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Cos'è la psicoanalisi
di Guido Marenco
Fu lo stesso Sigmund Freud (1856 - 1939) a dare, nel 1922, quando fu
chiamato a scrivere la voce "psicoanalisi"
per il Dizionario di sessuologia, una definizione della disciplina che aveva
iniziato.
La psicoanalisi è 1) un procedimento per
l'indagine dei processi psichici cui altrimenti
sarebbe pressochè impossibile accedere; 2)
un metodo terapeutico (basato su tale indagine)
per il trattamento dei disturbi nevrotici;
3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite
per questa via che gradualmente si assommano
e convergono in una nuova disciplina scientifica.
Credo che neppure Freud ritenesse soddisfacente
tale definizione, specie per quanto attiene
il terzo punto.
Tuttavia potremmo prenderla per buona come
introduzione alla" cosa" di cui
ci stiamo occupando e poi verificarla via
che approfondiremo determinati aspetti.
Per intanto potremmo osservare che nella
definizione non compare la parola sessualità,
che riveste invece una importanza centrale
nella teoria psicoanalitica.
Ma se poniamo attenzione al fatto che questa
definizione fu redatta appositamente per
un dizionario che trattava problemi sessuali,
questa omissione non ha allora una grandissima
importanza, non fu uno dei tanti lapsus "freudiani"
:-)))
La centralità del sesso nella teoria psicoanalitica
si spiega facilmente. Freud visse in un epoca
definibile come "vittoriana", dove
il massimo del perbenismo borghese si sposava
con il massimo di ipocrisia e di frustrazioni.
Per una ragazza bene delle famiglie bene
di Vienna come di Berlino, di Praga come
di Londra o Parigi era "sconveniente"
qualsiasi rapporto con coetanei o giovanotti
che non fossero educati, presuntuosi e socialmente
posizionati. Il sentimento di attrazione
prima ancora della stessa sessualità era
negato, rimosso, considerato come l'ultimo
valore. Con la rivoluzione francese non era
morto soltanto qualcosa di odioso, come la
nobità ereditaria ed il vivere nel dolce
far niente a spese del popolo ridotto alla
fame: era morto anche il mondo delle "relazioni
pericolose" , della giocosa sessualità
delle puttane di corte e delle varie Madames
che rendeva gaia e leggera la vita dei nobili.
Puritanesimo e romanticismo avevano distrutto
il bel mondo dell'altro ieri. La borghesia
non sapeva vivere allo stesso modo della
nobiltà festosa.
Classe grigia, meschina, ipocrita e complessata
esprimeva campioni di perbenismo e professava
il perbenismo istituzionalizzato e ritualizzato.
Dalla Ginevra di Calvino alla Vienna cattolicissima
una sola ed unica costante: ricchezza materiale
e miseria morale.
Unica consolazione i valzer di Strauss, i
cavalli bianchi (vero tormentone della psicoanalisi
da salotto letterario) e le feste delle debuttanti.
Al di fuori di questo quadro diventerebbe
difficile comprendere l'isteria precoce di
Anna O. , il caso trattato da Breuer e indirettamente
da Freud, il primo vero "scandalo"
della psiconalisi ed insieme il suo inizio,
ovvero il punto di partenza per il cammino
di una lunga riflessione.
Scandalo e psicoanalisi in realtà non sono
facilmente scindibili. L'oggetto stesso della
psicoanalisi è lo scandaloso, l'inaccettabile.
Per questo fu essa stessa scandalosa.
Se abbiamo presente che significa vivere
in camicia inamidata, portare un cilindro
sulla testa ed inchinarsi ad ogni incontro,
anche quando ti verrebbe di mandarli "a
fan culo", abbiamo compreso tanto "disagio
da civiltà", altro tormentone della
teoria freudiana, che spiegherebbe il perchè
delle nevrosi attraverso l'opposizione di
"cultura" e "natura",
di "spirito" e "materialità",
di "dovere" e "piacere".
Già da questo il lettore dovrebbe intendere
che la produzione freudiana non fu solo una
psicologia diversa, ma anche un modello culturale, un'antropologia,
per tanti aspetti una filosofia. Questo spiega
sia la sua influenza sulla cultura del '900,
sia l'estensione e la qualità dei suoi critici
e dei suoi oppositori, opposizione che non
investe solo alcuni settori della psicologia
ma, comprende filosofi e letterati, religiosi
e studiosi di molte discipline.
In questo file ci occuperemo tuttavia solo
di psicoanalisi. Rinviamo ai file su Freud gli approfondimenti sulla cultura psicoanalitica.
Il primo elemento che differenzia la psicoanalisi
da tutti gli studi psicologici precedenti
consiste, dunque, nel riconoscere che l'attività psichica
non ha origine ( e quindi non può trovare
spiegazioni) solo nelle sensazioni studiate dalla fisiologia
e dalla neurologia. Pensieri e soprattutto sentimenti sono ritenuti come dotati di relativa autonomia.
Pertanto le cause dei malesseri psichici
trovano una localizzazione diversa da quella
semplicemente fisica o nervosa, ad esempio
nell'interpretazione che ognuno da alle proprie
esperienze ed al proprio vissuto, anche se,
sovente, essi si convertono in sintomi fisici.
Si pensi, ad esempio, all'isteria[isteria] già menzionata, uno dei primi casi clinici
con cui Freud ebbe a che fare. Una certa
medicina dell'ottocento aveva ipotizzato
che essa fosse una malattia di tipo schiettamente
femminile e che fosse dovuta a malformazioni
uterine. Lo stesso termine, isteria, è di
origine greca e deriva dalla parola che significa
"utero".
Oggi si preferisce distinguere tra diverse
categorie diagnostiche ed è improprio parlare
di isteria.
Abbiamo così tra le altre: i disturbi di
conversione, i disturbi di dissociazione,
i disturbi di somatizzazione, le malattie
immaginarie e dunque l'ipocondria.
La conversione, ad esempio, trasforma, secondo
teorie che non sono più strettamente psicoanalitiche,
ma devono alla psicoanalisi molte ipotesi
fondamentali, un malessere psichico in un
malanno fisico.
Represse sul piano psichico, alcune emozioni
negative che procurano angoscia e sensi di
colpa sia razionali, (ho fatto davvero qualcosa
di male!) sia irrazionali (ho fatto qualcosa
che la cultura dominante giudica "male",
ad esempio, mi sono masturbato) sfociano
in una paralisi d'organo, in una forma di
mutismo e così via.
La conversione dovrebbe servire a placare
l'ansia ed in generale l'individuo colpito
dalla patologia potrebbe anche trarne beneficio
in quanto ogni lesione procura, o dovrebbe
procurare (al giorno d'oggi non si sa mai),
comprensione e cura da parte degli altri
ed una diminuzione delle responsabilità.
Sarebbe interessante ad esempio fare una
statistica di donne che hanno abortito non
per motivi terapeutici, ma sociali, familiari
od egoistici, e vedere in quale misura si
è instaurato un senso di colpa e quali effetti
ha prodotto.
Ma queste statistiche non si fanno per l'ovvio
motivo che sono al di là della cultura e
della sensibilità degli antiabortisti ed
allo stesso tempo procurano qualche problema
di coscienza agli stessi sostenitori del
"meglio un aborto, che è pur sempre
una cosa sbagliata, che una vita d'inferno".
Prima Breuer e poi Freud, che collaborò per qualche tempo
con Breuer, compresero che l'isteria aveva
cause di tutt'altra natura e che questa andava
indagata specificamente. Non solo, lo stesso
Freud dimostrò più tardi che esiste un'isteria maschile.
Sarebbe tuttavia sbagliato vedere in questa
posizione, che trae sicuramente ispirazione
dalle idee del filosofo Franz Brentano, le cui lezioni Freud seguì a Vienna, una
sorta di fondazione "idealistica"
della psicoanalisi.
A mio avviso la fondazione della psicoanalisi
è tipo medico perchè Freud era soprattutto
un medico fortemente impressionato dal carattere
anomalo di patologie psichiche con una eziologia che, rimanendo all'interno del quadro teorico
dell'ottocento, non riusciva a dar conto
delle cause inafferrabili della patologia
stessa.
In realtà tutta la teoria della sessualità
infantile si basa, ad esempio, sulla individuazione
delle zone erogene del corpo del bambino
che, come vedremo, passa attraverso diverse
fasi di sessualità.
Disturbo psichico e immaturità sono spesso
alla base di ogni patologia: la nevrosi è sintomo di immaturità come mancato sviluppo
di una fase particolare.
Inoltre non può sfuggire, ancora ad esempio,
che una semplice depressione non passeggera,
ma costante nel tempo, non possa essere riportata
semplicemente a sensazioni contingenti ma,
affondi le proprie radici in qualche evento
passato di importanza fondamentale per il
soggetto depresso.
Il secondo elemento caratterizzante consiste
nel fatto che la ricerca delle cause del
malessere psichico non si limita ai processi coscienti, ma si rivolge ad interrogare l'inconscio individuale, dunque le esperienze fondamentali
di un singolo individuo, a partire però dal riconoscimento che queste
stesse esperienze non sono presenti nella loro profondità e nella loro complessità
alla coscienza normale dello stesso, come del resto non sono presenti
nella coscienza normale degli individui che
hanno rapporti con quello considerato.
Far emergere questi contenuti costituisce
dunque il compito specifico della psicoanalisi.
Gli strumenti via via adottati da Freud,
che ha proceduto per esperienze e tentativi,
sono stati in primo luogo l'ipnosi, poi la libera associazione di parole e di pensieri, consistente nel
vedere quali parole e quali pensieri venivano
spontaneamente al paziente stimolato dallo
psicoanalista, ed infine l'interpretazione dei sogni.
Non a caso uno delle opere più importanti
di Freud rimane "L'interpretazione dei sogni".
Per la verità, come sottolineò Freud, l'inizio
della psicoanalisi coincise con l'abbandono
dell'ipnosi. Ma non si trattò di un ripudio
esplicito ed è per questo che nel file su
Freud avanzo alcune ipotesi.
Fu l'interpretazione in generale, quindi
non solo quella ristretta alle fantasie oniriche,
ma estesa a tutte le dichiarazioni del paziente,
che venne a costituire in certo senso l'arte
e la scienza dell'analista.
Freud, in una suggestiva metafora, richiamò
l'archeologia come modello. La psicoanalisi è un lavoro
di scavo negli strati della psiche.
Riaffiorano reperti. Ma qual'è il loro il
loro significato, a quale epoca risalgono?
L'importanza centrale che viene data al vissuto
infantile è persino ovvia. Noi siamo quello
che siamo in virtù di uno sviluppo che è
stato facile, difficile, controverso, negato,
bloccato, incoraggiato o gravemente osteggiato.
Dal vissuto infantile possiamo pescare qualunque
tipo di animale sottomarino, qualsiasi mostruosità
abissale, come pure qualsiasi bellezza celestiale.
Nel modello esplicativo dell'isteria si afferma
che le isteriche hanno sofferto di un trauma
di natura sessuale, spesso un tentativo di
seduzione da parte del padre. Ma il trauma
è così precoce che il soggetto non è in grado
di recepirlo e rappresentarlo. Rimane sul
fondo, come evento difficilmente verificabile,
incorporato in mezzo a mille altri ricordi,
nascosto.
Avviene così, talvolta, che durante la pubertà
si verifichino eventi che immediatamente
riportano ad associare il presente al passato
remoto. In tal caso le reazioni energetiche
al trauma infantile riaffiorano e rientrano
in circolo, dando luogo a manifestazioni
neurotiche la cui causa rimane inconscia.
Il problema, tuttavia, è che di ciò che emerge
dal racconto frammentario possiamo non fidarci.
La menzogna del paziente è una forma di difesa,
un modo di attirare l'attenzione, un espediente
per mostrare l'unicità della propria esperienza.
Non tutti mentono, ma moltissimi mentono,
o cominciano a sparare "cazzate"
da un certo momento in poi, alternando verità
e fantasie, mescolando verità e fantasie.
In Freud la fantasia assume comunque una
realtà, che è come dire che " a forza
di parlarne, anche un evento mai accaduto
è accaduto sul serio, quantomeno nella psiche
del paziente."
Seguire il paziente anche su questo piano
può essere importante. L'affermazione diviene
il sintomo della negazione, cioè di cosa
non si è verificato, ma ci sarebbe piaciuto
un sacco.
Se non si sospetta l'inganno non si può nemmeno
interpretare. Ma come destreggiarsi? Come
non vedere che l'incoerenza è dovuta sia
a dati oggettivi (una mente disturbata da
fobie non può mai essere totalmente lucida)
sia a fattori soggettivi, alle intenzioni
ed ai propositi.
Alcune fobie, poi, potrebbero essere state
inventate di sana pianta.
Conosco una persona che disse di avere il
terrore dell'ascensore. Fu con grande sorpresa
che dopo pochi giorni la vidi uscire dall'ascensore
di un edificio pubblico come se nulla fosse.
Un'amica psicoanalista mi ha candidamente
confessato che quando la psicoanalisi era
una moda e le signore bene andavano a farsi
analizzare per non essere da meno delle altre,
esse finivano per "giocare". Gioco
dispendioso, e gli analisti facevano bene
a farsi pagare profumatamente in questi casi.
Ma dietro al gioco c'è sempre qualcosa ed
in tal caso l'insoddisfazione per il partner,
ed anche per l'amante, per Ambrogio l'autista,
per Richard Gere che sostituisce l'autista
ma solo nella fantasia.
Se il sospetto è una componente essenziale
dell'interpretazione più smaliziata, anche
il suo opposto viene ad assumere una importanza
decisiva. Si deve credere a quello che emerge
tutte le volte che si prova la sensazione
di avere a che fare con persone che sono
veramente al collasso.
Attualmente lo stress è uno dei fattori che contribuiscono maggiormente
ad alterare lo stato psichico di un individuo.
Non è assolutamente vero che faccia bene, come ho letto da qualche parte, svolazzando
sui siti medici del web.
Accettare sfide è un conto; caricarsi di
sfide, sentirsi sfidati ad ogni piè sospinto
dalla catena di disfunzioni, di illogicità,
di irrazionalità che presiedono all'organizzazione
del lavoro e dei servizi nella società italiana
attuale, specie nelle istituzioni che avevano
un carattere totale fino a poco tempo fa
(vedi sanità, ferrovie, poste, uffici pubblici)
è tutt'altro.
La ricerca dell'efficienza a tutti i costi,
anche quando i materiali sono scadenti e
le procedure richieste continuano ad essere
burocratiche; la "tolleranza zero"
con gli errori degli altri, quando è manifesto
che vi una tolleranza mille nell'indulgere
a considerare il proprio atteggiamento come
"rigoroso" ed "esigente",
quando è solo distante dalla realtà, diventano
coefficienti di stress che moltiplicano all'infinito
le penalizzazioni ed inducono a perdere quella
poca autostima che l'individuo è riuscito
a costruirsi nel tempo.
Sembrerebbe che il numero di "inadeguati"
ai nuovi modelli sia destinato a salire,
anche grazie alle tecniche di mobbing, brillantemente descritte da Doriana.
L'interpretazione non è quindi solo un'arte,
e nemmeno risponde semplicemente a modelli
"neutrali" di pretesa scientificità,
ma è politica, sociologica, culturale, umana,
oltre che, ovviamente, medica e psicoanalitica.
L'analista dovrebbe sapere che la sua analisi
deve essere concreta e riferirsi ad una situazione concreta. Ma questo non sempre può accadere, sia
perchè l'analista è impreparato a sostenere
l'urto del nuovo e del paradossale, sia perchè
la manifestazione di nuove anomalie psichiche
è sempre in anticipo su qualsiasi modello teorico.
Poichè in nessun caso un buon analista potrebbe
e dovrebbe presumere di avere in mano la
verità ma, solo una ipotesi più plausibile
e più fondata di altre, è anche evidente
che la terapia psiconalitica, esattamente come aveva prescritto
Freud, è dall'inizio e per lungo tempo non-interventista,
passiva, una forma di paziente attesa, interrotta
solo da qualche stimolo o da qualche domanda
non sempre diretta.
Il rituale di un tempo, che oggi è sempre
meno impiegato, prevedeva che il paziente
si sdraiasse sul lettino e che l'analista
si mettesse alle spalle, onde evitare che
gli sguardi si incrociassero, che l'occhio
penetrasse il cuore o tradisse qualche emozione.
Quello che deve accadere, la guarigione,
o meglio l'inconscio che affiora all'attenzione
del conscio del paziente stesso, non può essere suggerito, o mostrato, o indicato,
quindi in nessun caso dettato, dall'analista,
nemmeno da una mimica facciale.
L'analista ascolta, il paziente parla. Il
discorso del paziente prima o poi finirà
con l'arrivare al punto decisivo.
Tra paziente ed analista non c'è una vera
dialettica, l'analista non si può permettere
di obiettare, insinuare, dare consigli non
richiesti. In definitiva egli "sa",
o comunque possiede supposizioni vicine alla
verità, ma deve deontologicamente tacere e mostrarsi ignaro.
E' questo silenzio che provoca la parola.
Non resta che attendere.
L'ideale sarebbe un risveglio di consapevolezza
da parte dello stesso paziente. Ma qui è
il difficile.
Difficilissmo che accada qualcosa del genere
perchè il paziente si aspetta che le soluzioni
arrivino dall'analista mentre questi si aspetta
che arrivino dal paziente e dal suo dire
frammentario.
Nel quadro del rapporto tra paziente ed analista
va data grande importanza al transfert, ovvero alla relazione speciale che viene
a stabilirsi tra paziente ed analista , specie
se le sedute sono frequenti e sono di tipo
individuale, a tu per tu.
Esso sorge oggettivamente. Durante le sedute,
o anche prima, infatti, il paziente comincia
a formarsi delle aspettative, non sempre
irrazionali per la verità, sul conto dello
stesso analista, e spesso queste stesse si
tingono di emotività. L'analista diviene
il padre, la madre, il professore, l'autorità
e, come vedremo studiando la seconda topica,
una sorta di super -ego.
Nel silenzio del super-ego si legge spesso,
per usare una metafora, lo stesso silenzio
che sconvolge il credente che ha posto una
domanda a Dio e non ha ancora ricevuto una
risposta. L'equivalenza analista - Dio non
è affatto blasfema.
Andare dall'analista è un po' come rimettersi
totalmente nelle mani di Dio quando non si
hanno più risorse, non si sa più che fare,
non si cerca altro che un qualcuno che si occupi finalmente di noi. A costo di pagarlo, cioè di fare sacrifici.
Attualmente assistiamo alla tendenza di sostituire
la terapia con gli psicofarmaci, sia per
ragioni di tempo, sia per motivi di risparmio,
sia perchè ingenuamente si crede al potere
miracoloso della chimica farmaceutica.
Ciò mi sembra sbagliato per diversi motivi,
non ultimo quello che essi, oltre a provocare
scompensi di altra natura, non vanno alla
radice del problema; semplicemente lo allontanano
per un po'. Si può inoltre stabilire un'assuefazione
che provoca dipendenza e, dunque decadenza
fisica.
Se somministrato con cautela lo psicofarmaco
può aiutare all'inizio a debellare gli stati
d'ansia. Ma poi dobbiamo mettere immediatamente
in atto misure diverse.
Nell'impossibilità economica o pratica (mancanza
di tempo, orari impossibili) di rivolgersi
ad un'analista, che ci farebbe parlare, credo potrebbe essere un buon sistema scrivere
od anche registrare su cassetta tutto quello
che ci viene in mente procedendo noi stessi
con il metodo delle libere associazioni,
od anche con quello della scrittura automatica,
cioè immediata, non ragionata.
Questa pratica, lungi dal metterci in contatto
con entità astrali e spiriti di chissà quale
provenienza, è un buon sistema per liberare,
scaricare emotivamente quello che abbiamo
dentro. Unico consiglio: cerchiamo di considerare
anche il prodotto della scrittura automatica
con razionalità e distacco.
Cerchiamo semmai di provare, in un secondo
tempo, un approccio letterario alla nostra
vita, anche solo tenendo un diario.
La scrittura è una medicina ineguagliabile
sotto diversi aspetti e se, impiegata per
ricordare, può portarci a rivivere momenti
focali della nostra infanzia o della nostra
adolescenza, momenti nei quali si è verificato
il blocco.
Per questo credo "nel fai da te",
anche se, purtroppo, in molti casi, potrebbe
essere illusorio pensare di farcela da soli.
Comunque sarebbe sempre meglio un tentativo
di questo genere piuttosto che la terapia
basata su psicofarmaci.
Spesso si stabilisce un transfert senza nemmeno
entrare in rapporto di analisi.
Io non ho i titoli per fare l'analista e
quindi non faccio analisi. Mi occupo di antropologia
ed etnologia nel tempo libero e tutto quello
che so in chiave psicologica è frutto di
un esame all'università preceduto e seguito
da letture e studi privati. Per diversi motivi
finisco spesso con l'entrare in rapporto
con persone che soffrono la loro solitudine.
Ecco allora che lentamente si realizza un
transfert non voluto; ecco che la mia comprensione,
il mio non giudizio, il mio silenzio, diventano
stimoli per le confessioni più singolari;
verità e menzogna si confondono, inevitabile
sospettare, ma il filo del racconto si snoda
ed ogni passaggio è sintomo. La vita è un
sintomo di carenze, mancanze, vuoti, che
spesso sono riconducibili a quella mancanza di autenticità che pare essere la piaga più grande del
nostro tempo.
E' qui che l'opposizione classica di natura
e cultura, spiegata da Freud come causa fondamentale
del disagio da civiltà, si potrebbe forse
risolvere in modo del tutto differente da
un semplicistico ritorno alla natura, ai
tarzanismi ed alle comuni di nudisti.
Tornare ad essere un filo più naturali non
implica necessariamente nemmeno il libero
amore od il seguire a tutti i costi tutte
le pulsioni momentanee. E' una rinuncia all'ipocrisia
che potrebbe esprimersi nel silenzio.
A volte non possiamo dire tutto quello che
pensiamo per evitare di risultare sgradevoli,
o farci dei "nemici" rancorosi
per nulla.
Benissimo: taciamo, prendiamo le distanze,
leviamo le suole. Ma non fingiamo più.
Non siamo autentici, ma cerchiamo l'autentico
nell'altro, che non si trova mai. Dietro
a quella folle rincorsa all'identità che
caratterizza le masse c'è spesso il rifiuto
di essere quello che si è, non persone, cioè
non maschere, personaggi per una recita,
ma individui, semplicemente esseri umani.
Va da sè che si danno diversi livelli di
questa ricerca di identità.
Dalla ragazza che si trucca secondo uno standard
dettata dalla star di turno al filosofo che
non si sente bene se non si definisce "heideggeriano",
o "decostruzionista", o "poststrutturalista",
all'impegnato che deve definirsi "verde",
ma liberal, non fanatico, non "animalista",
non vegetariano, non fondamentalista, insomma
chi se ne frega!!!
Io ti valuto per i tuoi comportamenti non
per quello in cui dici di credere, non per
come declini il resto delle tue presunte
generalità. La tua fede ed il tuo credo non
mi interessano, o meglio, mi interessano
fino ad un certo punto, mi interessa infatti
capire se tu hai visto anche i limiti ed il marcio che c'è in quello in
cui credi.
Devo dire che queste cose sono note all'inconscio,
sia collettivo (in senso junghiano) che individuale.
La gente sa che c'è del marcio in igni ismo, ma l'ha rimosso e nel rimosso c'è la difesa
di sè stessi. Ammettere che ogni medaglia
ha un'altra faccia come Giano bifronte è
come ammettere di aver cercato un'identità
sballata, priva di senso, quando il senso
vero è che non c'è alcun piacere che non
comporti un dolore ed alcun bene che non
porti con sè qualche male. Più difficile
vedere che non c'è male che non rechi qualche
bene, ma chi ha davvero vissuto e non solo
"dormito" potrà ben raccontarlo.
In questo marasma, allora, la psicoanalisi,
deve aggiornarsi, deve capire perchè il bisogno
del travestimento, della metamorfosi, del
cercare una nuova definizione od un nuovo
look sia così importante e vitale per tanta
gente. Deve capire quali problemi comporta
e da cosa derivi l'insoddisfazione di sé.
Essere semplicemente se stessi comporta il
rischio di passare inosservati. Ciò che ad
una persona realmente matura potrebbe apparire
un bene inestimabile, la tranquillità, diviene
in una persona affamata di mondanità e riconoscimenti,
un male, un handicap dovuto sia insicurezza
(ma è la spiegazione più banale) sia ad un
bisogno reale ed urgente di stima da parte
degli altri come premessa ad ogni relazione.
Credere che la relazione sia superflua è
sbagliato. Bisognerebbe distinguere tra diversi
tipi di relazione, da quella strumentale
( ad esempio: io ed il mio barbiere) che
pure non sarà mai esclusivamente strumentale,
perchè io ed il mio barbiere dialoghiamo
spesso in modo profondo, reciprocamente utile,
piacevole, a quella di amicizia, a quella
d'amore.
Anche l'inserimento in un gruppo, che spesso
ostenta caratteri distintivi forti come l'abbigliamento,
il piercing, i gusti musicali, oppure l'attività
(sportiva, culturale, ludico-dopolavoristica,
religiosa o spiritualistica, politica) presenta
diversi ostacoli. E' pressochè impossibile
che nel gruppo stesso non vi siano, per così
dire, personaggi irritanti o sgradevoli,
pettegoli, intrusivi, autoritari o persino
violenti.
Una figura particolarmente fastidiosa è quella
del predicatore. Difficile accostarsi ad
un gruppo di tipo religioso o spiritualista
senza imbattersi in quello che "ha capito
tutto" ed interviene a sproposito per
spiegarti in modo totalmente acritico, spesso
confusionario, sovente ai limiti del ridicolo,
come funziona il mondo ed anche l'altro mondo.
Tutto questo pone problemi di inserimento
che a torto vengono giudicati come "disadattamento".
Vi sono individui ipersensibili che piuttosto
che digerire certi rospi, dal predicatore
all'energumeno che ti da pacche sulle spalle,
o sbraita come il Gabibbo, oppure ulula nella
notte, o ti insidia la ragazza, preferiscono
appartarsi, cercarsi amicizie elettive e
selettive, attendere che accada qualcosa.
Aperta e chiusa questa parentesi sul disagio
da civiltà, che io ritengo di interpretare
in modo più attuale, ed anche meno astratto,
come disagio da ipocrisia, torniamo all'analisi.
Il problema più consistente che lo psicoanalista
deve affrontare ad un certo punto del trattamento
analitico è quello della trasmissione della
sua interpretazione al paziente. Se, come
accade nella stragrande maggioranza dei casi,
il paziente non arriva da sè al nocciolo
del suo problema, si arriva ad un punto in
cui diviene insistente, urgente, indispensabile
una spiegazione.
Non sempre è chiaro come, e, soprattutto,
come finirà se... Tuttavia bisogna sbloccare
la porta chiusa. Fornire almeno una soluzione
provvisoria.
Freud stesso descrisse due situazioni: 1)
quella del paziente che di fronte all'interpretazione
dice: <<No, non è questo che intendevo
dire.>> 2) quella del paziente che
dice: <<Sì, è vero, è questo che intendevo
dire.>>
In entrambi i casi, commenta Freud, dobbiamo
pensare negativo. Nel primo caso siamo probabilmente
ancora lontani dall'aver compreso il problema.
Oppure l'abbiamo compreso, ma il paziente
è refrattario ad ammetterlo. Nel secondo
caso è molto probabile che il paziente stia
giocando a nascondino. Ammette per evitare
di arrivare al cuore del problema, sostanzialmente
perchè ha timore di arrivarci sul serio.
L'analista rischia di fornire, egli stesso,
ulteriori meccanismi di difesa e di copertura
con la sua intrusione interpretativa.
A ben guardare non ci sono regole. Ogni situazione
è un caso a sè.
Ogni passo in avanti rischia di mutarsi in
un passo indietro.
Ciò porta ad un altro problema ancora: quando
finisce l'analisi e perchè possiamo dichiararla
finita.
Non è semplice rispondere. In teoria l'analisi
dovrebbe terminare con la guarigione del
paziente, il suo reinserimento in una normalità
esistenziale che ammetta comunque qualche
particolarità non del tutto "normale".
Ma questo non solo non accade sempre, ma
non accade che sporadicamente, per miracolo:-)))
Nella maggioranza dei casi il paziente è
solo leggermente migliorato, più consapevole,
meno insicuro.
Conosce l'interpretazione che l'analista
gli ha porto, e noi non possiamo realmente
sapere se egli l'abbia accettata oppure no.
Possiamo allora dire che l'analista può cominciare
a comprendere qualcosa in più scandagliando
il tipo di investimento affettivo che il
paziente sta attuando o si propone di attuare.
Si tratta di verificare su quale figura,
quale settore, quale interesse, richiama
ora la sua attenzione.
Constatare, ad esempio, che egli o ella non
fanno che ritornare sui loro passi, che in
nuovi legami affettivi essi cercano solo
un sostituto dell'oggetto di delusione che
tuttavia rassomigli il più possibile all'oggetto
originario, può voler dire che il paziente
non è guarito affatto, si sente solo un po'
meglio, ma prima o poi ricadrà in depressione.
Se al contrario constaterà una forma di superiore
realismo, ecco che potrebbe decidere, se
non per una guarigione, quanto meno per una
lunga e redditizia fase di convalescenza.
Bene: siamo alla fine. Quella finora descritta
è, in soldoni, e piuttosto all'ingrosso,
la psicoanalisi classica, quella avviata
da Freud e standardizzata dagli ortodossi.
Spero che il lettore apprezzi lo sforzo di
aggiornamento critico, frutto delle mie esperienze,
e parimenti, lo specialista apprezzi l'obiettività
dell'esposizione, oltre che le proposte "sul
fai da te" per metterci una pezza.
In generale consiglierei chiunque senta il
bisogno di un trattamento analitico di rivolgersi
al miglior analista in circolazione e non
badare a spese.
Oppure di rivolgersi allo psicologo della
mutua, accettando quello che passa il convento.
Ovviamente c'è differenza, ma io non credo
che i poveri, per intenderci, abbiano davvero
bisogno dello psicoanalista, perchè l'indigenza
che costringe a lavorare è di per sè la miglior
cura per rimanere coi piedi per terra.
Tuttavia noi abbiamo un fondamentale bisogno
di tempo libero dal lavoro, per utilizzarlo
sia in senso ricreativo che culturale, insomma
per goderci davvero la vita.
Leggere questa necessità semplicemente come
conflittuale tra principio di piacere e principio
di realtà è ormai inattuale. Il piacere di
vivere è una realtà ed il dispiacere di non
vivere altrettanto. Forse è su questo che
dovremmo spostare l'attenzione.