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La critica della ragion pura (in versione "light") - 2


L' estetica trascendentale

di Daniele Lo Giudice

La critica della ragion pura comprende una dottrina trascendentale degli elementi ed una dottrina trascendentale del metodo.
Occorre chiarire che significa trascendentale per Kant e non confonderlo con trascendente.
Il termine trascendente deriva dalla filosofia scolastica medioevale e viene utilizzato per parlare di enti che trascendono, ovvero vanno al di là dell'esperienza, al pari di Dio, spiriti, angeli e così via.
Anche trascendentale deriva dalla scolastica, ma sta ad indicare un predicato che, per la sua universalità, trascende le stesse categorie, ovvero i sommi generi: trascendentali sono il vero ed il bene.
In Kant, il termine trascendentale assume un significato diverso e significa ciò che precede qualunque esperienza ed allo stesso tempo ne indica le condizioni. E' sinonimo di a priori puro.
Da questo significato principale del termine, che non designa più oggetti esterni ma condizioni interne al soggetto che pensa, deriva pertanto un secondo significato: quello per cui la conoscenza non si occupa degli oggetti, delle cose, ma di come li conosciamo.
Detto questo, possiamo capire che la dottrina trascendentale degli elementi è lo studio delle forme trascendentali, cioè a priori, del pensiero.
Il metodo trascendentale è lo studio del modo con cui la ragione costruisce il sistema completo delle conoscenze.

La dottrina trascendentale degli elementi viene suddivisa da Kant in due parti: a) l'estetica trascendentale, b) la logica trascendentale.

L'estetica, termine che Baumgarten aveva introdotto per definire una scienza del bello, è riportata da Kant al suo significato di scienza della sensibilità, in modo più conforme al significato della parola greca àisthesis (sensazione, percezione sensoriale).
La sensibiltà è per Kant la ricezione che la particolare costituzione umana consente delle cose esterne. Ma gli atti conoscitivi veri e propri sono le intuizioni, ovvero le conoscenze immediate e dirette dei loro oggetti.
Ma questi stessi oggetti non sono le cose esterne, esistenti in sè, bensì gli effetti che esse producono sulla nostra sensibilità.
Vediamo come lo stesso Kant parla di questo: «L'effetto di un oggetto sulla capacità rappresentativa, in quanto noi ne veniamo colpiti, è la sensazione. L'intuizione che si riferisce all'oggetto mediante una sensazione, dicesi empirica. L'oggetto indeterminato di una intuizione empirica prende il nome di fenomeno. Nel fenomeno chiamo materia ciò che corrisponde alla sensazione; ciò che, invece, fa sì che il molteplice del fenomeno possa essere ordinato in precisi rapporti, chiamo forma del fenomeno. Poichè ciò in cui soltanto le sensazioni si ordinano e possono essere poste in una determinata forma, non può, a sua volta, essere sensazione, ne viene che la materia di ogni fenomeno ci è data solamente a posteriori, ma la forma relativa deve trovarsi per tutti i fenomeni già a priori nell'animo e deve pertanto essere considerata separatamente da ogni sensazione. [....] Di conseguenza, la forma pura delle intuizioni sensibili in generale si troverà a priori nell'animo, ed in essa verrà intuito, in precisi rapporti, tutto il molteplice dei fenomeni. » (1)

Le intuizioni per Kant possono essere solo sensibili. Non vi sono quindi intuizioni intellettuali perché l'intelletto non è direttamente in contatto con le realtà intellegibili.
Tuttavia, secondo Kant, le intuizioni sensibili (o empiriche) sono rese possibili da un particolare tipo di intuizione preesistente, ovvero l'intuizione pura dello spazio e del tempo.
Esse costituiscono la forma dei fenomeni percepiti. La materia è invece costituita dalle sensazioni stesse. E' quindi da notare come Kant faccia sempre dipendere la nostra consapevolezza dell'esistenza delle cose dalla percezione che ne abbiamo, la quale viene, per così dire, inquadrata e messa a fuoco, dalle intuizioni pure, a priori, dello spazio e del tempo.

Secondo Kant, dunque, né lo spazio né il tempo derivano come concetti dall'esperienza. Non ricorre al termine "innato", ma non credo si tradisca lo spirito di quanto voleva asserire Kant se si ricorre a questa parola.
Spazio e tempo precedono tutte le rappresentazioni empiriche. Essi non sono proprietà delle cose esterne, ma concetti che noi abbiamo imposto (qui nel vero senso del termine) alla realtà.
Certo, si può dire che spazio e tempo hanno una realtà empirica perché rispetto a tutto ciò che appare e scompare sono indubbiamente reali, essendoci un qui ed un là, un prima ed un dopo, ma Kant riafferma che rispetto alle cose così come sono in sé, cioè indipendentemente da noi, tempo e spazio non hanno una reale esistenza.
Esistono solo nella mente umana come idealità trascendentali.
Poichè questi sono concetti difficili da intendere, credo giusto provare a rivederli con le stesse parole di Kant, le quali sono certamente più efficaci e pregnanti delle mie.
«Per mezzo del senso esterno (che è una proprietà del nostro animo) noi ci rappresentiamo gli oggetti come fuori di noi e come tutti assieme nello spazio. In questo, sono determinati, o determinabili, la loro forma, la loro grandezza, i loro rapporti reciproci. Il senso interno, per mezzo del quale l'animo intuisce sé stesso o il suo stato interno non ci offre, in verità, alcuna intuizione dell'anima stessa, come di un oggetto; ma c'è tuttavia una determinata forma, sotto la quale soltanto è possibile l'intuizione del suo stato interno, sicché tutto ciò che è proprio delle determinazioni interne è rappresentato in rapporti di tempo. Il tempo non può essere intuito esternamente, allo stesso tempo che lo spazio non può essere intuito come qualcosa in noi. Che cosa sono allora lo spazio ed il tempo? Forse entità reali? O sono semplicemente determinazioni o rapporti delle cose, che appartengono comunque alle cose in sé, anche se non sono intuite?O sono tali da appartenere soltanto alla forma dell'intuizione e così alla costituzione soggettiva del nostro animo, senza di che questi predicati non potrebbero essere attribuiti a cosa alcuna?» (1)

Kant passa quindi ad esaminare il concetto di spazio.
«Lo spazio non è un concetto empirico, proveniente da esperienze esterne. infatti, affinché certe sensazioni siano riferite a qualcosa fuori di me (ossia a qualcosa che si trovi in un luogo dello spazio diverso dal mio), e affinché iopossa rappresentarmele come esterne e accanto l'una all'altra - e quindi non soltanto come differenti ma come poste in luoghi diversi - deve già esserci a fondamento la rappresentazione di spazio...[...] Lo spazio è una rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. Non è possibile farsi la rappresentazione che non ci sia spazio... [...] ... Lo spazio non è affatto un concetto discorsivo - o, come si dice, universale - dei rapporti delle cose in generale, ma un'intuizione pura. In primo luogo, infatti, non ci si può rappresentare che un unico spazio e, sesi parla di molti spazi, non si intendono con ciò che le parti di uno spazio unico e medesimo. ... [...] Lo spazio è rappresentato come un'infinita grandezza data. Ora, se è certamente necessario pensare ogni concetto come una rappresentazione a sua volta contenuta in un numero infinito di differenti rappresentazioni possibili (come loro caratteristica comune), quindi tale da comprenderlesotto di sé, tuttavia nessun concetto, in quanto tale, può essere concepito come tale da contenere in sé una quantità infinita di rappresentazioni. Eppure lo spazio è pensato così (perché tutte le parti dello spazio, all'infinito, sussistono come simultanee). Dunque la rappresentazione originaria dello spazio è intuizione a priori e non concetto (di tipo empirico, nda). » (1)

Ho fatto queste citazioni sia per chiarire meglio i concetti, sia per aiutare il lettore a prendere pian piano confidenza con lo stile argomentativo di Kant. Può essere ne nasca un desiderio di leggere tutto il libro e francamente sarei molto soddisfatto del risultato.

Analogamente allo spazio, anche il tempo è intuizione pura a priori, e "si riduce a nulla se si prescinde dalle condizioni soggettive dell'intuizione sensibile e non può quindi annoverarsi fra gli oggetti - né come sussistente né come inerente - se si prescinde dal rapporto di questi oggetti con la nostra intuizione."
Uno dei passaggi più interessanti si trova quando Kant risponde direttamente ad una serie di obiezioni raccolte mentre discuteva con colleghi ed allievi.
Scrive: «Contro questa teoria che attribuisce al tempo realtà empirica ma gli nega realtà assoluta e trascendentale, ho ricevuto da parte di uomini acuti un'obiezione talmente unanime da convincermi che essa debba presentarsi senz'altro a ogni lettore a cui questi argomenti non siano familiari. Essa dice: i mutamenti sono reali ( e ciò è dimostrato dal variare delle nostre rappresentazioni, anche se si volessero negare tutti i fenomeni esterni assieme assieme ai loro mutamenti ). Ora i mutamenti sono possibili solo nel tempo, conseguentemente il tempo è qualcosa di reale. La risposta non presenta difficoltà alcuna. Ammetto l'intero ragionamento. Il tempo è senza dubbio alcunché di reale, ossia la forma reale dell'intuizione interna. Esso ha dunque una realtà soggettiva rispetto all'esperienza interna, ossia, io ho realmente la rappresentazione del tempo e delle mie determinazioni in esso. Il tempo è quindi reale non come oggetto, ma come il modo della rappresentazione di me stesso come oggetto.» (1)

Anche rispetto a queste affermazioni, indubbiamente, potremmo obiettare. Quando misuriamo il tempo, sia con una clessidra ad acqua come facevano i romani nei processi, per limitare il tempo a disposizione degli avvocati, sia con i moderni orologi, noi misuriamo un oggetto.
Ma, anche laddove riuscissimo a dimostrare che il tempo non solo è reale, ma è anche concetto appreso con l'esperienza, rimarrebbe intatto l'argomento forte della riflessione kantiana, ovvero che tempo e spazio sono le condizioni a priori delle esperienze stesse.
«Tempo e spazio sono pertanto due sorgenti conoscitive, da cui è possibile attingere a priori svariate conoscenze sintetiche, esemplificate stupendamente dalla matematica pura per quanto concerne la conoscenza dello spazio e dei suoi rapporti.... [...] Ma queste sorgenti conoscitive a priori, non essendo altro che condizioni della sensibilità, si determinano per ciò stesso i loro limiti, consistenti nel riferirsi agli oggetti solo in quanto fenomeni, e non pretendano esibire cose in sé.» (1)

Qui comincia a trapelare quello che sarà uno dei motivi conduttori di tutta La critica della ragion pura, ovvero la differenza tra fenomeni e noumeni, tra le cose come ci appaiono e le cose come sono in realtà.
Si deve aggiungere, a questo punto, che stabilendo che solo la matematica e la fisica sono scienza nel senso di conoscenze garantite dalla loro universalità e necessità, lo stesso fenomeno è così ridotto al suo aspetto quantitativo.
"In tal modo - scrive Enrico Berti - egli concilia il carattere convenzionale della matematica, rilevato da già da Hobbes e da Vico, col suo carattere scientifico, dove per scientificità non si intende più la conformità assoluta di di una conoscenza ad un oggetto in sé, ma semplicemente l'universalità e la necessità di tale conoscenza, cioè la sua validità per tutti i possibili soggetti." (2)

Nel prossimo capitolo parleremo della Logica Trascendentale

note:
(1) Immanuel Kant - Critica della ragion pura -
(2) Enrico Berti - Storia della filosofia /vol. II Dal Quattrocento al Settecento - Editori Laterza
DLG - 28 febbraio 2004