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La filosofia politica di Karl Popper 1
La critica della dialettica hegeliana e dello storicismo

di Renzo Grassano
Indubbiamente, con la critica alla concezione dialettica originata Hegel, Popper colse un bersaglio importante.
Com'è noto, Hegel parlò del pensiero dialettico come un processo che si sviluppa attraverso tre fasi: la tesi, l'antitesi e la sintesi.
Ogni tesi produce la sua antitesi, ovvero la sua negazione. Da tale confronto emergerebbe una sintesi, la quale da un lato "toglie" e dall'altro "aggiunge", sia alla tesi che all'antitesi, dando luogo insieme ad una conciliazione ed ad un superamento: è l'Aufhebung hegeliano.
La sintesi supera le contraddizioni tra tesi ed antitesi, affermando sempre qualcosa di più profondo e comprensivo.
Secondo Popper questa descrizione della dialettica è una semplificazione inaudita sia della realtà che dei processi mentali.
Il suo method of trial and error è cosa assai diversa, anche se, apparentemente, potrebbe accostarsi alla dialettica hegeliana.
Secondo Popper, infatti, il confronto tra un'idea, diciamo una tesi, e la sua negazione, la sua antitesi, non porta ad una sintesi, ma all'eliminazione dell'idea sbagliata.
Si tratta del ben noto metodo della "falsificazione" di una teoria.
Secondo Popper, chiunque avanzi una qualsiasi teoria, dovrebbe avere l'onestà mentale di indicare tutte le sue possibili confutazioni, cioè, mostrare tutto ciò che potrebbe smentirla. E' l'onestà di fondo degli scienziati, contrapposta alla disonestà intellettuali degli ideologi ed alla confusione dei mistici.

Evidentemente, il trial and error è qualcosa di ben diverso dalla dialettica hegeliana.
Ma c'è ancora un elemento di differenza: il trial and error si può applicare a qualunque situazione in cui siano presenti più di una tesi. La dialettica hegeliana trasporta sul piano della realtà qualcosa che nella realtà non c'è mai in modo così semplice.
Nella realtà, piuttosto, possono darsi pluralità di tesi, indipendenti l'una dall'altra e nemmeno necessariamente opposte tra loro.
Inoltre, secondo la dialettica hegeliana, ogni tesi produce la sua antitesi nel movimento dello spirito.
Nel metodo popperiano, l'antitesi, cioè tutto ciò che potrebbe smentire l'affermazione, avviene nella nostra stessa mente, la quale ordina i pensieri, sia propri che altrui. Siamo noi, i soggetti del pensiero, a cercare le obiezioni al nostro stesso costrutto mentale.
Si comprende, dunque, che, per Popper, la dialettica hegeliana è una mistificazione dell'autentico procedere scientifico.
In particolare, Popper concentra l'attacco sul concetto di contraddizione.
I sostenitori della dialettica hegeliana, tra questi Engels (si veda l'utilissimo scritto di Marenco), giudicano superato il principio di non-contraddizione formulato da Aristotele, demolendo così alle fondamenta la logica classica.
Hegel credeva di aver inventato la logica dialettica, che avrebbe voluto essere, allo stesso tempo, una dialettica dello sviluppo storico del pensiero, una teoria logica ed una visione del mondo.
Di fronte a questa assurda pretesa, Popper evidenzia che la vera contraddizione, in realtà, ci obbliga a scegliere: non ci rassegnamo di fronte ad essa ed abbandoniamo ogni teoria che presenti qualche contraddizione.

La dura presa di posizione nei confronti dell'edificio logico-dialettico hegeliano si estende a Marx.
La dialettica di questi, infatti, sarebbe contrassegnata da una "vaghezza" che consente alla teoria stessa di inglobare ogni sviluppo ed ogni contraddizione, persino ciò che potrebbe smentirla.
Ed in proposito, Popper se ne uscì con una espressione lapidaria: «Qualsiasi sviluppo si adatterà allo schema della dialettica; il dialettico non deve mai temere una qualsiasi confutazione da parte dell'esperienza futura. » (1)

Una volta liquidata la dialettica hegelo-marxista, Popper si rivolse allo storicismo, che è il tipico prodotto di un approccio dialettico alla storia. Secondo il suo stesso racconto, egli aveva maturato queste idee già negl anni '20, ma le mise per iscritto solo più tardi. La rivista Mind rifiutò di pubblicarle e lo scritto uscì solo per merito di F. von Hajek.
L'"attraente struttura intellettuale" dello storicismo è "un metodo povero, un metodo che non può portare ad alcun frutto". (1)
Ma cosa intende Popper per storicismo? Essenzialmente le filosofie della storia di Hegel, di Marx e di Comte, ma con particolare riguardo a Marx. Ma non risparmia nemmeno John Stuart Mill, come vedremo. Poi vengono Spengler e la sociologia di Mannheim.
Nella prefazione all'edizione italiana, egli precisa che Croce "non è affatto menzionato". «La ragione è che ammiro Croce, specialmente per il suo comportamento durante il fascismo, e poi che non ne so abbastanza su di lui per poterne direw qualcosa che valga la pena. Sono certamente d'accordo non solo col suo liberalismo ma anche col suo atteggiamento critico verso il positivismo; sono invece in disaccordo col suo hegelismo. perciò devo lasciare ad altri il compito di analizzare quanto siano coincidenti o divergenti il suo uso ed il mio del termine "storicismo".» (1)

Infatti, per Popper il termine viene prevalentemente impiegato per significare una teoria che pretende di fare previsioni storiche.
Secondo lo stesso filosofo la miglior confutazione di questa pretesa si trova in Postcript: After Twenty Years alla Logic of Scientific Discovery.
Ma nella stessa Prefazione a The Poverty of Historicism, Popper fornisce quella che chiama una traccia di questa confutazione dello storicismo, sintetizzando 5 proposizioni che riporto pari pari:
«1. Il corso della storia umana è fortemente influenzato dal sorgere della conoscenza umana. (La verità di questa premessa deve essere ammessa anche da coloro che nelle nostre idee, comprese quelle scientifiche, altro non vedono se non il sottoprodotto di sviluppi materiali di questo o quel genere.)
2. Noi non possiamo predire, mediante metodi razionali o scientifici, lo sviluppo futuro della conoscenza scientifica. (Questa asserzione può essere logicamente provata in base ad alcune considerazioni che seguono.)
3. Perciò, non possiamo predire il corso futuro della storia umana.
4. Ciò significa che dobbiamo escludere la possibilità di una storia teorica; cioè, di una scienza sociale storica che corrisponda alla fisica teorica. Non vi può essere alcuna teoria scientifica dello sviluppo storico che possa servire di base per la previsione storica.
5. Lo scopo fondamentale dello storicismo (vedi i paragrafi 11-16 di questo libro) è, quindi, infondato. E lo storicismo crolla. » (1)

Naturalmente, Popper non nega che si possano fare previsioni sociali di ogni genere. "Al contrario -scrive ancora - esso è perfettamente compatibile con la possibilità di provare teorie sociali - per esempio le teorie economiche - predicendo che certi sviluppi avranno luogo in certe condizioni. L'argomentazione nega soltanto la possibilità di predire sviluppi storici nella misura in cui essi possano venire influenzati dall'accrescimento della nostra conoscenza."

Le radici della presunzione storicista si possono trovare addirittura nel pensiero antico, in Esiodo, Eraclìto, Platone: «esse esprimono uno dei più antichi sogni dell'umanità: il dono della profezia, l'idea che possiamo sapere cosa ci riserva il futuro e avvantaggiarci di tale conoscenza uniformando ad essa la nostra linea di condotta.» (1)
Pertanto, questo modo di pensare profetico-oracolare non ha carattere moderno, ma è un residuo antico, privo di scientificità.
La critica di Popper si concentra in particolare contro l'olismo, cioè la pretesa di parlare del tutto, inteso come un tutto unico ed organico.
Secondo Popper, gli interi possono essere descritti attraverso la scelta di alcuni suoi aspetti, quelli che gli danno l'apparenza di una struttura organizzata invece che di una confusa accozzaglia. Ciò ha fatto, per esempio, la scuola psicologica della Gestalt.
Ma l'olismo pretende di studiare la totalità ed averne pieno possesso. In questo sta l'errore. «Se desideriamo studiare qualcosa siamo costretti a sceglierne alcuni aspetti. Non ci è possibile osservare o descrivere un pezzo intero del mondo, o un pezzo intero della natura, anzi, nemmeno il minimo pezzo intero, poiché la descrizione è sempre necessariamente selettiva. » (1)

Nelle note al testo, Popper cita significativamente la Weltanschauungslhere di H. Gomperz. dove questi scriveva che " un pezzo del mondo, come ad esempio un passerotto che svolazzi inquieto può essere descritto con le seguenti diversissime proposizioni, ognuna corrispondente ad un aspetto diverso: "Questo uccello vola" "ecco un passerotto che svolazza" "Guarda, ecco qui un animale!""Qui, qualcosa si muove!" "Qui si sta trasformando dell'energia." "Questo non è il moto perpetuo."
"Poverino, ha paura."
E' chiaro che non potrà essere compito della scienza tentare di completare una simile lista, che sarebbe necessariamente infinita.
Anche in base a queste considerazioni (che a me paiono poco pertinenti, tutto sommato, visto che esiste ad esempio uno strutturalismo!) Popper nega serietà e severità all'approccio olistico assestando ancora un colpo: «Avendo tralasciato questo punto, essi insistono nel dire che lo studio "di dettagli insignificanti" fatto dallo specialista va completato con un metodo "integrante" o "sintetico" che abbia per scopo di ricostruire "l'intero processo"; e dichiaravano che " la sociologia continuerà a non riconoscere la questione essenziale fintanto che gli specialisti si rifiuteranno di vedere con sguardo d'insieme tutto quanto un problema." Ma questo metodo olistico rimane per forza allo stato di programma. Non viene mai citato un solo esempio di una descrizione scientifica situazione sociale concreta ed intera. Ed infatti una simile citazione non può esserci, poiché in ogni singolo caso sarebbe sempre facile indicare aspetti trascurati, che pure in qualche contesto avrebbero la loro importanza. » (1)

Popper contesta agli olisti che dietro al loro "sogno" mistico di rappresentare la totalità sociale si nasconde la pretesa di controllare in ogni aspetto la società.
«Essi predicono che "la potenza dello stato dovrà necessariamente aumentare finchè stato e società saranno quasi identici". L'intuizione espressa in questo passo è chiara. Essa è l'intuizione totalitaria. La predizione ci trasmette questa intuizione, ma, a parte questo, che cosa significa? Il termine società comprende naturalmente tutti i rapporti sociali, compresi quelli personali; il rapporto di una madre con il suo bambino, così come il rapporto con l'uno o con l'altro di un assistente sociale.
Per svariati motivi è impossibile controllare tutti, o "quasi" tutti, questi rapporti; se non altro perché ogni volta che controlliamo dei rapporti sociali ne creiamo di altri in una quantità che a sua volta va controllata. Cioè, l'impossibilità è una impossibilità logica. » (1)

Alla pretesa di riplasmare l'intera società degli ingegneri olistici, in particolare K.Mannheim, contrappone la meccanica sociale " a spizzico"ovvero l'ingegneria sociale gradualistica (piecemeal social engineering).
Chi lavora a spizzico non si pone grandi obiettivi. e qualunque siano i suoi scopi, li vuole raggiungere tramite piccole correzioni ed aggiustamenti.
"Come Socrate, il meccanico a spizzico sa quanto poco sappia. Sa che è soltanto dai nostri errori che possiamo imparare. Perciò avanza un passo alla volta, confrontando con cura i risultati previsti con quelli effettivamente raggiunti e stando sempre in guardia per avvistare le le inevitabili conseguenze non volute di ogni riforma; ed eviterà di intraprendere riforme di una complessità e di una vastità tali che sia impossibile per lui districare le cause e gli effetti, e sapere che cosa sta veramente accadendo."

Uno degli errori più evidenti dello storicismo, imputabile in particolare ai positivisti, sta nell'aver confuso leggi e tendenze.
Ed è Comte che si riferisce quando fa dire agli storicisti che le sole leggi della società universalmente valide "devono essere leggi che fanno da anello di congiunzione fra un periodo e l'altro. Debbono essere leggi di sviluppo di sviluppo storico che determinano la transizione da un periodo all'altro."
Una tendenza, anche se durata migliaia di anni, come nel caso dell'aumento costante della popolazione, può cambiare di punto in bianco. Ed in effetti, in Occidente è cambiata. Questa non può essere una legge.
"Ecco, possiamo dire l'errore centrale dello storicismo. Le sue leggi dello sviluppo si rivelano essere tendenza assolute, tendenze come leggi, che non dipendono dalle condizioni iniziali, e che irresistibilmente ci trascinano in una certa direzione in futuro." Profeti nei quali purtroppo si è creduto.

Citando, non a caso, lo storico H.A.L. Fisher, autore di una Storia d'Europa pubblicata anche in Italia (Bari, 1961) Popper esprime il proprio pensiero con le parole dello storico: "Gli uomini... hanno creduto di vedere nella storia, volta a volta, una trama, un ritmo, un disegno predeterminato... Io riesco solamente a vedervi un susseguirsi di congiure..., un solo grande fatto, rispetto al quale, poiché è unico, non può esserci generalizzazione alcuna."
Provocatoriamente, Popper chiede: "Come può essere confutato questo ragionamento?"
Risponde: «Fondamentalmente vi sono due posizioni che possono essere prese da coloro che credono in una legge dell'evoluzione. Essi possono a) negare la nostra tesi che il processo evoluzionario è unico; oppure b) affermare che in un processo evoluzionario, anche se è unico, possiamo percepire una corrente, o tendenza, o direzione, e che possiamo formulare una ipotesi che asserisce questa tendenza, e provare l'ipotesi in questione per mezzo delle esperienze future. Le due posizioni a) e b) non sono incompatibili fra loro. La posizione a) risale ad un'idea antichissima: l'idea che il ciclo vitale - nascita, infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia e morte - si riferiscano non solo ad animali e a piante individuali, ma anche alle società, alle razze, e forse perfino "al mondo intero." di questa dottrina antica si servì Platone nella sua interpretazione della decadenza e caduta delle città greche e dell'impero persiano. Se ne servirono pure Machiavelli, Vico, O. Spengler, e recentemente se ne è servito il professor Toynbee nel suo affascinate A Study of History. Dal punto di vista di questa dottrina, la storia si ripete, e le leggi del ciclo vitale della civiltà, per esempio, possono essere studiate allo stesso modo che studiamo il ciclo vitale di certe specie animali. E' una conseguenza di questa dottrina, sia pure non voluta dai suoi autori, che la nostra obiezione basata sulla "unicità" del processo evoluzionario o storico cessa di essere valida. Ora, io non intendo negare che talvolta la storia può anche ripetersi in certi suoi aspetti ( e sono certo che non lo intende negare neppure il professor Fisher nel passo citato), e che il parallelismo fra certi tipici eventi storici, come il sorgere delle tirannie nella Grecia antica e nei tempi moderni, possa essere significativo per lo studioso della sociologia del potere politico.» (1)

Questa lunga citazione serve ad introdurre la polemica specifica contro i positivisti, più Mill che Comte, di certo, perché il secondo è già passato alla storia come un sociocratico totalitario, mentre il primo brilla ancora, a seconda dei casi, per la sua teoria della libertà o per il suo suo semi-socialismo (secondo la felice formula del mio amico Marenco).
Ebbene, anche in Stuart Mill, secondo Popper, c'è un vizio storicista di non lieve entità, che tra l'altro si fonda persino su proposizioni della sua Logica, e che quindi si presenta più pericolosamente di Comte, in quanto più raffinato.
Popper attacca in Mill la cosiddetta quasi-legge di successione.
Vedremo nel prossimo file in cosa consista la confutazione popperiana.

(continua)

note:
(1) Karl Raimund Popper - Miseria dello storicismo - Feltrinelli 1975

RG - 17 febbraio 2004