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Gilles Deleuze, i caoidi e il caosmo
di Renzo Grassano
Abbiamo scelto di inaugurare la sezione "Filosofi del III millennio" con una serie di schede ed interventi su Gilles Deleuze perché, a nostro avviso, egli ha rappresentato più emblematicamente di altri la deriva e la crisi della filosofia del Novecento di fronte al caos sociale ed economico, alla caduta dei valori, alla crisi delle scienze, al disordine delle strutture, alla fredda neutralità dei saperi affatto neutrali, alla morte di Dio ed a quella, decretata dai filosofi, ma spesso irreale, del soggetto, tanto negato da alcuni quanto invocato o esaltato da altri. Ed è questa, in definitiva, la cosa che più ci ha colpito in Deleuze, una morte che ha radici nella filosofia di Spinoza, che ha trovato strane prolunghe in una geniale meditazione su Alice nel paese delle meraviglie, e che infine si è persino messa a contemplare sé stessa in uno strano libro di Charles Dickens.
Ragazzi, questo non è un filosofo facile e lineare. Una volta che si abbandona l'idea del soggetto, dell'uomo che non è responsabile di sé e della sua coscienza, che è vissuto ed animato anzichè essere un centro direttivo che comunque prende decisioni riguardanti sé stesso, si arriva ad un punto in cui non solo non c'è più nulla di scontato, in cui è comunque l'individuo che fa un'analisi, che fa il puntosu dove siamo, che cosa è meglio fare e così via, ma dove noi siamo solo espressione di un'immanenza, un'emanazione dell'immanenza, e che questa è... la vita, determinata da congiunzioni molecolari imprevidibili ed impreviste, oltre che da una macchina desiderante che produce, produce, produce senza sosta, sino a produrre anche il soggetto, che comunque rimane un oggetto prodotto.
Non è un gioco di parole, intendiamoci. Le cose stanno in modo così oscuro anche a me, che altro ci mancherebbe volessi davvero spiegarvi Deleuze!
Se quel poco che, per ora, abbiamo raffazzonato vi stimolerà, andate a cercarvi i libri e fatene buon uso. Di tanto in tanto cercheremo di fornire ulteriori ragguagli. Per ora, è certamente impossibile stilare un bilancio definitivo.
Deleuze segue, non a caso, le nostre prime proiezioni relative ai francofortesi, che hanno dato lustro e non poche preoccupazioni ai nostri pensieri negli anni passati. E' facile comprendere perché: marxismo e psicoanalisi erano stati il terreno comune e fecondo delle riflessioni della dialettica negativa, delle mostruosità procurate da un approccio al mondo troppo baldanzosamente razionalistico. Marxismo e psicoanalisi sono anche una componente del pensiero di Deleuze, ma il fatto nuovo, l'ospite inatteso, è Nietzsche, un Nietzsche un po' diverso da quello a cui eravamo abituati, interpretato da Deleuze nientemeno che come un compimento di Kant.
Certo, difficile da digerire. Ma il Nietzsche di Deleuze parte da una rilettura della Genealogia della morale in cui, sostanzialmente, si dice: Kant ha accettato tutti i valori selezionati dal mondo prima di lui. Nietzsche li ha rimessi in discussione. Ma il punto di vista nietzscheano non differisce da quello kantiano. Valutano le stesse cose, secondo criteri diversi. Possibile? Possibilissimo.
Per la verità, Kant non parlò nemmeno di valori, avendoli talmente a cuore da non ritenere necessaria ulteriore spiegazione. Perché la pace sia preferibile alla guerra, il benessere al malessere, la felicità all'infelicità, la conoscenza all'ignoranza, il bene al male, la moralità all'immoralità: c'è bisogno forse di spiegazioni? C'è un solo punto, in Kant, nel quale sembri egli dire no alla vita?
Nietzsche, invece, richiede spiegazioni. Smaschera i valori imposti e l'ipocrisia dei loro propagandisti. Dietro ad essi c'è un inganno, un complotto dei deboli, una ragione plebea volta a domare il soggetto prepotente e libero.
Ovviamente, noi dissentiamo da questa interpretazioni in linea generale, ma non possiamo che accoglierla in ambiti particolari: è vero che dietro ai moralisti si nascondono spesso molti inganni, è vero che essi indossano una maschera e che vanno dunque smascherati. Ma è anche vero che Kant non fu un moralista e pigiò sempre con molta insistenza sul tasto della moralità possibile solo in una reale libertà. Chi decide di agir bene per paura della legge o per paura di Dio e di finire all'inferno od in galera, non compie una scelta morale, ma una scelta da cacasotto. Questo ha veramente detto Kant.
Lo shakeraggio dei pensieri dei tre maestri della scuola del sospetto ( Marx, Freud e Nietzsche, secondo Paul Ricoeur) porta ad esiti del tutto inediti, complice anche l'anti-lacaniano Felix Guattari. Il soggetto viene negato, ridotto a macchina desiderante, descritto come un corpo senza organi, privo di un centro direttivo, spogliato dalla maschera della psiche, quasi privo di anima, ed infine di un inconscio.
Il soggetto della filosofia classica è, ormai, solo uno schizzato. La schizoanalisi deve sostituirsi alla psicoanalisi. Nel naufragio, senza spettatori, perché siamo tutti naufraghi coinvolti, occorre trovare una via di fuga, e questo, paradossalmente, è il nuovo inizio, il compito che spetta a quelli che ragionano ancora, per avere ragione del caos.
Fine.
Cioè, dopo aver attraversato gli abissi della schizoanalisi, Deleuze e Guattari, nel testo "Qu'est-ce que la philosophie?", dicono chiaro e tondo che, forrtunatamente, arte, scienza e filosofia "tracciano tre piani sul caos" e che "il filosofo, lo scienziato, e l'artista, sembrano ritornare dal paese dei morti"." Quel che il filosofo riporta dal caos sono delle variazioni che restano infinite, ma divenute inseparabili su superfici o in volume assoluti che tracciano un piano di immanenza secante..."
Dal canto suo, l'artista importa dal caos "delle varietà che non costituiscono più una riproduzione del sensibile nell'organo, ma erigono un essere del sensibile, un essere della sensazione". E ancora, lo scienziato prende dal caos "delle variabili divenute indipendenti"... [...] Ecco che la scienza diventa il caoide in grado di prendere un pezzo di caos (cioè di realtà) in un sistema di coordinate, formando "un caos riferito che diventa Natura, e da cui ricava una funzione aleatoria delle variabili caoidi."
Il filosofo, più avanti dello scienziato quanto a fantasia concettuale, produce invece variazioni di pensiero e di concetti lottando contro il caos "quale abisso indifferenziato o oceano di dissomiglianze."Ed un concetto creato sul pezzo è proprio quello di "caoide", non solo un antidoto al caos, ma un interprete di quel caos.
Tali concetti, avvertivano Deleuze ( e Guattari), non vanno assimilati alle opinioni (platonici e kantiani insieme, ma come vedremo tre righe più sotto, di fatto solo kantiani). "Il concetto è uno stato caoide per eccellenza: esso rinvia ad un caos reso consistente, divenuto Pensiero, caosmo (caos e cosmo insieme) mentale. E che cosa sarebbe il pensiero se non si misurasse incessantemente con il caos?"
Il punto, secondo Deleuze (e Guattari) è che «I concetti non sono già fatti, non stanno ad aspettarci come fossero corpi celesti. Non c'è un cielo per i concetti, devono essere inventati, fabbricati o piuttosto creati e non sarebbero nulla senza le firme di coloro che li creano [...]. Ogni concetto filosofico è un tutto frammentario che non si adatta ad altri concetti poiché i contorni non coicidono. Più che comporre un puzzle, i concetti nascono da un lancio di dadi. E ciò nonostante hanno delle risonanze, e la filosofia che li crea si presenta sempre come un illimitato, Omnitudo che li comprende tutti su un unico e medesimo piano.»
E' solo dopo aver detto questo, che Deleuze lascia un testamento ai filosofi del III millennio. La filosofia è un agire costruttivo, un costruttivismo.
Derrida ne ha lasciato un altro nel quale si dice l'opposto: è necessario decostruire.
Ci si può domandare se si tratti di due identità differenti, in conflitto di opinioni ed interessi, o non si tratti, piuttosto della stessa Penelope, la filosofia francese, in fondo la filosofia tout court, che di giorno tesse la tela e di notte la disfa.
Forse, si tratta di afferrare che è ciò rimane, la somma positiva o negativa, il non uguale a zero, che merita ancora attenzione: il negativo come differenza, il positivo come somma (accumulo di saperi), comunque sia il differenziale che cerchiamo per denotare le distinzioni.
A somma zero, insomma, non avremmo più nulla di cui parlare, mentre, anche nel caos, abbiamo pur sempre qualcosa da dire: che casino! Se non altro.
RG - 9 novembre 2004