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Dalla cromatina al proteoma
Jacob, Monod e il modello dell'operone

di Federica De Martino
«Quando la biologia molecolare, dopo il consolidamento teorico istituzionale, è divenuta "classica", a partire dalla seconda metà degli anni '60, la ricerca sulle sue origini ha portato a individuarne le radici in due tradizioni di ricerca. La prima, genetica o monodimensionale, era stata portata avanti principalmente dal cosiddetto gruppo del fago (centrato sul fisico Max Delbrück e sul microbiologo Salvador Luria). La seconda, di tipo strutturistico o tridimensionale, sviluppata in Inghilterra, era basata sullo studio cristallografico della struttura delle macromolecole biologiche, della loro architettura tridimensionale.» (1) Così Bernardino Fantini descrive lo scenario di grande fervore nel lungo decennio dal 1950 al 1960. E' notevole non sia nominata una scuola francese di biologia molecolare. Non è una dimenticanza: non esisteva realmente, anche se è sempre sbagliato ignorare o sottovalutare contributi precedenti alla nascita della biologia molecolare vera e propria.

Le premesse agli esordi microbiologici di Jacob e Monod
La biologia molecolare francese degli anni '50-'60 fu qualcosa che stupì il mondo intero perché non aveva una tradizione continuativa alle spalle, ma solo antenati molto illustri e ritenuti scarsamente attuali come Louis Pasteur, o come il suo collega Emile Duclaux. Questi, ad esempio, aveva osservato che il fungo Aspergilla niger produceva l'enzima che idrolizza il saccarosio unicamente quando il fungo cresceva in presenza di detto zucchero. Successivamente, proprio nel 1900, F. Dienert scoprì che il lievito conteneva gli enzimi per il metabolismo del galattosio solo quando cresceva con lattosio o con galattosio. In seguito, però, perdeva gli enzimi stessi quando veniva trasferito su un terreno di coltura contenente glucosio. Era un esempio di adattamento all'ambiente che poteva essere spiegato col fatto che le cellule di lievito non necessitavano degli enzimi per il metabolismo del galattosio quando impiegavano il glucosio come fonte di energia.
Negli anni '30, in base a tali constatazioni, H. Karstroem poteva suddividere gli enzimi in due gruppi. In primis, gli enzimi adattivi, sintetizzati esclusivamente in presenza dei loro substrati. Poi, gli enzimi costitutivi, sempre presenti. Per un po' si credette che gli enzimi potessero formarsi su sollecitazione di precursori inattivi e che le presenza del substrato spostasse l'equilibrio tra precursore ed enzima a favore della formazione di quest'ultimo.
Riprendendo queste osservazioni, già nel 1942, Monod iniziò a studiare l'adattamento nel batterio Escherichia coli. Poco dopo, François Jacob e Elie Wollman si impegnarono a studiare un fenomeno che procurava non pochi grattacapi ai microbiologi: la lisogenia.
Fin dal 1920, grazie al lavoro del belga Jules Bordet, si sapeva che dopo un'infezione da batteriofago, alcuni batteri riescono a sopravvivere. Eppure, dopo generazioni, quei batteri possono subire a loro volta la lisi (cioè la disintegrazione o il dissolvimento della cellula), liberando il materiale genetico del fago contro il quale sembravano immuni. Durante la sua tesi di dottorato, tra il 1950 e il '54, il giovane Jacob conobbe e sviluppò tutti metodi del gruppo americano del fago. L'obiettivo iniziale di Jacob, entrato nella squadra di André Lwoff e Elie Wollman, era di mettere a fuoco un po' meglio il fenomeno della lisogenia. Ma presto comprese, insieme a Wollman, che la stessa lisogenia poteva diventare uno strumento per comprendere la forma di "sessualità" dei batteri. La storia della scoperta di questa "sessualità" è un po' lunga, risale alle osservazioni di Lederberg e Tatum sulla formazione di "tipi ricombinanti" nelle popolazioni che poteva essere concettualizzata come vera e propria fusione sessuale. Spetta a William Hayes e Luigi Luca Cavalli-Sforza (insieme a Lederberg e sua moglie) ) il merito della scoperta che la congiunzione non porta ad uno scambio, ma ad una donazione da "maschio" a "femmina". Cavalli-Sforza, nel 1950, aveva ottenuto un ceppo particolarmente indicato per questo studio, in quanto il fenomeno si verificava più frequentemente. Hayes isolò in seguito altri ceppi capaci di ricombinazione fino a 10.000 volte maggiore del normale.
Furono Jacob e Wollman a scoprire l'induzione per coniugazione del profago. Quando si incrociano batteri di cui una metà contiene materiale genetico di un profago e l'altra no, il risultato può essere diverso a seconda del "sesso" del batterio. Se sono i batteri "maschi" i portatori, i batteri derivanti da un incrocio con batteri sani non portano mai il materiale genetico del profago. Non saranno mai lisogeni. Ma nel caso i portatori siano batteri "femmina", tutti i discendenti dell'incrocio con batteri sani saranno lisogeni.
Jacob e Wollman, in realtà, erano riusciti in dati intervalli di tempo, a interrompere l'accoppiamento batterico di Escheria coli, arrivando a comprendere che nel corso della coniugazione un frammento di cromosoma veniva lentamente trasferito dal batterio donatore, il "maschio", al batterio recettore, la "femmina". Interrompendo la coniugazione, diventava possibile studiare l'espressione dei geni trasferiti prima dell'interruzione. Le prime osservazioni dimostrarono che i geni trasferiti potevano esprimersi dopo il loro ingresso nel citoplasma dell'ospite.

Monod contro i modelli dell'adattamento enzimatico
Dal canto suo, Jacques Monod si era impegnato soprattutto sul fronte dello studio dei modelli di adattamento enzimatico evidenziati da Duclaux, Doenert e Karstroem. Quando un batterio o un lievito viene messo in presenza di una nuova fonte nutritiva, la stessa viene utilizzata solo dopo il tempo necessario alla formazione degli enzimi che consentono al batterio o al lievito di scinderla. Un lievito in presenza dello zucchero del latte, il lattosio, produce b-galattosidasi, l'enzima che scinde il lattosio in glucosio e galattosio.
La prima fase del lavoro di Monod fu distruttiva. Egli finì con lo smontare tutti i modelli di adattamento enzimatico elaborati. Sotto l'influsso del modello molecolare dell'inglese John Yulkin, credette che la b-galattosidasi venisse sintetizzata sotto forma di precursore proteico chiamato Pz. Questo, cambiando forma, può dar origine a vari enzimi, ciascuno capace di metabolizzare l'uno o l'altro zucchero. Una variante del modello Yulkin, presupponeva che l'enzima fosse composto da sub-unità, una parte delle quali stava sotto il controllo dei geni e l'altra sotto quella degli induttori. Il tutto era molto simile al modello proposto da Pauling per spiegare gli anticorpi. Secondo Pauling, gli anticorpi avrebbero potuto assumere la loro forma e la loro funzione adattandosi e modellandosi alle molecole di volta in volta incontrate. Non era vero, ma solo oggi possiamo dire: ovviamente. Tutti gli anticorpi hanno struttura ben definita indipendente dalle molecole con cui interagiscono.
Monod, in collaborazione con Annamaria Torriani, una giovane biologa italiana arrivata a Parigi nel febbraio del 1948, preparò un'apparecchiatura chiamata "bactogéne", che consente una coltura batterica continua. In seguito, scoprì composti chimici mal trasformati dall'enzima sebbene ottimi induttori della b-galattosidasi. Considerando che le proprietà della b-galattosidasi rimangono inalterate, qualunque sia l'induttore, diventava difficile sostenere che l'enzima modifica la propria struttura in base all'"interlocutore".
Monod respinse anche il modello elaborato da Sol Spiegelmann, il quale aveva ipotizzato la sintetizzazione degli enzimi nel citoplasma partendo da particelle autoreplicanti, i "plasmogeni". Monod, con Alvin Pappenheimer e Germaine Cohen-Bazire, dimostrò la distinzione tra la crescita batterica dovuta all'aggiunta di un induttore dall'effetto d'induzione vero e proprio. Egli ricorse ad una nuova forma di rappresentazione, il "grafico di Monod". In esso veniva evidenziato il rapporto tra incremento dell'attività enzimatica e la crescita della popolazione batterica. Con questo cambiamento di visuale, che non prendeva più in considerazione l'attività della beta-galattosidasi in funzione del tempo, Monod dimostrava che la curva che si ottiene è lineare, quindi si può vedere un tasso differenziale costante nella produzione di enzimi a partire dal momento in cui si aggiunge l'induttore. In tal modo veniva smontato il modello del plasmogene fondato sugli effetti autocatalitici.

«Dall'inverno 1952-53 Monod aveva cominciato a pensare - scrive Fantini - che il meccanismo dell'induzione fosse universale e cioè che gli enzimi costitutivi, che sono la maggior parte, avessero un induttore interno.» (2) Era quindi logico credere che tutte le cellule avessero in comune la proprietà di induzione dei sistemi adattivi, una proprietà "mascherata" nei sistemi costitutivi. essendo l'induttore un prodotto normale del metabolismo. Trovando un meccanismo di inibizione specifica, possibile se la biosintesi dell'enzima costitutivo avviene in presenza di un composto chimico analogo all'induttore endogeno, si poteva dimostrare la validità del modello. L'ipotesi suggerì a Monod di effettuare un esperimento impiegando gli analoghi chimici dell'induttore e verificare il blocco della sintesi costitutiva. Nacque così un programma di ricerca riguardante le attività enzimatiche in presenza di analoghi, cioè molecole a struttura chimica simile. La scoperta di sostanze capaci di stimolare la sintesi di un enzima privo di funzione nella loro catena catabolica, spinse Monod ad inventare il termine di "induttori gratuiti". «In presenza di induttori gratuiti - scrive Fantini - si ha quello che è stato chiamato un "teatro dell'assurdo": un batterio sintetizza un enzima inutile, la beta-galattosidasi, in proteina di succinato, una sostanza che non è in grado di metabolizzare. Il commento di Mc Gregor, lo pseudonimo adottato da Monod per i momenti di enunciati filosofici arditi, è che "ogni conquista della scienza è una vittoria dell'assurdo".» (3) In realtà, il merito di aver coniato la moneta con l'effigie del teatro dell'assurdo era di Melvin Cohn, grande collaboratore di Monod.
Si tratta di capire che, se è vera l'induzione gratuita, devono esistere dei siti cellulari distinti dalla proteina capaci di formare con l'induttore una combinazione specifica e chimicamente indipendente dalla reazione enzima-substrato. La struttura dell'enzima è interamente determinata dalle caratteristiche genetiche della cellula. Diventava allora necessario ipotizzare un "prototipo strutturale", un elemento della struttura molecolare dal quale far derivare la configurazione dell'enzima. Una conseguenza di tale opzione, nella quale confluivano sia il modello del template, sia la spiccata preferenza che Monod aveva sempre provato per il pensiero geometrico, era che l'espressione "adattamento enzimatico" risultava fuorviante, non idonea a descrivere un effetto fisiologico che in alcuni casi non possiede tratti adattivi, visto che la sintesi può essere avviata da composti chimici artificiali che il batterio non è in grado di metabolizzare. Monod nviò anche un articolo a "Nature" per patrocinare la causa della sostituzione del termine "adattamento" con quello di "biosintesi indotta da enzimi sotto l'influenza di sostanze specifiche".

L'equivoco della permeasi
Cercando di trovare l'obiettivo dell'induttore lattosio, ormai considerato distintamente dalla b-galattosidasi, Georges Cohen e Howard Rickenberg, scoprirono la lattosio-permeasi, la proteina che consente l'entrata del lattosio nei batteri. Anch'essa non è costitutiva, ma inducibile. Cohen e Rickenberg scoprirono permeasi specifiche per diversi aminoacidi. Nel frattempo, il laboratorio di Monod si era interessato a batteri mutanti lattosio-negativi (Lac*), detti "criptici", impossibilitati a svilupparsi sul lattosio, benché in possesso di notevoli quantità di b-galattosidasi. Attente misurazioni avevano inoltre evidenziato che la velocità di idrolisi dei galattosidi era molto più lenta per cellule intatte che per gli estratti cellulari. Per spiegare questo fenomeno, Cohen aveva ipotizzato l'esistenza di fattori specifici di permeazione dei batteri. Inizialmente, Monod rifiutò l'ipotesi, trovandola ad hoc. Peraltro, già nel 1947 aveva preso in esame la possibilità di una permeabilità differenziale della membrana cellulare per spiegare i diversi comportamenti tra le colture intatte e i preparati in vitro. E ancora nel 1952 aveva affrontato il problema dell'accessibiltà dell'enzima in vivo, ma aveva concluso che i risultati non potevano essere attribuiti a diversi gradi di permeabilità delle membrane. Questa volta, però, mutò opinione. Non senza contraddire Cohen, il quale aveva suggerito di considerare presente sulla membrana una sorta di recettore stechiometrico in grado di assorbire il substrato su degli accettori stereospecifici. Monod, dopo aver trasformato la radioattività misurata per milligrammi in numero di molecole, ne trasse che doveva trattarsi di un'azione catalitica.
Tutto il modello della permeasi ebbe un indubbio valore euristico, ma se andiamo poi a verificare cosa di esso resta valido attualmente, ci rendiamo conto che era un modello sostanzialmente sbagliato. La valutazione è di Michel Morange, il quale scrive che le permeasi consentivano di raffigurare cellule con lo stesso patrimonio genetico capaci di trasmettere alla loro discendenza funzioni diverse. «Come abbiamo visto - scrive Morange - la sintesi della permeasi è inducibile. Tuttavia, per l'induzione è necessario che del lattosio sia già penetrato nella cellula, ossia ... che la permeasi fosse già presente nella cellula per farlo entrare. Se la concentrazione di lattosio nell'ambiente è alta, la molecola si diffonderà passivamente attraverso la membrana cellulare in quantità sufficiente per l'induzione. Se la concentrazione di lattosio è bassa, la possibilità d'induzione dipende esclusivamente dal tasso di permeasi presente nell'istante zero nella membrana batterica. Se il tasso è elevato, il batterio si moltiplicherà in presenza di lattosio. Se il tasso è insufficiente, il batterio non si dividerà.» (4) Il problema, per Morange, sta dunque nella quantità preesistente di permeasi presente nella membrana cellulare. In questo modello, l'attività dei geni sembra dipendere da uno stato funzionale, ereditato, ma non per via genetica. «Con Melvin Cohn, Jacques Monod vide in questo un buon modello per spiegare il differenziamento cellulare, ossia il fatto che cellule con gli stessi geni possano acquisire e, soprattutto, conservare nel corso delle generazioni stati funzionali diversi.» (5) Monod abbandonò questa teorizzazione quando venne a proporre con Jacob il modello dell'operone.
Ma Morange, non vede l'errore solo nella ontologizzazione di un'entità teorica, la permeasi. E' tutta la prospettiva di questo periodo che gli sembra erronea. «L'importanza che Jacques Monod attribuiva al fenomeno d'induzione enzimatica lo portò ad un cambiamento totale ed errato, di prospettiva: secondo lui l'induzione enzimatica non era propria di qualche sistema enzimatico particolare, bensì una caratteristica comune a tutti i sistemi di sintesi proteica.» (6) Questo anche se nella maggior parte dei casi l'induttore è endogeno, e non esogeno, il che, secondo lo stesso Monod, conferisce alle sintesi un carattere falsamente costitutivo.

La situazione, a questo punto, era che Monod aveva demolito il "precedente modello del precursore" ma, non aveva ancora trovato veramente soluzioni alternative in grado di convincere la comunità scientifica, fortemente scettica nei confronti della permeasi, spesso forte degli stessi argomenti del Monod precedente. Fino all'inizio del 1958 - prosegue Morange - Monod seguitò a proporre modelli che riprendevano sotto varie forme «l'idea di un precursore della beta-galattosidasi che l'induttore avrebbe fatto evolvere in una forma attiva di enzima.» (7) Ma questo avveniva nello stesso momento in cui stava già lavorando con François Jacob all'esperimento PaJaMo. Furono le risultanze di questa serie di esperimenti che gettarono nuova luce sul problema dell'induzione enzimatica.

L'esperimento "pigiama", dopo un coitus interruptus per questione di "spaghetti" abbiamo "l'induzione erotica"
Nel dicembre del 1957, Arthur B. Pardee, giunto a Parigi per un "anno sabbatico", Jacob e Monod, diedero il via all'esperimento PaJaMo, un anocrimo delle iniziali dei tre. L'inglese dell'americano Pardee lo pronunciava pressapoco come "pigiama". Esso fu preceduto da un periodo di collaborazione più stretta tra Jacob e Lwoff da un lato e Monod dall'altro. Finora abbiamo solo accennato alle ricerche di Jacob, qui è necessario spiegare a quali risultati avevano condotto. Per spiegare il trasferimento di materiale genetico da "maschio" a "femmina", «Wolmann mise a punto una tecnica un po' brutale ma estremamente efficace: grazie ad un frullatore a grande velocità le coppie batteriche in coniugazione venivano separate bruscamente, con la conseguente rottura del ponte formato dal cromosoma in trasferimento. Questo trattamento, chiamato scherzosamente coitus interruptus, venne applicato ad un esperimento che Jacob e Wollmann realizzarono nel 1955 e che fu chiamato "esperimento spaghetti" perché il modello esplicativo che ne risultava rappresentava la femmina che "mangiava" il cromosoma del maschio come uno spaghetto.» (8) Abbiamo già visto, nel secondo paragrafo, cosa succede dopo l'unione sessuale: quando il materiale genetico penetra in un batterio femmina che non ne contiene, questo viene immediatamente indotto, si moltiplica.
«Questo fenomeno d'induzione erotica, come veniva familiarmente chiamata nel laboratorio - il termine "induzione zigotica" era riservato alle manifestazioni ufficiali - fornì varie informazioni, tutte ugualmente importanti per le ulteriori ricerche. » (9) In effetti, grazie ad un normale frullatore da cucina in grado di interrompere il trasferimento si potè stimare l'intervallo di tempo necessario. Vennero così elaborate mappe genetiche temporali. Nel confronto tra varie mappe venne da concludere la probabile esistenza di un cromosoma batterico unico, trasmesso a velocità costante. Ma qualche differenza c'era tra diversi ceppi batterici.
Si suole chiamare "grande collaborazione" l'unione delle ricerche di Jacob e Monod. Anche se avevano già collaborato, circolava l'idea che i due programmi di ricerca non avessero realmente qualcosa da scambiarsi se non qualche indicazione sul comportamento dei sistemi enzimatici nelle diverse situazioni. Ma la semplice intensificazione delle comunicazione tra Monod e Jacob, i cui laboratori erano collocati in piani diversi dello stesso edificio, portò alla prima collaborazione. Fu Monod a cercare di capire meglio l'induzione zigotica. E questo, probabilmente consentì a Monod e Jacob di comprendere che i due problemi distinti, potevano essere risolti mediante un'unica teoria.
Il primo esperimento in comune ebbe come oggetto la cinetica dell'enzima b-galattosidasi per mezzo dell'induzione batterica. Ad esso partecipava anche Pardee, che ebbe un ruolo importante nella preparazione degli esperimenti, perché come rivelò Monod, in possesso del sistema migliore per accertare se l'espressione del gene avviene immediatamente dopo la sua introduzione nella cellula ricevente.
Presa una popolazione di Escherichia Coli incapace di sintetizzare la beta-galattosidasi, PaJaMo cominciarono col trasferire il gene che codifica l'enzima attraverso la coniugazione batterica. Si trattava di vedere se il trasferimento del gene per la b-galattosidasi z+ nel citoplasma della femmina, nella quale la sintesi dell'enzima era costitutiva ma il cui gene z è inattivo, cioè z-, poteva determinare la sintesi anche in assenza dell'induttore. L'esperimento doveva verificare la teoria dell'induzione generalizzata sostenuta da Monod. La prima fase dell'esperimento certificò che i due tipi di incrocio considerati producevano risultati conformi alla teoria di Monod, la TIG (in inglese: teoria generalizzata dell'induzione). Per vedere in dettaglio gli esperimenti mi avvalgo di una tabella.

1 Hfr z- i- x F - z+ i+
2 Hfr z+ i+ x F - z- i-

Il significato è il seguente: Hfrè il tipo di batteri con alta frequenza di ricombinazione; z+ sta per capacità e z- per incapacità, di sintetizzare la beta-galattosidasi; i+ e i- per carattere inducibile o costitutivo, o meglio i due alleli della stesso gene. F - è il batterio "femmina", x è la coniugazione.
Nessuno dei ceppi batterici di partenza era capace di sintetizzare la beta-galattosidasi in quanto nel ceppo non c'è o non funziona il gene per l'enzima, nell'altro la sintesi non ha luogo in assenza dell'induttore.
L'esperimento mostrò che nell'incrocio di tipo 1 non ha luogo sintesi di beta-galattosidasi nei merozigoti, mentre nel tipo 2 la sintesi inizia dopo 3-4 minuti dopo l'ingresso del gene. Nell'incrocio di tipo 2 il ricevente contiene un induttore interno, i-, che viene attivato non appena il gene z+ entra.

La seconda parte dell'esperimento fu realizzata tre mesi dopo. L'obiettivo era quello di seguire la cinetica della sintesi enzimatica per alcune ore dopo la coniugazione. I risultati furono "sorprendenti". Infatti, dopo alcune ore la sintesi enzimatica si bloccava. Poteva riprendere solo dopo l'aggiunta di un induttore.

Una smentita per Monod
Ciò significava che la cellula aveva cambiato "stato": non era più in condizioni "costitutive", ma in condizioni "induttive". Di nuovo nel "teatro dell'assurdo"? In un certo senso sì., ma questa volta per responsabilità di Monod. Scrive Fantini: «Per utilizzare una terminologia generica, questo risultato suggeriva, che in presenza di entrambi gli alleli i+ e i- in una cellula, "contrariamente ad ogni attesa, l'allele dominante non sarebbe il costitutivo ma l'inducibile.".» (10)

Diventava logico concludere che il gene i è il responsabile della sintesi di un "repressore" che blocca allo stesso tempo la sintesi della beta-galattosidasi e della relativa permeasi. Ma il raggiungimento di questa conclusione non fu lineare. Monod cercò di interpretare le risultanze sperimentali dando al gene i un ruolo particolare nel metabolismo dell'induttore. Ma sotto l'influsso di Jacob e del fisico Leo Szilard accettò infine l'ipotesi più semplice: il gene i dirigeva la produzione di un repressore in grado di bloccare l'espressione del gene della beta-galattosidasi. Ciò significava che l'induzione enzimatica non era che una de-repressione, ossia il risultato di una doppia negazione. Ne Il caso e la necessità, Monod preciserà che la «logica di questa negazione della negazione non è dialettica: non sfocia in una proposizione nuova ma nella reiterazione di quella originale, inscritta nella struttura del DNA in conformità al codice genetico.
La logica dei sistemi biologici di regolazione - prosegue Monod - non obbedisce alla logica di Hegel ma all'algebra di Boole, alla stessa stregua di quella dei calcolatori.» (11)
Jacob e Monod si convinsero così che un gene doveva codificare la struttura della molecola proteica e un altro governare la produzione di un repressore, in grado di controllare l'espressione del primo gene. Dopo due anni di lavoro, incominciarono a parlare di gene strutturale, gene regolatore e del concetto di operone, descritto come «unità di espressione coordinata costituita da un operatore e dal gruppo di geni strutturali che questi coordina.»

L'RNA messaggero
Ma prima di arrivare al modello dell'operone si era necessario un ulteriore passaggio. Se i ribosomi non sono responsabili della specificità della sintesi delle proteine, deve "per forza" esistere un intermediario "di vita breve" tra il gene e i ribosomi. I ribosomi non sono che fabbriche nelle quali viene assemblato il materiale molecolare delle proteine. E' l'intermediario che trasla le informazioni ai ribosomi. «Per dimostrare l'esistenza di RNA messageri, François Jacob realizzò , con Sydney Brenner, un esperimento in cui si combinava l'uso di un'ultracentrifuga e di diversi marcatori chimici. Dimostrarono così - scrive Morange - che, quando il batterio è infettato da un batteriofago, gli RNA trascritti dal materiale genetico del batteriofago si fissano sui ribosomi già presenti nel batterio prima dell'infezione per dirigere la sintesi copiosa delle proteine del batteriofago.» (12)
Pressoché parallelamente, François Gros, lavorando su cellule non infette nel laboratorio di James Watson, scoprì l'RNA in grado di fissarsi sui ribosomi.
Lo storico articolo Unstable Ribonucleic Acid Revelead By Pulse Labelling Of Escheria Coli che annunciava la scoperta era firmato anche da H. Hiatt, W. Gilbert, C. G. Kurland, R. W. Risebrough e James Watson. Una serie di esperimenti mostrava l'esistenza di una popolazione eterogenea di RNA a vita breve e molto più fragili degli RNA ribosomiali. Questi RNA messaggeri si fissano sui ribosomi, permettendo la sintesi delle proteine. «Nonostante una certa confusione sulle dimensioni degli RNA e delle sub-unità ribosomali, questa seconda serie di esperimenti completò quella condotta da Sydney Brenner, François Jacob e Matthew Meselson. Grazie alla somiglianza fra i due risultati ottenuti, essa annientava una critica che avrebbe potuta essere mossa alla prima serie di esperimenti: osservando la sintesi delle proteine in condizioni particolari - quando un batteriofago sconvolge a proprio vantaggio la macchina della sintesi batterica - non si rischia forse di osservare una sintesi "anormale" delle proteine, cioè diversa da quella che si riscontrerebbe in una cellula "normale", non infetta? François Gros e i suoi collaboratori dimostravano che non era così.» (13)

L'operone
Si cominciò a pensare che la trascrizione del DNA in RNA non è automatica. Può essere inibita dalla presenza sul DNA, da una proteina chiamata "repressore", sintetizzata a partire da un altro gene detto "regolatore". Il "repressore" è una proteina "allosterica", in grado di assumere spontaneamente due stati diversi. Queste osservazioni furono derivate dallo studio dallo studio del metabolismo del lattosio nei batteri. Venne notato che in presenza di una beta-galattoside, il "repressore" cambia forma e si stacca dal DNA. Allora, il DNA liberato da tale "oppressione" può essere trascritto sull'mRNA, e questo essere ritrascritto in proteine che permettono ai batteri di metabolizzare il lattosio.
Ne Il caso e la necessità, scritto qualche anno dopo il premio Nobel, Monod espose con chiarezza le conclusioni delle ricerche cui erano giunti lui e Jacob, nonché l'intero gruppo coinvolto.
Dopo aver messo in luce che ogni enzima svolge il suo compito alla perfezione, in un sistema privo di "repressori" e "regolatori", «la somma di tutte le attività si concluderebbe inevitabilmente nel caos se esse non fossero in qualche modo subordinate le une alle altre per formare un sistema coerente.» Monod definisce la regolazione come cibernetica microscopica. Le proteine regolatrici riconoscono e si associano a un substrato specifico, attivano la sua conversione in nuove produzioni, ma presentano anche la caratteristica di riconoscere e associare diversi altri composti. In tal caso, la proteina regolatrice la cui associazione (stereospecifica) ha l'effetto di provocare una modificazione, cioè, secondo i casi, «di aumentare o di inibire la sua attività nei confronti del substrato.» I protagonisti di questa regolazione sono gli enzimi allosterici. (14)
Esistono diverse modalità di regolazione distinguibili secondo le relazioni tra la reazione considerata e l'origine metabolica degli "effetti allosterici" che la dirigono. Monod ne distingue quattro: 1) inibizione retroattiva; 2) attivazione retroattiva; 3) attivazione in parallelo; 4) attivazione da parte di un precursore.
«E' raro che gli enzimi allosterici siano soggetti a una sola di queste modalità di regolazione. In linea di massima - prosegue Monod - essi dipendono contemporaneamente da parecchi effettori allosterici, che sono antagonisti o cooperativi.» Una situazione che si verifica frequentemente è la situazione ternaria che comprende sia l'attivitazione da parte del substrato, sia l'inibizione da parte del prodotto finale della sequenza di reazioni, sia l'attivazione in parallelo. L'attivazione da parte del substrato era stata chiamata da Monod, come attivazione da parte di un precursore. In questo caso l'enzima è attivato da una sostanza più o meno lontana dal suo substrato immediato. Con linguaggio economico, Monod definisce la regolazione «subordinazione della richiesta all'offerta.» Un caso particolare e frequentissimo è l'attivazione dell'enzima da parte del substrato stesso. La seconda modalità di questo terzetto è quella dell'inibizione da parte del prodotto finale. E' l'inibizione retroattiva, nella quale l'enzima che catalizza la prima reazione di una sequenza che termina con un metabolita essenziale viene inibito dal prodotto finale della sequenza stessa. Quindi, è la concentrazione intracellulare di quel metabolita a regolare la velocità della sua sintesi. Infine, l'attivazione in parallelo descrive una situazione nella quale il primo enzima di una sequenza metabolica come attivato da un metabolita sintetizzato in una sequenza indipendente e parallela.
Non ci siamo dimenticate della modalità dell'attivazione retroattiva. In essa l'enzima viene messo al lavoro da un prodotto di degradazione del metabolita finale. «Ciò - scrive Monod - si verifica frequentemente nel caso di metaboliti il cui elevato potenziale chimico rappresenta una moneta di scambio nel metabolismo. Questa modalità di regolazione contribuisce, pertanto, a mantenere il potenziale chimico disponibile a un livello prescritto.»
Nel caso non infrequente della cooperazione ternaria di tre modalità, l'enzima riconosce simultaneamente i tre effettori, misurando le concentrazioni relative ad ognuno. C'è il rischio che uno dei metaboliti presenti nel processo blocchi la sintesi, ma questo viene evitato in due modi. Nel primo, entrano in gioco due enzimi allosterici differenti; ognuno di essi è inibito da uno dei metaboliti a esclusione dell'altro. Nel secondo, un unico enzima viene inibito dall'azione concertata dei due metaboliti, ma non da ciascuno di essi singolarmente.

Le alterne fortune dell'operone, i suoi errori e i suoi limiti
Quando il modello dell'operone fu ufficialmente presentato nel 1961 a Cold Spring Harbor ricevette un'accoglienza entusiastica. Quasi tutti i ricercatori riconobbero che i risultati di Jacob e Monod erano il frutto di una combinazione all'avanguardia tra le tecniche biochimiche e genetiche. La scoperta dell'RNA messaggero permise di descrivere i rapporti tra le classi di macromolecole depositarie dell'informazione: DNA, RNA e proteine. Fu così che il modello dell'operone sostituì un insieme eterogeneo di ipotesi sicuramente incoerenti e confuse. Inoltre, la scoperta del "repressore" mostrava come le proteine possano, a loro volta, interagire direttamente con il DNA per modulare la propria espressione. «Soprattutto, però - osserva Morange - il modello dell'operone fu il primo modello preciso, verosimile, che dimostrasse come l'attività dei geni possa essere regolata, in particolare sotto l'azione di fattori ambientali. Fornì gli strumenti per caratterizzare i fenomeni che avvengono nel corso dell'embriogenesi degli organismi superiori. Gli embriologi non si sbagliarono: nonostante le reticenze mostrate da molti di essi nei confronti dell'approccio riduzionista dei biologi molecolari, essi salutarono i risultati del gruppo francese come la prima tappa verso la comprensione dello sviluppo molecolare a livello embrionale.» (15)
Ma il successo non fu durevole, anche perché il modello conteneva un certo numero di errori. La posizione sul cromosoma batterico dei diversi geni che formano l'operone lattosio non era corretta e mancava di un elemento essenziale: il "promotore". Questo non è altro che una sequenza di DNA sulla quale si fissa un enzima , l'RNA polimerasi, il quale trascrive il DNA in RNA messaggero. Solo nel 1964 il gruppo di Monod e Jacob cominciò a descrivere la nuova variante del modello, insistendo sugli effetti di polarità. Un gene situato sul lato in cui avviene la sintesi dell'RNA messaggero gode di maggiori possibilità di generare una proteina rispetto ad un gene collocato all'estremità opposta dell'operone. Inoltre, nel 1961, si pensava ancora che il "repressore" fosse un RNA, e non come si è visto, una proteina.
Ma, la critica più forte al modello dell'operone riguardava il suo valore generale. Essa sorse nello stesso laboratorio di Monod, già nel 1963. Alcune osservazioni di Ellis Englesberg, Maxime Schwartz e Maurice Hofnung mostravano che oltre ad una regolazione negativa esisteva una regolazione positiva. dell'espressione genica. Un gene, chiamato "attivatore", stimola l'espressione di geni situati a valle invece di reprimerli. «Se l'osservazione di una regolazione positiva - scrive Morange - non poneva nessun problema a François Jacob, pronto ad ammettere che il modello dell'operone era solo un tentativo, votato al fallimento, di conoscere approfonditamente i fenomeni di regolazione dell'espressione genetica, Jacques Monod non la pensava allo stesso modo, e per diversi anni rifiutò di considerare i dati sperimentali a sostegno di una regolazione positiva.» (16) Ciò portò ad una difesa dogmatica del modello dell'operone che determinò una crescente ostilità nei suoi confronti.
L'obiezione più diffusa era che gli organismi superiori presentano una complessità che non è riducibile all'operone dei batteri. In particolare, fu però rimesso in discussione il postulato che il livello principale di regolazione della sintesi delle proteine sia la trascrizione del DNA in RNA. Fin dal 1964, Gunther Stent, avvalendosi di un'interpretazione personalissima dei dati sperimentali che avevano portato alla costruzione del modello dell'operone, cominciò a sostenere che il livello principale della regolazione fosse quello della trascrizione degli RNA in proteine. Il mondo dei batteri non fece grande fatica a confutare Stent, esibendo a più riprese la centralità della trascrizione DNA-RNA. Questo senza escludere possibili variabili ancora nascoste. Ma per tutti gli organismi superiori, i fatti erano meno evidenti. Nessuna osservazione sperimentale, in realtà, aveva fino ad allora confermato l'esistenza di un raggruppamento di geni sotto forma di operone.

I trasposoni, geni saltatori
La ricercatrice statunitense Barbara Mc Clintock, nel 1961, aveva mostrato in un articolo sull'"American Naturalist"che esiste un altro meccanismo di regolazione dell'espressione genica: il trasposone. Qui occorrono alcune considerazioni. Mc Clintock, Jacob e Monod non appartengono a due universi paralleli e non comunicanti. Il loro rapporto è retrodatabile agli anni '40, quando Mc Clintock aveva cominciato a postulare l'esistenza di qualcosa d'altro accanto ai geni: appunto controlling elements, cioè 'elementi di controllo'. Partita dallo studio della genetica del mais, ella si era resa conto, indipendentemente da Jacob, che esistevano fattori non ancora identificati e specificati che condizionano l'espressione genica. Queste considerazioni furono presentate su " American Naturalist" sotto il titolo Parallelismi fra i sistemi del controllo genico nel mais e nei batteri. Proprio partendo dalle elaborazioni di Jacob e Monod, ella riconsiderò le proprie conclusioni, ma il lavoro di Mc Clintock fu ignorato da Monod e Jacob. E questo fu causa di un'espressione di risentimento non privo di valore scientifico: Jacob e Monod «non avevano capito gli aspetti tecnici della genetica del mais.» (16) In realtà, i lavori della Mc Clintock erano stati utilizzati da Jacob, esattamente con la stessa interpretazione ma, non nel medesimo contesto. Ovvero, non per dare forza alla tesi della regolazione, ma per sostenere la teoria degli episomi, cioè il riconoscimento che egli elementi genici possono spostarsi da una parte all'altra del cromosoma. In realtà, Mc Clintock finì col sostenere che proprio lo spostamento dei trasposoni batterici, altrimenti noti come "geni saltatori", spiegava la variazione dei meccanismi di regolazione dei geni durante il differenziamento cellulare e dello sviluppo embrionale.
Dovettero trascorrere vent'anni perché il lavoro di Mc Clintock fosse accolto dai genetisti. Da allora, la ricerca ha offero numerosi esempi di geni trasponibili sia nei procarioti che negli eucarioti. Frequentemente, i trasposoni batterici sono geni che recano il messaggio di resistenza agli antibiotici. Pertanto i batteri patogeni con simili caratteristiche sono difficili da combattere. Spesso, questi trasposoni sono localizzati nei plasmidi, piccole molecole di DNA, che si replicano indipendentemente dal DNA principale esistente nei cromosomi. Già negli anni '50, ne fu identificato uno, quando una forma scuta di dissenteria si verificò in Giappone. Questi plasmidi si trasferiscono facilmente da un batterio all'altro, anche tra ceppi differenti. In tal modo cresce la resistenza agli antibiotici.

Britten e Davidson
1969: Roy Britten e Eric Davidson pubblicarono su "Science" il loro modello di regolazione genetica. Si basava sulla scoperta che una notevole quantità di RNA contenuto nel nucleo delle cellule eucariote non passa nel citoplasma. Lo studio aveva interessato in particolare il rospo Xeropus levis. Durante l'oogenesi la parte di RNA messaggero conservata nel nucleo è rilevante. E non è a vita breve in quanto mantiene una stabilità. Ciò era in contrasto con la teoria del "messaggero instabile". Questo portò Britten e Davidson ad attribuire allo stesso RNA un ruolo più importante nella regolazione. Nel modello Britten-Davidson la caratteristica fondamentale poggiava sull'assunzione dell'esistenza di un meccanismo per l'attivazione coordinata di geni strutturali non contigui. Il DNA contiene quattri tipi di geni: i produttori, i recettori, gli integratori e i sensori. Ogni "batteria di geni" produttori è preceduta da sensori in grado di riconoscere e legare macromolecole regolatrici, poi, intervengono gli integratori che sono quelli che permettono la sintesi di RNA attivatore. «Anche se il modello di Britten e Davidson conteneva delle intuizioni importanti - scrive Corbellini - in particolare il concetto che vi fossero nel DNA delle sequenze che funzionano da sensori per specifici segnali, la possibilità di clonare i geni degli eucarioti ha mostrato che il controllo della loro espressione dipende in realtà da sistemi assai più complicati.» (17) Così anche il modello di Britten-Davidson, che aveva immediatamente incontrato un grande successo, venne abbandonato.

La ripresa dell'operone
Negli anni '90, l'operone tornò d'attualità. Scrive Morange: «Si dovette attendere l'inizio degli anni '80, con l'arrivo degli strumenti dell'ingegneria genetica, perché i meccanismi che controllano l'espressione dei geni nelle cellule eucariote venissero finalmente svelati. Le prime osservazioni rivelarono principi di regolazione apparentemente diversi da quelli noti nei batteri: assenza quasi completa di regolazione negativa, molteplicità dei fattori di regolazione che intervengono nel controllo dell'espressione genica ed esistenza - oltre ai promotori - di un nuovo tipo di sequenze regolatrici, chiamate enhancer, posto a grande distanza dai geni, il cui ruolo è facilitare la trascrizione.» (18) In realtà, tutte queste scoperte, secondo Morange, portarono a galla che le cellule batteriche e quelle eucariotiche avevano regolazioni più simili che dissimili. Infatti, vennero trovate regolazioni negative anche nelle cellule eucariotiche e persino negli stessi operoni. «L'esistenza degli ehnancer - prosegue Morange - non era il segno di un nuovo tipo di regolazione: nei batteri esistono, oltre ai promotori e agli operatori, degli ehnancer che fissano i fattori di regolazione della trascrizione proprio come i promotori.»
Tutto ciò, in realtà venne a confermare i due risultati principali delle ricerche di Jacob e Monod. Il primo: che le proteine (come i repressori) sono capaci di fissarsi direttamente sul DNA per controllare l'espressione dei geni. Il secondo: questo è il principale meccanismo che controlla l'attività dei geni, anche se non l'unico. Gli embriologi che avevano ipotizzato come lo sviluppo embrionale fosse fosse controllato dai cosiddetti "geni omeotici", descritti a partire dal 1984, finirono con il riconoscere che il sito di fissazione al DNA di tali fattori di trascrizione ha una struttura simile a quella dei repressori batterici. In sostanza, gli studi di Jacob e Monod vennero finalmente compresi nei loro pregi, nei loro limiti e nei loro errori.


(1) Fantini B. - Le origini della biologia molecolare - in a cura di P. Rossi - Storia della scienza moderna e contemporanea - UTET 1988
(2) ivi,
(3) ivi,
(4) Morange M. - Monod, Jacob, Lwoff / i moschettieri della nuova biologia - numero 31, febbraio 2003 della serie "i grandi della scienza" de "Le scienze"
(5) ivi,
(6) ivi,
(7) ivi,
(8) Fantini B., cit.
(9) Morange M., cit.
(10) Fantini B, cit.
(11) Monod J. - Il caso e la necessità - Mondadori 1970
(12) Morange M., cit
(13) ivi,
(14) enzima allosterico, ecco la definizione che ne dà Monod: «... una classe particolare in virtù delle proprietà che li distinguono dagli enzimi 'classici'. Come questi ultimi, essi riconoscono, associandovisi, un substrato specifico e attivano la sua conversione in prodotti ma, in più hanno la proprietà di riconoscere elettivamente uno o parecchi altri composti la cui associazione (stereospecifica) con la proteina ha l'effetto di modificare, cioè, secondo i casi, di aumentare o di inibire la sua attività nei confronti del substrato.» (da Il caso e la necessità)
(15) Morange M., cit
(16) Judson H. F. - L'ottavo giorno della creazione / La scoperta del DNA - Editori Riuniti 1982 / rist. 1986
(17) Corbellini G. - Le grammatiche del vivente - Laterza 1997/1999, ediz. accresciuta
(18) Morange M., cit

Per scrivere questo "resoconto" mi sono servita soprattutto di una monografia de "Le Scienze" intitolata Monod, Jacob, Lwoff / i moschettieri della nuova biologia, a cura di Michel Morange. E' il numero 31, febbraio 2003 della serie "i grandi della scienza"; Monod J. - Il caso e la necessità - Mondadori 1970; Monod J. - Per un'etica della conoscenza - Bollati Boringhieri 1990; Duris P. Gohau G. - Storia della biologia - Einaudi 1999; Corbellini G. - Le grammatiche del vivente - Laterza 1997/1999, ediz accresciuta; Fantini B. - Le origini della biologia molecolare - in a cura di P. Rossi - Storia della scienza moderna e contemporanea - UTET 1988
FDM - luglio 2007


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