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Gentile: l'atto del pensiero come atto puro
Il nucleo della filosofia di Giovanni Gentile si trova esposto per la prima volta nel saggio L'atto del pensiero come atto puro del 1912. Sempre nel 1912 Gentile dava alle stampe Il sistema di pedagogia come scienza filosofica. Ad essi seguiva La riforma della dialettica hegeliana nel 1913. Il decennio che va dal 1912 al 1922 è il più fecondo, perché quelle che si possono considerare le sue opere maggiori, ovvero La teoria generale dello spirito come atto puro fu del 1916, mentre il Sistema di logica come teoria del conoscere venne alla luce nel quinquennio 1917-22. Ancora nel 1916, egli compose I fondamenti della filosofia del diritto. Infine, anche i tre volumi de Le origini della filosofia contemporanea in Italia furono elaborati nel quinquennio 1917-23.
La filosofia di Gentile è da un lato di una disarmante semplicità, dall'altro di difficilissima comprensione da parte di chi non possiede una corretta cognizione dell'idealismo tedesco e di quello italiano. Si può dire che l'idealismo italiano conobbe una certa fioritura sotto l'impulso di Augusto Vera (1813-1885) all'università di Napoli e che esso conobbe anche una relativa fortuna grazie a Bertrando Spaventa (1813-1883). Merito riconosciuto di Spaventa fu quello di sprovincializzare una parte della filosofia italiana mettendola in rapporto con l'idealismo tedesco, mentre un'altra buona parte conobbe l'impresa positivistica che era sprovincializzante di per sé. Solo che, in tale ambito, si può rinvenire una corrente perdente, quella rappresentata dalla filosofia civile di Carlo Cattaneo. Non vogliamo qui sostenere la tesi che essa sarebbe stata l'unica filosofia "buona" per l'Italia perché c'era evidentemente del "buono" anche in altre correnti. Però è indubbio che una maggiore penetrazione delle posizioni di Cattaneo nel dibattito culturale e politico dell'Ottocento avrebbe contribuito ad alimentare un confronto organizzato non tanto per blocchi contrapposti, quanto per reale discussione di posizioni.
Spaventa introdusse in Italia un Hegel "fichtianizzato", e Gentile lo seguì su questa strada, portando tale posizione alle estreme conseguenze. Per Spavanta, Hegel pone le idee di fronte al pensiero che le pensa: il pensiero stesso diventa quindi oggettivo rispetto ad un'attività che è contemplazione del pensiero stesso. Spaventa considerò inaccettabile questo approccio: sia il pensiero che la coscienza del pensiero non sono mai oggettivabili; il pensiero è pensiero in quanto pensante. Esso non può diventare uno "spettacolo"; il pensiero fa, il pensiero è attivo. Nel momento stesso in cui si prova ad oggettivare il proprio pensiero, lo si consegna all'alterità, al non-io, al "pensato". Non è più roba nostra, ma un "fatto" estraneo.
Gentile segue Spaventa. «Il punto di vista trascendentale - scrive ne L'atto del pensiero come atto puro - è quello che si coglie nella realtà del nostro pensiero quando il pensiero si consideri non come un atto compiuto, ma per così dire come atto in atto. Atto che non si può assolutamente trascendere, perché esso è la nostra stessa soggettività, cioè noi stessi; atto che non si può mai e in nessun modo oggettivare.» E questo è, al fondo, il leit-motiv di tutta la filosofia gentiliana: la negazione radicale che si possa prendere le distanze dal proprio pensiero, anche quello pensato in precedenza. Il pensiero è sempre in atto, l'atto è una auto-posizione, che egli chiama "autoctisi". L'io pensante non incontra, non si imbatte nel non-io, lo pone. Il fatto, l'alterità, il mondo esterno, che costituiscono l'opposizione all'io sono così ridotti ad un unico elemento negativo del processo dialettico interno al soggetto pensante. Pertanto, l'unica realtà è costituita dal soggetto pensante. Il soggetto pensante è sempre soggetto di un oggetto, poiché chi pensa, pensa qualcosa, ma qualunque sia l'oggetto del pensiero, dalla natura a Dio, dal proprio io a quello altrui, non ha realtà al di fuori dell'atto pensante. L'atto pensante è dunque creatore, e non avendo fuori di sé nulla che possa limitarlo, è infinito. «Né la natura, né Dio, e neppure il passato e l'avvenire, il male e il bene, l'errore e la verità, sussistono comunque fuori dell'atto del pensiero. Gli sviluppi che Gentile ha dato alla sua dottrina - osservava Nicola Abbagnano - consistono essenzialmente nel mostrare l'immanenza di tutti gli aspetti della realtà del pensiero che li pone, e nel risolverli in questo. Il pensiero in atto è il Soggetto trascendentale, l'Io universale o infinito. Il soggetto empirico, cioè l'uomo individuale e singolo, è un oggetto dell'io trascendentale, un oggetto che esso pone (cioè crea), pensandolo, e di cui quindi supera l'individualità nell'atto stesso che lo pone. Il vero soggetto, il Soggetto infinito o trascendentale non può mai diventare oggetto a sé stesso.» (1)
Ovviamente, esiste un postulato di tutto ciò: per Gentile il "conoscere è identificare, superare l'alterità come tale". L'esistenza di altri, da intendersi come altri "io", cioè altri soggetti pensanti in atto è presentata come oggettività che viene superata: nell'atto di conoscerli, infatti, l'io trascendentale li unifica. Qualsiasi tipo di problema si presenti nella relazione con gli altri, compreso il problema morale, sorge sul terreno dei soggetti empirici, ma non può essere risolto su tale terreno. Tanto, che nella Teoria generale della logica Gentile scriverà in proposito: «Non si risolvono se non quando l'uomo arrivi a sentire i bisogni altrui come bisogni propri, e la propria vita, quindi, non chiusa nell'angusta cerchia della sua empirica personalità, ma intesa sempre ad espandersi nell'attuosità di uno spirito superiore a tutti gli interessi particolari, e pure immanente nel centro stesso della sua personalità più profonda.»
Il difficile compito di comprendere la filosofia di Gentile non può prescindere dal modo in cui egli fece i conti con la storia del pensiero filosofico. Fin dalla prime pagine della teoria generale dello spirito come atto puro, incontriamo i nomi di Berkeley e Kant, l'idealista empirico che nega l'esistenza di una realtà esterna alla mente, e uno dei suoi principali critici. Gentile, saltando ogni distinzione li abbraccia entrambi come precursori dell'idealismo e quindi dell'attualismo. Il limite dell'idealismo di Berkeley è stato quello di fermarsi ad un idealismo platonizzante, ma ha portato al riconoscimento dell'esistenza di una mente divina assoluta, trascendente la mente dell'uomo empirico. In tale sistema, dice Gentile, la realtà oggettiva viene riconosciuta nella sua pura idealità, ma solo in quanto pensata dalla mente di Dio. Ma in rapporto all'uomo limitato e finito che ragiona empiricamente, la stessa realtà esterna torna ad essere indipendente, come un oggetto precostituito ad essa. La mente umana empirica la può pensare solo perché essa stessa è stata pensata da Dio. Questo non fu che il primo, incerto passo, verso un vero idealismo. Solo Kant, secondo Gentile, concependo lo spirito come "appercezione originaria" e condizione di ogni esperienza. dischiuse la strada all'idealismo moderno. Kant ebbe il merito di non confondere l'io trascendentale con l'io empirico. Chiarito che il vero io pensante è quello trascendentale, secondo Gentile si è eliminato il pericolo di un ritorno alla trascendenza ed al platonismo. Per far ciò è sufficiente avere la consapevolezza che l'io trascendentale non è solo dotato di universalità, ma è anche infinito. Kant non è riuscito ad andare a fondo della via da lui stesso aperta, perchè mancava di questa consapevolezza. Ma Fichte, superò Kant, spalancando completamente le porte all'idealismo.
Hegel costituisce per Gentile, come pure lo fu per Spaventa, sia un passo oltre Fichte, che un passo indietro. La contestazione che Gentile muove ad Hegel è incentrata sul problema della dialettica, la quale si può definire in due modi diversi ed inconciliabili tra loro: da un lato la dialettica del pensato, tipica di Platone, dall'altro la dialettica del pensare, offerta da Kant.
Nel 1913, ne La riforma della dialettica hegeliana, Gentile aveva scritto: «La dialettica del pensato è, si può dire, la dialettica della morte; la dialettica del pensare, invece, la dialettica della vita. Infatti il presupposto fondamentale della prima è la realtà o verità tutta ab aeterno determinata [...] La dialettica, invece, del pensare, non conosce mondo che già vi sia; che sarebbe un pensato; non suppone realtà, di là dalla conoscenza, e di cui toccherebbe a questa d'impossessarsi; perché sa, come ha dimostrato Kant, che tutto ciò che si può pensare della realtà (il pensabile, i concetti dell'esperienza) presuppone l'atto stesso del pensare. E in questo atto vede la radice di tutto. ... Il pensare così non è più postuma e vana fatica che intervenga quando non c'è nulla da fare al mondo, anzi è la stessa cosmogonia. La storia del pensiero, pertanto, nella nuova dialettica diventa il processo del reale, e il processo del reale non è più concepibile se non come la storia del pensiero. L'uomo antico si sentiva melanconicamente diviso dalla realtà, da Dio: l'uomo moderno sente in sé Dio, e celebra nella potenza dello spirito la divinità del mondo.»
Gentile riconosce ad Hegel il merito di aver affermato la necessità del momento dialettico, ma lo critica perchè deviò dall'affermazione che la realtà "è lo stesso pensiero",e il vero concetto, "il solo reale concetto è lo stesso concepire". Tale tradimento del vero idealismo è evidente nella distinzione hegeliana tra fenomenologia e logica. Hegel, con la logica, ha posto il pensiero in quanto sistema delle categorie al di sopra del reale processo mediante il quale la coscienza supera il dualismo di certezza e verità, soggetto e oggetto. Di qui, lo stesso sistema hegeliano, distinguendo tra logos e natura in momenti separati dalla sintesi del pensiero in atto, e ponendoli addirittura come precedenti ad essa, non riesce a render chiaro che sono essi stessi a presupporre l'attività pensante. Per questo, secondo Gentile, Hegel finì per tornare «a rappresentarsi la dialettica come legge archetipa del pensiero in atto, e quindi suo ideale presupposto, non poté non fissarla egli pure in concetti astratti e quindi immobili, che sono affatto privi di ogni dialettismo, e di cui perciò non è dato intendere come possano, per se stessi, passare l'uno nell'altro e unificarsi nel reale continuo moto logico.»
Tale posizione di Gentile è così commentata da Giovanni Fornero e Salvatore Tassinari: «Sorge di qui la difficoltà incontrata da Hegel nel mettere in movimento dialettico le prime categorie della logica: essere, non essere, divenire. Vanamente ha cercato di far scaturire il divenire dall'essere assolutamente indeterminato, il quale, come ogni pensato, è condannato all'immobilità. Per questo Gentile, rifacendosi alla revisione già avviata da Spaventa, elimina dall'hegelismo l'ingombrante bagaglio del platonismo, affermando che la sola dialettica reale è quella del pensiero vivente, in atto, che pone, fichtianamente, il proprio oggetto per riassorbirlo sempre in sé, come momento del proprio divenire.
Questa riforma dell'hegelismo fa cadere le ragioni della sua storica divisione in una "destra" e in una "sinistra": l'interpretazione della filosofia hegeliana proposta dalla "destra" va rifiutata per il suo conclamato platonismo; quanto all'esigenza di concretezza espressa dalla sinistra, essa viene assunta da Gentile, senza che per questo debbano venir accolte le sue conclusioni materialistiche, già respinte fin dagli studi marxistici di fine secolo.» (2)
Si può dire, allora, che per Gentile nulla esiste al di fuori della coscienza del filosofo che ha saputo elevarsi al pensiero attuale. La coscienza è infinita e nulla è al di fuori di essa. Quello che pensiamo "fuori" o "esterno" si trova in realtà sempre "dentro" perché quando parliamo di "fuori" e "dentro" mettiamo in rapporto due termini che sono sì esterni l'uno all'altro, ma sono "interni" alla coscienza e non potrebbero non esserlo se ne parliamo coscientemente. Ciò che chiamiamo divenire è quindi un movimento interno alla coscienza pensante. E' il soggetto pensante che realizza la coincidenza tra particolare e universale. Il pensiero è insieme la massima universalità possibile e la massima affermazione dell'io che pensa. Sarebbe ora interessante verificare come questa posizione trovi sviluppo nella logica gentiliana, ovvero nella dialettica del pensiero in atto tra astratto e concreto. Ma lo stesso sviluppo del pensiero di Gentile lo rinvia ad un momento successivo. Occorre prima sondare il momento pedagogico-educativo di Gentile, che vide la luce nel 1912 con la pubblicazione de Il sistema di pedagogia come scienza filosofica, e si tradusse in azione con la riforma del sistema scolatistico italiano attuato dal governo Mussolini, con Gentile ministro della Pubblica Istruzione. Al prossimo file.
(1) Nicola Abbagnano - Storia della filosofia - vol. VI / TEA 1995 (UTET 1993)
(2) Giovanni Fornero / Salvatore Tassinari - Le filosofie del Novecento - Bruno Mondadori 2002