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Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)
6. La filosofia dello spirito oggettivo e
del diritto
di Renzo Grassano
Lo spirito oggettivo è per Hegel l'Assoluto che realizza la sua libertà e la sua consapevolezza di sé nell'aspetto esteriormente oggettivo, ovvero nei rapporti tra i diversi individui, nelle società organizzate.
Lo spirito oggettivo si esprime nelle leggi, nelle istituzioni e nei costumi di un popolo, ma rimane una realtà spirituale; infatti non si lascia ridurre alla natura, ad esempio: i caratteri di un popolo, ma, a differenza della natura, ha una sua storia; anzi è la storia stessa.
A questa filosofia dello spirito oggettivo, Hegel dedicò, oltre che la sezione corrispondente dell'Enciclopedia, uno dei suoi scritti più importanti: I lineamenti della filosofia del diritto, composta quando era già docente a Berlino.
La prefazione dei Lineamenti contiene la famosa, deprecata e fraintesa affermazione: " ciò che è razionale è reale, ciò che è reale è razionale".
Io sono tra quelli che l'avrebbe fraintesa e credo di averne avuto buoni motivi, perchè essa non ha mai avuto, da parte dello stesso Hegel, una specificazione ed una riserva. Hegel ha inteso con ciò affermare non che tutto ciò che esiste è razionale (sarebbe stata davvero una baggianata) ma che la realtà più profonda delle leggi, dello stato, delle istituzioni, dei costumi e dei rapporti sociali è razionale. E con ciò ha anche inteso affermare che le utopie, non essendo reali, non sono nemmeno razionali non avendo alcuna possibilità di realizzarsi.
Questa seconda parte del ragionamento è davvero urtante e spiega, meglio di ogni altra considerazione, le ragioni della diaspora posthegeliana e del perchè sorsero così tante filosofie dello stato e del diritto, del singolo, dell'esistenzialismo, del socialismo e del liberalismo.
Ma, tornando ad Hegel con la massima apertura possibile, possiamo dire che lo scopo di questa filosofia dello spirito oggettivo è di mostrare come e quanto stato ed istituzioni, rapporti sociali, e costumi siano fondati sulla spiritualità, cioè la mentalità, la coscienza, la consapevolezza storica, e quindi siano anche giustificati.
Tutto ciò che abbiamo nominato è una produzione dello Spirito, e non del caso, e nemmeno dei rapporti di forza.
Questo tipo di filosofia esprime la riconciliazione del filosofo con la realtà, desiderio che Hegel aveva cominciato a manifestare nel periodo di Francoforte, e che raggiunse, per motivi facilmente intuibili, il suo apice a Berlino.
Fu chiamato all'università appositamente per elaborare una filosofia dello stato prussiano. Svolse il compito nel miglior modo possibile, rivestendola persino di un'aura magico-esoterica.
Citando i Rosacroce, dichiarò esplicitamente di riconoscere la ragione come la rosa, nella croce del presente, e di godere di questa.
In quest'ottica di riconciliazione, di andare alla Matilde di Canossa patrona della Prussia in ginocchio per duemila ducati mensili, si ha anche l'affermazione che la filosofia è soprattutto la comprensione nel pensiero del proprio tempo, di come la realtà abbia compiuto il suo periodico processo di formazione e realizzazione dell'idea. Sarebbe tutto molto romantico, se non sembrasse terribilmente falso ed ipocrita, se, insomma, il linguaggio hegeliano suonasse almeno in qualche punto una partitura ironica, una nota dissonante, un si bemolle, una mozartiana risata alle spalle dell'imperatore Giuseppe e del vescovo di Salisburgo. Invece, è tutto molto serio.
Diritto, morale, eticità
Il diritto costituisce per Hegel il primo momento di realizzazione dello spirito oggettivo, e questo corrisponde ad una realizzazione della libertà. Nel mondo garantito dal diritto, l'individuo è considerato persona "giuridica", portatore di diritti e di doveri precisi. E l'espressione reale della persona è, dal punto di vista del diritto, la proprietà.
Tutti i rapporti che si stabiliscono tra le persone, quello che il nostro diritto chiama "negozio giuridico", cioè contratti di varia natura, hanno per oggetto la proprietà.
Secondo Hegel, il diritto ha il difetto di essere una legge esteriore, che gli individui non sentono come propria. Riconosce pertanto che tra lo Spirito realizzato e la massa dei cittadini si è realizzata una scissione. Lo stato e le sue istituzioni risultano estranei alle persone, le quali professano una moralità individuale e collettiva che, tuttavia, è ancora espressione dello spirito oggettivo.
L'espressione più alta e razionale della morale è l'etica del dovere di Kant, che pone nell'azione disinteressata, cioè in nessun rapporto di calcolo con l'utile e la felicità esteriore, il movente dell'azione morale.
Come si è già visto, tuttavia, Hegel non ritenne sufficientemente fondata la posizione kantiana inerente il dovere, soprattutto perchè mirante ad una perfezione astratta ed irrangiungibile. Se il dovere - disse Hegel - è qualcosa che ancora non è stato realizzato, non è reale e quindi nemmeno del tutto razionale.
Per questo - dice ancora Hegel - la vera realizzazione morale è rappresentata dall'eticità, che nella sua visione rappresenta il terzo momento dello spirito oggettivo.
Per capire più esattamente questa posizione, occorre un piccolo approfondimento. La soggettività è, per Hegel iniziativa e creatività, che si realizza nella vita pensata "come morale" scegliendo comportamenti e norme che ciascuno da a sé stesso. Dunque, esattamente come in Kant, la persona si trova sempre scissa tra due scelte: da una parte la norma, dall'altra la propria inclinazione, il proprio desiderio. La sintesi sarebbe operata in questo caso dal dovere. Ma il dovere senza contenuto è completamente vuoto. C'è un dovere pragmatico, qualcosa che sorge quando siamo pronti ad agire per un qualche scopo. Ma, chi dice di perseguire solo fini morali, od altruistici, dice Hegel, o è nell'astrazione, o è nel malcostume: "Gli allori del puro volere sono foglie secche che non sono mai state verdi."
Ecco perchè, in sostanza, Hegel, decisamente scettico, per non dire ostile, nei confronti di proposizioni vuotamente moraleggianti, propende per l'adesione ai valori sociali realizzati, cioè all'eticità. Misura della morale non è la massima, ma la realizzazione conforme all'etica realizzata, che è come dire ai valori dominanti.
La critica alla morale soggettiva ed all'anima bella è fulminante. Hegel non accetta che la moralità possa diventare azione politica; quando questo è successo, come nella Rivoluzione Francese, è scattato il Terrore. La morale che vuole legiferare sul mondo equivale alla distruzione della vita.
Imparentandosi con Burke, l'inglese che seppe evidenziare tutto il marcio esistente nella rivoluzione parigina, Hegel oppone alla moralità (che sarebbe sempre rivoluzionaria e fanatica) la certezza tedesca dell'eticità realmente esistente.
Questa è la più efficace garanzia d'ordine. La famiglia e la società civile sono i pilastri dell'ordine etico, ben più solidi della morale soggettiva. La famiglia è ha una funzione aggregativa, è il primo gradino dell'istituzione sociale. E con il matrimonio, e con i figli, viene il lavoro, cioè la partecipazione alla società civile.
Per Hegel, che certamente aveva letto e meditato i classici dell'economia politica scritti tra la fine del settecento ed i primi decenni dell'ottocento (Smith, Say, Ricardo) la società civile non è altro che "il sistema dei bisogni", cioè l'organizzazione razionale di tutte le attività volte al soddisfacimento dei bisogni umani.
La società civile non va confusa con la società politica. Questa è infatti l'insieme dei cittadini che operano per un fine comune. La società civile è una società di privati che agiscono in vista di fini particolari ed egoistici, fini economici che potrebbero essere in conflitto tra loro.
Il mezzo con il quale l'individuo (capofamiglia) appaga i suoi bisogni è, da un lato la proprietà (e il capitale), dall'altra il lavoro. Dalla diversa distribuzione di proprietà, capitale e lavoro, nasce la diseguaglianza economica, contrapposta alla uguaglianza giuridica. Ma, pretendere l'uguaglianza economica è, per Hegel, "vuoto intellettualismo", che scambia il dovrebbe essere utopico con il reale ed il razionale.
Che è, come volevasi dimostrare, la tesi che premeva ad Hegel ed ai suoi tutori a corte.
Per Hegel, i conflitti vanno composti in una totalità organica, realizzata dallo Stato.
Lo stato è nella visione di Hegel la realizzazione più alta dell'eticità, e come ripresero alcuni suoi allievi tagliando ed incollando appunti dalle sue lezioni: "l'ingresso di Dio nel mondo...il Dio reale." Parole grosse, ed assolutamente prive del senso dell'umorismo.
Tant'è. Ipotizzare che Dio voglia lo stato e lo voglia esattamente realizzato secondo il modello prussiano, stile caserma, appare certamente un po' esagerato. Comunque sia l'idea di stato che Hegel difende contiene sia timidi elementi di liberalismo, sia piccolissimi elementi di socialismo, sia massicce dosi di autoritarismo, che comunque conducono ad una sorta di idolatria dello stato.
Il quale non è solo l'espressione organizzata della società politica, o alcune funzioni indispensabili della società civile, ma qualcosa di più. Nella visione hegeliana la nozione di stato non coincide, anzi, con quella di società politica. Lo stato è una realtà moderna, mentre la società politica è una realtà antica e medioevale.
Questa differenza rilevata da Hegel è in sintonia con il formarsi di stati nazionali garantiti e fondati sulla lingua e sulle tradizioni unitarie, è patria (Vaterland, terra dei padri), è tradizione etica, è organismo che compenetra sia la società politica, che quella civile, che persino la famiglia, per non dire il singolo individuo.
Nella visione hegeliana l'individuo si realizza come uomo solo integrandosi nello Stato, subordinandosi a questo, e comprendendo che la sua stessa perfezione morale consiste nell'obbedire alla legge, e nel collaborare organicamente alla realizzazione del bene comune, cioè al bene dello Stato, alla sua conservazione ed al suo buon funzionamento.
Naturalmente, il ceto sociale che meglio dovrebbe fare il bene dello Stato è quello dei funzionari pubblici, ceto cui appartiene lo stesso Hegel, in qualità di professore universitario.
La migliore costituzione dello Stato è, per Hegel, la monarchia costituzionale, intesa in senso prussiano e non in senso liberale, come ad esempio in Inghilterra. Per Hegel, infatti, rimane essenziale che accanto al potere legislativo di una camera di rappresentanti degli stati, intesi come ceti sociali, Stand e non Staat, ed accanto al potere esecutivo, rappresentato dal governo, esista un'autorità forte, quella del monarca, il re di Prussia, figura nella quale si incarna il senso più alto dello Stato.
Facile comprendere come a questa teorizzazione seguirono nell'intellighentsia tedesca numerose ed autorevoli voci di dissenso. Forse, si può sopportare un'ereditarietà simbolica, come accade ancora nelle monarchie europee ed in Giappone, ma l'ereditarietà reale di un potere così forte è qualcosa che la storia ha condannato definitivamente. Si tollera che essere figlio di tanto padre comporti ancora vantaggi economici, non si sopporta più che essere figlio di tanto padre comporti responsabilità e vantaggi politici. Persino il Papa viene eletto.
RG - 2 gennaio 2002