana.
L'interpretazione non è quindi solo un'arte, e nemmeno risponde semplicemente a modelli "neutrali" di pretesa scientificità, ma è politica, sociologica, culturale, umana, oltre che, ovviamente, medica e psicoanalitica.
L'analista dovrebbe sapere che la sua analisi deve essere concreta e riferirsi ad una situazione concreta. Ma questo non sempre può accadere, sia perchè l'analista è impreparato a sostenere l'urto del nuovo e del paradossale, sia perchè la manifestazione di nuove anomalie psichiche è sempre in anticipo su qualsiasi modello teorico.

Poichè in nessun caso un buon analista potrebbe e dovrebbe presumere di avere in mano la verità ma, solo una ipotesi più plausibile e più fondata di altre, è anche evidente che la terapia psiconalitica, esattamente come aveva prescritto Freud, è dall'inizio e per lungo tempo non-interventista, passiva, una forma di paziente attesa, interrotta solo da qualche stimolo o da qualche domanda non sempre diretta.
Il rituale di un tempo, che oggi è sempre meno impiegato, prevedeva che il paziente si sdraiasse sul lettino e che l'analista si mettesse alle spalle, onde evitare che gli sguardi si incrociassero, che l'occhio penetrasse il cuore o tradisse qualche emozione.
Quello che deve accadere, la guarigione, o meglio l'inconscio che affiora all'attenzione del conscio del paziente stesso, non può essere suggerito, o mostrato, o indicato, quindi in nessun caso dettato, dall'analista, nemmeno da una mimica facciale.
L'analista ascolta, il paziente parla. Il discorso del paziente prima o poi finirà con l'arrivare al punto decisivo.
Tra paziente ed analista non c'è una vera dialettica, l'analista non si può permettere di obiettare, insinuare, dare consigli non richiesti. In definitiva egli "sa", o comunque possiede supposizioni vicine alla verità, ma deve deontologicamente tacere e mostrarsi ignaro.
E' questo silenzio che provoca la parola. Non resta che attendere.
L'ideale sarebbe un risveglio di consapevolezza da parte dello stesso paziente. Ma qui è il difficile.
Difficilissmo che accada qualcosa del genere perchè il paziente si aspetta che le soluzioni arrivino dall'analista mentre questi si aspetta che arrivino dal paziente e dal suo dire frammentario.
Nel quadro del rapporto tra paziente ed analista va data grande importanza al transfert, ovvero alla relazione speciale che viene a stabilirsi tra paziente ed analista , specie se le sedute sono frequenti e sono di tipo individuale, a tu per tu.
Esso sorge oggettivamente. Durante le sedute, o anche prima, infatti, il paziente comincia a formarsi delle aspettative, non sempre irrazionali per la verità, sul conto dello stesso analista, e spesso queste stesse si tingono di emotività. L'analista diviene il padre, la madre, il professore, l'autorità e, come vedremo studiando la seconda topica, una sorta di super -ego.
Nel silenzio del super-ego si legge spesso, per usare una metafora, lo stesso silenzio che sconvolge il credente che ha posto una domanda a Dio e non ha ancora ricevuto una risposta. L'equivalenza analista - Dio non è affatto blasfema.
Andare dall'analista è un po' come rimettersi totalmente nelle mani di Dio quando non si hanno più risorse, non si sa più che fare, non si cerca altro che un qualcuno che si occupi finalmente di noi. A costo di pagarlo, cioè di fare sacrifici.

Attualmente assistiamo alla tendenza di sostituire la terapia con gli psicofarmaci, sia per ragioni di tempo, sia per motivi di risparmio, sia perchè ingenuamente si crede al potere miracoloso della chimica farmaceutica.
Ciò mi sembra sbagliato per diversi motivi, non ultimo quello che essi, oltre a provocare scompensi di altra natura, non vanno alla radice del problema; semplicemente lo allontanano per un po'. Si può inoltre stabilire un'assuefazione che provoca dipendenza e, dunque decadenza fisica.
Se somministrato con cautela lo psicofarmaco può aiutare all'inizio a debellare gli stati d'ansia. Ma poi dobbiamo mettere immediatamente in atto misure diverse.
Nell'impossibilità economica o pratica (mancanza di tempo, orari impossibili) di rivolgersi ad un'analista, che ci farebbe parlare, credo potrebbe essere un buon sistema scrivere od anche registrare su cassetta tutto quello che ci viene in mente procedendo noi stessi con il metodo delle libere associazioni, od anche con quello della scrittura automatica, cioè immediata, non ragionata.
Questa pratica, lungi dal metterci in contatto con entità astrali e spiriti di chissà quale provenienza, è un buon sistema per liberare, scaricare emotivamente quello che abbiamo dentro. Unico consiglio: cerchiamo di considerare anche il prodotto della scrittura automatica con razionalità e distacco.
Cerchiamo semmai di provare, in un secondo tempo, un approccio letterario alla nostra vita, anche solo tenendo un diario.
La scrittura è una medicina ineguagliabile sotto diversi aspetti e se, impiegata per ricordare, può portarci a rivivere momenti focali della nostra infanzia o della nostra adolescenza, momenti nei quali si è verificato il blocco.
Per questo credo "nel fai da te", anche se, purtroppo, in molti casi, potrebbe essere illusorio pensare di farcela da soli.
Comunque sarebbe sempre meglio un tentativo di questo genere piuttosto che la terapia basata su psicofarmaci.

Spesso si stabilisce un transfert senza nemmeno entrare in rapporto di analisi.
Io non ho i titoli per fare l'analista e quindi non faccio analisi. Mi occupo di antropologia ed etnologia nel tempo libero e tutto quello che so in chiave psicologica è frutto di un esame all'università preceduto e seguito da letture e studi privati. Per diversi motivi finisco spesso con l'entrare in rapporto con persone che soffrono la loro solitudine.
Ecco allora che lentamente si realizza un transfert non voluto; ecco che la mia comprensione, il mio non giudizio, il mio silenzio, diventano stimoli per le confessioni più singolari; verità e menzogna si confondono, inevitabile sospettare, ma il filo del racconto si snoda ed ogni passaggio è sintomo. La vita è un sintomo di carenze, mancanze, vuoti, che spesso sono riconducibili a quella mancanza di autenticità che pare essere la piaga più grande del nostro tempo.
E' qui che l'opposizione classica di natura e cultura, spiegata da Freud come causa fondamentale del disagio da civiltà, si potrebbe forse risolvere in modo del tutto differente da un semplicistico ritorno alla natura, ai tarzanismi ed alle comuni di nudisti.
Tornare ad essere un filo più naturali non implica necessariamente nemmeno il libero amore od il seguire a tutti i costi tutte le pulsioni momentanee. E' una rinuncia all'ipocrisia che potrebbe esprimersi nel silenzio.
A volte non possiamo dire tutto quello che pensiamo per evitare di risultare sgradevoli, o farci dei "nemici" rancorosi per nulla.
Benissimo: taciamo, prendiamo le distanze, leviamo le suole. Ma non fingiamo più.
Non siamo autentici, ma cerchiamo l'autentico nell'altro, che non si trova mai. Dietro a quella folle rincorsa all'identità che caratterizza le masse c'è spesso il rifiuto di essere quello che si è, non persone, cioè non maschere, personaggi per una recita, ma individui, semplicemente esseri umani. Va da sè che si danno diversi livelli di questa ricerca di identità.
Dalla ragazza che si trucca secondo uno standard dettata dalla star di turno al filosofo che non si sente bene se non si definisce "heideggeriano", o "decostruzionista", o "poststrutturalista", all'impegnato che deve definirsi "verde", ma liberal, non fanatico, non "animalista", non vegetariano, non fondamentalista, insomma chi se ne frega!!!
Io ti valuto per i tuoi comportamenti non per quello in cui dici di credere, non per come declini il resto delle tue presunte generalità. La tua fede ed il tuo credo non mi interessano, o meglio, mi interessano fino ad un certo punto, mi interessa infatti capire se tu hai visto anche i limiti ed il marcio che c'è in quello in cui credi.
Devo dire che queste cose sono note all'inconscio, sia collettivo (in senso junghiano) che individuale. La gente sa che c'è del marcio in igni ismo, ma l'ha rimosso e nel rimosso c'è la difesa di sè stessi. Ammettere che ogni medaglia ha un'altra faccia come Giano bifronte è come ammettere di aver cercato un'identità sballata, priva di senso, quando il senso vero è che non c'è alcun piacere che non comporti un dolore ed alcun bene che non porti con sè qualche male. Più difficile vedere che non c'è male che non rechi qualche bene, ma chi ha davvero vissuto e non solo "dormito" potrà ben raccontarlo.
In questo marasma, allora, la psicoanalisi, deve aggiornarsi, deve capire perchè il bisogno del travestimento, della metamorfosi, del cercare una nuova definizione od un nuovo look sia così importante e vitale per tanta gente. Deve capire quali problemi comporta e da cosa derivi l'insoddisfazione di sé.
Essere semplicemente se stessi comporta il rischio di passare inosservati. Ciò che ad una persona realmente matura potrebbe apparire un bene inestimabile, la tranquillità, diviene in una persona affamata di mondanità e riconoscimenti, un male, un handicap dovuto sia insicurezza (ma è la spiegazione più banale) sia ad un bisogno reale ed urgente di stima da parte degli altri come premessa ad ogni relazione.
Credere che la relazione sia superflua è sbagliato. Bisognerebbe distinguere tra diversi tipi di relazione, da quella strumentale ( ad esempio: io ed il mio barbiere) che pure non sarà mai esclusivamente strumentale, perchè io ed il mio barbiere dialoghiamo spesso in modo profondo, reciprocamente utile, piacevole, a quella di amicizia, a quella d'amore.
Anche l'inserimento in un gruppo, che spesso ostenta caratteri distintivi forti come l'abbigliamento, il piercing, i gusti musicali, oppure l'attività (sportiva, culturale, ludico-dopolavoristica, religiosa o spiritualistica, politica) presenta diversi ostacoli. E' pressochè impossibile che nel gruppo stesso non vi siano, per così dire, personaggi irritanti o sgradevoli, pettegoli, intrusivi, autoritari o persino violenti.
Una figura particolarmente fastidiosa è quella del predicatore. Difficile accostarsi ad un gruppo di tipo religioso o spiritualista senza imbattersi in quello che "ha capito tutto" ed interviene a sproposito per spiegarti in modo totalmente acritico, spesso confusionario, sovente ai limiti del ridicolo, come funziona il mondo ed anche l'altro mondo.
Tutto questo pone problemi di inserimento che a torto vengono giudicati come "disadattamento".
Vi sono individui ipersensibili che piuttosto che digerire certi rospi, dal predicatore all'energumeno che ti da pacche sulle spalle, o sbraita come il Gabibbo, oppure ulula nella notte, o ti insidia la ragazza, preferiscono appartarsi, cercarsi amicizie elettive e selettive, attendere che accada qualcosa.

Aperta e chiusa questa parentesi sul disagio da civiltà, che io ritengo di interpretare in modo più attuale, ed anche meno astratto, come disagio da ipocrisia, torniamo all'analisi.
Il problema più consistente che lo psicoanalista deve affrontare ad un certo punto del trattamento analitico è quello della trasmissione della sua interpretazione al paziente. Se, come accade nella stragrande maggioranza dei casi, il paziente non arriva da sè al nocciolo del suo problema, si arriva ad un punto in cui diviene insistente, urgente, indispensabile una spiegazione.
Non sempre è chiaro come, e, soprattutto, come finirà se... Tuttavia bisogna sbloccare la porta chiusa. Fornire almeno una soluzione provvisoria.
Freud stesso descrisse due situazioni: 1) quella del paziente che di fronte all'interpretazione dice: <<No, non è questo che intendevo dire.>> 2) quella del paziente che dice: <<Sì, è vero, è questo che intendevo dire.>>
In entrambi i casi, commenta Freud, dobbiamo pensare negativo. Nel primo caso siamo probabilmente ancora lontani dall'aver compreso il problema. Oppure l'abbiamo compreso, ma il paziente è refrattario ad ammetterlo. Nel secondo caso è molto probabile che il paziente stia giocando a nascondino. Ammette per evitare di arrivare al cuore del problema, sostanzialmente perchè ha timore di arrivarci sul serio.
L'analista rischia di fornire, egli stesso, ulteriori meccanismi di difesa e di copertura con la sua intrusione interpretativa.
A ben guardare non ci sono regole. Ogni situazione è un caso a sè.
Ogni passo in avanti rischia di mutarsi in un passo indietro.

Ciò porta ad un altro problema ancora: quando finisce l'analisi e perchè possiamo dichiararla finita.
Non è semplice rispondere. In teoria l'analisi dovrebbe terminare con la guarigione del paziente, il suo reinserimento in una normalità esistenziale che ammetta comunque qualche particolarità non del tutto "normale".
Ma questo non solo non accade sempre, ma non accade che sporadicamente, per miracolo:-)))
Nella maggioranza dei casi il paziente è solo leggermente migliorato, più consapevole, meno insicuro.
Conosce l'interpretazione che l'analista gli ha porto, e noi non possiamo realmente sapere se egli l'abbia accettata oppure no.
Possiamo allora dire che l'analista può cominciare a comprendere qualcosa in più scandagliando il tipo di investimento affettivo che il paziente sta attuando o si propone di attuare.
Si tratta di verificare su quale figura, quale settore, quale interesse, richiama ora la sua attenzione.
Constatare, ad esempio, che egli o ella non fanno che ritornare sui loro passi, che in nuovi legami affettivi essi cercano solo un sostituto dell'oggetto di delusione che tuttavia rassomigli il più possibile all'oggetto originario, può voler dire che il paziente non è guarito affatto, si sente solo un po' meglio, ma prima o poi ricadrà in depressione.
Se al contrario constaterà una forma di superiore realismo, ecco che potrebbe decidere, se non per una guarigione, quanto meno per una lunga e redditizia fase di convalescenza.

Bene: siamo alla fine. Quella finora descritta è, in soldoni, e piuttosto all'ingrosso, la psicoanalisi classica, quella avviata da Freud e standardizzata dagli ortodossi.
Spero che il lettore apprezzi lo sforzo di aggiornamento critico, frutto delle mie esperienze, e parimenti, lo specialista apprezzi l'obiettività dell'esposizione, oltre che le proposte "sul fai da te" per metterci una pezza.
In generale consiglierei chiunque senta il bisogno di un trattamento analitico di rivolgersi al miglior analista in circolazione e non badare a spese.
Oppure di rivolgersi allo psicologo della mutua, accettando quello che passa il convento.
Ovviamente c'è differenza, ma io non credo che i poveri, per intenderci, abbiano davvero bisogno dello psicoanalista, perchè l'indigenza che costringe a lavorare è di per sè la miglior cura per rimanere coi piedi per terra.
Tuttavia noi abbiamo un fondamentale bisogno di tempo libero dal lavoro, per utilizzarlo sia in senso ricreativo che culturale, insomma per goderci davvero la vita.
Leggere questa necessità semplicemente come conflittuale tra principio di piacere e principio di realtà è ormai inattuale. Il piacere di vivere è una realtà ed il dispiacere di non vivere altrettanto. Forse è su questo che dovremmo spostare l'attenzione.