Henry Bergson (1859-1941)
I fondamenti
Henry Bergson fu probabilmente
il filosofo
francese di maggior rilievo
e successo tra
la fine dell'Ottocento
ed i primi decenni
del Novecento. Tale posizione
fu conquistata
grazie ad una critica del
Positivismo equilibrata
e non aprioristica. Suo
merito indiscutibile
fu di riuscire a mantenere
nel pensiero filosofico
un campo d'indagine concreto
alle scienze
empiriche che, sulla scia
di Herbert Spencer,
continuavano ad avere un
ruolo fondamentale
rispetto alle dimensioni
del relativo e del
condizionato. Bergson fu
infatti uno dei
principali critici della
mentalità positivista,
ma anche nei confronti
dell'agnosticismo
metafisico di Kant egli
trovò diversi argomenti
polemici, sorpassando,
per così dire, la
contestazione pura e semplice
con un approfondimento
costruttivo.
Dal kantismo, Bergson riprese
l'esigenza
di una metafisica nuova,
trasferendo l'indagine
dal piano trascendentale
delle condizioni
a priori della conoscenza
soggettiva ad un
riesame dell'io reale,
al di là di ogni travisamento
derivante dalla sua funzione
di fondamento
per la conoscenza scientifica
dei fenomeni.
Da Boutroux, Bergson riprese
la negazione
di una omogeneità tra i
vari campi del sapere
avanzata da Comte, ed affermò
che leggi naturali
valide per un determinato
gruppo di fenomeni
non possono essere assunte
a priori come
esplicative di un altro
campo della fenomenicità
del reale. Si tratta della
nota teoria della
contingenza del conoscere,
cui Bergson aggiunse
una riflessione sul convenzionalismo
di Poincaré.
D'accordo con questi, ribadì
l'utilità a
fini pratici e tecnici
della provvisorietà
delle sistemazioni scientifiche
e del carattere
pragmatico dell'impresa
scientifica. A ciò
aggiunse una sua originale
teoria della conoscenza.
Essa si basava sulla considerazione
che,
per le esigenze dell'azione,
l'intelligenza
umana tende a semplificare
e ridurre l'eterogeneità
delle situazioni, e quindi
a ridurre il continuo
della realtà a parti analizzabili,
introducendo
simboli semplici, con i
quali poter muovere
agilmente tra le varie
situazioni. L'intelligenza
tende così a spazializzare
e geometrizzare
una realtà complessa.
Già da queste scarne note,
si può comprendere
la problematicità della
complessa analisi
filosofica di Bergson che
culminerà nell'importante
opera Evolution crèatrice
del 1907. Superando
del tutto la posizione
materialistica del
Positivismo, per il quale
lo spirito umano
sarebbe derivato dalla
materia, Bergson si
sforzò di chiarire come
entrambi derivino
da un unico principio:
l'élan vital, lo slancio
vitale. Che ovviamente
è un elemento metafisico,
anche se possiamo ritrovarlo
in tutte le
situazioni nelle quali
esiste non solo materia
inanimata, ma anche vita
vegetale ed animale.
Come Spencer, si potrà
dunque affermare che
la realtà è risultato di
un'evoluzione, ma
non si potrà definire tale
evoluzione né
come l'espressione di un
piano determinato,
secondo il finalismo esasperato
di Leibniz,
né un semplice risultato
del meccanicismo.
Per Bergson, il principio
creativo non ha
cessato di operare, ma
è sempre attivo. Non
siamo quindi mai in presenza
di una necessità,
di momenti che seguono
necessariamente l'uno
all'altro.
L'evoluzione creatrice,
secondo Bergsono,
comporta sempre un imprevisto,
dunque qualcosa
di nuovo e più ricco del
prevedibile secondo
gli schemi deterministici
di Laplace. Anche
la materia deriva dallo
slancio vitale nel
senso che essa è il residuo
che si manifesta
laddove lo slancio si esaurisce.
Quando questo,
al contrario, conserva
la sua spinta propulsiva
e creativa, da luogo alla
vita, dunque al
mondo dello spirito umano.
I dati immediati della
coscienza
Nato a Parigi il 18 ottobre
1859 da genitori
ebraici di origine polacca,
Bergson potè
seguire studi regolari
dapprima frequentando
il Liceo Condorcet e poi
i corsi di Boutroux
all'Ecole Normale. Si laureò
in lettere e
matematica (una situazione
didattico-culturale
nella quale le due materie
non erano in contrasto!!)
e poi prese ad insegnare
nel licei di varie
città, tra cui Clermont-Ferrand.
Nel 1889,
a trentanni, guadagnò il
dottorato, e quindi
la libera docenza nelle
università con una
tesi intitolata Saggio
sui dati immediati
della coscienza, un'opera
che muovendo da
un'analisi introspettiva
del tempo nella
coscienza, avviava una
complessa concezione
della realtà definita poi
da molti storici
della filosofia come intuizionismo.
Bergson coglieva del tempo
soprattutto un
aspetto,quello della durata;
ed una relazione,
quella tra tempo e coscienza.
Rispetto alla durata, l'esistenza
spirituale
si presenta come una corrente
ininterrotta
che varia continuamente,
non sostituendo
tuttavia ogni stato di
coscienza con un altro,
ma disciogliendo gli stati
stessi in fluidità
successive.
Il tempo dell'esperienza
immediata della
coscienza è diverso dal
tempo fisico misurato
da orologi e calendari.
Un tempo misurato
può essere vissuto dalla
coscienza in modo
sia più breve che più lungo.
Ad esempio,
per Bergson è innegabile
che il tempo della
gioia risulti sempre più
breve, mentre quello
della noia e della sofferenza
risulti più
lungo. Non è dunque possibile
ridurre i tempi
della coscienza a quelli
del tempo considerato
dalla scienza fisica. Nemmeno
è possibile
istituire un'analogia tra
il molteplice della
coscienza e la molteplicità
degli enti spaziali
e delle loro mutazioni
studiate dalla scienza.
La coscienza è definita
soprattutto in antitesi
allo psicologismo meccanicista,
come non
soggetta a leggi, quindi
libera ed imprevedibile.
La libertà, a sua volta,
è sempre qualcosa
di reale, ed è la vera
causa delle nostre
azioni. Noi sentiamo di
essere causali, ed
in ciò troviamo la nostra
libertà. Ma tale
libertà non è dimostrabile,
può solo essere
vissuta ed intuita. Tuttavia,
nell'affermare
la libertà, Bergson avverte
che essa non
ha carattere assoluto,
come accadeva ad esempio
negli spiritualisti. Nemmeno
si può dire,
però, che la coscienza
sia determinata da
sentimenti quali l'odio
o la simpatia, come
forze estranee che agiscono
su di essa. Piuttosto,
si può solo dire che sentimenti
ed idee condizionanti
vengono da una pessima
educazione e che questa
è in grado di produrre
un io parassitario
che annulla l'io fondamentale.
Per questo,
secondo Bergson, vi sono
individui che non
hanno mai conosciuto la
vera libertà.
Materia e memoria
Nel 1896 Bergson compose Materia e memoria e nel 1890 venne chiamato ad insegnare al
Collège de France. In questo suo lavoro,
Bergson, appellandosi al "senso comune",
afferma che gli oggetti esistono indipendentemente
dalla percezione, sentendo però il bisogno
di precisare che essi sono identici ai dati
sensibili. Esiste, poi, una percezione con
carattere speciale: il nostro corpo, che
è anche l'unico mezzo per realizzare percezioni.
Tra ricordi e percezioni esiste una differenza.
I ricordi non sono semplici percezioni di
percezioni provate in passato. La percezione
è la potenza in azione del corpo vivente,
mentre il ricordo guida ed ispira le percezioni
e diviene veramente attuale nell'atto della
percezione stessa. Bergson distingue tra
ricordo puro, ricordo-immagine e percezione.
«Le idee, i puri ricordi, richiamati dal
fondo della memoria, si sviluppano in ricordi-immagine
sempre più capaci di inserirsi nella schema
motorio. A misura che questi ricordi prendono
la forma di una rappresentazione più completa,
più concreta e più cosciente, tendono sempre
più a confondersi con la percezione che li
attiva e di cui essi adottano il quadro.
Dunque non c'è e non può esserci nel cervello
una ragione in cui i ricordi si fissino e
si accumulino. La pretesa distruzione dei
ricordi ad opera delle lesioni cerebrali
è solo l'interruzione del progresso continuo
per il quale il ricordo si attualizza.» In
altre parole: Bergson era convinto che l'impulso
vitale e la vita spirituale trascendano i
limiti materiali. Il corpo, anche la sua
parte più nobile, è solo un campo ed uno
strumento d'azione.
Introduzione alla metafisica
Nell'Introduzione alla Metafisica del 1903, Bergson precisò in che senso si
può dire che l'uomo realizza due tipi di
conoscenza.
Una di queste è l'intuizione.
Solo l'intuizione
perviene alla realtà vera
e profonda in tutta
la sua complessità. La
metafisica si sviluppa
su questa base. L'intuizione,
pur essendo
una conoscenza immediata
che afferra il tutto
e le sue relazioni, non
è facilmente esprimibile,
anche se non si deve paragonarla
ad una contemplazione
mistica. Nell'introduzione
a Le pensée et
le mouvant (una raccolta
del 1934) preciserà
che l'intuizione filosofica
non è qualcosa
di istintivo e a-logico,
bensì réflexion,
pur avendo per oggetto
la durata.
La seconda forma di conoscenza
è la conoscenza
concettuale, tipica delle
scienze. E Bergson
la definisce superficiale.
Utilissima a fini
pratici, ma improduttiva
a fini metafisici.
Tentativi di edificare
una nuova metafisica
sulle scienze positive
sono destinati a fallire.
L'evoluzione creatrice
Nel 1907, Bergson pubblicò L'evoluzione creatrice, che è il suo lavoro più importante. In
esso si possono vedere riflessi gli influssi
del neolamarckismo di Weissman ed Eimer,
biologi che si erano proposti di operare
una sintesi tra Lamarck, Darwin e De Vries.
Dopo una parte introduttiva
nella quale è
ricapitolato il pensiero
delle opere precedenti,
appare una riflessione
importante. Per Bergson,
sia il meccanicismo che
il finalismo leibniziano,
nella loro apparente opposizione,
finiscono
col dire le stesse cose,
insufficienti a
comprendere la dinamica
della realtà, la
quale suppone l'unità delle
correnti vitali."
... allora, non si dovrà
più parlare della
vita in generale come se
fosse un'astrazione
od una semplice rubrica
valida ad iscrivere
tutti i viventi: ad un
dato momento, in qualche
punto dello spazio, ha
avuto inizio una corrente
ben visibile. Questa corrente
vitale attraversando
i corpi da essa stessa
di volta in volta
organizzati, passando di
generazione in generazione,
si suddivisa fra le tante
specie e dispersa
tra gli individui, senza
perdere alcunché
della sua forza, anzi accrescendosi
man mano
che avanzava."
Perché, si chiede Bergson,
esistono in natura
tante creazioni fallite?
Perché esistono
forme vitali degenerate
come quelle dei parassiti?
Il nostro tenta una spiegazione
monistica
di tali processi, descrivendoli
come frammentazione
dello slancio vitale e
automatica inversione
del processo creativo,
giungendo a dire che
si è verificato nell'evoluzione
un arresto
spontaneo. All'interno
di tali forme di vita
"la linfa ascendente
della vita"
non circola più. Il punto
da cogliere, qui,
è che la "materia",
interpretata
in origine da Bergson in
senso cartesiano
come pura "spazialità",
nell'evoluzione
creatrice diviene un principio
metafisico
più profondo, una "materia
prima"
in senso aristotelico,
se non una "diade"
in senso platonico. In
ogni caso: un principio
di spiegazione del divenire.
Se ben si guarda, il problema
del rapporto
tra materia e slancio vitale
assomiglia molto
a quello che nella filosofia
di Fichte porta
a costituire un principio
antagonistico dell'io,
cioè il non-io.
Tuttavia, nonostante tale
tendenza a passare
dal monismo al dualismo,
Bergson si mantiene
fedele ad un dinamismo
fondamentale. La materia
non è una "cosa",
un quid negativo,
ma un processo di sostanzializzazione,
una
corrente contraria allo
slancio, un "ordine"
che, interferendo con quello
voluto dallo
slancio, genera un disordine
apparente. Ciò
può deludere l'intelletto,
ma è perché esso
non coglie la complessità.
«In realtà - scive Bergson
- la vita è un
movimento, la materialità
è il movimento
inverso, e ciascuno di
questi due movimenti
è semplice, giacché la
materia che forma
un mondo è un flusso indiviso
ed anche indivisa
è la vita che la traversa
ritaglaando in
essa gli esseri viventi.
Di queste due correnti,
la seconda contrasta la
prima, ma la prima
ottiene tuttavia qualcosa
della seconda:
ne risulta quel modus vivendi
che è precisamente
l'organizzazione.» (Evoluzione
creatrice)
Anche per Bergson, in conclusione,
termine
e scopo dell'evoluzione
è l'uomo. Solo nell'uomo
la supercoscienza che ha
spinto incessantemente
l'evoluzione non ha trovato
la via sbarrata,
come nelle piante e negli
animali, compresi
quelli superiori. Solo
nell'uomo, pertanto,
essa può sentirsi realizzata.
Tuttavia, è questo il punto
da cogliere,
«Non ci fu quindi, propriamente,
alcun progetto
né piano, e d'altra parte
è sin troppo chiaro
che il resto della natura
non è stato riferito
all'uomo: lottiamo come
le altre specie,
abbiamo lottato contro
di esse. Inoltre se
l'evoluzione della vita
nel suo cammino avesse
urtato contro ostacoli
diversi, noi saremmo
risultati, fisicamente
e moralmente, alquanto
differenti da come siamo.»
(Evoluzione creatrice)
E' dunque erroneo, secondo
Bergson, considerare
l'umanità come predeteminata.
In che senso,
allora, parla dell'uomo
come "termine
e scopo" dell'evoluzione?
Come si è già osservato,
la coscienza ha
finalmente trovato nell'uomo,
dopo diversi
tentativi non riusciti,
la via dell'uscita
dall'automatismo della
natura. Solo nello
stadio umano la vita ha
realmente incontrato
la libertà e non solo la
necessità e l'istinto.
Questo particolare sviluppo
ha tuttavia penalizzato
l'intuizione a tutto vantaggio
dell'intelligenza,
che Bergson considera un
flusso contrario
alla corrente vitale. «L'intuizione
è pur
sempre presente, ma vaga
e soprattutto discontinua;
è una lampada quasi spenta,
che si ravviva
soltanto a lunghi intervalli
ed appare per
qualche istante, ma in
sostanza, quando è
in gioco un interesse vitale,
essa si ravviva.»
(Evoluzione creatrice)
Le due sorgenti della morale
e della religione
L'ultimo lavoro di rilievo di Bergson fu
Le due sorgenti della morale e della religione del 1932. Nel frattempo aveva ottenuto il
premio Nobel per la letteratura, ed aveva
anche trovato il termpo di scivolare su una
buccia di banana, scrivendo i famigerati
saggi Durata e simultaneità del 1922, nei quali era venuto a criticare
la teoria della relatvità di Albert Einstein.
L'opera omnia di Bergson fu pubblicata nel
1970 a cura di P. Robinet, e "stranamente"
questi saggi non compaiano. Ma questo non
fa onore a Bergson e nemmeno aiuta gli storici
del pensiero, perché anche una critica erronea,
dovuta a scarsa comprensione del problema,
comunque aiuta a far luce su determinati
aspetti. A merito di Bergson va però ricordato
che nel luglio del 1924, quando Einstein
partecipò per la prima volta ad una riunione
del Comitato internazionale per la cooperazione
intellettuale, un organismo sorto per decisione
della Società delle Nazioni, Bergson, che
ne era presidente, rivolse ad Einstein calde
parole di benvenuto non di circostanza.
Ne Le due sorgenti della morale e della religione, Bergson analizza il posto dell'uomo nella
società e comincia col constatare che, storicamente,
le società sono chiuse e lasciano un margine
minimo all'iniziativa dei singoli. A Bergson
sembra che l'ordine sociali si modelli sull'ordine
fisico, per quanto le leggi sociali non abbiano
comunque un carattere necessario. Ricollegandosi,
sia pure indirettamente, ad alcuni tratti
del pensiero etico di Aristotele e opponendosi
a Kant, Bergson afferma che la società è
la fonta delle obbligazioni morali. Le quali
sono nient'altro che abitudini sociali. Alla
base della vita sociale vi è, dunque, l'abitudine
di contrarre abitudini da parte dei singoli.
La ragione e lo slancio vitale entrano in
gioco solo per dettare norme particolari
e le modalità dell'adempimento. Ovviamente,
anche nella società chiusa esiste un margine
di libertà; pertanto anche le abitudini conservano
un carattere contingente, come è provato
dall'evoluzione dei costumi. Tuttavia, secondo
Bergson, accanto alla morale dell'obbligazione
sociale si è sviluppata nell'umanità una
moralità assoluta: quella del cristianesimo,
dei filosofi greci e dei profeti di Israele.
Questa morale assoluta corrisponde all'ideale
di una società aperta.
Nicola Abbagnano la racconta
così: «Questa
morale guarda non a un
gruppo sociale, ma
tutta l'umanità. essa ha
a suo fondamento
un'emozione originale,
e continua lo sforzo
generatore della vita.
La morale dell'obbligazione
è immutabile e tende alla
conservazione;
la morale assoluta è in
movimento e tende
al progresso. La prima
esige l'impersonalità,
perché è la conformità
ad abitudini acquisite;
la seconda risponde all'appello
di una personalità
che può essere quella di
un rivelatore della
vita morale e di uno dei
suoi imitatori o
anche quella della personalità
che agisce.
A queste due morali diverse
corrispondono
due tipi diversi di religione.
» (N. Abbagnano
- Storia della filosofia
- vol. VI TEA, 1995)
In effetti, Bergson introduce
un ulteriore
dualismo tra una sorta
di religione infra-intellettuale,
costruita dalla tendenza
umana alla fabulazione
ed alla invenzione di miti,
ed una religione
sovra-intellettuale e dinamica,
capace di
riassorbire lo slancio
vitale originario.
La prima forma è statica,
e svolge compiti
d'ordine sociale. E' descritta
da Bergson
come reazione difensiva
della natura al potere
dissolvente dell'intelligenza
individuale.
La funzione sociale della
religione infra-intellettuale
è quella di richiamare
l'uomo all'impegno
verso i suoi simili, i
"fratelli"
del cristianesimo, ed a
porre un limite all'egoismo.
Premio e punizione dopo
la morte servono
a fermare chi non si fa
intimorire dalle
leggi umane.
Al contrario, la religione
dinamica presuppone
individui fuori del comune,
i mistici. «Il
risultato del misticismo
è una presa di contatto,
e per conseguenza una coincidenza
parziale,
con lo sforzo creatore
che la vita manifesta.
Questo sforzo è di Dio,
se non è Dio stesso.
» (Le due sorgenti della
morale e della religione)
L'esistenza dei mistici
consente un accordo
tra religioni diverse.
«Dio è amore ed è
oggetto d'amore: qui è
tutto il misticismo.»
(idem)
Pertanto, Bergson auspica
il risorgere di
qualche talento mistico
per curare i mali
dell'umanità, un corpo
che "attende
un supplemeto d'anima".
In tal caso,
l'umanità potrebbe riprendere
"la funzione
essenziale dell'universo,
che è una macchina
per fare gli dei".
Dopo questo lavoro, o più
probabilmente durante
la sua composizione, Bergson
fu tentato di
convertirsi al cattolicesimo,
che riteneva
indubbiamente più "mistico"
dell'ebraismo.
Ma rinunciò ad una vera
conversione, come
scrisse nel testamento
del 1937, per non
abbandonare la comunità
ebraica nel cuore
della tempesta. «Ho voluto
- scrisse - restare
tra quelli che saranno
domani perseguitati.»
Morì a Parigi nel 1941,
in una Francia occupata
dai nazisti.
La fortuna di Bergson è legata a diversi
fattori. Una rigenerazione-superamento del
Positivismo, una messa a punto dello Spiritualismo,
l'intuizionismo, il vitalismo, il rilancio
della metafisica, un certo profetismo mistico
come quello de Le due sorgenti della morale e della religione. Spinte centrifughe più che centripete.
Non vi è quindi alcun sistema bergsoniano.
Esistono, semmai, "spunti" ed "ingredienti"
che potrebbero essere impiegati in svariate
filosofie di orientamento evolutivo e progressista.
Difficile la convivenza con il "darwinismo
sociale", però.
Karl Popper trasse spunto,
ad esempio, dalla
contrapposizione tra società
chiusa e società
aperta per sviluppare la
sua filosofia politica.
La definizione era troppo
felice per lasciarla
evaporare nei manuali di
storia della filosofia.
Tuttavia, è evidente che
il significato di
società aperta in Popper
ha assunto un significato
un po' diverso.
Poincaré, Duhem e Meyerson
trassero dal carattere
contingente della conoscenza,
cioè dalla
limitata e provvisoria
validità delle leggi
naturali scoperte dall'uomo,
ooops, dagli
scienziati (o in senso
kantiano: imposte
dall'uomo alla natura),
il criterio della
convenzionalità. In sostanza:
quel criterio
per il quale le leggi sono
valide per l'accordo
tra scienziati, sempre
restando ferma la
possibilità di trovare
spiegazioni migliori
e convenzioni più soddisfacenti.
Anche Popper,
con il fallibilismo, non
ignorò certamente
le indicazioni di Bergson.
Ma, non minore fu l'influsso di Bergson in
campo letterario ed artistico. Se ne può
trovare conferma nell'impressionismo della
pittura francese di fine secolo. Si è anche
notato un legame tra Bergson e lo scrittore
Marcel Proust (tra l'altro erano parenti).
"La ricerca del tempo perduto"
è ispirata alla dottrina bergsoniana del
ricordo puro. Agganci bergsoniani si potrebbero
trovare anche nelle due opere letterarie
più significative del Novecento: l'Ulisse di Joyce e L'uomo senza qualità di Musil. L'instabilità dell'io, il flusso
delle correnti vitali, lo sfondamento del
mistico operato da Musil, ad esempio nel
secondo volume del suo capolavoro, insieme
a "quell'andare e venire nel tempo",
che caratterizza la prima parte, conferma
questa fondamentale impressione.
moses - 28 aprile 2005
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