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La critica della ragion pura (in versione "light") - 1


L'atteggiamento critico nei confronti della metafisica

di Daniele Lo Giudice

Opera di dimensioni monumentali, difficile, ed anche di capitale importanza per la storia della filosofia. Ci siamo proposti di raccontarla in modo che molti possano accedervi a piccoli passi e godere di questo tesoro intellettuale.
Purtroppo, nemmeno io sono un campione in fatto di capacità divulgativa ed ho incontrato molte difficoltà nel provare a rendere un riassunto del lavoro kantiano che non fosse o ridicolmente superficiale o troppo pesante per chiamarsi "light".
Ho così deciso di seguire un testo scolastico, il magistrale volume II del prof. Enrico Berti (1), e chiunque sospetti si tratti di volgare scopiazzatura ha probabilmente ragione.
Ma, una volta chiarito il modello seguito con il massimo dell'onestà, terrei a precisare che il sottoscritto ha letto tutta la Critica della ragion pura, studiandone in particolare alcune parti sotto la guida di validissimi insegnanti universitari.
Alcune delle più "brillanti" considerazioni contenute nel testo che avrete la pazienza di leggere non sono mie, ma dei miei docenti (che non nomino per non screditarli completamente, visto che io sono il risultato del loro lavoro) ed anche di alcuni "compagni di banco", come Lisa Fiorini e Marcello Beraldi. Ciao Lisa, ciao Marcello!

Il problema critico nei confronti della metafisica
Da tempo Kant non credeva più al valore scientifico della metafisica. Essa non è frutto di esperienze reali, ma solo di un uso esasperato della ragione, la quale però investiga e specula su argomenti per nulla verificabili empiricamente.
Nella prefazione alla prima edizione, Kant dichiara che è legittimo pretendere di conoscere le cose che trascendono l'esperienza sensibile ma, che è altrettanto lecito dubitare di tutto quanto è stato rubricato come metafisica.
Sarebbe dunque necessario istituire un tribunale della ragione e sottoporre ad esame ed a critica la ragione stessa, che viene definita "pura"in quanto è facoltà umana che aspira a conoscere indipendentemente da quello che si è visto e toccato con mano.

Nella prefazione alla seconda edizione, Kant instaura un paragone tra la metafisica da un lato e la matematica e la fisica dall'altro.
Queste ultime sono scienze. Lo sono diventate nel momento in cui si sono rivoluzionate. Fisici e matematici hanno cioè compreso prima degli altri che non è il soggetto conoscente che deve adeguarsi alla realtà, cioè all'oggetto da conoscere, bensì è quest'ultimo che deve adeguarsi al soggetto conoscente.
Lo so, è un'affermazione forte, sconcertante. Tenetevi stretti al bracciolo della sedia e cerchiamo di capire perché Kant (che non è sicuramente impazzito) fece simile affermazione.
Kant cercava di dire che, a suo avviso, la ragione umana conosce un oggetto a priori, con universalità e necessità, solo quando si rende conto che cerca nell'oggetto stesso quelle proprietà che vi ha posto, ossia i suoi concetti a priori.
Ciò è accaduto nella geometria, quando i greci cominciarono a comprendere che le figure geometriche andavano disegnate in base a definizioni a priori (ad esempio: disegna un cerchio / dobbiamo sapere a priori non che cos'è, ma come è fatto); ed è accaduto anche nella fisica, quando Galileo ha compreso che per avere scienza della natura bisognava porle delle domande, e poi sperimentare le risposte per vedere se esse si adattavano alle leggi fisiche che la ragione stessa aveva costruito e voleva imporre alla natura.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare immediatamente, questa svolta nel modo di pensare la realtà non è un atto di prepotenza, anche se potrebbe diventarlo. Infatti Kant prende atto, in un certo senso, che la ragione è impotente a conoscere le cose per come sono in realtà. Se non vuole naufragare in un sonno dogmatico deve limitarsi a conoscere solo ciò che essa stessa, per mezzo dei suoi concetti a priori, mette nelle cose.
Ciò che bisogna intendere, allora, è che l'oggetto della conoscenza umana non sono più le cose ma le nostre idee delle cose, le quali sono, nel caso del procedimento scientifico, le proprietà geometriche o matematiche, le leggi fisiche spiegate dalla matematica.
Ma qui, vorrei aggiungere che anche quando noi pretendiamo di conoscere una persona per come è, od un automobile per come è, in realtà noi valutiamo le qualità dell'individuo e le caratteristiche di un'auto secondo criteri che noi stessi abbiamo imposto a priori alla situazione: un uomo può essere buono/cattivo, abile/inabile, istruito/ignorante, ma per i suoi comportamenti. Al pari un'auto può essere veloce/lenta, con buona tenuta di strada o meno, consumare molto o poco ecc. Come si vede, noi conosciamo dei dati, ma per interpretarli scegliamo dei criteri a priori. E dovremmo anche sospettare non tanto dei dati stessi, ma di come li abbiamo scelti e raccolti. Infatti conosciamo solo i dati che ci interessano, quelli che noi stessi abbiamo ritenuto importanti.
Come si vede, dunque, quella di Kant non è un'esaltazione del soggettivismo, od un'incitazione a fidarsi delle nostre unilaterali intuizioni, ma una ricerca attenta di come la ragione perviene ai suoi giudizi.

Giunto a questo punto, Kant si chiede se anche nella metafisica si potrebbe fare così, pur sapendo che ad essa non si possono applicare né le intuizioni pure della geometria euclidea (che era la geometria che conosceva Kant) né alla possibilità di ricorrere ad esperimenti come nel caso della fisica.
Nell'introduzione Kant approfondisce un primo importante aspetto della sua teoria della conoscenza asserendo che quando noi attribuiamo un giudizio, ovvero applichiamo un predicato ad un oggetto, noi ricorriamo a due tipi distinti di giudizio: quello analitico e quello sintetico.
Per Kant i giudizi di tipo analitico sono sempre a priori, non hanno alcun bisogno di esperienze. Derivano cioè da concetti puri come ad esempio il giudizio "tutti i corpi sono estesi". Questo tipo di giudizio, secondo Kant, non fa altro che analizzare, cioè scomporre quanto è contenuto nella definizione stessa di corpo materiale, e non aggiunge alcunchè alla definizione stessa ed al concetto che noi abbiamo di corpo.

Contrariamente, i giudizi sintetici necessitano di un'esperienza, perché il predicato, cioè l'attributo che noi conferiamo all'oggetto non era contenuto nella definizione dell'oggetto e nel concetto che noi avevamo di esso.
Potrebbero esistere, allora, concetti sintetici a priori?
Molti direbbero no, ed invece la risposta, per Kant è "sì".
Infatti, tutti i giudizi della matematica sono giudizi sintetici a priori. "7+5=12", ad esempio, l'oggetto "7+5" non è la stessa cosa che "12". Dire "12" significa dunque sintetizzare, ovvero aggiungere qualcosa all'oggetto. Tuttavia si tratta anche di un risultato universale e necessario che, una volta conosciuto, non è più necessario sperimentare o verificare.
Un altro giudizio matematico sintetico a priori è ad esempio la definizione di retta. Essa è "la linea più breve tra due punti." Secondo Kant, il concetto di retta non implica anche quello di brevità ed è quindi frutto di un giudizio sintetico, che diventa a priori in quanto una volta determinato con esattezza, non necessita di ulteriori verifiche: è universale e necessario, non può essere altrimenti.
Un altro tipo di concetto sintetico a priori si può trovare nella fisica. Kant fa l'esempio del giudizio seguente: "nel mutamento la quantità di materia resta invariata" per spiegare che il concetto di quantità di materia non implica quello di invarianza. Eppure questo predicato gli appartiene. Diventa così una legge fisica universale e necessaria.

I giudizi sintetici a posteriori sono invece tutti quei giudizi che hanno un valore contingente e particolare e non possiedono carattere universale e necessario. Sono cioè a tutti gli effetti giudizi non scientifici, possibili solo in base ad un'esperienza soggettiva.
L'esempio che fa Kant non è dei migliori, però, perché l'affermazione "tutti i corpi sono pesanti" potrebbe essere assimilata ad un giudizio di tipo analitico: se i corpi sono estesi, devono avere anche un peso, visto che non c'è materia che non abbia peso.
Ma vediamo come argomenta Kant: «Che un corpo sia esteso, è una proposizione che sta salda a priori e non un giudizio d'esperienza. Infatti, prima ancora di accedere all'esperienza, posseggo tutte le condizioni del mio giudizio già nel concetto, dal quale non ho che da ricavare il predicato secondo il principio di contraddizione, e così acquistare coscienza della necessità del giudizio che mai potrebbe derivarmi dall'esperienza. Al contrario, benchè nel concetto di un corpo in generale io non includa di già il predicato della pesantezza, tuttavia quel concetto designa un oggetto dell'esperienza mediante una parte di essa , a cui io posso quindi aggiungere ulteriori parti della medesima esperienza, che non appartenevano al concetto. Posso, in un primo tempo, conoscere il concetto di corpo analiticamente, tramite le note dell'estensione, dell'impenetrabilità, della forma, ecc., che son tutte pensate dentro questo concetto. Successivamente estendo però la mia conoscenza e, ricorrendo nuovamente all'esperienza da cui avevo tratto questo concetto di corpo, trovo che alle note suddette va sempre connessa anche quella della pesantezza e l'aggiungo quindi sinteticamente, come predicato, a quel concetto. E' dunque l'esperienza ciò su cui si fonda la possibilità della sintesi tra il predicato della pesantezza e il concetto di corpo, perché i due concetti, benché uno sia contenuto nell'altro, appartengono tuttavia, se pur solo accidentalmente, l'uno all'altro come parti di un tutto, cioè dell'esperienza. » (2)

Comunque sia, posto che ognuno sarà poi libero di discernere come preferisce, abbiamo che Kant era ben saldo nella convinzione seguente: sono i giudizi sintetici a priori che garantiscono la scientificità della matematica e della fisica.

E allora, è possibile che anche la metafisica si possa fondare su giudizi sintetici a priori?
Tale era la domanda che poneva Kant, facendola tuttavia precedere dalla seguente: come sono possibili i giudizi sintetici a priori? Che cosa garantisce la loro validità? In sostanza: che cosa garantisce la scienza stessa?
Queste le domande con cui si misurò La Critica della ragion pura.

Nel prossimo capitolo parleremo dell'Estetica trascendentale


note:
(1) Enrico Berti - Storia della filosofia /vol. II Dal Quattrocento al Settecento - Editori Laterza
(2) Immanuel Kant - Critica della ragion pura (introduzione) -