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Gentile: la logica come dialettica del concreto e dell'astratto
Il Sistema di logica come teoria del conoscere fu diretto in primo luogo a chiarire come sia possibile che il pensiero risulti insieme sempre libero e contemporaneamente identico alla sua necessità razionale. Per Gentile, l'atto del pensiero è sempre verità, bene, libertà, ma poiché si oggettiva, e non può non farlo, diviene negatività, male, necessità, anche errore. «Il problema della logica gentiliana - osserva Nicola Abbagnano - è quello di mostrare l'immanenza di questi aspetti negativi nell'unità e nella semplicità dell'atto spirituale infinito. Gentile prende perciò in esame quello che egli chiama il logo astratto, cioè la considerazione astrattiva per la quale l'oggetto in generale, che è la radice di ogni negatività o disvalore e quindi anche dell'errore e del male, viene considerato una realtà a sé, indipendente dallo spirito che la pensa. Così inteso il logo astratto è necessario al logo concreto.» (1)
Infatti, incontriamo nel Sistema il seguente passo: «Affinché si attui la concretezza del pensiero, che è negazione dell'immediatezza di ogni posizione astratta, è necessario che l'astrattezza sia non solo negata ma anche affermata; a quel modo stesso che a mantenere acceso il fuoco che distrugge il combustibile occorre che ci sia sempre combustibile e che questo non sia sottratto alle fiamme divoratrici ma sia effettivamente combusto.»
Tutto il pensabile si riduce a tre forme dell'oggetto pensabile: concetto, giudizio e sillogismo. Esse esprimono l'oggettività, l'essere e la natura e non sono suscettibili di movimento e dialettica, le quali appartengono all'attività spirituale vera e propria e quindi all'attività del soggetto pensante. Concetto, giudizio e sillogismo, oggetti del pensiero greco e medioevale son quindi, in quanto astratti, un errore che, tuttavia si configura come necessario proprio come il combustibile è indispensabile a tenere acceso un fuoco. Il soggetto pensante deve oggettivare, deve quindi sbagliare, per risovere l'oggettività e superarla. Scrive Gentile: «La logica dell'astratto è nata storicamente e nasce eternamente, se così ci è consentito esprimerci, in quella situazione dello spirito, nella quale questo non ha acquisito coscienza di sé e non vede perciò l'astrattezza dell'astratto e lo scambia pel concreto. Situazione naturalistica, in cui il reale è presupposto dello spirito. Situazione a cui lo spirito è destinato a sottrarsi e vi si sottrae all'infinito, in quanto già nell'atto stesso in cui crede di realizzarla, la supera, affermando non propriamente la natura, come gli pare, ma la propria conoscenza della natura, non il concetto, ma il suo concetto del concetto.» E ancora: «Questo è il ritmo eterno dell'intelletto: che prima fingit creditque, e poi s'avvede di trovarsi innanzi al prodotto della sua stessa attività creativa. Pone la realtà in un primo momento per trovarsela innanzi come altro da sé, in guisa da crederla per sé stante, al di là e prima della sua medesima attività, e per ciò stesso base solida e ferma all'esercizio di questa. E questo è il momento ingenuo della spontanea creatività. Al quale segue l'altro momento della riflessione e della critica, ond'egli riconosce se stesso nell'oggetto in cui si è posto.»
In tale ottica si colloca anche quella che potremmo chiamare la teoria gentiliana dell'errore. Per Gentile, l'errore è sempre immanente alla verità, come il non-essere è immanente all'essere che-di-viene. La conoscenza dell'errore è verità, e la conoscenza non può che essere vera. Ora, è interessante notare che Gentile ritiene evidentemente in errore tutti i filosofi non idealisti, e perfino gli idealisti non attualisti, però non ritiene di dover spiegare l'errore stesso, infatti: «L'idealista dell'immanenza assoluta non deve spiegare con la dialettica dell'atto spirituale qualunque verità e qualunque errore; ma la verità mia nell'atto che penso, e il mio errore nello stesso atto. Chiedergli che con la stessa spiegazione egli renda conto di quello che, volgarmente e secondo altri sistemi filosofici da lui criticati, è pure pensiero, e importa un corrispondente modo di concepire verità ed errore, è certamente pretesa assurda. L'errore attualmente superato dal suo contrario (che è il solo errore di cui il nostro idealismo possa parlare) non è certamente l'errore, per esempio, di chi è contro di noi, e resiste ai nostri argomenti e persiste nella sua asserzione per noi evidentemente falsa; né l'errore commesso, per recare un altro esempio, da Platone con la sua teoria della trascendenza delle idee.»

Nicola Abbagnano notava giustamente che l'antagonista dell'idealismo viene così annullato insieme alla sua opposizione. In pratica, l'antagonista viene interiorizzato nel senso che non può godere di un'esistenza esterna e indipendente, non può risultare né irriducibile né incommensurabile. L'antagonista dell'idealismo è reale solo nel momento che sgorga dal nostro pensiero, "e per quanto all'infinito risorga nella sua distinzione, questa distinzione torna sempre daccapo ad essere annullata".
Per Gentile, in sostanza, basta che la correzione si attui nell'interiorità del pensare attuale perché essa sia reale. «E' appena necessario far notare che anche a fondamento di questa teoria c'è il presupposto che regge l'intera teoria gentiliana: conoscere è identificare e pertanto conoscere gli altri nella loro alterità e nei loro errori significa risolvere l'alterità e l'errore nell'unità e nella verità del soggetto pensante.» (2)
Questo è il fondamento di tutto il pensiero gentiliano, e come "presupposto" attraversa tutti gli svolgimenti. L'ignoto e l'ignoranza, ad esempio, ci sono in quanto non ci sono più. L'ignoranza non esiste se non nell'atto che la riconosce come tale, e quindi la supera. I problemi sono solo in quanto risolti, ma ogni soluzione si trasforma immediatamente in nuovo problema, che verrà nuovamente risolto. In tale concezione rientra la scarsa considerazione che gode la scienza nel sistema gentiliano. Essa è sempre sapere particolare e non può non avere accanto a sé altre scienze a loro volta particolari. Essa manca di universalità e presuppone sempre di porre avanti a sé stessa il proprio oggetto, si presenta dogmatica nella sua astrattezza e tende necessariamente al materialismo ed al naturalismo. Ciò che la salva è che lo scienziato, essendo uomo, è anche filosofo, pertanto ne ricomprende l'astrattezza, riportandola nella concretezza del suo atto pensante.
«La conclusione inevitabile della dialettica dell'astratto e del concreto - osserva Nicola Abbagnano - .... è che l'uomo, come soggetto pensante e nella puntualità del suo atto pensante, è sempre nella verità e nel bene, nell'infinito e nell'eterno, ed è, anzi, egli stesso, tutte queste cose. Ciò implica pure che la storia dell'uomo (che ha storia solo come atto pensante) è un permanere immobile nell'eternità e a tanto si riduce la dottrina della storia di Gentile.» (3) Indubbio che ciò sia vero, ma il rapporto di Gentile con la storia merita un ulteriore approfondimento che cercheremo di sviluppare nel prossimo file.


(1) Nicola Abbagnano - Storia della filosofia - vol. VI / TEA 1995 (UTET 1993)
(2) idem
Tutte le citazioni di Gentile sono tratte da: Sistema di logica come teoria del conoscere - Sansoni 1940
moses - 10 gennaio 2006