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Mozi: un Cielo simile a Dio simile all'uomo?
di Guido Marenco

 


Mozi non promosse il teorema della "bontà umana originaria", dimostrando così di avere un realistico senso della storia umana, che tendenzialmente procede in avanti ma, spesso torna indietro e conosce fasi di ristagno. «L'epoca attuale è un ritorno ai tempi antichi in cui l'umanità era appena nata e non v'erano ancora né capi né governanti. Si diceva allora: "A ciascuno il suo senso di quanto è giusto sotto il Cielo." Così per un uomo v'era un senso del giusto, per dieci ve n'erano dieci, per cento ve n'erano cento. E più gli uomini proliferavano, più le idee che si facevano del senso del giusto proliferavano in proporzione, in quanto ciascuno considerava il proprio sentire come giusto, e non quello altrui, sicché tutti si giudicavano reciprocamente in errore.
Nelle famiglie, padri e figli, fratelli maggiori e minori erano divisi dall'ostilità reciproca. Tutti erano dominati da sentimenti discordi che non si riusciva a conciliare, cosicché si disperdevano le energie disponibili invece di usarle per aiutarsi, si occultavano le tecniche valide invece di insegnarsele a vicenda, si lasciava marcire il sovrappiù invece di spartirselo. Nel mondo intero regnava un selvaggio disordine.
Poiché non esistevano le distinzioni tra sovrani e sudditi, superiori ed inferiori, vecchi e giovani, né le relazioni rituali tra padri e figli, fratelli maggiori e minori, nel mondo imperava il disordine. Era l'assenza di capi e governanti del popolo che potessero unificare il senso del giusto l'evidente ragione di tale disordine. Ecco perché si giunse a scegliere un uomo dotato delle migliori qualità, della massima saggezza e dell'intelligenza più perspicace per designarlo come Figlio del Cielo, in modo che tutte le azioni si compissero in virtù di un senso del giusto unico e comune a tutto l'universo.» (1)
Anche il principio del "Figlio del Cielo" non funzionò perché, una volta istituita la "carica", essa divenne meta ambita anche da violenti e spregiudicati cospiratori, ciarlatani ed imbroglioni, riproducendo la situazione di anarchia e di caotica competizione esistente in precedenza nella "società incivile". Tuttavia, Mozi decise di insistere sul dettato del "Figlio del Cielo", non vedendo altre soluzioni possibili. Denunciò la degenerazione del sistema "reale" al quale gli insegnamenti di Confucio serviva da comodo sgabello e paravento, dall'altro prese a pennellare di tinte fosche e pessimistiche la natura umana, evidenziando la necessità di una "guida celeste".

In realtà, Mozi venne a teorizzare un "dovrebbe essere" che ad ogni piano dell'organizzazione sociale, pensata ancora in forma piramidale, corrispondesse un "giusto" in opere e pensieri. "Giusto" il padre di famiglia, "giusto" il capo della comunità, "giusto" il funzionario, "giusti" i consiglieri del principe, giustissimo il Figlio del Cielo, dal quale emanano le direttive. Così dovrebbe essere, e non è mai stato in nessun tipo di organizzazione sociale storicamente studiabile.
Il problema, arrivati a questo punto, è da sempre lo stesso: cosa garantisce che "Il Figlio del Cielo" sia davvero "uomo dotato delle migliori qualità, della massima saggezza e dell'intelligenza più perspicace"? La soluzione di Mozi poggiò su due pilastri: la divinizzazione del Cielo, mediante la sua "personalizzazione", e l'antropomorfizzazione del divino. Al di sopra dell'umanità vi è solo il Cielo, e questo non è una realtà astratta ed indefinibile ma, un pensiero, una volontà, un entità in grado di scrutare gli uomini nel loro intimo. «Cos'è che il Cielo desidera maggiormente, e cos'è che maggiormente detesta? Il Cielo desidera il senso del giusto, e detesta ciò che vi è contrario. Se dunque induco il popolo ad agire secondo il senso del giusto faccio ciò che il Cielo desidera. E se agisco secondo il desiderio del Cielo, il Cielo mi ricompenserà agendo secondo il mio desiderio.
Coloro che si conformano alla volontà del Cielo sono solleciti gli uni verso gli altri, cercano di beneficiarsi a vicenda e sono dunque certi di essere ricompensati; coloro che si contrappongono alla volontà del Cielo provano soltanto odio reciproco, non fanno che depredarsi a vicenda e possono dunque essere certi che saranno puniti...
Maestro Mozi ha detto: "La volontà del Cielo è per noi ciò che il compasso è per il carradore e la squadra per il carpentiere. Il carradore e il carpentiere prendono il loro compasso e la loro squadra per misurare universalmente cerchi e quadrati dicendo: 'Quello che vi corrisponde è vero, quello che non vi corrisponde è falso'. "»

E' una posizione di tutto rispetto ma, ha il grave difetto di trascurare che il Cielo non premia affatto gli individui onesti, gli operatori di pace e di verità. Se accade, è raro che accada. E' la solita vecchia storia che si ripete uguale. Una volta istituita la "carica" più ambita, anche i più sprovveduti di saggezza ed intelligenza aspirano ad occuparla. Se dalla "carica" si passa alla "cattedra", il discorso non muta di tanto, pur concedendo al sapiente ed all'istruito una superiore abilità nel somministrare i pesi da far portare agli "altri".
A Mozi, tuttavia, va riconosciuto l'indubbio merito di aver combattuto con tenacia la posizione arrendevole e rinuciataria iscrivibile al "fatalismo" che serve da "giustificazione". «Come sappiamo che il fatalismo è la via dei tiranni? Nel passato i poveri erano assillati dalla preoccupazione di mangiare e di bere; ma erano pigri nel lavoro. Così conoscevano i tormenti causati dalla mancanza di abiti e di cibo, dalla fame e dal freddo. Questo accadeva perché erano incapaci di dire: "non ho fatto abbastanza sforzi, non sono stato abbastanza assiduo nel mio compito." Invece di questo, inevitabilmente dicevano: "E' mio destino ineluttabile restar povero." I tirannici sovrani del tempo passato non ponevano limiti ai piaceri dei loro sensi né alle intenzioni perverse dei loro cuori, e non ascoltavano i moniti dei loro genitori. Ciò comportava la perdita del loro paese e la caduta del loro governo. Questo accadeva perché erano incapaci di dire: "Non ho fatto abbastanza sforzi, il mio modo di governare non era buono." Invece di questo, inevitabilmente dicevano: "Era mio destino ineluttabile perdere il trono".»

La critica all'atteggiamento rassegnato viene estesa ai "mandarini". «Essi corrompono gli uomini con la loro musica e con i loro riti complicati ed ornati; il loro lutto prolungato e la loro ipocrita afflizione altri non ingannano che i parenti dei defunti. Predicano il fatalismo e si avvoltolano nella miseria, e insieme ostentano la massima arroganza. Volgono le spalle a quanto è essenziale e trascurano i loro doveri, appagandosi soltanto nell'ozio e nella frivolezza. Si affannano assai quando si tratta di bere e di mangiare, ma molto meno quando si tratta di lavorare. Così, preferirebbero rischiare di morire di fame o di freddo piuttosto che porvi rimedio.
Si comportano come accattoni, si riforniscono a spese altrui come topi, hanno l'occhio in agguato come capre, e si agitano come maiali castrati. Quando sono derisi da uomini di vaglia, si mettono a strillare indispettiti: "Razza di mediocri! Come potete pretendere di saper riconoscere un buon confuciano?"
In primavera e in estate fanno la questua del grano. Quando il raccolto è riposto nei granai, accorrono a riempirsi la pancia ai grandi funerali, seguiti da tutta la loro discendenza, e in capo a un paio di esequie ottengono quanto volevano. E' così che ricavano dalle famiglie e dalle terre altrui prestigio e nutrimento. Quando c'è un lutto in una ricca famiglia, eslamano esultanti: "Ecco la nostra occasione di trovare vitto e alloggio!"»

Anne Cheng definisce "caricaturale" la rappresentazione dei "mandarini" realizzata nel Mozi ma, io credo sia solo spietatamente realistica, oltre che vagamente satireggiante. La scrittura, penalizzata dagli arcinoti problemi della traduzione, non può rendere la dinamica viva delle smorfie e delle posture "teatrali" che grandi attori come Carmelo Bene o Dario Fo, e persino Beppe Grillo e Maurizio Crozza, potrebbero trarre da una interpretazione-recitazione del Mozi. Anche "aggiornata" al nostro tempo ed al nostro paese, nel quale, si sa, di "mandarini" ce ne sono ancora troppi.

Per concludere il discorso manca ancora un passaggio: Mozi operatore di pace. Alla prossima.

(continua)

1) Da Anne Cheng - Storia del pensiero cinese - volume I Dalle origini allo «studio del mistero» - Einaudi 2000
2)
3)
Da Antologia della filosofia cinese - a cura di Leonardo Vittorio Arena - Mondadori 1991

gm - febbraio 2012