A chi serve Confucio oggi?
Se lo chiedeva Federico Rampini in L'impero di Cindia (1), fornendo varie risposte, tutte più
o meno riconducibili al sospetto che Confucio
sia servito a legittimare posizioni retrive
e reazionarie, oppure impiegato come sgabello
per salire alla ribalta e guadagnare un po'
d'attenzione.
Indubbiamente, servì al sindaco del suo paese
natale, il mitico Qufu, per fare un figurone
alla cerimonia per i festeggiamenti del 2556°
anniversario della nascita, il 28 settembre
del 2005. Serve al giovane insegnante di
filosofia "occidentalizzato" Pang
Fei, per (auto)legittimarsi nella missione
di indicare ai giovani cinesi la via maestra
per riscoprire i "valori" delle
radici e dell'antichità ed evitare di soccombere
alle sirene della modernità e della vita
eterodiretta nella società del consumismo.
Servì all'ex-premier di Singapore Lee Kuan
Yew (un affarista di destra), per giustificare
l'idiosincrasia degli "orientali"
nei confronti delle democrazie di tipo occidentale.
Serve ai vertici del partito comunista cinese
per legittimare la propria funzione di "guida"
spirituale oltre che politica, in una visione
non molta diversa (nei fatti) da quella di
Lee Kuan Yew ma, che a parole richiama lo
storico obiettivo dell'armonizzazione sociale.
Potremmo aggiungere che il "confucianesimo"
è anche una "religione" e che sui
natali eccezionali, se non "miracolosi",
di Confucio esiste una tradizione leggendaria
e pittoresca. Credo sia sensato, quando si
parla di "religioni", evitare di
assumere atteggiamenti sarcastici ed offendere
le sensibilità di chi considera "santo",
o "sacro", qualcosa e qualcuno
in particolare. Certamente, gli occidentali
si possono misurare con Confucio godendo
del vantaggio di una percezione "laica".
Per un cittadino di New York o di Milano
mediamente istruiti, Confucio fu essenzialmente
un "saggio maestro di vita", un
"filosofo", il prototipo di una
figura ibrida di "intellettuale letterato",
"politico" e "amministratore".
Precisare che quando assumeva un incarico
aveva una lettera di dimissioni sempre in
tasca non è sicuramente esatto sotto il profilo
storico ma, credo possa aiutare a capire
la statura dell'uomo e del perché, nel bene
e nel male, Confucio è stato per oltre due
millenni una stella polare nella cultura
cinese. Lo scioglimento dell'enigma è persino
facile da trovare in un suo celebro detto:
"non sono uno strumento". Ovvero
non sono un utile idiota. Quantomeno, non
vorrei esserlo. E' tragi-comico che lo sia
diventato?
«Durante il Novecento - scriveva Rampini
- la dottrina del Maestro Kung fu spesso
usata dalle forze della conservazione: dalla
moribonda dinastia Qing contro i repubblicani;
dai Signori della guerra; perfino dagli invasori
giapponesi che, tra il 1931 e il 1945, cercarono
di rilanciare il culto di Confucio nei territori
cinesi occupati, come terreno d'intesa fra
le classi dominanti dei due paesi.»
E' vero ma, si dovrebbe anche vedere che
si trattò sempre di un'appropriazione indebita:
l'insegnamento di Confucio non ha un colore
politico, non è destra o di sinistra, appartiene
all'umanità nel suo insieme come esempio
di condotta morale in mezzo a politicanti
astuti, generali in cerca di gloria, affaristi
in cerca di profitti e cortigiani corrotti.
Diventa goffa e sospetta anche l'assimilazione
della dottrina del "giusto mezzo"
come sostegno alla moderazione politica ed
a quei tentativi di armonizzazione che non prevedano la rimozione forzata di
solisti disonesti e megalomani da incarichi
di responsabilità pubblica.
C'è un secondo punto di difficoltà nella
comprensione di Confucio, ed è dannoso eluderlo:
non ragionò mai, né poteva evidentemente
farlo, in termini di democrazia politica
e di istituzioni autonome, come ad esempio
la magistratura, regolate da norme emanate
dal detentore della sovranità ma, da esso
indipendenti. Il contesto nel quale si trovò
ad operare era quello di un sovrano che delegava funzioni amministrative e giudiziarie a
ministri e le poteva revocare in qualsiasi
momento. L'unica forma di confronto "democratico"era
quella nella camera chiusa tra consiglieri,
ministri e cortigiani alla presenza del sovrano.
Il quale, se ne aveva voglia, ascoltava tutti
con attenzione, e poi decideva.
Compreso questo punto, si arriva più facilmente
a capire perché gli insegnamenti di mastro
Kong Qiu risultino più congeniali ad un sistema
non democratico. D''altra parte, per funzionare
realmente, un sistema democratico avrebbe
bisogno di cittadini preparati, documentati,
responsabili erga omnes, il che non è mai stato fino ad ora. In
futuro? E chi lo sa!
Sono convinto che posto di fronte al mondo
attuale, Confucio direbbe che la vita democratica
dei paesi occidentali non fa che rispecchiare
in grande le divisioni e lacerazioni che
avvenivano nelle stanze dei bottoni della
Cina antica. Con la significativa differenza
che nelle corti della vecchia Cina non si
decideva a maggioranza. Decideva il sovrano,
a volte anche contro il parere della maggioranza.
Che poi era costretto a licenziare per evitare
di trovarsi tra i piedi dei rematori che
spingevano la giunca in senso opposto. "Licenziare"
è un mezzo eufemismo: nella Cina antica i
dissenzienti si sopprimevano senza tanti
complimenti. Probabilmente, fu un merito
reale di Confucio quello di aver inaugurato
una stagione di maggiore "moderazione"
nel trattare gli avversari politici.
Ragazzi: diamoci una mossa!
Ecco: suppongo sia così
sufficientemente
chiaro perché non si possa
abbandonare Confucio
ai conservatori e ai reazionari
ed a considerare
"sospetta" la
sua proverbiale saggezza.
Il principio da cui muovevano
tutti suoi
ragionamenti era lo stesso
che dovrebbe valere
anche oggi. Per avventurarsi
in un impegno
politico e o amministrativo,
bisognerebbe
essere preparati. Per essere
preparati, occorre
studiare. Ma, non in senso
platonico, ovvero
spendendosi in tante chiacchiere
sull'impossibile
utopico del "sommo
bene"ma, nel
vivo dell'esperienza di
governo, alle prese
con problemi reali di fronte
a uomini reali.
I discepoli di Confucio,
quelli che poterono
usufruire direttamente
dei suoi insegnamenti,
non furono costretti a
chiudersi in un'accademia
ma, crebbero con lui, condividendo
successi
ed insuccessi, facendo
quotidianamente autocritica.
Il paragone con Platone
non regge, se non
per vie del tutto teoriche,
proprio per il
fatto che Confucio ebbe
successo in gioventù
come funzionario e che
grazie a tale successo
si costruì attorno a lui
una cerchia di discepoli.
Ciò consentì loro di crescere
insieme al
maestro, nel vivo di un
impegno pratico e
non solo teorico, anche
quando le cose presero
una brutta piega e Confucio
fu costretto
a tirar fuori di tasca
la lettera dimissioni.
Nel segno dell'impotenza?
Sicché, se si accetta il mio giudizio sulla
genesi della filosofia politica occidentale
come espressione di un'impotenza radicale
a «cambiare il mondo» in pratica,
risalendo a Confucio, si potrebbe arrivare
a qualcosa di apparentemente analogo ma,
di profondamente diverso. Confucio tentò
realmente di cambiare i metodi di governo
della società, stando nella stanza del potere,
e nelle sue immediate adiacenze.
Le sconfitte patite da Confucio, dopo l'illusorio
primavera di successi vissuta in gioventù,
non andrebbero viste in modo unilaterale
come un fallimento del suo"progetto"
politico-culturale. Innanzi tutto perché
non era il "suo" ma, lo considerava
come un dettato del Cielo (tianming)., un segno del destino. Inoltre, ponendo
egli stesso le più rigide condizioni "morali"
per servire un sovrano, si trovò la via sbarrata
dalle più rigide situazioni "immorali".
Ragion per cui parlare di impotenza nei termini usuali del linguaggio politico
occidentale è fuorviante. Constatata l'impossibilità
di poter continuare a lavorare come ministro
o funzionario, si dedicò esclusivamente all'insegnamento.
Mettere ordine in se stessi
Il centro dell'attenzione, in quasi tutto
il pensiero cinese degno di rilievo, non
è rivolto all'esterno, agli altri ma, in
primo luogo a se stessi. Non ha alcun senso
impegnarsi in qualche attività rivolta a
migliorare gli altri e le relazioni "armoniose",
se non si è capaci di mettere ordine in se
stessi, disciplinarsi e perfezionarsi, senza
mai arrivare ad una vera "perfezione",
la quale equivarrebbe ad una morte fisica
e cerebrale. Anche Confucio non si allontanò
dal dettato fondamentale dei più antichi
maestri e degli antenati. La via è una progressione
dal piccolo al grande. Dall'interiore all'esteriore. Secondo Confucio,
si parte da se stessi. poi si mette ordine
in famiglia, poi nel villaggio, poi nello
stato. Infine, curando i rapporti diplomatici
con gli altri stati, si mette ordine nel
mondo. Seguendo lo stesso percorso, ovviamente,
ci troveremmo tutti a naufragare, per bene
che vada, non appena messo fuori il piede
di casa. In confidenza, mi verrebbe da osservare
che nemmeno Confucio ci riuscì, dovendo fare
i conti non solo con una moglie ma, con ben
quattro concubine! Scene da incubo in casa
Confucio... Ma, celie a parte, resta la sostanza
di questo insegnamento radicale che sconvolge
il tradizionale percorso del filosofo occidentale.
Il "sommo bene" non va cercato
là fuori ma, nemmeno esclusivamente qui dentro
- come spesso accade di sentire in alcuni
estremisti della pulizia radicale in se stessi.
Ci dovrebbe essere un giusto equilibrio ma,
"squilibrato" nella priorità di
metter prima ordine in se stessi. Altrimenti
diventa una farsa.
Gli individui di valore e gli individui ignobili
Qui siamo al punto dolente degli insegnamenti
confuciani, l'asserzione che fece perdere
le staffe a Mozi, il primo critico di Confucio.
Mastro Kong era convinto esistessero due
categorie di individui: nobili ed ignobili.
Per Mozi, una volta istituita questa discriminazione tra nobili ed ignobili, non si sarebbe più
capaci di provare amore per l'umanità in
modo indifferenziato, cioè nell'unico modo
"giusto" agli occhi del Cielo.
E' sicuro che Mozi, nato l'anno successivo
alla morte di Confucio, venne presto a trovarsi
nella situazione in cui molti ignobili si
spacciavano per nobili, strumentalizzando
gli insegnamenti di Confucio.
Ora, un vero saggio non dovrebbe perder tempo
in simili quisquiglie da mercato ateniese
o pechinese. Gli uomini di "valore"
(junzi) sono quelli che amano l'umanità in modo
indifferenziato. Nei fatti, son quelli che
vivono modestamente, che non si danno arie,
non accumulano ricchezze insensate (perché
non sanno cosa farsene!), aiutano i bisognosi
"veri" e così via. In una parola:
lavorano anche per gli individui meschini.
I "valorosi" sono sempre consapevoli
del propri limiti, del proprio sapere e delle
proprie capacità. Cercano di imparare da
chi sa, e non da chi non sa. Gli uomini da
poco (xiaoren) non hanno bisogno di definizione ulteriore:
nella mia esperienza rispondono al tipo di
individuo che fa regolarmente di ogni erba
un fascio, quello che non arriverà mai a
capire il concetto di nobiltà d'animo. Essendo
meschino lui, fa meschini anche gli altri.
Ora, è evidente, da quando mondo è mondo,
che diventa ineluttabile istituire delle
preferenze. Personalmente, non sono mai riuscito
ad essere veramente "amico" di
persone meschine e megalomani - i meschini
peggiori, perché un megalomane considera
"spazzatura" tutti quelli che osano
criticarlo o contraddirlo.
D'altra parte, chi fa pesare le differenze,
non è certamente un individuo nobile d'animo.
La pietà filiale non è
l'ultima spiaggia...
In sintesi: Confucio fu un vero "signore",
probabilmente troppo attento all'etichetta
e alle formalità rituali. Sarà anche vero
che senza il rispetto dell'etichetta vivremmo
in un mondo di incivili ma, a volte, continuare
a rispettare le "forme" a tutti
i costi diventa ipocrita ed insopportabile.
Il grande limite del suo pensiero sta nell'aver
fatto della pietà filiale un assoluto inderogabile. Riducendo la questione ai minimi termini,
si potrebbe dire che la solidarietà ed il
rispetto tra parenti funziona egregiamente
nelle famiglie oneste. Ma, se il padre, o
la madre, o i fratelli, si comportano da
"pecore nere", sarebbe più utile
agli individui ripensare l'insegnamento di
Gesù di Nazareth. "Cosa credete? Che
sia venuto a portare la pace? Sono venuto
a portare la spada! A mettere il fratello
contro il fratello, la moglie contro il marito
ecc..." In sostanza: occorrerebbe avere
il coraggio di mettersi anche contro i padri
disonesti. E' un passo di gravità inaudita,
qualcosa che urta contro il senso di umanità
eccezionalmente sviluppato in Confucio ed
in ogni essere umano ma, se non fosse così,
non avremmo diritto di parlare spudoratamente
della "tragicità" della vita. Tanto
più che rivoltarsi al padre, per quanto sciagurato,
come testimonia la storia biblica, non sempre
porta bene. Assalonne si ribellò a David
e finì appeso ad un legno. In definitiva,
non si può stabilire in alcun modo se Assalonne
fosse un pallone gonfiato di boria e di ambizioni,
od un giovane con un senso di giustizia più
sviluppato di quello del padre, e che non
seppe attendere il suo momento.
Su questo piano, dunque,
Confucio è uno stimolo
ineguagliabile ad usare
prudenza. Una volta rotte le uova, è impossibile
ricostruirle. D'altra parte, la "spada"
come metafora ha sempre un connotato violento.
Andiamoci piano. A volte basta un chiarimento,
altre è necessario ritirarsi. Altre ancora
diventa necessario schierarsi apertamente.
L'atteggiamento occidentale porta ad essere
molto bravi nel dettare le norme etiche agli
altri, ad esigere dagli altri quello che non si sarebbe mai
in grado di fare in prima
persona. Da Confucio,
si impara ad esigere molto
meno dagli altri
e molto più da se stessi.
Ma, c'è sempre
un momento di rottura.
E' quando l'autorità
diventa inaffidabile e
non si sa più di chi
fidarsi. Confucio imboccò
questa strada e...
oggi siamo qui a ripensare
i suoi insegnamenti.
E' sicuramente "nobile
d'animo"
chi si mette a studiarlo
senza pregiudizi,
al di fuori di un piano
di studi in vista
dei crediti da conseguire.
Pedanterie?
Proporrei di cominciare da qui: «Quando
l'inclinazione naturale prevale sull'educazione,
l'uomo è incivile; quando invece l'educazione
prevale sull'inclinazione naturale, egli
è pedante. E' solo l'armoniosa combinazione
di entrambe che lo rende nobile di animo.»
L'accusa di pedanteria, spesso avanzata nei
confronti di Confucio, non crolla per questa
citazione, dato che ci si potrebbe sbizzarrire
a raccogliere citazioni noiose e di banale
moralismo quotidiano ma, non si può negare
che mastro Kong non fosse consapevole del
rischio di pedanteria. Un pericolo che si
corre sempre, quando non si coglie, ad esempio,
che è il momento di tacere perché è inutile
parlare, o perfino scrivere. Solo, che nello
scrivere, uno se ne può anche infischiare:
"se mi reputi pedante, saranno ...zzi
tuoi. Io mi limito ad avvisare. Il grande
vantaggio dello scrivere sta nel fatto che
non serve scrutare gli interlocutori e vedere
come reagiscono alle parole. Però, bisognerebbe
"saper" scrivere, ed è proprio
leggendo Confucio che mi son reso conto di
essere d'accordo con lui: ci sono milioni
di individui attualmente nel mondo che sanno
scrivere meglio di me, e che sanno "vendere"
la loro scrittura al miglior offerente. A
risentirci.
1) Federico Rampini - L'impero di Cindia - Mondadori 2006
2) Confucio - Dialoghi - a cura di Tiziana Lippiello - Einaudi
2009 e 2006, al termine del I capitolo Xue er (lo studio)
gm - revisione definitiva 10 marzo 2012
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