Mozi non promosse il teorema della "bontà
umana originaria", dimostrando così
di avere un realistico senso della storia
umana, che tendenzialmente procede in avanti
ma, spesso torna indietro e conosce fasi
di ristagno. «L'epoca attuale è un
ritorno ai tempi antichi in cui l'umanità
era appena nata e non v'erano ancora né capi
né governanti. Si diceva allora: "A
ciascuno il suo senso di quanto è giusto
sotto il Cielo." Così per un uomo v'era
un senso del giusto, per dieci ve n'erano
dieci, per cento ve n'erano cento. E più
gli uomini proliferavano, più le idee che
si facevano del senso del giusto proliferavano
in proporzione, in quanto ciascuno considerava
il proprio sentire come giusto, e non quello
altrui, sicché tutti si giudicavano reciprocamente
in errore.
Nelle famiglie, padri e figli, fratelli maggiori
e minori erano divisi dall'ostilità reciproca.
Tutti erano dominati da sentimenti discordi
che non si riusciva a conciliare, cosicché
si disperdevano le energie disponibili invece
di usarle per aiutarsi, si occultavano le
tecniche valide invece di insegnarsele a
vicenda, si lasciava marcire il sovrappiù
invece di spartirselo. Nel mondo intero regnava
un selvaggio disordine.
Poiché non esistevano le
distinzioni tra
sovrani e sudditi, superiori
ed inferiori,
vecchi e giovani, né le
relazioni rituali
tra padri e figli, fratelli
maggiori e minori,
nel mondo imperava il disordine.
Era l'assenza
di capi e governanti del
popolo che potessero
unificare il senso del
giusto l'evidente
ragione di tale disordine.
Ecco perché si
giunse a scegliere un uomo
dotato delle migliori
qualità, della massima
saggezza e dell'intelligenza
più perspicace per designarlo
come Figlio
del Cielo, in modo che
tutte le azioni si
compissero in virtù di
un senso del giusto
unico e comune a tutto
l'universo.»
(1)
Anche il principio del "Figlio del Cielo"
non funzionò perché, una volta istituita
la "carica", essa divenne meta
ambita anche da violenti e spregiudicati
cospiratori, ciarlatani ed imbroglioni, riproducendo
la situazione di anarchia e di caotica competizione
esistente in precedenza nella "società
incivile". Tuttavia, Mozi decise di
insistere sul dettato del "Figlio del
Cielo", non vedendo altre soluzioni
possibili. Denunciò la degenerazione del
sistema "reale" al quale gli insegnamenti
di Confucio serviva da comodo sgabello e
paravento, dall'altro prese a pennellare
di tinte fosche e pessimistiche la natura
umana, evidenziando la necessità di una "guida
celeste".
In realtà, Mozi venne a teorizzare un "dovrebbe
essere" che ad ogni piano dell'organizzazione
sociale, pensata ancora in forma piramidale,
corrispondesse un "giusto" in opere
e pensieri. "Giusto" il padre di
famiglia, "giusto" il capo della
comunità, "giusto" il funzionario,
"giusti" i consiglieri del principe,
giustissimo il Figlio del Cielo, dal quale
emanano le direttive. Così dovrebbe essere,
e non è mai stato in nessun tipo di organizzazione
sociale storicamente studiabile.
Il problema, arrivati a questo punto, è da
sempre lo stesso: cosa garantisce che "Il
Figlio del Cielo" sia davvero "uomo
dotato delle migliori qualità, della massima
saggezza e dell'intelligenza più perspicace"?
La soluzione di Mozi poggiò su due pilastri:
la divinizzazione del Cielo, mediante la
sua "personalizzazione", e l'antropomorfizzazione
del divino. Al di sopra dell'umanità vi è
solo il Cielo, e questo non è una realtà
astratta ed indefinibile ma, un pensiero,
una volontà, un entità in grado di scrutare
gli uomini nel loro intimo. «Cos'è
che il Cielo desidera maggiormente, e cos'è
che maggiormente detesta? Il Cielo desidera
il senso del giusto, e detesta ciò che vi
è contrario. Se dunque induco il popolo ad
agire secondo il senso del giusto faccio
ciò che il Cielo desidera. E se agisco secondo
il desiderio del Cielo, il Cielo mi ricompenserà
agendo secondo il mio desiderio.
Coloro che si conformano
alla volontà del
Cielo sono solleciti gli
uni verso gli altri,
cercano di beneficiarsi
a vicenda e sono
dunque certi di essere
ricompensati; coloro
che si contrappongono alla
volontà del Cielo
provano soltanto odio reciproco,
non fanno
che depredarsi a vicenda
e possono dunque
essere certi che saranno
puniti...
Maestro Mozi ha detto: "La volontà del
Cielo è per noi ciò che il compasso è per
il carradore e la squadra per il carpentiere.
Il carradore e il carpentiere prendono il
loro compasso e la loro squadra per misurare
universalmente cerchi e quadrati dicendo:
'Quello che vi corrisponde è vero, quello
che non vi corrisponde è falso'. "»
E' una posizione di tutto
rispetto ma, ha
il grave difetto di trascurare
che il Cielo
non premia affatto gli
individui onesti,
gli operatori di pace e
di verità. Se accade,
è raro che accada. E' la
solita vecchia storia
che si ripete uguale. Una
volta istituita
la "carica" più
ambita, anche i
più sprovveduti di saggezza
ed intelligenza
aspirano ad occuparla.
Se dalla "carica"
si passa alla "cattedra",
il discorso
non muta di tanto, pur
concedendo al sapiente
ed all'istruito una superiore
abilità nel
somministrare i pesi da
far portare agli
"altri".
A Mozi, tuttavia, va riconosciuto l'indubbio
merito di aver combattuto con tenacia la
posizione arrendevole e rinuciataria iscrivibile
al "fatalismo" che serve da "giustificazione".
«Come sappiamo che il fatalismo è la
via dei tiranni? Nel passato i poveri erano
assillati dalla preoccupazione di mangiare
e di bere; ma erano pigri nel lavoro. Così
conoscevano i tormenti causati dalla mancanza
di abiti e di cibo, dalla fame e dal freddo.
Questo accadeva perché erano incapaci di
dire: "non ho fatto abbastanza sforzi,
non sono stato abbastanza assiduo nel mio
compito." Invece di questo, inevitabilmente
dicevano: "E' mio destino ineluttabile
restar povero." I tirannici sovrani
del tempo passato non ponevano limiti ai
piaceri dei loro sensi né alle intenzioni
perverse dei loro cuori, e non ascoltavano
i moniti dei loro genitori. Ciò comportava
la perdita del loro paese e la caduta del
loro governo. Questo accadeva perché erano
incapaci di dire: "Non ho fatto abbastanza
sforzi, il mio modo di governare non era
buono." Invece di questo, inevitabilmente
dicevano: "Era mio destino ineluttabile
perdere il trono".»
La critica all'atteggiamento rassegnato viene
estesa ai "mandarini". «Essi
corrompono gli uomini con la loro musica
e con i loro riti complicati ed ornati; il
loro lutto prolungato e la loro ipocrita
afflizione altri non ingannano che i parenti
dei defunti. Predicano il fatalismo e si
avvoltolano nella miseria, e insieme ostentano
la massima arroganza. Volgono le spalle a
quanto è essenziale e trascurano i loro doveri,
appagandosi soltanto nell'ozio e nella frivolezza.
Si affannano assai quando si tratta di bere
e di mangiare, ma molto meno quando si tratta
di lavorare. Così, preferirebbero rischiare
di morire di fame o di freddo piuttosto che
porvi rimedio.
Si comportano come accattoni,
si riforniscono
a spese altrui come topi,
hanno l'occhio
in agguato come capre,
e si agitano come
maiali castrati. Quando
sono derisi da uomini
di vaglia, si mettono a
strillare indispettiti:
"Razza di mediocri!
Come potete pretendere
di saper riconoscere un
buon confuciano?"
In primavera e in estate fanno la questua
del grano. Quando il raccolto è riposto nei
granai, accorrono a riempirsi la pancia ai
grandi funerali, seguiti da tutta la loro
discendenza, e in capo a un paio di esequie
ottengono quanto volevano. E' così che ricavano
dalle famiglie e dalle terre altrui prestigio
e nutrimento. Quando c'è un lutto in una
ricca famiglia, eslamano esultanti: "Ecco
la nostra occasione di trovare vitto e alloggio!"»
Anne Cheng definisce "caricaturale"
la rappresentazione dei "mandarini"
realizzata nel Mozi ma, io credo sia solo spietatamente realistica,
oltre che vagamente satireggiante. La scrittura,
penalizzata dagli arcinoti problemi della
traduzione, non può rendere la dinamica viva
delle smorfie e delle posture "teatrali"
che grandi attori come Carmelo Bene o Dario
Fo, e persino Beppe Grillo e Maurizio Crozza,
potrebbero trarre da una interpretazione-recitazione
del Mozi. Anche "aggiornata" al nostro
tempo ed al nostro paese,
nel quale, si sa,
di "mandarini"
ce ne sono ancora
troppi.
Per concludere il discorso manca ancora un
passaggio: Mozi operatore di pace. Alla prossima.
(continua)
1) Da Anne Cheng - Storia del pensiero cinese - volume I Dalle origini allo «studio del mistero» - Einaudi 2000
2)
3)
Da Antologia della filosofia cinese - a cura di Leonardo Vittorio Arena - Mondadori
1991
gm - febbraio 2012 |
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