Anassagora nacque a Clazomene, nella parte
ionica dell'Asia minore, intorno al 500 a.C.
Fu considerato un seguace dello ionico Anassimene,
tuttavia sembrò in qualche modo subire l'influenza
dell'eleatismo, dunque della dottrina parminidea,
secondo la quale solo ciò che è, mentre il
non essere non è, dunque dal nulla non viene
alcunchè.
Anche Anassagora, come Empedocle, afferma
dunque che nessuna cosa nasce, nel
senso
di uscir fuori da nulla, o perisce,
nel senso
che svanisce nel nulla.
Tutto è frutto di una composizione
di materiale
preesistente; tutto, per così dire,
viene
riciclato in un nuovo materiale.
Come si vede, siamo con Anassagora,
ad una
prosecuzione della "fisica"
inaugurata
da Talete.
L'eleatismo vero e proprio, d'altro
canto,
viene superato con il riconoscimento
della
pluralità degli elementi che compongono
la
realtà.
Questi sono i "semi" di tutte
le
cose, cioè particelle microscopiche,
le quali,
a differenza che in Empedocle, sono
in numero
infinito.
Secondo Anassagora ogni seme corrisponde
agli oggetti che vediamo nel mondo
quotidiano.
Pertanto vi sono i semi di "oro",
semi di "carne", semi di
"osso"
e così via.
Aristotele scrisse di questa dottrina
che
essa prevede che le cose siano costituite
di particelle (mère) simili (hòmoia),
cioè
della stessa qualità.
Pertanto la dottrina di Anassagora
è nota
come dottrina delle omomerie, cioè
dei semi
simili.
Ma se vi sono semi simili, che tradotto
in
termini moderni potrebbe equivalere
a molecole
e cellule, ogni cosa, ogni ente compiuto
è tuttavia composto di diversi elementi.
Pertanto si potrebbe dire che "tutto"
è in tutto e che sembra che Anassagora
lo
abbia proprio affermato.
Ciò era dovuto, per Anassagora, al
fatto
che all'inizio tutte le cose erano
mescolate
insieme in un magma immaginario.
Qui è chiara la derivazione del pensiero
di Anassagora da quello di Anassimandro.
Solo in un secondo tempo esse si separarono
a causa di un moto rotatorio primordiale
che provocò l'aggregazione dei semi
tra loro
simili, formando in tal modo, gli elementi.
Aristotele rilevò anche che la separazione
iniziale per Anassagora era irreversibile,
mentre per Empedocle era ciclica, come
nelle
dottrine di origine indo-ariana, ovvero
una
fase di separazione si alternava ad
una fase
di riunificazione, e ciò all'infinito.
Come è evidente, da ciò conseguono
due diverse
teorie del tempo: quello ciclico in
Empedocle
e quello rettilineo-irreversibile in
Anassagora.
A buona ragione Anassagora è dunque
anche
stato considerato come il fondatore
della
historia della natura, ovvero della
descrizione-narrazione
della storia dell'universo alle origini.
Ma qui giova ricordare anche che Anassagora
studiò fenomeni quali la folgore, il
tuono,
l'arcobaleno, il terremoto fornendo
spiegazioni
del tutto inedite.
Il motivo per il quale Aristotele considerò
Anassagora come il filosofo più intelligente
tra tutti quelli precedenti a Platone
va
tuttavia cercato nella ricerca di una
causa
per la quale le omomerie si separarono.
Sarebbe come se oggi uno scienzato
moderno
non si limitasse a prendere atto del
big
bang, ma riuscisse a spiegare il vero
motivo
per il quale si verificò, se secondo
un "piano"
oppure per "caso".
Anassagora disse che la separazione
fu voluta
da un "intelletto" puro,
non mescolato
alle cose, non composto di semi, dotato
di
conoscenza di tutto e di dominio su
tutto.
Tale intelletto, il nous, è quindi
causa
dell'ordine cosmico, e pur essendo
esso stesso
"materiale" (Aristotele direbbe
"sostanziale") è profondamente
diverso dai semi delle altre cose.
Predicare l'esistenza di questa intelligenza
universale che tutto ordina, ma al
di fuori
del mito, cioè di una dottrina religiosa
- superstiziosa, significava comunque
escludere
che il caso fosse all'origine dell'universo
e quindi porsi in una prospettiva deterministica.
Anassagora, in altre parole, è una
prova
ulteriore del fatto che anche la scienza
e la ragione possono portare, se non
a Dio,
comunque ad un riconoscimento che niente
succede per caso, e che è solo la nostra
ignoranza da un lato, e la nostra supponenza
intellettuale dall'altro, a portarci,
a parlare
di caso.
Platone, tuttavia, si dichiarò deluso
per
l'uso che Anassagora faceva dell'intelletto.
Egli sarebbe infatti limitato a porre
in
evidenza l'esistenza di una causa prima
e
razionale di tutti i fenomeni, guardandosi
però dal farla intervenire nella spiegazione
concreta dei fenomeni.
Tale critica venne esplicitata nel
Fedone,
laddove Socrate racconta la delusione
provata
leggendo il trattato sulla "fisica"
di Anassagora.
Socrate infatti non trovò, nell'ordine
instaurato
dall'intelletto, il motivo per il quale
le
cose "devono" essere in un
certo
modo piuttosto che in un altro e la
"spiegazione
di ciò che è meglio per ciascuna, ed
il bene
che è comune a tutti".
In Anassagora pare vi fosse inoltre
una vera
e propria teoria della conoscenza.
In essa, diversamente da quella elaborata
da Empedocle, per la quale è "il
simile
che conosce il simile", Anassagora
affermò
che si conosce attraverso la sensazione
dei
"contrari".
Ed egli partì dalla considerazione
che il
conoscere è una sensazione passiva,
un "patire".
E pose come esempio il fatto che solo
perchè
il nostro organismo è caldo che noi
conosciamo
il freddo e, viceversa, è solo perchè
il
nostro organismo è freddo, che noi
conosciamo
il caldo.
In sostanza per Anassagora l'uomo conosce
perchè sa usare intelligentemente i
dati
dell'esperienza, cioè i vissuti psichici,
andando però oltre l'esperienza sensibile
e organizzando questi dati in forma
logica.
In questo quadro, dunque, vi sarebbero
due
forme d'intelligenza, quella passiva
e quella
attiva.
Una recepisce e l'altra organizza attivamente
i materiali.
Questa concezione sarà poi sviluppata
da
Aristotele.
In questo quadro ancora Anassagora
rifletterà
sui problemi della produzione della
tecnica,
cioè dell'arte di fare; purtroppo i
frammenti
in nostro possesso non ci consentono
di ricostruirne
il pensiero.
Osiamo credere che quelle osservazioni
abbiamo
tuttavia rappresentato l'anello mancante
alla filosofia di Aristotele, cioè
una compiuta
osservazione sui problemi della manualità
e del lavoro.
La famosa affermazione per la quale
secondo
Anassagora, "l'uomo è il più sapiente
di tutti i viventi perchè ha le mani",
cioè in grado di fare le cose, di produrre
mezzi della propria sussistenza, anzichè
beccarli e razzolarli come un noto
animale
bipede e politico dei nostri pollai,
fu confutata
da Aristotele con il rovesciamento
dell'argomentazione:
è perchè l'uomo è più sapiente che
ha le
mani e non viceversa.
Per Anassagora, in sostanza, l'uomo
è quel
che è, non una gallina, in quanto ha
le mani,
e facendo esperienza di questi strumenti,
utilizzandoli, egli evolve.
Il che suona conferma alla sua concezione
del tempo e dell'evoluzione culturale
da
un lato, ma non perviene affatto a
supporre
che l'uomo, all'inizio della vita potesse
anche non esistere.
C'è quindi uno scarto tra il naturalismo
di Anassagora e la sua mancata intuizione
dell'evoluzionismo.
Per Aristotele, al contrario, l'affermazione
potrebvbe anche essere intesa in senso
evolutivo,
se non predarwiniano.
Cioè: in quanto più sapiente, più intelligente,
più motivato ad evolversi, la specie
animale
"uomo" nel corso del tempo
è riuscita
non solo ad avere le mani, come le
scimmie,
ma ad usarle in un certo modo, e quindi
a
svilupparle ulteriormente.
Non c'è alcun testo, che sappia io
(unico
indizio la ciazione di Censorino in
Anassimandro),
che confermi questa mia suggestione.
Tuttavia mi pare l'unica plausibile
a giustificazione
di questa affermazione di Aristotele,
il
quale, se dice qualcosa, lo dice sempre
per
un motivo preciso.
L'insistenza dello stagirita sui temi
dell'abitudine
in campo etico, de resto, mi sembra
anche
in questo caso un buon argomento a
supporto
di una concezione evolutiva, se non
evoluzionistica.
In questo senso, pertanto, l'affermazione
di Aristotele, si potrebbe anche intendere
così: tutti gli uomini hanno le mani,
ed
anche alcuni animali, tra i più intelligenti,
come le scimmie le hanno.
Ma l'uomo più intelligente è quello
che le
sa usare, ed è perchè è intelligente
che
le sa usare in modo molto più evolutivo
delle
scimmie.
Altrimenti avrebbe avuto più ragione,
come
del resto avrebbe tuttora ragione,
Anassagora.
In quel senso particolare l'uomo è
più intelligente
perchè fa cose che gli altri animali
bipedi
e non bipedi, non sanno fare, e questo
perchè
usa le mani.
Anassagora, per tutta la vita, si disinteressò
di politica e si occupò di ricerche
che potremmo
definire "scientifiche".
Gli scienziati e gli empiristi logici,
tuttavia,
avrebbero molto da eccepire sulla scientificità
di Anassagora perchè la dottrina del
nous,
cioè dell'intelligenza cosmica che
tutto
ordina, è ovviamente "metafisica",
anche se noi ci rifiutiamo di credere
che
sia il frutto di una semplice, geniale
intuizione.
Come già in Anassimandro, anche in
Anassagora,
l'affermazione è il risultato di una
riflessione
sulle ricerche compiute e sulla constatazione
che anche la vita della natura, così
come
la fisica dell'universo segue regole
e leggi.
Disinteressarsi di politica, tuttavia,
non
significò per Anassagora, come non
significa
in generale, disinteressarsi dell'uomo
e
di ciò che è meglio per lui.
La via "ionica", cioè la
via scientifica
della spiegazione fisica del perchè
il mondo
è così, trovò in Anassagora il suo
culmine
e in parte questo culmine "culminerà"
anche in Aristotele, il quale, come
scrisse
lo Jaeger, fu il solo legittimo erede
della
tradizione ionica di Talete, Anassimandro,
Anassimene e Anassagora e dello spirito
di
emancipazione che emanava.
Non fu del resto un caso che l'opera
di scienziato
di Anassagora si spostò ben presto
dalla
nativa Clazomene ad Atene, dove visse
per
circa trent'anni, nella "felice"
(si fa per dire) e democratica età
di Pericle,
del quale fu maestro, amico e consigliere.
Qui infatti trovò le migliori condizioni
per esercitare i suoi studi e attraverso
questi contribuì in maniera irreversibile
(termine certamente consueto in Anassagora)
ad alimentare il rinnovamento culturale
di
Atene.
Egli scrisse certamente un trattato
"Sulla
natura" sul quale si affaticò
anche
Socrate, che fu suo allievo, o quanto
meno,
uditore e lettore.
Purtroppo, a riprova che la scienza
non gode
nè dei favori popolari nè della approvazione
delle forze più retrive e superstiziose,
in particolare dei centri religiosi
e "magici"
di ogni sorta, Anassagora fu accusato
dagli
Ateniesi di empietà per aver affermato
che
il "sole non è un dio, bensì una
pietra
infuocata".
Per tale accusa fu processato e condannato
a morte, ma l'intervento di Pericle
consentì
la commutazione della pena in esilio.
Morì a Lampsaco nel 428 a.C., ovvero
lo stesso
anno della nascita di Platone.
gm - rivisto il 10 giugno 2012 |
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