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Gentile e la storia (come storia della filosofia)
Come si è già visto, la riflessione gentiliana conduce a considerare come astratta e separata ogni forma di sapere, e giunge a considerare "irreale" questo stesso sapere astratto; non può, quindi, che affermare la necessità del suo superamento e della sua risoluzione nella filosofia, "intesa come la forma più alta e insieme più concreta dell'attività spirituale... la quale giudica tutte le altre, e non può esser giudicata da nessun'altra." Pertanto, arte, religione, politica, scienze, religione e storia diventano "reali" e concrete solo passando le porte del pensiero filosofico in atto ed in esso risolvendosi. Scrive Paolo Rossi: «Di fronte agli specifici problemi nascenti nell'ambito dell'attività artistica, scientifica, storiografica, pedagogica, giuridica, l'attualismo gentiliano non aveva in realtà nessuna possibilità di discorso: poteva soltanto insistere sull'astrattezza di quegli specifici problemi, affermare la necessità di una loro risoluzione nella "filosofia", ripetere la tesi, valida in ogni circostanza e di fronte ad ogni problema, della superiorità del pensante sul pensato e dell'atto sul dato.
La negazione operata da Gentile, dell'autonomia di tutte le forme teoretiche e la tesi della loro necessaria riduzione a filosofia consentiva inoltre, per quanto concerne il problema della storiografia, una ulteriore semplificazione del problema. Nella storia della filosofia, secondo Gentile, "si riassume tutta la storia dell'umanità", non nel senso crociano di una presenza di tutta la storia nella storia delle singole attività spirituali, ma nel senso che tutta la storia del mondo e la storia di tutte le varie forme culturali veniva ricondotta alla storia della filosofia. Non solo veniva negata la "legittimità" delle varie storie "speciali", che per diventare davvero storia dovevano risolversi in storia della filosofia, ma si affermava anche l'impossibilità di includere la filosofia "nella legge della scambievole azione e interferenza dei cosiddetti fattori storici". (1) Operava qui un concetto della filosofia ben diverso da quello presente nella meditazione crociana: "la filosofia, in quanto diviene elemento della vita sociale, non è più quella filosofia stricto sensu, che si può vedere in cima allo svolgimento dello spirito, spettatrice e scrutatrice disinteressata e sopramondana del fluttuare sottostante della vita... ma è appunto un elemento di questa vita, mondano come tutti gli altri, cioè particolare: non è più la filosofia nella sua sede propria e nella sua specifica natura, ma una sua eco nella vita extrafilosofica... non è la filosofia, in quanto speculazione del reale, che entra nel gioco delle forze spirituali inferiori operanti nel corso della storia, ma è la volontà; o meglio quelle volontà che soggettivamente sono state trasformate e nuovamente orientate da una data filosofia: non sono, poniamo, gli elaboratori del materialismo storico, che è concetto speculativo, ma i compilatori del Manifesto dei comunisti che è un atto pratico." (2)» (3)
Rossi vede dunque quanto la scissione tra fatti ed idee, tra situazioni e dottrine, tra storia e concetti venga qui portata fino alle estreme conseguenze. A Gentile non interessava né le connessioni tra cultura e filosofia o società e filosofia, né l'indagine su rapporti storici intercorrenti tra una filosofia e l'altra; interessavano solo i rapporti speculativi. Ed era così che si faceva "storia della filosofia". In una pagina de La riforma della dialettica hegeliana, cioè in uno dei più famosi saggi di Gentile, Il metodo dell'immanenza, questo elemento balza immediatamente agli occhi, ove si legga: «Il motivo soggettivistico della certezza meglio svolgeva intanto la filosofia inglese, che pur da Bacone ma anche più da Cartesio prende in Locke l'aire a quella dottrina dell'esperienza che doveva condurre all'immaterialismo di Berkeley e allo scetticismo di Hume: due intuizioni convergenti nell'estremo opposto dell'acosmismo di Spinoza. In questo si liquidava il soggetto; in quelli si liquidava l'oggetto... e dopo la doppia negazione era naturale che dovesse risorgere più viva che mai la questione del metodo; come risorse infatti col criticismo kantiano...» (4)
Gentile concepiva il lavoro storico e i suo metodo in modo strettamente legato alla contemporaneità della storia alla sostanziale identità di filosofia e storia della filosofia. Gentile negava la storia come processo temporale che sta nel passato ormai trascorso. Questa è la storia ridotta ad alterità e oggettività, dunque una storia astratta, esterna allo spirito, quindi una limitazione dello spirito stesso. In questo Gentile condivideva la tesi crociana della contemporaneità, ma ne accentuava l'elemento della riduzione alla coscienza. Infatti scriveva: «... ogni storia perciò è stata detta a ragione storia contemporanea, dove non rivive il passato, ma vive esso il presente con i suoi interessi le sue passioni e le sue aspirazioni e la sua mentalità; non essendo essa al postutto se non la la rappresentazione, o meglio la produzione della mentalità dello storico. Il passato che entra nella storia è il passato sopravvissuto nel presente: è cioè lo stesso presente.»
Presente che non va confuso con una rappresentazione lineare di ciò che sta tra passato e futuro, ma vero presente "sovratemporale, eterno e recante nel proprio seno, come contenuto, tutto il tempo con la sua falsa infinità". Lo storico che compie l'atto della rappresentazione non si distacca da essa, ma la fa sorgere all'interno del proprio spirito. E anche molti anni dopo, quando Gentile avrà del tutto rotto i ponti con Croce, ribadirà però la sua stessa visione della storia, limitandosi a sottolineare, potremmo dire freudianamente, l' introiezione della storia nell'io "che è tutto" e quindi è "storia, ma storia che risolve nell'atto eterno del pensiero che l'attua pensandola". Si comprende così come Gentile sia pervenuto ad identificare storia e storiografia. Qui un chiarimento è necessario. Storiografia è un termine che venne adottato da Tommaso Campanella per "significare l'arte di scrivere correttamente la storia". Benedetto Croce ne mutò parzialmente il significato, volendo designare la conoscenza storica in generale, stante una specie di ambiguità che ormai avvolgeva il termine "storia". La storiografia, secondo gli idealisti, non può che essere universale, ed essa è opera del filosofo e non dello storico. A rigore, lo storico serve al filosofo perché gli porge delle storie su cui riflettere, ma non è lo storico che può scrivere la storia universale. Il richiamo a Fichte non è quindi casuale, egli aveva scritto: «Comprendere con chiara intelligenza l'universale, l'assoluto, l'eterno e l'immutabile in quanto guida la specie umana, è compito del filosofo. Fissare di fatto la sfera sempre cangiante e mutevole dei fenomeni attraverso i quali procede la sicura marcia della specie umana, è compito dello storico, le cui scoperte sono solo casualmente ricordate dal filosofo.» (5) Sulla stessa linea, Hegel avrebbe precisato: «Per conoscere il sostanziale, bisogna accedervi da sè con la ragione... La filosofia, nella certezza che ciò che impera è la ragione, sarà convinto che l'accaduto troverà il suo luogo nel concetto e non altererà la verità, come oggi è moda particolare presso i filologi che, con quel che si dice acume, introducono nella storia elementi aprioristici. » E ancora, egli aggiungeva che bisogna «portare con sé la coscienza della ragione: non occhi fisici, non un intelletto finito, ma l'occhio del concetto e della ragione.» (6)
Gentile, come si è già detto più volte, seguì più Fichte che Hegel, ma superò anche lo stesso Fichte nel momento in cui venne a ribadire che la filosofia si identifica con la storia in quanto coscienza dei fatti storici non è altro che autocoscienza dello spirito. Non c'è distinzione tra storia e storiografia perché è astratta ogni disitinzione (crociana) tra res gestae (storia) e historia rerum gestarum (storiografia). Ciò che è accaduto è reale (e contemporaneo) solo nel pensiero che li pensa, e pensandoli è cosciente di sé. Lo storicismo gentiliano non può in alcun modo essere ricondotto con lo storicismo che concepisce la storia come un antecedente: il dramma della storia, per questo storicismo "pigro" è solo spettacolo, " storia esterna verso la quale lo storicismo pigro ammicca dalla sua comoda plotrona di spettatore che ha fatcato tutto il giorno e venuta la sera se ne va a teatro e vuol concedersi uno svago". Per questo occorre correggere Vico, che pure va seguito fino ad un certo punto. A questi va riconosciuto un merito, avendo inaugurato un nuovo storicismo, quello della storia ideale ed eterna. Ma egli ha sbagliato nel ... non essere attualista! Infatti è rimasto irretito in un dualismo tra il veder le cose umanamente e il vederle ... divinamente! L'attualismo evita l'errore superando la falsa antinomia tra uno spirito che è storia, perché svolgimento dialettico e uno spirito che non è storia in quanto atto eterno. Tutti i dualismi sono risolti, affermava Gentile, con l'attualismo, perché con esso si concepisce la realtà spirituale "non più come qualcosa di fisso, bensì quale processo in atto", e questo consente di pensare che "non si ha più la storia fuori dell'eterno, né l'eterno fuori della storia".
«In essa - scrivono Fornero e Tassinari - il tempo nulla perde di tutte le sue determinazioni particolari e concrete. Nell'atto in cui, per esempio, noi leggiamo e apprezziamo l'Orlando furioso, l'Ariosto e la sua opera si risolvono interamente nel presente extratemporale della nostra vita spirituale, diventando un contenuto eterno della nostra autocoscienza, vita della nostra vita. E quanto più il nostro leggere, intendere e gustare acquisterà in profondità, tanto più rifluirà, nell'atto nostro di intendere l'Orlando furioso, l'intero mondo spirituale in cui visse lo spirito dello scrittore, e non solo da quando iniziò a scrivere il primo verso del suo poema, ma prima, lungo l'intero corso della sua vita da cui l'opera fiorì. E' così che la storia dell'individuo empirico Ariosto e della sua opera, quella racchiusa in un certo punto dello spazio e nell'arco di tempo dal 1474 al 1533, cessa di essere astratta serie temporale di fatti molteplici e dispersi e si risolve tutta nello stesso processo spirituale attraverso il quale io come atto puro di pensiero, e non come individuo empirico che io per altro verso sono, la vado pensando e ricreando in me.» (7)
Così chiarita l'identità di spirito e storia, possiamo ora affrontare il superamento del dualismo tra filosofia e storia della filosofia. Anch'esse sono riassorbite in unità, nel pensiero in atto, nella riunificazione tra io e oggetto. Tuttavia, in questo caso il pensiero di Gentile è più complesso: "... la storia della filosofia deve precedere la filosofia" ma presuppone tuttavia la filosofia. "Ed ecco il circolo". Possiamo qui suppore che Gentile abbia anche previsto la nascita della filosofia come storia del mito e della religione, e che quando non c'era filosofia, c'era appunto storia di un atteggiamento filosofante. Comunque sia, il circolo non è vizioso, secondo Gentile, se non li pensiamo astrattamente, come "distinti", e se, ovviamente, non pensiamo alla filosofia, come insegnò Hegel, quasi che fosse "filastrocca di opinioni". Se pensiamo alla filosofia ed alla sua storia nel modo dell'atto del pensiero, è evidente che «filosofando s'investe tutta la storia della filosofia, che è tale pel filosofante; come, per contro, facendo la storia della filosofia, s'impegna un sistema di concetti, che è la filosofia dello storico.» Ovvero, i fatti passati della filosofia vengono pensati nel presente, e allora essi non potranno che risultare: «l'atto, l'unico atto della vostra filosofia, che non è nel passato, né in un presente che sarà passato, poiché essa è la vita, la realtà stessa del vostro pensiero, centro d'irradiazione di ogni tempo, passato o futuro che sia. La storia, dunque, quella appunto che è in tempo, è concreta soltanto nell'atto di la pensa come storia eterna.» (8)
Deve aver quindi ragione Paolo Rossi quando evidenzia che in Gentile lo storico della filosofia ha un solo compito: ricondurre le tante filosofie all'unica filosofia, "riportare le molteplici esigenze presenti nei pensatori del passato all'unica esigenza che essi avevano il compito e la funzione di esprimere."
La storia della filosofia è nient'altro che lo sviluppo del pensiero autocosciente. Platone ed Aristotele, Descartes e Kant, Hegel e Marx non interessano in quanto espressioni determinate nello spazio e nel tempo. La "vera" storia del pensiero è storia dello spirito che andava conquistando una più completa coscienza di sé. «Era - secondo Paolo Rossi - la distruzione, pura e semplice,di ogni interesse storico: il gran libro della filosofia, ebbe a scrivere Gentile, "che sembra scritto da tante mani diverse, è pure scritto da uno spirito solo". Lo storico, ad ogni voltare pagina "crede di ascoltare una voce nuova", si trova di fronte o si illude di trovarsi di fronte ad una "infinità di concetti ai quali l'uomo fece a volta a volta ricorso per risolvere il problema della vita": dietro quell'apparente molteplicità c'è in realtà una categoria sola e una fondamentale unità. (9)
E' l'unità di un "grande organismo" rispetto al quale tutti i singoli sistemi sono le "membra", un organismo "che non ha parti" e che si dispiega attraverso i vari sistemi. Questi ultimi, a loro volta, sono anch'essi rigidamente unitari. Anche qui, ogni molteplicità o pluralità, è soltanto apparente. Ogni sistema risulta necessariamente e in ogni caso formato da "un principio" e da "un complesso di dottrine sociali in cui quel principio viene esplicato".» (10)
(1) G. Gentile - La riforma della dialettica hegeliana - Messina 1913, pagina 133
(2) Ibid, pp 133-134
(3) Paolo Rossi - Storia e filosofia - Einaudi 1969
(4) G. Gentile - La riforma della dialettica hegeliana - Messina 1913, pp. 288-89
(5) J. G. Fichte - Grundzüge des gegenwärtigen Zeitalters
(6) G. W. F. Hegel - Phil. der Geschichte
(7) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002
(8) G. Gentile - Teoria generale dello spirito come atto puro - Sansoni 1944
(9) le citazioni di Rossi sono tratte dal Sistema di logica
(10) Paolo Rossi - Storia e filosofia - Einaudi 1969