Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 - 1831)
3. La fenomenologia dello spirito
di Renzo Grassano
Potremmo metterla così: nel 1805 Hegel si rese conto che una scienza dell'Assoluto richiedeva una giustificazione ragionata, onde evitare che essa apparisse come un nuovo tipo di rivelazione dogmatica o religiosa.
Poichè l'Assoluto, secondo Hegel, non poteva darsi immediatamente, come avevano preteso Fichte e, poi Schelling, nell'intuizione (potremmo dire in un colpo d'occhio immediato), ma ad esso si doveva giungere, come in effetti è stato, un poco alla volta, egli decise di scrivere questo rendiconto del cammino dello spirito, che in parte è storia della filosofia e della religione, e che, in altra parte, è anche qualcosa in più: sintesi di religione e filosofia, e, per certi aspetti, un trionfo della filosofia, intesa come argomentazione e ragione, sulla religione, intesa come dogma non spiegato.
Hegel, dunque, decise di scrivere un'opera intitolata Scienza del'esperienza della coscienza, ovvero una descrizione, un racconto del cammino percorso dalla coscienza, come soggetto che ancora ignora l'Assoluto, per giungere alla scienza dell'Assoluto.
In questo periodo Hegel era pressato da grandi difficoltà economiche ed incontra molti problemi a seguito di una relazione con la propria padrona di casa. Ella avrà un figlio, Ludwig, ed Hegel si troverà padre controvoglia ed anzitempo rispetto ai suoi progetti. Sul piano internazionale la storia incalza e l'anima del mondo a cavallo (definizione di Napoleone data da Goethe) si spinse sin sulla porta di casa di Hegel, a colpi di cannone. Mentre Jena era teatro di una battaglia campale, la Fenomenologia venne ultimata, e spedita a Bamberg prima dell'arrivo dei francesi, che rovisteranno le carte del filosofo, scompigliandole.
Ovviamente, uno scritto di tal fatta gli scoppiò tra le mani, e quando fu concluso, nel 1806, si presentò molto più ampio del previsto: il cammino dello spirito come storia dell'evoluzione della mentalità, non già di un singolo soggetto umano impegnato a studiare la storia, ma proprio la storia della storia scritta dalla coscienza dell'umanità, cioè dallo spirito.
Terminata l'opera, nel 1807, Hegel scrisse una Prefazione, spiegando che essa serviva come introduzione al sistema, che era necessaria come metodo e, aggiungendo, che tuttavia essa stessa già scienza, cioè qualcosa che superava l'ignoranza del metodo, perchè si svolgeva secondo un processo necessario e rigorosamente concatenato come in una dimostrazione.
La spiegazione di questo procedimento sta nella sua premessa: il soggetto che compie il viaggio è già l'Assoluto, che però non sa di esserlo, e quindi deve prendere coscienza di sé.
Hegel afferma, in conclusione, che la vera figura nella quale esiste la verità, e quindi l'unica forma di esposizione ad essa adeguata, può essere solo il sistema scientifico di essa, cioè la scienza che dimostra necessariamente.
Il vero è l'intero, afferma Hegel, perciò l'Assoluto non può che essere il risultato di uno sviluppo storico, e non l'unità indifferenziata, espressa unicamente dal principio di identità A=A, come accadeva con Schelling, il quale ricevette una stoccata bruciante quando Hegel scrisse che il suo concetto di Assoluto era simile a "una notte nella quale tutte le vacche sono nere."
Il concetto di Hegel, al contrario, contiene in sé tutte le differenze, cioè tutte le determinazioni concrete e storiche della realtà. In quest'ottica diviene chiaro che, per Hegel, l'Assoluto non è la semplice sostanza, come per Spinoza, e come credeva ancora Schelling, ma è il soggetto della storia, lo Spirito del mondo, un principio sempre in atto.
Il movimento dello Spirito è dialettico, passa attraverso la negazione ancora nel momento in cui il soggetto è in sé, e quindi si presenta come coscienza di un oggetto considerato opposto a sé, e come tale è negato dal suo oggetto, si nega in esso, ma poi, rendendosi conto che l'oggetto non è altro da se stesso, in tal modo riconoscendo sé nel suo opposto, il soggetto diviene per sé, ovvero cosciente di sé.
Questa descrizione del primo movimento della coscienza è anche un modo per mostrare come si attua la conoscenza, e quindi, si arriva alla scienza vera e propria.
Non a caso, Hegel descrive la successione necessaria dei concetti della scienza come automovimento del concetto. L'idea che muove sé stessa non può essere espressa da una proposizine identica, una frase che affermi semplicemente l'identità del predicato con il soggetto, ma da una proposizione che esprima l'identità e la differenza, l'unione, appunto dell'unione con la non-unione, come s'è già visto negli scritti giovanili.
Hegel dichiara che questo nuovo tipo di proposizione è la proposizione speculativa, la quale è l'intero sistema della scienza hegeliana della realtà e della storia.
La prima "figura" descritta nella Fenomenologia è la coscienza semplice, la forma di coscienza immediata. Essa si fonda sulla certezza sensibile ed è rapporto tra l'individuo particolare ed un oggetto presente ed esistente qui ed ora.
Secondo Hegel, tale certezza scompare immediatamente, non appena si comprende che il qui ed ora sono categorie applicabili ad ogni oggetto, rivelano connotazioni del tutto vuote, e perciò universali, e che lo stesso soggetto può essere qualsiasi soggetto, e perciò non è particolare, ma anch'esso universale.
Con questa affermazione, Hegel elude la parte più significativa della storia della filosofia antica, la quale fu attraversata da diverse contestazioni della realtà percepibile come identica, al punto che Parmenide si sentì autorizzato a parlare di essere e di scienza, per negare il sensibile e l'opinione per niente universali.
Ma tant'è: al genio possono essere concesse di queste distrazioni!
Comunque sia, Hegel, forte di questa conquista, procede con determinazione asserendo che la certezza sensibile si risolve nella percezione, che diviene conoscenza dell'universale, cioè di un oggetto preso nella sua globalità.
Anche tale acquisizione, diviene immediatamente contraddittoria perchè ci si rende conto che l'oggetto conosciuto è uno e insieme molteplice. Questo passaggio porta ad un ulteriore sviluppo della coscienza, rappresentata dall'intelletto, il quale comprende che ciò che conferisce unità alle molteplici determinazioni dell'oggetto è il soggetto stesso (mediante la sintesi a priori) e che perciò l'oggetto non è altro dalla coscienza, ma è la coscienza stessa.
In tale nuova situazione dello Spirito la coscienza non è più un affastellato groviglio di esperienze, ma autocoscienza individuale. Questa autocoscienza si esprimerebbe nell'appetito, il desiderio di possedere la natura che è la manifestazione più elementare della vita.
Anche qui, non potremmo non lasciarci sfuggire una mezza risata, perchè credo sia evidente che l'appetito viene anche a chi non sa cosa sia l'autocoscienza, ma, ancora perdoniamo queste forzature idealistiche per capire dove vuole portarci il nostro.
Secondo Hegel l'appetito genera la lotta con le altre autocoscienze, cioè con altri individui, e questa lotta ha come fine non la preda, la carne, il possesso della natura e della femmina, ma il riconoscimento, cioè la pretesa di essere riconosciuto dagli altri come superiore, più forte.
Nella lotta vince chi non teme di perdere la vita, e perde chi teme. Il vincitore diviene padrone ed il perdente diviene servo.
E' questo il celebre inizio della dialettica servo-padrone, che secondo Hegel, costituì la caratteristica dominante del mondo antico.
Il padrone non lavora e costringe il servo a lavorare per lui. Il servo, lavorando, trasforma le realtà naturali rendendole disponibili all'uomo, quindi umanizzando la natura, ed oggettivizzandosi in esse.
In tale rapporto il padrone finisce col diventare dipendente dal servo, mentre il servo, attraverso il suo lavoro, non solo riconosce sé stesso nel prodotto del suo lavoro, ma si rende anche conto della dipendenza del padrone da lui, e con ciò diventa libero, almeno interiormente, nei confronti del padrone.
Potremmo vedere in questo passaggio il primo nucleo della stessa filosofia di Marx: indubbiamente Hegel fu il primo filosofo a capire i meccanismi psichici ed economici del servaggio ed ad individuarne le conseguenze storiche.
Ma la soluzione hegeliana rimase su un piano puramente intellettuale ed astratto. Egli non vide altro che una corrispondenza tra la coscienza interiore del servo e la filosofia stoica, come momento nel quale la storia della filosofia consente allo spirito del servo di prendere coscienza del proprio valore e della propria responsabilità.
Portando al ritiro dal mondo, lo stoicismo si capovolse, originando lo scetticismo, che Hegel descrive come conflitto con il mondo e scissione dell'autocoscienza, fino a determinare un'altra figura di importanza storica: quella della coscienza infelice.
Detta coscienza infelice fu il cristianesimo in luogo dello scetticismo, e si manifestò a lungo, specie nel periodo medioevale.
Il carattere della coscienza infelice è il risultato di un contrasto tra la coscienza divina, che è immutabile, e quella umana, che è mutevole e soggetta al peccato. Questa forma di coscienza più che al pensiero porta alla devozione, alla subordinazione totale dell'uomo a Dio, e quindi alla dipendenza della coscienza del singolo a quella divina.
Questa subordinazione incondizionata porta all'ascetismo che rappresenta il riconoscimento dell'infelicità e della miseria della carne, e per liberarsene si unisce a Dio. E' in ragione di questa unificazione compiuta dal filosofo medioevale che la coscienza, ovvero lo Spirito, riconosce di essere diventata anch'essa Assoluto. Non è più nell'al di là , cioè in un Dio "altro", ma in sé stessa.
Alla fine del medioevo il soggetto assoluto, l'autocoscienza è diventata ragione di tutto, assumendo in sé ogni realtà.
Così, mentre nelle epoche precedenti la realtà del mondo appariva all'autocoscienza come qualcosa di diverso e di opposto (negazione di sé) ora, al contrario, può cominciare a viverla, perchè nessuna realtà è niente di diverso da essa.
Lapidaria la frase di Hegel: "La ragione è la certezza di essere di ogni realtà."
La conclusione provvisoria di questo lungo rendiconto del viaggio dello Spirito dall'antichità al preludio dell'era moderna è dunque la consapevolezza della realtà, che Hegel chiama idealismo.
Si tratta qui di capire che per Hegel la vera realtà è solo nella coscienza, ed è dunque pensiero. Sia per ragioni spaziali che per ovvie ragioni storiche l'intera realtà non può dunque esistere nella realtà, ma solo nel pensiero, così, per capirci, come non è possibile che esista qui ed ora Giulio Cesare. Egli esiste nel nostro pensiero, nella nostra coscienza storica.
E' per questa ragione, che io insisto molto sul fatto che l'idealismo di Hegel è in realtà il massimo possibile di realismo: la sua concezione dello Spirito, così come si è delineato finora, è la coscienza storica padrona del processo concreto ed astratto dall'inizio.
Ma, giunti a questo punto cruciale, il Rinascimento e la modernità, la ragione che sa si deve realizzare in una serie di momenti, diviene in primo luogo ragione osservativa, cioè pensiero che conosce la natura per mezzo dell'osservazione: è la scienza rinascimentale.
Il secondo momento è rappresentato dal pensiero che si realizza nella pratica individuale e corrisponde all'atteggiamento faustiano (che sarebbe meglio dire galileano, baconiano e newtoniano).
Infine, il terzo momento è la ragione che realizza sé stessa nell'attività pratica universale, cioè l'eticità, divenendo costume ed istituzione tra i popoli.
Così la ragione non è solo più atteggiamento razionale, ma Spirito universale, soggetto della storia, qualcosa di molto più importante della semplice coscienza individuale.
Ed è partire da qui che Hegel ricomincia da capo la storia dello Spirito.
Essa ha una prima fase nel mondo greco, definito come il regno della libertà bella, cioè perfetta armonia tra l'individuo e lo stato (polis). Siamo alla ripresa delle posizioni giovanili. Nel mondo greco, secondo Hegel, che qui davvero idealizza una realtà che non è mai esistita, il cittadino della polis obbedisce alle leggi che lui stesso si è scelto e si è dato, in modo spontaneo ed ingenuo, bello, persino attraverso l'opera d'arte.
Anche nel mondo greco, bontà sua, Hegel riconosce l'esistenza di qualche conflitto, rappresentato, per esempio, dall'Antigone di Sofocle, dove la tradizione non scritta della famiglia e della realtà patriarcale si è scontrata con la legge scritta e nuova della città.
Nel mondo romano, che in qualche modo eredita lo spirito greco, ma, secondo noi, anche segue fin dall'inizio anche vie autonome ed originali, la legge diventa, per Hegel, "diritto", cioè qualcosa di esterno alla coscienza individuale. L'individuo, così si ritrova come alienato, altro da sé, neutralizzato come "persona" in senso giuridico.
Questa fase dell'alienazione della coscienza da sé stessa segna il passaggio dallo stato di natura allo stato della cultura, cioè la civiltà. Esso dura per tutto il medioevo, attraversa l'era moderna fino alla rivoluzione francese.
La modernità si trova, per Hegel, concentrata nella formazione, durante il Seicento, della macchina statale. Lo stato diviene potere ed autorità politica. Il personaggio storico che meglio rappresenta questo difficile momento, e per il quale Hegel mostra una certa ammirazione, è il cardinale Richelieu, protagonista della storia francese.
Accanto all'autorità politica dello stato, cresce però un'altra forma di potere, quello della ricchezza. Questp potere allenta ed incrina l'eticità dello stato opponendo le sue leggi sociali a quelle politiche.
In tale situazione conflittuale, la cultura e la filosofia diventano, secondo l'espressione di Hegel, universale parlare, cioè la critica illuministica allo stato assoluto.
Hegel ha dell'illuminismo una visione critica. Per Hegel, l'illuminismo ha il torto di aver ridotto la realtà del mondo a "materia". Dio e "materia" , nell'illuminismo sono contrapposti e separati dall'intelletto, e la materia di cui è fatto il mondo è pensata in termini di "valore d'uso", cioè di sfruttamento. In questa prospettiva il soggetto crede di essere libero in modo assoluto, signore della terra.
Quando questa libertà assoluta si traduce in azione politica, diventa il Terrore della Rivoluzione francese, perchè, secondo Hegel (qui davvero incomprensibilmente parziale ed estremistico) la libertà assoluta trova la propria negazione solo nella morte degli altri.
In sostanza, Hegel teorizza che la Rivoluzione doveva necessariamente sfociare nel Terrore. Il bagno di sangue giacobino è una conseguenza della libertà dell'intelletto, che gli utopisti hanno riconosciuto all'uomo come un diritto.
Questo punto cruciale della storia, secondo Hegel, rappresenta la scissione tra fede e ragione, ed ancor di più una ripresa dell'intelletto separante sulla ragione unificante.
Sempre in questi termini, anche se su un piano un po' diverso, si collocano le valutazioni sul corso faustiano del moderno. Per Hegel, Faust deluso dalla scienza, si getta nell'avventura del piacere.
"Le ombre della scienza - scrive - delle leggi, dei principi, che stanno tra essa e la sua effettualità, scompaiono come nebbia inerte che non può sostenere l'autocoscienza con la certezza della sua realtà. L'autocoscienza coglie la vita come viene colto un frutto maturo." (Fenomenologia, V)
Epperò l'autocoscienza, nella ricerca del frutto maturo, trova un destino estraneo che la travolge.
I romantici cercano allora di riappropriarsi del destino sentendolo come una legge del cuore, ma questa sentimentalità si scontra con la legge di tutti, una legge superiore e nemica. Cerca di vincere questa logica del mondo con la virtù, il bene vagheggiato astrattamente, ma il corso delle cose, la legge del "mondo", hanno la meglio. E per Hegel, questo è il bene realizzato concreto. In proposito scrisse parole memorabili: "Il corso del mondo ottiene vittoria su ciò che, in contrapposizione ad esso, costituisce la virtù...; ma esso non trionfa di alcunchè di reale...; trionfa del pomposo discorrere del bene supremo dell'umanità e dell'oppressione di questa, del pomposo discorrere di sacrificio per il bene e dell'abuso delle doti... L'individuo che da ad intendere di agire per tali nobili scopi ed ha sulla bocca tali frasi eccellenti, vale di fronte a sé come un'eccellente essenza, ma è invece una gonfiatura che fa grossa la testa propria e quella degli altri, la fa grossa di vento." (Fenomenologia, V)
In questo modo, lo sforzo morale di Kant appare privo di senso. Il corso del mondo ha sempre ragione: non il dover essere è razionale, ma la realtà che accade. Accusare di irrazionalità la razionalità stessa è davvero il massimo, ma con Hegel, come si vedrà le sorprese non finiscono mai.
L'ultima parte della Fenomenologia tratta dello Spirito che, dopo essersi realizzato nella società civile, torna a sé stesso e si riconosce come Assoluto. Esso, dapprima, si rappresenta l'Assoluto come altro da sé, come il trascendente delle esperienze religiose. Anche la religione si sviluppa da una prima forma, la religione naturale tipica dei popoli orientali, passando attraverso la fase della religione artistica, quella dei greci, e culminando nel cristianesimo, la religione rivelata.
Hegel mostra di apprezzare il cristianesimo, correggendosi ancora una volta, perchè il mistero della trinità esprime il movimento dialettico della storia che egli ha creduto di saper descrivere: nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo egli vede nitidamente il processo per il quale l'Assoluto indifferenziato è uscito da sè, è stato altro da sè, per poi ritornare in sé, pieno della coscienza di sé e dell'altro. In questa luce anche il mistero dell'Incarnazione, del farsi uomo da parte di Dio, è visto come parte fondamentale del cammino dello Spirito.
Ma, attenzione, perchè questo è un punto importante, la religione stessa non rappresenta affatto il sapere assoluto dello Spirito. Essa, infatti, continua ancora a rappresentarsi l'Assoluto come altro e non come identico al soggetto: questa vittoria finale del pensiero è dovuta alla filosofia, che a questo punto diviene la spiegazione del mistero religioso in termini razionali. L'Assoluto è l'autocoscienza dello Spirito giunta alla conclusione del proprio pellegrinaggio. Essa, da un lato è storia, rendiconto di tutte le limitate autocoscienze del passato, e dall'altro è scienza, organizzazione concettuale del risultato. Potremmo dire, che, secondo Hegel, persino Dio non può credere di essere Dio se non passando dal suo Calvario, realizzando la sofferenza, e quindi arrivando all'Assoluto come autocoscienza. Roba da matti, o realizzazione geniale?
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RG - 8 gennaio 2003