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Croce contro Gentile, Gentile contro Croce
Nel 1913, Benedetto Croce, stimolato da alcuni attacchi alla sua filosofia dei "distinti" proveniente dal circolo gentiliano, scrisse un articolo sulla "Voce" di Prezzolini intitolato Intorno all'idealismo attuale nel quale rivolgeva a Gentile un'accusa di misticismo. L'attualismo di Gentile è per Croce la negazione di ogni distinzione, perché ogni distinzione è "astratta": "Voi volete starvene immersi nell'attualità senza veramente pensarla; perché pensare è unificare distinguendo o distinguere unificando, il che voi considerate come un trascendere l'attualità. Perdonate; ma codesta è la schietta opposizione mistica,e si esprime, o piuttosto non si esprime, nell'Ineffabile." E proseguiva: «La conseguenza logica del vostro principio dell'attualità immanente sarebbe, a dir vero, l'immersione in un immobile presente, privo di opposizioni, se ogni opposizione si fonda, come certamente si fonda, su una distinzione... » Croce faceva risalire la posizione dei gentiliani a Bertrando Spaventa, il quale aveva costruito l'unità dell'atto spirituale a danno della ricchezza della autentica dialettica hegeliana, tanto che, Spaventa stesso, «venuto fuori dal seminario e dalla teologia, fu esclusivamente divorato dall'ansia dell'unità religiosa e rimase chiuso a ogni altro interesse, tanto che lasciò cadere tutto il ricco contenuto del sistema hegeliano e si restrinse a meditare, e quasi direi ad arzigogolare, sulle prime categorie della Logica e sulla relazione di Pensiero ed Essere, così astrattamente prese, fuori o disopra a tutti gli altri problemi.»
Da questo atteggiamento venivano, secondo Croce, serie conseguenze politiche: «Ciò che soprattutto m'impensierisce nel vostro idealismo attuale è, invece, la depressione ch'esso produce nella coscienza dei contrasti della realtà, l'acquiescenza al fatto come fatto e dell'atto come atto, implicita nella teoria che proponete dell'errore e del male, da voi attenuati sino alla completa vanificazione e privati di ogni realtà.»
La replica di Gentile non si fece attendere. Non è vero che l'attualismo neghi le distinzioni, diceva, contesta che esse possano essere imbalsamate e irrigidite in forme irriducibili le une alle altre. I quattro distinti crociani frantumano l'unità dello spirito in posizioni puramente empiriche e ripropongono quella distinzione tra spirito e natura che l'idealismo vuole negare. L'essenza della filosofia dello spirito è racchiusa in una eterna dialettica volta a superare le opposizioni, che però sono necessarie affinché l'unità dello spirito non sia un factum, ma un fieri, cioè divenga costantemente nel presente e non rimanga un "passato". Al di fuori di questo processo del pensare, non c'è nulla. «Di qui non s'esce: ma qui c'è tutto in tutte le sue distinzioni, che io non conto, perché infatti, come distinzioni interne al tutto, non hanno numero.»
Eppure, qualche tempo dopo, Gentile non negherà una componente mistica dell'attualismo. Esso mira ad unificare la molteplice varietà naturale e umana in un'assoluto, nella divina unità. Tuttavia, rimane distinto dal misticismo perché afferma il finito non meno risolutamente che l'infinito e la differenza non meno dell'unità: «... l'individuo particolare non svanisce nel seno dell'Io assolutamente e veramente reale. Perché questo Io assoluto, che è uno e in sé unifica ogni io particolare ed empirico, unifica, non distrugge. La realtà dell'Io trascendentale importa pure la realtà di quello empirico, di cui malamente e indebitamente si parla soltanto quando si prescinda dal suo rapporto immanente con l'Io trascendentale.» (1)
Le ragioni del dissenso sono profonde e non meramente intellettualistiche, come forse potrebbe apparire. In Croce, la filosofia continua ad avere un suo momento teorico distinto. In Gentile prevale una concezione militante della filosofia. E tali contrapposizioni si approfondiranno negli anni, come quando in vista della prima guerra mondiale, Croce assumerà un atteggiamento neutralista, simile a quello di Giolitti. «Eppure Croce non rinuncia a nessuna delle sue convinzioni teoriche, come l'idea che la logica della politica, e degli Stati, sia quella della forza e della potenza. Tant'è vero che si trova a dissentire apertamente dalla propaganda dei paesi dell'Intesa, impegnati a sostenere la superiorità della cultura illuministica e democratica franco-inglese rispetto all'idea dello Stato-potenza tipico della tradizione germanica. Della guerra propone l'immagine di idea eterna, operante necessariamente nella storia, di un accadimento "tanto poco morale o immorale quanto un terremoto o altro fenomeno di assestamento tellurico", mentre a guerra finita, ricorderà che le "lotte degli Stati, le guerre, sono azioni divine" che gli individui devono saper accettare e a cui sarebbe ipocrisia cercare legittimazioni di ordine etico superiore al di là della volontà di potenza e dei movimenti imperialistici dei protagonisti, l'unico spazio di moralità consiste nel dovere di ognuno dei popoli in guerra "di schierarsi alla difesa del proprio gruppo, alla difesa della patria."» (2)
Le idee di Gentile furono espresse in una conferenza dell'ottobre 1914 molto chiaramente: "dramma divino", o "cimento [...] di tutte le forze che si sono organizzate sulla faccia della terra", uno sforzo "in cui il Tutto è impegnato", "un atto assoluto". (3) Può destare impressione fortemente negativa che chi, come Gentile, si sia espresso per superare le distinzioni nell'unità dello spirito umano immanente, trovi poi così naturale esaltare le beluine inclinazioni degli uomini ad uccidere tutti quelli che portano un'altra divisa e sventolano un'altra bandiera, ma non è questo il luogo per dare giudizi. Al fondo della filosofia gentiliana vi è comunque sempre, un irrazionalismo della volontà che si oppone al razionalismo della ragione "pigra". Ed è questo che va capito.
D'altro canto, come ha notato Norberto Bobbio, Croce, "che pur aveva condotto una strenua lotta contro gli scrittori che, accecati dalla passione di parte, tradiscono la verità per la patria, tenne a precisare che non gli era mai saltato in mente di mettersi al di sopra della mischia ... lui, Croce, aveva procurato di mettersi, o meglio di restare al di sopra della mischia soltanto nel campo teorico o scientifico." (4)
Ancora Bobbio ci accompagna, con amare parole, nell'introdurre il nuovo scenario post-bellico, occasione di una contrapposizione ancora più lacerante: «... la guerra non aveva migliorato, né redento, né cancellato. Non aveva fatto miracoli. Anche rispetto al movimento culturale... "non aveva cambiato nulla". I maestri della nuova generazione (si pensi a Gobetti) furono gli stessi della generazione precedente: Croce e Gentile, Pareto e Mosca, Einaudi e Salvemini. E come se nulla fosse accaduto ognuno di essi ricominciò con un fiducioso "heri dicebamus". Chi legga la storia della formazione dei giovani della nuova generazione come Carlo Rosselli o Rodolfo Morandi, ha l'impressione che siano piuttosto gli epigoni della generazione del Risorgimento (più Mazzini che Marx) o gli ultimi discepoli dell'idealismo che non i portatori di una nuova coscienza, anche se gli itinerari dell'uno o dell'altro saranno divergenti, conducendo l'uno fuori del marxismo, l'altro dentro il marxismo. Per quanto la stagione creativa dell'idealismo fosse ormai esaurita, l'idealismo continuò ad essere, più per abitudine che che per convinzione, la filosofia dominante: tra il '19 e il'25, Croce scrisse opere di critica letteraria e storica... Gentile, meno fecondo, diede alle stampe opere minori...» (5)
Giudizio che non possiamo condividere del tutto perché, come s'è visto, Gentile ebbe in realtà una posizione politicamente attiva, che qui riportiamo per comodità del lettore: nel volumetto Dopo la vittoria. Nuovi frammenti politici egli affermò che si stava vivendo un tempo non di avventura ma di "ordine", ma "non dell'ordine che dev'essere stabilito dalla forza, ma di quell'ordine - tanto più efficace, quanto più sincero e moralmente sicuro - che deriva dal concorde volere di tutte le classi e di tutti i partiti, congiunti nel dovere sacro di instaurare nella sua pienezza il dominio del diritto in un regime di vera giustizia e di ampia libertà." La crisi morale di cui soffrivano l'Italia e gli italiani avrebbe potuto essere superata solo con l'imporsi di una nuova concezione dello stato, organo dell'interesse collettivo, al di sopra delle parti e dei partiti. Bisognava distinguere tra la falsa democrazia in cui il popolo si oppone allo stato e lotta contro di esso, e quella vera nella quale "il popolo è esso stesso lo stato". Sempre in Dopo la vittoria possiamo trovare: "Il liberalismo, almeno da cento anni a questa parte, è concezione dello Stato come libertà e della libertà come Stato: doppia equazione nella cui unità trova adeguata espressione il principio liberale. Né lo Stato esterno all'individuo, né l'individuo concepibile come astratta particolarità, fuori dall'immanente comunità etica dello Stato, in cui egli realizza la sua effettiva libertà."
In questo, Gentile era davvero coerente, forse troppo, mancando un qualsiasi accenno autocritico sul perché lo spirito non riesce a persuadere la gran massa ad identificarsi con esso, né in tempo di pace, né in tempo di guerra. Ma ciò che desta perplessità è la posizione di Croce. Forse non è sbagliato immaginarsi il filosofo immerso in una specie di letargo attivo solo letterariamente, in un periodo nel quale comunque avvennero fatti storicamente rilevanti, fatti come la nascita in Italia di un partito comunista. Ma, dopo il 1925, come scrive Bobbio, "fiorì la seconda, e più ricca e rigogliosa, stagione del lungo magistero di Benedetto Croce, che fu la coscienza morale dell'antifascismo italiano, non tanto come restauratore dell'idealismo (che era ormai morto avendo lasciato il posto allo storicismo assoluto), quanto come filosofo della libertà."(6)
Ancora Bobbio denota: «Sino a che la libertà non era stata minacciata, il liberalismo di tradizione e di temperamento che sonnecchiava in lui si era limitato a qualche sussulto, come in occasione della memorabile sfuriata contro i nazionalisti. Instaurata la dittatura, l'afflato o sentimento liberale si trasformò a poco a poco in una teoria del liberalismo, dando luogo a una vera e propria concezione della storia come storia della libertà. Croce stesso fece capire che che sino allora era stato un liberale inconsapevole. Ma di fronte al nuovo regime e alle storture filosofiche e storiche che i suoi zelatori, a cominciare da Gentile e dai gentiliani, andavano propagando, occorreva mettere mano con rigore al metodo della distinzione che fallisce mai, e dar la caccia severamente a ogni confusione ridando a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio.» (7)
L'occasione per la prima presa di posizione pubblica fu originata dal Manifesto degli intellettuali fascisti dell'aprile 1925, steso di proprio pugno da Giovanni Gentile. All'inizio di maggio usciva un contromanifesto degli intellettuali antifascisti, scritto da Croce. E, ad arricchire, il quadro, va ricordato che, sempre nel 1925, si manifestarono in modo evidente le prime importanti voci di dissenso, nei confronti di entrambi, ma con maggiore vigore in chiave anti-gentiliana, da parte dei neoscolastici cattolici arroccati nel'Università milanese. E' una storia che merita di essere conosciuta, nel prossimo file...
(1) G. Gentile - Teoria generale dello spirito come atto puro -
(2) G. Fornero / S. Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
(3) G.Gentile - Guerra e fede - Napoli 1919
(4) N. Bobbio - Profilo ideologico del Novecento - Garzanti 1990
(5) ivi
(6) ivi
(7) ivi