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Liezi-baston-Liezi
di Guido Marenco

 


Sarebbe davvero sorprendente se tutti quelli entrati in confidenza con Liezi finissero col concordare sul suo significato. Competere per darne un'interpretazione migliore, più profonda, più storica, più radicale, più "cinese"o più accessibile ad una mentalità occidentale, potrebbe tuttavia portare a rimanere imbrigliati in quei giochi mentali ai quali bisognerebbe sottrarsi. Sicché non credo giovi all'individuo in generale, reintrodurre dalla porta di servizio concetti come "metafisica taoista". Finiremmo col trovarci a disputare quanto sia lontana o vicina alla linea di questo o quel filosofo occidentale. Ho vissuto la tentazione di riallacciarmi ad Eraclìto, di mostrare che anche nella tradizione greca esiste il dao, perché il logos di costui, se rettamente inteso, non era altro che dao. Ma, mi sono immediatamente reso conto di quante contestazioni avrebbe potuto suscitare. Una prima di tutte: Eraclìto venne dipinto come individuo scontroso, irascibile, superbo, oltre che "oscuro". Un carattere simile non corrisponde all'atteggiamento mite dei maestri cinesi, se non per il tratto dell'"oscurità". Ma non potrebbe essere la mitezza una sorta di "aura" fabbricata dallo scriba? Un'oleografia? Possibile che il vero Liezi, il signor Lie Yukou, non abbia mai perso le staffe? Non si sia mai incazzato? Non abbia bestemmiato perché la ruota del carro si era impantanata, o perché la moglie non aveva preparato la cena come dao consiglia?
Oleografia, appunto. Rappresentazioni stilizzate e stereotipate di un mondo che non è mai esistito. Sicché credo convenga ancora "prenderla bassa", più bassa degli altri, e cercare di rivivere gli insegnamenti dei maestri piuttosto che concettualizzarli. Accantonando dispute sulla superbia di Eraclìto e la pazienza dei maestri cinesi. Come ho tentato di dire in precedenza, è difficile nascere modesti. Sarebbe davvero fortunato l'individuo venuto al mondo con tale virtù spontanea incorporata nel DNA. Ora in Liezi esiste un passaggio a dir poco prodigioso che mostra quanto l'immodestia sia radicata nella natura umana, e quanto poco ci voglia ad attizzarla. Due ragazzi disputano innocentemente se il sole sia più vicino all'alba o a mezzogiorno. Entrambi forniscono argomentazioni empiriche efficaci. Il sole a mezzogiorno si percepisce più piccolo di quello che sorge. Sì, ma scalda di più, quindi è più vicino. Casualmente, si trova a passare di lì Confucio ed i ragazzi lo convolgono nella discussione, sperando che il famoso sapiente sappia offrire una soluzione alla disputa. Confucio, imbarazzato dall'acutezza della domanda e dalla qualità dei ragionamenti, si vede costretto ad ammettere di non saper rispondere. I ragazzi non trovano di meglio che canzonarlo: "e questo sarebbe un sapiente?!"
Nel raccontino sembra esserci una grande verità. Evidenzia quanto siano spavaldi i ragazzi, subito d'accordo nel farsi beffe del sapiente che non sa. D'altro canto, l'onesto comportamento di Confucio potrebbe essere contestato da qualsiasi insegnante uscito dalla suprema accademia della scienza dell'educazione, convinto della necessità di mostrarsi "sicuro di sé", "carismatico" e in completa padronanza del sapere del noto e dell'ignoto, sempre pronto a dare una risposta. Quale dovrebbe essere l'atteggiamento "giusto" in situazioni simili, quando realmente non si sa cosa rispondere? Venisse in mente un celebre momento dei Turbamenti del giovane Törless di Robert Musil, non saremmo tanto distanti dal capire che anche la cultura occidentale ha conosciuto simili passaggi, ma con maggiore intensità drammatica. Nel Törless ci sono complicazioni psicologiche derivanti dal crollo del carisma. L'insegnante di matematica è costretto ad arrampicarsi sugli specchi, svelando la propria pochezza. Al confronto, Confucio diventa un gigante. Ma, la domanda, a questo punto, non si può eludere: bisogna dialogare alla pari con i ragazzi, oppure tenerli a distanza rispettosa e nascondere la propria ignoranza? Sempre e comunque, senza se e senza ma? Quando si dice che la "via" non può esser detta, si pensava anche a questo: alla via intesa come "metodo". I metodi hanno virtù straordinarie ma, ci sono casi in cui non funzionano. Momenti in cui bisogna riporre il libretto di istruzioni nel cassetto e prendere un'altra direzione, fidarsi della propria intuizione. Il riferimento a Confucio non è casuale, non è il nome di un sapiente a caso ma, il rappresentante del "metodo", di una "via" che vorrebbe essere sistematica, e si scontra con ostacoli impossibili da superare. Nel Libro dei Mutamenti è detto: "andare conduce a impedimento, venire conduce a unione."

La metafisica è da sempre un atto di superbia che, in definitiva, diventa un boomerang: se non coglie il bersaglio, rischiamo di prenderci il boomerang sul naso. Poiché è impossibile che una qualsiasi metafisica strutturata colga il bersaglio, il mondo è pieno di nasi fratturati a seguito di risse per questioni metafisiche. Kant insegnò ad andare coi piedi di piombo, con estremo distacco dalle proprie idee apprese, fino ad arrivare alle famose antinomie della ragione. Il problema che sorge seguendo Kant, è che siamo alle prese con tre Critiche distinte, come se vivessimo in compartimenti stagni. Invece la vita è un tenue filo unitario che potrebbe spezzarsi in ogni momento. Siamo razionali, siamo morali, siamo estetici in un sol colpo di tosse. E in sol colpo tutto risplende e tutto si frantuma. Convinti di aver fatto bene e di aver dato il meglio, ecco che arriva la critica, sia dei più acuti che dei più ottusi. Convinti di essere onesti, ci si scopre capaci di imbrogliare, di ricevere favori, di approfittare delle corsie preferenziali, di mentire spudoratamente davanti alle telecamere per sostenere una posizione politica.
In queste condizioni, l'atteggiamento degli antichi maestri presenta un vantaggio: è meno superbo di quello occidentale. Non cerca di imporsi sulle credenze religiose, semplicemente si ritrae, non contende né con chi afferma che Dio esiste, né con chi lo nega rabbiosamente. Si limita a parlare di "vuoto" e di "non-essere" come il mistero da cui provengono i "diecimila esseri", passando dalla porta della "femmina misteriosa". Il Cielo è pieno di soffio, la Terra è solida e raccoglie in varie forme tutto ciò che riceve il soffio dal Cielo e passa dalla porta. Ma, in Liezi, come ho anticipato, si ha la sensazione di uno sconfinamento ad occidente, di qualcosa che eccede il vero "so di non sapere, e quindi sto zitto". "Chi parla non sa, chi sa non parla", appunto. Ma, in Liezi, le parole sono tante, forse troppe.

«Il maestro Liezi disse: "Il Cielo e la Terra non portano a compimento ogni cosa, il saggio non è in grado di realizzare ogni cosa, i Diecimila Esseri non possono venir impiegati per ogni scopo. Ecco perché compito del Cielo è quello di dare la vita e ricoprire, compito della Terra quello di dare la forma e sostenere, compito del saggio quello di insegnare e trasformare, compito di ciascun essere quello di operare secondo la funzione che gli compete. Di conseguenza può capitare di riscontrare difetto nel Cielo e pienezza nella Terra, limitazione nel saggio e acutezza negli esseri ordinari. Com'è possibile? Ciò che dà la vita e ricopre non è in grado di dare la forma e sostenere; ciò che dà la forma e sostiene non è in grado di insegnare e trasformare; chi insegna e trasforma non è in grado di impedire che gli esseri operino secondo la funzione che loro compete; gli esseri che operano secondo la funzione che loro compete non sono in grado di abbandonare il proprio specifico stato. Ciò comporta parimenti che il Dao del Cielo e quello della Terra debbano essere o Yin o Yang, che l'insegnamento del saggio debba essere improntato o all'umanità o alla giustizia, che ciò che compete ai Diecimila Esseri debba essere caratterizzato o dalla flessibilità o dalla durezza. Tutti questi si attengono alla funzione che loro compete e non sono in grado di abbandonare il proprio stato.
Se dunque c'è nascita è perché c'è qualcosa che fa nascere ciò che nasce; se c'è forma è perché c'è qualcosa che dà forma; se c'è suono è perché c'è qualcosa che dà suono a ciò che ha suono; se c'è sapore è perché c'è qualcosa che dà sapore a ciò che ha sapore. Il nato a cui è stata data nascita muore ma quello che fa nascere ciò che nasce non cessa mai di essere. La forma a cui è stata data forma appare, ma quella che dà forma a ciò che ha forma non ha mai avuto apparenza. Il suono a cui è stato dato suono può essere udito, ma quello che dà suono a ciò che ha suono non è non è mai stato emesso. Il colore a cui è stato dato colore è visibile, ma quello che dà colore a ciò che ha colore non si è mai mostrato. Il sapore cui è stato dato sapore è gustato, ma quello che dà sapore al sapore non è mai stato assaporato. Tutto questo compete al Non agire. Esso è capace di rendere Yin o rendere Yang, rendere flessibile o rendere rigido, rendere corto o rendere lungo, rendere rotondo o rendere quadrato, di dare la vita o dare la morte, di rendere caldo o rendere freddo, di rendere leggero o rendere pesante, di far risuonare come la nota gong o far risuonare come la nota shung, di fa comparire o scomparire, di rendere nero o rendere giallo, di rendere dolce o rendere amaro, di rendere fetido o rendere profumato. Non gli si può attribuire conoscenza, non gli si può attribuire capacità; e tuttavia nulla vi è che non conosca, nulla vi è che non sia capace di fare."»

La parola che eccede le possibilità di chi parla, assegna un compito al cielo ed un altro alla terra. Quando andrebbero viste come "condizioni". In effetti, né il Cielo, né la Terra, a meno che non gli si voglia attribuire un'anima pensante, sono agenti consapevoli di svolgere una funzione. E quale potrebbe essere l'unico essere consapevole di svolgere una funzione, se non l'uomo? Ma qual'è l'essere umano disposto a farsi ridurre ad una funzione? Né maschi, né femmine, né ermafroditi, né eunuchi, né lesbiche, né gay. Né i massimi saggi, né i più sconsiderati e i più smodati.
L'altro punto che sconcerta è contrapporre umanità e giustizia. Come a dire che se "perdono" non sono "giusto" e se applico la regola, non sono umano. Lo si può considerare inaccettabile, e d'altro lato festeggiare per tanta magnanimità. Il problema è che la maggioranza degli esseri umani considera la giustizia come un sostitutivo della vendetta, mentre i criminali tenderanno sempre ad usare il perdono e l'amore come uno scudo, e urlare il proprio sdegno per la disumanità con cui sono trattati.
Di fronte a questi assilli è meravigliosamente liberatorio deresponsabilizzarsi per cercare la pace interiore, quella quiete sublime raggiungibile solo da chi si isola dai rumori molesti, dal querulo chiacchiericcio di chi "parla e non sa" di "umanità e giustizia", di chi suona e non sa suonare. Ma quando arriva il momento di muoversi, o perché la Terra trema, o perché l'incendio divampa, se non ti muovi sei fritto.

Da un altro punto di vista, il metafisico convinto potrebbe dire che Liezi parla di Dio, senza nominarlo. Aggiungerei: " evitando così di nominarlo invano". Dio non ha nome, chiamarlo "Dio" è nominarlo. Dipingerlo come vecchio, significa ridurlo a saggezza umana. Dio non è una funzione. Non è al servizio di individui particolari, non si evoca chiamandolo con il sacro tetragramma. La via si avvale di uomini. La via crea associazioni. Le associazioni si mantengono anche dopo la morte degli uomini della prima ora. Se c'è provvidenza umana è perché la via spinge gli uomini a provvedere agli altri. E ciò nonostante, la via tratta tutti gli esseri come "cani di paglia". Una volta nato, si sente dire, "non ti puoi più nascondere". E' vero. Ma, ti puoi abbassare fino a renderti invisibile. Puoi evitare di occupare i primi posti nelle sinagoghe. Candido come colomba e prudente come serpe, hai una chance in più rispetto al cretino che esibisce il suo sapere sul web. Dammi del cretino e mi fai contento. Insomma, gira e rigira, è vero che in generale "chi parla non sa" ma, ci sono individui che si sono guadagnati il diritto di parlare e di scrivere.

(continua)


gm - gennaio 2012