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F. Engels (1820-1895)
di Guido Marenco
Friedrich Engels nacque a Barmen (Wuppertal) nel 1820. Il padre era un industriale. Formatosi in un clima pietistico e bigotto, sin da adolescente cercò di emanciparsi da una condizione esistenziale piuttosto grigia e si dedicò alla scrittura di testi letterari e poesie, specie dopo l'adesione all'associazione culturale "Giovane Germania" di Heinrich Heine.
Il padre voleva che il figlio proseguisse la sua attività economica e pertanto, dopo il ginnasio, lo avviò ad imparare il mestiere di industriale presso un socio di Brema. Da quel momento Engels condusse una sorta di doppia vita divisa tra lavoro e studi filosofici e letterari.
In seguito alla lettura della Vita di Gesù di David Strauss perse la fede e dopo breve si accostò al circolo dei "Giovani hegeliani" di Berlino.
Nel 1842 compose un'opera anonima su Schelling, (Schelling e la rivelazione) in cui sostenne l'inconciliabilità tra la fede cristiana e la filosofia.
Ma è solo dopo la lettura dell'Essenza del cristianesimo di Ludwig Feuerbach che abbandonò le concezioni idealistiche della sinistra hegeliana per il materialismo propugnato da Feuerbach.
Nel frattempo fu quasi obbligato dal padre a trasferirsi a Manchester per occuparsi dello stabilimento tessile di famiglia.
Nel 1844 riuscì ad andare a Parigi dove conobbe Marx (si dice che il primo incontro fu piuttosto freddo) ed i socialisti francesi.
Fu in quell''occasione che egli aderì al socialismo.
Nel 1845 scrisse "La condizione della classe operaia in Inghilterra", testo di grande rilievo per la comprensione della condizione di abbruttimento e di sfruttamento cui erano sottoposti i lavoratori a metà dell'ottocento.
Nel 1845 iniziò a collaborare stabilmente con Marx, scrivendo alcune parti della Sacra famiglia, dell'Ideologia tedesca e del Manifesto del partito comunista.
Fu quindi in questo periodo che il pensiero di Engels si aprì alla concezione materialistica della storia, condividendo con Marx le tesi di fondo ovvero: che la storia è storia di conflitti di classe, che la coscienza non è determinata dalle idee ma che le idee sono un prodotto delle circostanze sociali e delle condizioni materiali in cui si trovano gli individui, e che infine lo sviluppo stesso delle forze produttive, in primis le cognizioni teoriche-pratiche, le stesse abilità dei lavoratori, entrano in conflitto coi rapporti di produzione storicamente dati.
Sicchè il ruolo rivoluzionario del proletariato non è determinato soggettivamente, dalla volontà o dall'idea, ma oggettivamente, cioè dalla stessa logica della produzione capitalistica, che da un lato tende ad abbruttire la condizioni dei lavoratori e provoca il loro crescente impoverimento. Ma dall'altro, allargando sempre più il carattere sociale della produzione, finisce coll'affermare il carattere centrale della forza-lavoro nel processo di produzione e quindi prepara da sè stessa la propria fine, o meglio, il proprio superamento.
L'accento della critica cade anche sul carattere anarchico e quindi irrazionale del modo di produzione capitalistico, il quale è spreco di risorse, lavoro socialmente superfluo, destinato quindi a crisi cicliche di sovrapproduzione.
In quest'ambito il movimento comunista è, secondo il pensiero di Marx e di Engels, un movimento reale di lavoratori, che coscientemente agisce per accellerare soggettivamente, attraverso lotte e giuste rivendicazioni, il carattere oggettivo delle cosiddette "contraddizioni" del capitalismo.
Dopo diverse vicessitudini tornò a Manchester per dirigere lo stabilimento. Come capitalista fu un eccellente imprenditore. Da quel momento soccorse fraternamente Marx in perpetue difficoltà economiche e spesso costretto a far litigare il pranzo con la cena alla sua numerosa famiglia.
Dal 1870 cessò completamente di lavorare e si dedicò all'impegno politico e culturale operando alacremente anche all'organizzazione della Prima e della Seconda Internazionale dei lavoratori.
In questa fase Engels scrisse le sue opere più importanti, in particolare l'Anti-Dühring, raccolta di articoli pubblicati in parte sul Vorwaerts, organo centrale della socialdemocrazia tedesca in occasione di una campagna lanciata dallo stesso per contrastare l'influenza delle idee del prof. Dühring su molti militanti socialisti in quanto confusionarie e disorientanti.
Questo testo ebbe una grande fortuna e secondo Kautsky rappresentò una sorta di Vangelo del movimento socialista.
In effetti migliaia di quadri ed attivisti del movimento operaio, che mai lessero il Capitale e le altre opere di Marx, si formarono teoricamente nella lettura e nello studio di questo libro, nel quale la teoria di Marx è magistralmente riassunta e spiegata.
E' in questo testo, tuttavia, che si possono notare alcune differenze tra il pensiero di Marx e quello di Engels, in particolare nella concezione stessa della filosofia, che per il giovane Marx ( autore dei Manoscritti economico-filosofici) si sarebbe dovuta realizzare nel comunismo, come realizzazione dell'uomo integrale liberato dalle sue catene storiche sociali, dalle sue limitazioni, che supera ogni forma di alienazione; mentre per Engels la filosofia era semplicemente dialettica e logica, avendo il progresso delle scienze, sia quelle esatte che quelle descrittive, sia quelle sociali e politiche che quelle storiche, ormai reso inutile la stessa filosofia ed in particolari tutti i "sistemi" metafisici.
Non è provato che Marx condividesse queste posizioni e anzi molti studiosi sono convinti che le opere giovanili di Marx, mai ritrattate dallo stesso, siano in netta contrapposizione ai lavori del maturo Engels.
Su questa distinzione è venuta poi creandosi una frattura tra marxismo occidentale (Lukasc, Korsch, Gramsci) e marxismo-leninismo sovietico, diventato poi ideologia di stato.
Io propendo col credere che questa distinzione non sia del tutto fondata in quanto è indubbia una evoluzione del pensiero di Marx, il quale distinse con molto chiarezza, ad esempio, la sua "scienza storica", il materialismo storico, da tutta la filosofia precedente, compresa quella hegeliana.
Del resto il modo in cui Marx ed Engels insieme liquidano tutta l'ideologia tedesca nell'omonimo libro, cioè tutte le filosofie della sinistra hegeliana centrate sul problema dell'autocoscienza e quindi della realizzazione della filosofia nell'individuo autocosciente, ma considerato astrattamente e non concretamente, nelle sue date e particolari condizioni, non dovrebbe lasciare ampio margine di dubbio: la coscienza è determinata dalla prassi, se la condizione umana dei lavoratori impedisce una prassi integrale, è solo riappropriandosi della prassi integrale, che si realizza l'uomo libero, in una società diversa.
Le incertezze circa una reale differenza tra il pensiero di Marx e quello di Engels sono allora addebitabili al fatto che Engels espresse idee del tutto originali ed affrontò argomenti mai toccati da Marx.
Il pensiero di Engels nei suoi tratti più originali pare anzi un tentativo di sintesi tra un residuo dialettico di hegelismo, una sorta di nucleo razionale e realistico del pensiero di Hegel, e il positivismo nascente. Naturalmente non il positivismo di Comte e dei filosofi come Stuart Mill, ma l'atteggiamento positivistico degli scienziati, dal medico Claude Bernard a Charles Darwin.
Tuttavia, e qui esprimo un parere del tutto personale, la distanza tra Engels e J.S Mill non è così grande come potrebbe sembrare in quanto l'uno liberale e l'altro comunista.
Stuart Mill non rifiutò aprioristicamente il socialismo, e nei suoi Principi di economia politica, espresse la convinzione che fosse possibile arrivare ad una più equa distribuzione dei profitti tra imprenditori e lavoratori.
Engels criticò duramente questa impostazione, attaccandola in Dühring, senza tuttavia nominare Mill. Secondo Engels, non ha senso separare la sfera della produzione, del modo di produzione, da quella della distribuzione. E' il modo di produzione che determina non già la distribuzione dei profitti, ma lo scambio che avviene tra capitale e lavoro.
Comunque sia, Engels e Stuart Mill esprimono, in fondo, una concezione positiva della filosofia, la limitano, come disciplina, ai problemi non-metafisici, ed entrambi sono perfettamente consapevoli che i problemi dei lavoratori potranno essere risolti solo dai lavoratori stessi.
La posizione di Engels può destare più di una perplessità, ma in realtà essa nasceva da preoccupazioni e motivazioni piuttosto consistenti.
In primo luogo egli ravvisava nelle scienze, o meglio, in alcuni gruppi di scienziati, un approccio ancora metafisico che doveva essere corretto.
L'espressione di questa "metafisica" era data dalla sconnessione tra una scienza e l'altra e dal carattere statico di talune scienze, incapaci, per dirla come Stuart Mill, di essere non solo denotative, ma anche connotative, in grado cioè, ad esempio di comprendere che se l'anatomia è necessaria per descrivere analiticamente il corpo umano (denotativa), è con la fisiologia, che studia il funzionamento dinamico ed i nessi, che connotiamo un tipo di scienza veramente utile e realistica.
L'accento era posto da Engels sulla necessità di una ricerca dei nessi tra una scienza e l'altra per realizzare una comprensione unitaria della realtà storica e naturale.
Questa correzione di approccio poteva avvenire solo attraverso il riconoscimento preliminare del movimento stesso della materia, la quale non è inerte, eternamente immutabile, ma viva, dunque "dialetticamente" operante e soprattutto "unitaria".
A mio avviso può generare confusione chiamare il movimento reale dialettica della natura, anzichè semplicemente evoluzione delle forme viventi e processi fisici o reazioni chimiche.
In questo è evidente una posizione che in Marx non è altrettanto palese: quella secondo cui non solo la storia, ma anche la natura si sviluppi dialetticamente originando una storia naturale.
Ecco allora l'influenza del darwinismo su Engels, che tra l'altro mostra in numerosi passi dell'Anti-Dühring di possedere una approfondita conoscenza dei lavori darwiniani, a differenza dello sprovveduto Dühring.
In quest'ambito egli distingue altresì una dialettica oggettiva, propria della natura e della storia umana, ed una dialettica soggettiva, propria del pensiero umano che non è altro da un riflesso di ciò che accade all'esterno.
Questa teoria del riflesso, o del rispecchiamento, sarà più tardi ripresa da Lenin e costituisce una vera e propria teoria della conoscenza, cosa che mancava nell'originale pensiero di Marx, per il quale il formarsi della coscienza sembrava "saltare" il passaggio della conoscenza, essendo questo determinato dalle condizioni oggettive.
E' importante osservare, inoltre, che il rispecchiamento non è solo un'altra forma di empirismo, per il quale, cioè ci si limita a prender atto che...abbiamo fatto esperienze, ma prevede un momento di riflessione in grado di costruire una teoria razionale sulla base dei dati raccolti. Dunque in Engels, come in generale in tutta la cosiddetta corrente dei "materialisti dialettici", è ben ferma la convinzione del ruolo della razionalità capace di dedurre ipotesi dai "dati" e trasformarle in tesi.
La critica ai limiti dell'empirismo, in particolare quello inglese, con riferimento soprattutto a Hume è quindi condotta con sagacia.
In Engels è chiaro che la conoscenza non può prescindere dall'uso corretto dell'armamentario teorico razionale di cui dispone l'uomo, il quale ricava le sue congetture sulla base di una riflessione.
Relativamente alla dialettica oggettiva della natura proprio nell'Anti-Dühring Engels enunciò tre leggi:
1) La legge della trasformazione della quantità in qualità.
2) la legge dell'unità ( o compenetrazione) degli opposti.
3) la legge della negazione della negazione.
In realtà nessuna di queste "leggi" fu una scoperta di Engels in quanto tutte sono "momenti" della logica e della dialettica hegeliana.
Engels quindi si limitò a trasporle nel campo della interpretazione della natura e ciò pare per certi aspetti inspiegabile, o altrimenti spiegabile solo con la necessità di differenziare il materialismo dialettico dal materialismo rozzo e "metafisico" di tutti i materialismi precedenti.
Così facendo, però, si introduce una vera e propria distorsione preliminare nell'interpretazione dei fatti naturali, nella quale la contraddizione, cioè il semplice conflitto interno alla coerenza di un discorso, oppure la discordanza tra discorso e stato dei fatti, viene ad essere oggettivata in natura, ad esempio nella sequenza del chicco che deve morire, cioè negarsi, per dar luogo alla pianta, come se chicco e pianta fossero condizioni antagonistiche e non distinte fasi invariabili di sviluppo dello stesso ente.
Che Engels abbia dunque introdotto anche elementi di confusione è fuor di dubbio.
Questa sovrapposizione delle categorie dialettiche hegeliane, del gergo hegeliano, allo studio della natura mette radicalmente in discussione il principio di non-contraddizione di Aristotele ed anche quello di identità proposto da Leibniz, principi che sono invece alla base di ogni conoscenza "chiara e distinta" delle articolazioni del reale. Il chicco rimane il chicco di quella pianta e non può essere il chicco di un'altra. Il chicco è già la pianta in potenza. La pianta non muore come chicco, semplicemente entra in una fase di pieno dispiegamento, diventa atto. La condizione di chicco è solo la gestazione della pianta, non la sua negazione.
Engels enfatizza specie nelle prime pagine dell'Antidühring il ruolo della dialettica, nega esista una causalità determinata, che egli definisce "statica", e propende per una spiegazione del movimento fisico e naturale fondata su "azioni" e "reazioni" dinamiche che costituisce il nesso di tutta la realtà.
Definisce il meccanicismo newtoniano, e lo stesso Newton, come pensiero metafisico ed arriva a citare Spinoza e Descartes come pensatori dialettici!!!
A parte queste gravi imprecisioni, dovute ad una scarsa conoscenza dei testi della storia della filosofia e probabilmente ad una insufficiente meditazione su questi, vi è però da dire che Engels dimostra una certa profondità di pensiero.
Tuttavia il risultato in questa notevole confusione non può che essere "confusionario".
Ad esempio: se è vero che il movimento degli enti naturali è determinato da catene di azioni e di reazioni, e che l'ambiente condiziona, o addirittura "nega", nel senso che si oppone, (si pensi ad una stagione di siccità) lo sviluppo delle piante e l'incremento della fauna, è anche vero che i motivi dello sviluppo dei singoli elementi sono già contenuti in uno schema predeterminato, nel quale non vi è davvero alcuna traccia di dialettica oggettiva di tipo hegeliano e dove le possibili variazioni non sono frutto di una negazione della negazione, ma di processi di adattamento.
Inoltre a me pare che i principi della meccanica classica non possono essere in alcun modo definiti come "metafisici" od "astratti" senza ricadere in alcune ridicolaggini hegeliane.
Uno dei momenti centrali del pensiero di Engels fu dunque la critica al "meccanicismo" scientifico e filosofico, esigenza certamente giusta non solo nell'ambito della ricerca teorica materialistica, ma in generale.
Ma solo in parte riuscì a cogliere il bersaglio, sia perchè la dialettica hegeliana è essa stessa fonte di confusione linguistica ed introduce superflue ridondanze che impediscono la chiarezza e la semplicità di discorso, sia perchè non credo abbia molto senso prendersela con Newton per attaccare il meccanicismo e l'astrattezza statico-metafisica di alcune scienze nell'ottocento.
Sempre ad Engels dobbiamo imputare una enfatizzazione del carattere scientifico della interpretazione materialistica dei processi storici, peraltro già presente in Marx, ma non con questa accentuazione. Nell'"Evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza" Engels propone di intendere la teoria marxiana come scienza storica e sociale di stampo deterministico, in grado di prevedere cioè l'ineluttabilità del futuro solo in base ai movimenti economici, allo sviluppo dei conflitti di classe, al crescere delle cosiddette contraddizioni oggettive.
In Marx in realtà, alcune incertezze, corrispondono al possesso di un senso della possibilità, sia soggettivo sia oggettivo, che nell'Engels maturo, paiono scemare, anche se in misura minore rispetto ai suoi successori.
Una parte del problema che Marx ed Engels lasciarono ai loro eredi è stato scovato e descritto da Eric J Hobsbawn nel saggio Gli aspetti politici della transizione dal capitalismo al socialismo (Storia del marxismo, Einaudi, vol I)
Riportiamo un passo importante:« Marx ed Engels rifiutarono costantemente, in modo attivo e polemico, l'approccio tradizionale della sinistra rivoluzionaria loro contemporanea, ivi compresi tutti i socialsti precedenti, un approccio che non aveva ancora perduto ogni attrattiva. Essi respinsero le semplicistiche dicotomie di coloro che intendevano sostituire una società buona ad una cattiva, il razionale all'irrazionale, il bianco al nero. Rifiutavano modelli programmatici aprioristici proposti dalle diverse correnti della sinistra, non trascurando di osservare che mentre ogni tendenza aveva un proprio modello, che giungeva a volte a comprendere le più elaborate schematizzazioni utopistiche, pochi di questi modelli concordavano tra loro.
Rifiutavano inoltre la tendenza a inventare modelli operativi fissi, prescrivendo ad esempio la forma esatta del cambiamento rivoluzionario e dichiarando illegittimi tutti gli altri...Rifiutarono, insomma, ogni forma di volontarismo avulso dalla storia.»
Ora tutto questo è certamente antidogmatico e lascia quindi spazio alla libera interpretazione oggettiva delle situazioni a chi di volta in volta vi è coinvolto.
Tuttavia può destare qualche perplessità il silenzio di Engels sul partito in quanto strumento soggettivo, soggetto di iniziativa politica e non semplice sala d'attesa per aspettare il treno oggettivo dello sviluppo storico.
Personalmente concordo con chi pensa che quando non si sa cosa dire sia meglio tacere, però questo è un rilievo che ritengo accettabile nel senso che, una volta stabilito che non si tratta solo di attendere gli sviluppi degli eventi, ma si tratta di dare una coscienza ed un senso della direzione ad un movimento reale che cambia il presente, e che già c'è, secondo la ben nota formula marxiana del comunismo, il problema organizzativo non è eludibile e non si risolve con la semplice propaganda per conquistare adepti in perenne attesa "apocalittica".
Sarà poi Lenin a risolverlo, ma in condizioni del tutto eccezionali, che prescindevano dall'esperienza storica concreta delle organizzazioni socialdemocratiche dell'occidente e che dunque non parevano facilmente esportabili senza forzature e veri e propri drammi. Non è solo l'intellettuale ad essere insofferente alla disciplina "esagerata" dei partiti marxisti. Il consenso si conquista con il dibattito. Dirà Gramsci che è il massimo di tolleranza all'interno, che consente la compattezza e la disciplina verso l'esterno.
Ma nei partiti sia occidentali che orientali accadde sistematicamente il contrario. I capi si considerarono infallibili come il Papa. La storia del movimento comunista ricalcò la storia della chiesa cristiana: riforme, scomuniche, controriforme, scissioni, tolleranza zero anche nei confronti del dissenso corretto.
Ciò che infine va ad indubbio merito di Engels è la sua perentoria e chiarissima presa di posizione nei confronti di ogni censura e di ogni persecuzione di tipo religioso. Egli criticò espressamente Dühring per il suo totalitarismo e i suoi propositi di proibire la religione (e dunque perseguitare i religiosi).
Una delle grandi menzogne della storia, e cioè quella che nel pensiero di Marx e soprattutto di Engels, vi siano posizioni totalitarie e negatrici della libertà democratiche andrebbe dunque demistificata.
Se nei paesi comunisti prese piede una forma intollerabile di totalitarismo, bisogna cercare le cause nei teorici del marxismo russo, oltre che in una mentalità da paese accerchiato che prese piede dopo la morte di Lenin, specie tra i cosidetti ideologhi, che forse hanno dato più importanza alla Repubblica di Platone che ai testi di Marx ed Engels.
Certo: nei testi marxisti si parla espressamente di dittatura del proletariato.
Il problema sta nel capire cosa intendessero Marx ed Engels con questa formula, se una società totalitaria, o solo un momento di transizione.
La dittatura del proletariato era nel pensiero dei due teorici del movimento comunista una fase storica necessaria per arrivare all'estinzione dello stato. Il fine era dunque l'estinzione dello stato stesso come ultima espressione di una società umana incapace di autoregolarsi e fondarsi sulla maturità degli esseri umani.
Dunque un'utopia, se si vuole, ma un'utopia di tipo liberale nel vero senso del termine, che comunque rifuggiva dallo statalismo come si è poi affermato nei paesi dell'est.
Allo stesso tempo, nel pensiero di Marx ed Engels, non erano la stessa cosa la critica alla proprietà privata ai mezzi di produzione e la considerazione di tutte le proprietà individuali legittimamente acquisite.
Che poi, oggi, l'interpretazione "marxista" della realtà possa sembrare superata, lacunosa, monotematica è dunque tutt'altra questione.
Demolito il carattere scientista, cioè la pretesa infallibilità che essa assunse, la teoria marxista rimane una teoria, probabilmente migliore di molte altre chiavi di interpretazione delle realtà storico-sociali. Utilissima sia ai lavoratori, che agli stessi imprenditori, che in generale a chi comprende che la lotta di classe non è un'invenzione di Marx ed Engels, ma un dato concreto della storia umana fino ad oggi.
Essa può essere enfatizzata oppure può essere ridimensionata a seconda delle circostanze. Una società che valorizza il lavoro, l'ingegno, che riconosce la fatica, che provvede alla giustizia, che difende i deboli e gli ingenui dalle prevaricazioni e dagli imbrogli, può ovviamente continuare ad articolarsi in classi sociali senza particolari problemi di conflittualità. Una società governata da un'accolita di imbroglioni ed affaristi, "sporchi capitalisti e forchettoni della rendita" nel vero senso della parola, ignari della responsabilità sociale che comporta il ruolo dell'imprenditore, non può che riprecipitare nel conflitto, il quale comporta degli altissimi costi sociali ed economici, e del quale, non sempre, si possono conoscere gli esiti in anticipo.
gm - 25 ottobre 2000 - rivisto il 17 febbraio 2002