Convegno della Consulta nazionale di Bioetica
a Novi Ligure (3-4 maggio 2013)
Tra la lenta e sofferta fine della segregazione
femminile e la crisi dell’identità maschile
Interessante e capace di
stimolare riflessioni
all’altezza del presente.
In due pomeriggi
veramente densi, i partecipanti
hanno ricevuto
forse più di quanto ci
si sarebbe potuto
aspettare dalla nostra
cultura accademica,
tradizionalmente portata
a separarsi e rinchiudersi
in compartimenti stagni,
ossia “specializzazioni”.
Sicché, dopo una prima
giornata che, muovendo
dalla poesia e dal teatro,
approdava al formarsi
della coscienza, e di una
specifica autoconsapevolezza
femminile, nel secondo
pomeriggio, venivano
alla luce importanti elementi
di autocritica
maschile.
Margherita Robino, docente a Genova di Teatro
e Drammaturgia dell’Antichità, apriva la
Lectio magistralis con una rassegna degli “infiniti punti di
vista” sullo scandalo ormai insopportabile
della violenza contro le donne. Giustamente
poneva un primo accento sulla “metis” di
Penelope, la sua fiduciosa attesa del ritorno
di Odisseo, ossia una spiccatissima capacità
intuitiva in grado di divinare il futuro.
Purtroppo, rilevava Robino, proprio la “metis”
non venne premiata, non essendo in grado
di immaginare il seguito al futuro divinato.
Dopo le note vicende, lo sterminio dei Proci,
la straordinaria notte d’amore che coronò
i decenni d’attesa, Odisseo annunciò la sua
nuova partenza. La donna a cui tocca un uomo
simile, come si potrebbe raccontare?
Al di sotto, di questa
lettura realmente
straordinaria, rispetto
alla quale verrebbe
da dire che l’autore, pur
essendo “maschio”,
rivela genuina sensibilità
per la condizione
femminile, apparvero ignobili
rappresentanti
di quel maschilismo dozzinale
che abbonda
sulle bocche degli sciocchi.
Ecco la posizione
misogina di un poeta come
Simonide, che non
riesce a combinare di meglio
che una tipologia
di psicologie “animali”.
Abbiamo la donna
“scrofa”, “volpe”, “cagna”,
”asina”, “gatta”,
“cavalla” e scimmia”. Da
cui conclude che
“il più gran male che dio
fece furono le
donne”. Nel V° secolo a.C.
la misoginia diventò
diffamazione e si accentuò
il fenomeno del
matrimonio-mercato. Al
di là di quello che
appare e traspare dai testi
delle tragedie,
nei quali compaiono figure
di carattere deciso
come Antigone, Ifigenia
e Medea, la realtà
sociale della condizione
femminile, sia tra
i poveri che tra i ricchi,
era quella della
segregazione. Il teatro
e nemmeno la filosofia
dicono allora tutta la
verità? Rimangono,
in ogni caso, scritture
maschili.
Il primato della scrittura
maschile, ovvero
della rappresentazione
di figure femminili
attuate da autori maschili,
è durato 2400
anni. I sensori colgono
segnali di crisi
soltanto con Ibsen a fine
Ottocento. 2400
anni, in cui, sostanzialmente,
non accade
nulla di rilevante, nemmeno
Metastasio e
Shakespeare. Ibsen, un
maschio, liberò la
scrittura teatrale femminile,
mettendo in
scena una voce di donna
realmente di donna,
una donna in carne ed ossa,
e non una sua
caricatura ideologica.
Ibsen ebbe dunque il merito di sdoganare
ciò che da tempo giaceva sottotraccia, nell’inconscio
dei maschi più inquieti e riflessivi. Nora,
la protagonista della Casa di bambole, termina la feroce requisitoria contro la
vanità maschile che dovrebbe far arrossire
di vergogna tutti coloro hanno considerato
le donne unicamente come oggetto. Come bambole
con cui trastullarsi.
Sul tema della crisi dell’identità maschile,
proprio a partire dalla vergogna per “limiti
personali” emersi nell’affrontare la vita
di coppia, si è sviluppata la Lectio magistralis di Eugenio Lecaldano dell’Università di
Roma. “Ero stato educato ad essere il centro
della vita familiare”. Approccio di estrema
onestà che andrebbe apprezzato, perché in
genere i filosofi trascurano il proprio vissuto,
e svolazzano nei vissuti degli altri con
pretesa di oggettività, raggruppandoli in
insiemi forti, un po’ come quel Simonide,
poeta misogino di cui s’è detto.
Lecaldano, tuttavia, rimane un filosofo,
e tende quindi ad usare il vissuto per sostanziare
visioni proprie che vorrebbe universali.
Sicché, ci si trova subito di fronte ad un
aut aut: accettare o respingere l’identificazione
tra ragione e maschilismo, tra sentimento
(buono, trascurando quelli cattivi come l’odio)
e femminilità. Lecaldano auspica quindi l’affermazione
crescente della femminilità intesa prevalentemente
come sentimento contro la ragione maschilista.
Occorre femminizzare la società per renderla
finalmente meno violenta e quindi buona.
Gran parte della sua argomentazione, in questa
occasione, si è appoggiata alla proposta
di rilettura del lavoro dello psicologo darwiniano
Steven Pinker - The Better Angels of Our Nature – non ancora tradotto in Italia. Testo significativo
perché lo psicologo evolutivo riconosce il
proprio errore precedente: aver dato troppa
importanza al darwinismo sociale ed alla
competizione tra gli individui, ed aver trascurato
simpatia ed empatia, che sono sentimenti
e non espressione della forza e della ragione
maschile. Non si tratta di sconfessare Darwin,
ma di recuperare una sua intuizione trascurata
sull’incidenza dei sentimenti nella selezione
naturale.
Per Pinker, ed anche Lecaldano,
le organizzazioni
criminali sono espressioni
della tracotanza
maschile, mentre i movimenti
pacifisti sono
di matrice femminile. Per
Pinker, ed anche
Lecaldano, si può misurare
scientificamente
il tasso di femminizzazione
di una società
mediante il ricorso all’incidenza
dell’autodeterminazione.
Quando finalmente sono
le donne a decidere
come quando avere figli,
si entra in una
nuova età dei diritti.
Per Lecaldano, è maschilista
la dottrina
cattolica sulla sacralità
della vita, predicata
senza se e senza ma, sempre
e a dispetto
di ogni circostanza. L’obiezione
di coscienza
alla 194 (interruzioni
di gravidanza) è il
caso più eclatante di violenza
contro le
donne. Non tanto perché
nega il diritto delle
stesse all’autodeterminazione,
ma perché
trascura il dovere morale
del medico di rispondere
a chi chiede un aiuto in
una situazione di
gravissima difficoltà.
“Dobbiamo chiedere
al medico di relazionarsi
alla donna che
ha di fronte.” “La moralità
è caso per caso”.
Gestire ogni situazione
in modo burocratico,
appellandosi a principi
e non alla propria
umanità in definitiva,
è questo il problema.
Ora, rispetto a tutto questo
fervore umanistico
invero ammirevole, eventuali
obiezioni rischiano
di guastare la festa e
tagliare le ali alla
farfalla dei buoni sentimenti
appena uscita
dal bozzolo. Eppure, l’obiezione
più semplice
non può essere taciuta.
Dividere gli esseri
umani in modo secco tra
maschi egoisti e
raziocinanti e donne benevole
e straripanti
di buoni sentimenti, non
corrisponde alla
realtà concreta. Non esiste
una matematica
femminile, un’astronomia
femminile, una fisica
femminile. Le eccellenze
femminili nei settori
di ricerca scientifica
usano il logos usato
dai maschi, a volte meglio
e a volte peggio.
Analogamente, anche i maschi
sanno amare
in maniera diversa dai
gelosi possessivi
che trattano le donne come
bambole, e forse
è vero che ci sono donne
che trattano gli
uomini come fossero bamboli.
Ogni rovente
discussione, il più delle
volte, si risolve
con un invito a ragionare,
spesso è la donna
a risultare più ragionevole.
Novi Ligure - 5 maggio
2013
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