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Husserl: Filosofia come scienza rigorosa
Fu questo il vero è proprio manifesto della fenomenologia, l'articolo Filosofia come scienza rigorosa, apparso sulla rivista Logos nel 1911.
Il punto da cui parte Husserl è l'affermazione della fenomenologia come tipo d'analisi in grado di indagare le scienze come strutture di esperienze del mondo. Essa si "incontra" anche con la necessità vitale radicale di comprendere i fini delle scienze, che negli anni a cavallo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento si sono sviluppate oltre ogni immaginazione. Occorre mettere da parte l'ovvietà della conoscenza naturale che caratterizza la conoscenza scientifica. L'analisi fenomenologica contrappone alle intuizioni del mondo, cui da luogo l'approccio scientista positivista, una specifica valutazione del modo in cuil'immagine del mondo viene costituita dalla scienza. Secondo Husserl, occorre una "critica scientifica della scienza" per arrivare all'essenza dei fenomeni puri in generale.
«Il naturalismo - scrive Husserl - è un fenomeno che consegue alla scoperta della natura nel senso di una unità dell'essere spaziale e temporale secondo leggi naturali esatte e che si diffonde sempre più, di pari passo al realizzarsi di questa idea della natura, in scienze naturali sempre nuove che producono una grande ricchezza di conoscenze rigorose. In maniera del tutto simile, dalla "scoperta della storia" e dalla fondazione di sempre nuove scienze dello spirito, deriva in una fase successiva il fenomeno dello storicismo. Conformemente alle concezioni comuni e dominanti, lo scienziato della natura è incline a considerare tutto come natura, lo studioso di scienze dello spirito a considerare tutto come spirito, come formazione storica, e di conseguenza sono ambedue portati a interpretare equivocamente quanto non può essere considerato in termini siffatti. Se ora prendiamo particolarmente in esame lo scienziato della natura, constatiamo che egli vede nient'altro che natura, in primo luogo la natura fisica. Tutto ciò che è, o è reso esso stesso fisico, oppure è qualcosa di psichico, ma allora è sempre dipendente dal fisico, nel migliore dei casi come un "fatto concomitante parallelo" secondario. Ogni ente è di natura psicofisica, ossia è determinato univocamente da una legalità costante. Non cambia niente d'essenziale per noi in questa concezione, se nel senso del positivismo (si appoggi esso a un Kant naturalisticamente interpretato o rinnovi e trasformi in maniera conseguente Hume) la natura fisica viene risolta sensisticamente in complessi di colori, suoni, impressioni e altrettanto anche il cosiddetto psichico è scomposto in complessi complementari di queste stess e di ancora altre "sensazioni".
Quello che contraddistingue tutte le forme del naturalismo estremo e conseguente, a partire dal materialismo popolare sino al monismo sensistico e all'energetismo, è da una parte la naturalizzazione della coscienza, ivi comprese tutte le datità coscienziali immanenti-intenzionali, e dall'altra la naturalizzazione delle idee, e con esse di tutti gli ideali e norme assoluti.»
L'analisi di Husserl prosegue, constatando ancora che "per farla breve, lo scienziato della natura è, nel suo comportamento, idealista e oggettivista". Impegnato sotto ogni aspetto a portare a conoscenza tutti gli esseri ragionevoli della verità autentica, "Egli è convinto che, tramite la scienza della natura e la filosofia scientifico-naturale, tale scopo venga conseguito nella sua essenzialità..."
Per Husserl, il positivista predica bene, ma non vede nemmeno più quanto è presupposto nella sua predica. «La sola differenza è che egli non predica affermando expressis verbis, come l'antico scetticismo, che l'unica cosa ragionevole è negare la ragione, sia teoretica che assiologica che pratica. Lo scienziato della natura si dissocierebbe chiaramente da una affermazione siffatta; il controsenso non gli è palese, ma gli rimane nascosto, proprio perché egli naturalizza la ragione.»
Da quanto segue, tuttavia, si vedrà che il vero bersaglio polemico non sono tanto gli scienziati quanto quelle correnti della filosofia (positivismo e pragmatismo) che seguono acriticamente le scienze ed i loro metodi:« Anche se l'ondata del positivismo e quella, ad essa superiore del pragmatismo, divengono sempre più inconsistenti, la controversia è a questo riguardo, sostanzialmente decisa. In questa circostanza si mostra, infatti, quanto scarsa sia la forza effettiva degli argomenti fondati sulle conseguenze.» Qui Husserl allude alla pretesa di dedurre principi generali da principi secondari, che dovrebbero al contrario essere tratti da quelli principali.
"I pregiudizi - prosegue Husserl - rendono ciechi" e chi si affida solo a dati empirici e si affida solo alle scienze, forse non si sentirà "disorientato" da tutto ciò. Ma la realtà è che il naturalismo come fondante la nuova filosofia è completamente "screditato". Il suo stesso scopo metodologico è privo di credito.
Ciò non toglie, tuttavia alcun merito alle scienze ed agli scienziati, infatti: «E' proprio nell'energia con la quale il naturalismo tenta di realizzare il principio della scientifictà rigorosa in tutte le sfere della natura e dello spirito, nella teoria e nella prassi, nell'energia con la quale esso aspira a risolvere scientificamente i problemi filosofici di valore e d'essere - secondo il suo intento, con l'"esattezza delle scienze naturali" - che sta il suo merito e al tempo stesso una parte principale della sua forza nella nostra età. In tutta la vita moderna non si da forse un'idea più potente, più inarrestabile e in progresso di quella della scienza, di quella scienza il cui corso vittorioso non verrà ostacolato da nessuno.»
Ma può la filosofia essere rigorosa come scienza, essere scienza rigorosa? Husserl ormai è lanciato come un ariete e non si pone nemmeno la domanda. Può.
"... noi dobbiamo avere dinanzi ai nostri occhi delle chiare possibilità di realizzare tale idea, e anzi, per mezzo del chiarimento dei problemi e dall'approfondimento del loro senso puro, devono presentarsi a noi nella loro piena evidenza i metodi che sono adeguati a tali problemi perché richiesti dalla loro stessa essenza."
La differenza fondamentale tra l'analisi fenomenologica e l'atteggiamento naturale consiste nell'epoché, la sospensione, ovvero anche la riduzione.
«Noi - scriverà Husserl, nel primo volume delle Ideen (prossimo file) - mettiamo fuori azione la tesi generale inerente all'essenza dell'atteggiamento naturale, mettiamo di colpo in parentesi quanto essa abbraccia sotto l'aspetto ontico (vedi); dunque l'intero mondo naturale, che è costantemente "qui per noi", "alla mano", e che continuerà a permanere come "realtà" per la coscienza, anche se a noi talenta di metterlo in parentesi.
Facendo questo,come è in mia piena libertà di farlo, io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico, ma esercito in senso proprio l'epochè fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi è costantemente già dato in quanto essente, come faccio direttamente nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienza positive, come un mondo preliminarmente essente e, in definitiva, come un mondo che non è un terreno universale d'essere per una coscienza che progredisce attraverso il pensiero e l'esperienza. Io non attuo più alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto.»
E' da notare il rischio implicito di fondare il proprio atteggiamento su un'introspezione di tipo psicologico. Ma Husserl, mette le mani avanti, rifiutando categoricamente ogni simile ipotesi. L'analisi fenomenologica si limita alla coscienza in quanto intenzionale: tutti gli oggetti trovano nella coscienza un correlativo che si dirige su di essi intenzionalmente.
moses - 20 novembre 2004