Capitolo Sesto 1929 - 1930
ANNO 1929
Nell’anno in cui si sviluppa in Italia l’avvenimento considerato tra i
più importanti risultati raggiunti dal Fascismo, in altre parole, la
conciliazione tra Stato e Chiesa, con l’eliminazione della questione
romana, avvenne, all’interno dello stesso movimento fascista, uno dei
maggiori conflitti sui problemi della religione e di conseguenza dei
rapporti che il fascismo stesso avrebbe dovuto tenere nei confronti del
Vaticano. Il filosofo Julius Evola, uno dei più importanti esponenti
della visione di un fascismo neopagano, anticlericale, aristocratico e
in netta antitesi con il potere del cattolicesimo, autore tra l’altro di
un testo quale “Imperialismo Pagano”, che, anche attraverso l’influenza
di un Papini iconoclasta e di un Nietzche anticristo, si scagliava
violentemente contro l’accordo in atto tra fascismo e cristianesimo,
ebbe a dire parole di fuoco, parole che, in seguito, attraverso
un’autocritica, condannava come una sua estremizzazione giovanile; ma
così si espresse a quei tempi:
“Noi oggi dobbiamo assolutamente finirla con il cristianesimo. Tutto in
esso è incompatibile e contradditorio con gli ideali, con la morale, con
la visione del mondo e dell’uomo che può condurre una razza alla
resurrezione di un impero. Il sonno è durato abbastanza e tuttii
compromessi e le variazioni possibili sono esaurite. Ora bisogna dire:
basta¸basta con il cristianesimo preso in blocco nella totalità di tutte
le sue forme. La razza latina, in special modo rinnegherà aspramente
ogni discendenza da questa cosa oscura, che dai bassifondi ebraici di
Palestina è venuta a contaminarla………Il Fascismo in “primis et anteomnia”,
spezzerà l’ibrida coalescenza con la Chiesa cattolica, propiziata dalle
mene della compagnia di Gesù, di questa associazione secreta ed
illecita…….Tutto ciò è potuto accadere per la mancanza nel fascismo, di
una spiritualità e di una cultura sua propria, nuova e viva al pari
delle forze guerriere che lo hanno affermato, la quale si imponesse
simultaneamente al suo imporsi sul piano politico.”
Questo fascismo “magico” degli imperialisti neopagani, entrò in
conflitto con il fascismo ufficiale, e il gruppo di “UR”, la rivista
alla quale si riferivano, che faceva capo al filosofo Evola, fu accusato
di essere legato alla massoneria; questo gruppo aveva raccolto attorno a
sé molti intellettuali dell’epoca, tra i quali la scrittrice Sibilla
Aleramo, che ebbe un burrascoso rapporto sentimentale con il filosofo
pagano, si dissolse e cessò le pubblicazioni. Tra i tanti personaggi che
erano ispiratori di questo raggruppamento possiamo citarne alcuni tra i
più noti, quali: Arturo Reghini, Giulio Parise, Renè Guenon, Domenico
Rudatis, Massimo Scaligero e lo stesso Julius Evola, tutti rientrarono
nell’ombra e molti di loro rispuntarono nel secondo dopoguerra, sotto
svariate vesti: lo stesso Evola diventò il “maitre a penser” della
destra radicale neofascista, mentre la scrittrice Aleramo si convertì al
comunismo.
Prima di arrivare ai patti lateranensi, nel modenese, che viveva un
periodo operativo mai visto prima vi fu, attraverso un disegno di legge
impostato nel 1928 che recava modifiche territoriali in alcune provincie
italiane, l’eliminazione della “strozzatura” della nostra provincia, tra
Marzaglia e il ponte di Sant’Ambrogio, con l’allargamento dei confini,
ai danni della provincia di Bologna. Il Comune di Castelfranco, il 18
Gennaio 1929, con decreto reale, venne accorpato alla provincia modenese
malgrado ci fossero state alcune rimostranze da parte dei cittadini di
Castelfranco Emilia che si sentivano più bolognesi che modenesi. Si
ritiene che il provvedimento fosse stato richiesto dal senatore Marco
Arturo Vicini, preoccupato dalla strozzatura della nostra provincia in
quella zona e che vi fossero delle “esigenze pratiche” per attuare quel
provvedimento. Venne anche richiesta, attraverso una petizione popolare,
l’abrogazione della legge, ma non se fece nulla e la cosa si fermò lì,
tanto che, a tutt’oggi il Comune di Castelfranco è pienamente inserito
nell’economia modenese. La Provincia si allargava e la città assumeva,
sempre più, un aspetto funzionale e moderno. Fu costruita la stazione
d’agraria nella zona dei giardini pubblici, in Corso Vittorio Emanuele
II°, come ancor oggi si chiama, fu restaurato il palazzo
Coccapani-D’Aragona chiamato poi, “Palazzo Littorio”, in quanto, durante
il ventennio, fu la sede del Partito Nazionale Fascista della Provincia
di Modena. Venne anche costruita la “Caserma Mussolini” in viale Tassoni,
alla periferia della città, nelle zone San Lazzaro e Madonnina, furono
edificate numerose case popolari, tutte opere che contribuivano a creare
un volto nuovo alla città della Ghirlandina.
Il Federale modenese, Temistocle Testa, dopo aver fatto un invito a
tutti i fascisti abbienti a contribuire al finanziamento delle strutture
del Partito sulla base della consistenza patrimoniale di ciascuno,
nominò nei primi giorni di Gennaio di quell’anno, un’apposita
commissione, presieduta dal Segretario amministrativo Emilio Pucci, per
controllare i redditi dei fascisti con maggiori ricchezze. Vi furono
anche alcune espulsioni dal partito a causa di “morosità”, inoltre, dopo
il Plebiscito avvenne un rimpasto della direzione provinciale; con
Temistocle Testa rimasero, della giunta precedente, nelle loro cariche:
Vincenzo Ghibellini, Cosimo Manni, Vittorio Arangio Ruiz, ed Emilio
Pucci. Si aggiunsero a completare il direttorio, Renzo Banzi, che era
Podestà di Finale Emilia, Fausto Bianchi e Antonio Rizzi.
Mentre a Modena, attanagliata dal gelo di quell’inverno quasi polare, si
battevano i denti per temperature che arrivarono sino a 15 gradi
sottozero, a Roma, il giorno 11 Febbraio, si conduceva in porto quell’operazione,
già preparata negli anni precedenti, che conciliava, finalmente, la
diatriba tra Stato e Chiesa. Quella conciliazione tanto vagheggiata da
Camillo Benso di Cavour e dal Crispi, ma mai realizzata, si realizzava
per merito di un ex mangiapreti, il socialista Benito Mussolini.
Mussolini riteneva che, per il bene del paese, in base alla costatazione
realistica che vedeva come gran parte delle classi medie e rurali,
obiettivamente permeate di religiosità, e accorgendosi che l’opera di
scristianizzazione portata in altre classi sociali dal socialismo, dal
liberalismo e dalla democrazia in genere, fosse controproducente, per la
visione di un’Italia unita veramente lanciata verso il progresso
sociale, ritenne necessario eliminare ogni dissidio tra Stato e
Vaticano. Nessuno prospettava soluzioni diverse da quella che il Capo
del Governo considerò l’unica soluzione possibile per il bene della
nostra Nazione.
Durante la preparazione degli accordi vi erano state svariate
controversie e si dovettero affrontare numerosi ostacoli, non ultimo
quello citato, del Marzo 1928, quando il Papa Pio XI protestò contro il
monopolio dell’educazione giovanile voluta dal fascismo, ma la risposta
di Mussolini fu drastica, con l’emanazione del decreto che vietava tutte
le associazioni educative che non facessero parte dell’ONB. Il Papa non
insistette, poiché, è evidente, credeva anche Lui nel concordato e
presumibilmente si aspettava di poter ottenere su quel versante, in un
secondo tempo, l’aggiustamento di qualche articolo o un’interpretazione
diversa. Difatti, come vedremo più avanti già il mese di Giugno di
quell’anno, a pochi mesi di distanza dalla firma dei Patti, vi fu
scontro tra le due autorità.
Finalmente si arrivò all’accordo tra il Cardinale Pietro Gasparri,
plenipotenziario di Papa Pio XI e il capo del Governo Benito Mussolini.
L’accordo fu firmato a Palazzo Laterano, dal cui nome, si chiamarono, in
seguito “Patti Lateranensi”. Si veniva così a creare lo Stato della
Città del Vaticano sul quale lo Stato Italiano non poteva avere alcun’ingerenza
e che, al suo interno, con confini ben definiti non vi sarà ammessa
nessun’altra autorità se non quella della Chiesa; era inoltre affermato
che la religione cattolica, apostolica romana, dovesse essere la sola
religione di Stato in Italia, e così via per tanti altri aspetti dei
rapporti tra i due Stati raggruppati in 27 articoli nel Trattato firmato
quel giorno. Prevedeva inoltre, il Concordato stipulato, la precisazione
in ulteriori 45 articoli, le procedure per la nomina di vescovi ed
arcivescovi, le clausole concernenti il libero esercizio del ministero
pastorale, l’assistenza spirituale presso le forze armate e il
riconoscimento giuridico delle congregazioni religiose e la libera
gestione dei beni della Chiesa: negli ultimi anni del Secolo XX° il
Concordato fu aggiornato e rivisto dal Governo del Premier socialista,
Bettino Craxi.
Vi fu, da parte degli italiani, qualsiasi fede essi professassero, una
grandissima accoglienza a quel Trattato che risolveva la vecchia
questione con la Chiesa. Era quello l’ultimo problema lasciato insoluto
dal Risorgimento, poiché l’unità territoriale si era risolta con il 4
Novembre 1918, in seguito alla vittoria ottenuta nella prima guerra
mondiale.
Chi ne trasse maggior vantaggio da quella risoluzione che fu apprezzata
in Europa, se si esclude la Francia, e in tutto il Mondo?
In realtà, più che parlare di concordato, si potrebbe meglio affermare
che, in definitiva, la Chiesa si era ripresa l’Italia dopo un
intervallo, che visti i suoi tempi millenari, era brevissimo. Il
Fascismo ebbe sì i suoi vantaggi, sia in Italia sia all’estero dove, in
particolare, il fascismo dimostrava di avere attendibilità,
autorevolezza e stabilità, conciliando i due poteri, si pensò ad
un’Italia più presente sul piano internazionale. Malgrado le divergenze
avute con il Papa relativamente all’educazione dei giovani, la Chiesa,
attraverso i vantaggi economici ottenuti, ebbe la possibilità di far
dire a Pio XI, che Mussolini,
“e’ stato l’uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare”,
ma, come sottolinea lo storico Giordano Bruno Guerri, nel suo: “Gli
italiani sotto la Chiesa”, dato che il concordato aveva
“ridato Dio all’Italia e l’Italia a Dio”
precisa quanto segue:
“Non restava che aspettare come al solito, un giorno non troppo lontano,
il principe che l’aveva aiutata credendo di servirsene sarebbe caduto,
ucciso da un nemico o dal popolo. Mussolini credeva che il fascismo
fosse incrollabile, che sarebbe riuscito a controllare la Chiesa. Invece
il regime perse definitivamente, da allora, ogni residua spinta
rivoluzionaria e diventò una qualsiasi dittatura reazionaria”.
A Modena l’avvenimento del 11 Febbraio fu solennemente festeggiato e, in
Duomo, l’arcivescovo Bussolari, celebrò una messa solenne di
ringraziamento, alla presenza di tutte le autorità cittadine e di una
gran folla, leggendo un’invocazione particolare indirizzata al Papa e al
Re. Nelle Chiese di tutte le parocchie della Provincia fu celebrato il
“Te Deum” di ringraziamento e le campane suonarono a storno.
Il 24 Marzo si svolsero le elezioni per i Deputati al Parlamento in base
alla legge emanata nel 1928.
Il “Plebiscito” si svolse senza che accadesse il minimo incidente,
l’affluenza alle urne fu incredibilmente alta. In tutto il paese, su
9.673.00 aventi diritto al voto, si presentarono in 8.663.412 pari al
89,6 per cento, di questi, 8.519.559 furono favorevoli al Governo avendo
espresso il “SI” in una delle due schede che erano consegnate
all’elettore, la scheda “NO”, in altre parole quella di coloro che erano
contrari, ebbe 135.671 voti, mentre quelli nulli o contestati furono
8.092. Un successo clamoroso per il Governo, nonostante gli avversari
lanciassero accuse e anatemi contro il Fascismo per il modo con cui
aveva gestito quella prova elettorale.
Modena non fu da meno del resto d’Italia, anzi la percentuale dei
votanti raggiunse il 94,5 per cento in tutta la Provincia, il “SI”
ottenne 106.619 voti contro i 1.243 del “NO”, con una percentuale del
1,16%, mentre le schede contestate o nulle furono 184. Da rilevare che
le più alte percentuali di “NO” si ebbero: a Cavezzo con il 5,5%, a
Soliera con il 4,2%, a Castelfranco con il 3,5 e a Nonantola con il
3,4%.
A Modena città, i no furono 229 pari all’1,1 per cento, mentre i si
ottennero, 22.235 suffragi; ma vi furono anche Comuni che non diedero
nemmeno un voto alla scheda del no, come avvenne a: Castelnuovo Rangone,
Fanano, Fiorano, Guiglia, Lama Mocogno, Marano, Montese, Pavullo e
Sestola, o Comuni come Camposanto, Fiumalbo e Montecreto con un solo
voto contrario. Entrarono, in Parlamento il 20 Aprile, con l’inizio
della XXVIII Legislatura, i modenesi entrambi avvocati, Fausto Bianchi e
Salesio Schiavi.
Il giorno precedente quell’avvio di Legislatura, Modena subì una scossa
di terremoto di una certa intensità che fece correre per le strade e sui
viali del parco cittadino, la maggioranza dei cittadini.
Il 26 Maggio, in occasione del 98° Anniversario della morte di Ciro
Menotti, la salma del patriota dei moti rivoluzionari del 1821, fu
trasferita nella tomba marmorea della Chiesa Parrocchiale di Spezzano.
Il discorso ufficiale lo tenne il deputato appena eletto, Fausto
Bianchi. Contemporaneamente, al porto di La Spezia, fu varato il
sommergibile “Ciro Menotti”.
Alcuni giorni prima, il 19 Maggio, si era tenuta, presso il cinema
“Vittorio Emanuele”, l’assemblea del Fascio modenese con la presenza di
un migliaio di fascisti della nostra Provincia e dove venne riconfermata
la linea politica del Federale Testa che, indubbiamente, diede al
Partito, su tutto il territorio, un nuovo impulso, tanto che in quel
1929, l’organizzazione poteva contare, nelle 65 sezioni sparse su tutta
la Provincia, 9.300 iscritti al PNF, 618 tesserati ai GUF, mentre le
strutture giovanili portavano 21.691 aderenti suddivisi nelle varie
categorie, mentre le organizzazioni sindacali fasciste avevano 45.326
iscritti.
In campo sportivo è degna di esser riportata la notizia della fondazione
della “Scuderia Ferrari” che tanti allori ha mietuto, e che continua a
mietere, lanciando Modena nel mondo; mentre il grande atleta “Taja”
Tavernari conquistava a Budapest il record mondiale nei 500 metri con il
tempo di 1’02”9/10. Questo gran campione, nativo di Formigine, aveva
anche partecipato ai Giochi Olimpici del 1928 e detenne il titolo di
Campione Italiano, dei 400 m. negli anni 1928, ’29, e ’32, ’34, ’35,
oltre al titolo sugli 800 m. dal 1927, 1929 e 1932. Anche in campo
calcistico, il Modena F.C., mieteva allori e quell’anno, il modenese
Angiolino Piccaluga, esordiva nella nazionale di calcio disputando, due
incontri internazionali.
Nel 1929 nacquero i primi campi DUX ai quali presero parte, anche negli
anni successivi, migliaia di giovani modenesi inquadrati negli
Avanguardisti. La manifestazione nazionale si svolgeva a Roma nell’area,
allora verde, dei Parioli e di Monte Mario, attraverso l’organizzazione
dell’ ONB.
L’“Arma Azzurra”, tanto cara a Benito Mussolini, continuava nella sua
ricostruzione e nel suo ampliamento, attraverso la ricerca di nuovi
primati che ottennero sempre vastissima risonanza in tutto il mondo. Nel
mese di Luglio di quell’anno, il grande asso dell’aviazione italiana,
Francesco De Pinedo, guidava uno stormo di 37 idrovolanti a compiere la
crociera aerea del Mediterraneo Orientale. In dieci tappe, tra andata e
ritorno, gli idrovolanti partiti da Orbetello, toccando, Taranto, Atene,
Costantinopoli, Costanza, e arrivando a Odessa, sul Mar Nero,
ritornarono alla base di partenza dopo aver percorso 4.667 chilometri.
Facevano parte di quella crociera, oltre al De Pinedo, anche Italo Balbo
e Attilio Teruzzi. Francesco De Pinedo, che si contendeva con Italo
Balbo la qualifica di grande trasvolatore atlantico, morì’ a soli 43
anni, il 2 Settembre 1933, mentre ricercava un altro primato; doveva
volare da New York a Bagdad, ma il suo aereo, probabilmente per un
eccesso di carico del carburante, nella fase di decollo, precipitò e il
grande pilota rimase carbonizzato.
Si sviluppava, in quel periodo, anche il grande piano per la creazione
di una vera e propria rete stradale nazionale, alla quale Mussolini
dedicò grande impegno e cure appassionate; tra le prime opere realizzate
possiamo citare: l’autostrada Napoli-Salerno, la Milano-Bergamo, e la
Roma-Ostia, oltre allo sviluppo delle grandi strade di epoca romana,
quali l’Aurelia, l’Appia, la Cassia e la stessa Via Emilia, oltre alla
costruzione della grande opera lagunare: il ponte “Littorio” che
collegava Venezia con la terra ferma. Il 1° Luglio, entrò in vigore la
legge per la bonifica integrale che, come abbiamo visto, aveva già in
corso moltissime opere, avviate negli anni precedenti.
Nella sua grande opera sulla storia del Fascismo, Renzo De Felice, il
grande storico del novecento postfascista, ritiene che, proprio a
partire dall’anno 1929, il regime fascista fosse, per l’Italia,
“Una realtà con caratteri e contorni ben precisi e, per più di un
aspetto, definitivi”.
Il Fascismo godeva, indiscutibilmente, di una notevole solidità, “in
primis” perché aveva un consenso dalle masse notevole, come aveva
dimostrato il Plebiscito, in secondo luogo l’Italia di Mussolini
cominciava a vedere aumentare all’estero, le simpatie e, nello stesso
tempo, veniva sempre più considerata, elemento non trascurabile nel
gioco della politica internazionale.
Il 12 Settembre vi fu un piccolo terremoto nella composizione del
Governo, poiché Mussolini che, oltre alla carica di Primo Ministro, si
era addossato per un po’ di tempo anche le cariche di ben sette
ministeri, decise che era venuto il momento di dare maggiori
responsabilità ai suoi collaboratori. Tenne per sé il solo ministero
degli Interni mentre gli altri erano così suddivisi: il Ministero degli
esteri a Dino Grandi, quello delle Corporazioni a Giuseppe Bottai, il
Ministero della Marina a Giuseppe Siriani, quello della Guerra a Pietro
Gazzera; Michele Bianchi ai Lavori Pubblici, Emilio De Bono alle
Colonie, a Balbino Giuliano il Ministero dell’Educazione Nazionale, a
Giuseppe Acerbo quello dell’Economia nazionale, ribattezzato con il
titolo di Ministero dell’agricoltura e delle foreste. Costanzo Ciano
restava al ministero delle Comunicazioni, Alfredo Rocco a quello della
Giustizia e, alle Finanze, Mosconi.
Modena tornò a vedere Re Vittorio Emanuele III il 3 Novembre in
occasione dell’inaugurazione del Tempio monumentale e del monumento ai
Caduti, appena terminati. L’avv. Vittorio Arangio Ruiz tenne un discorso
all’inaugurazione del monumento ai caduti sul parco dove accadde un
piccolo incidente; una tribunetta, sistemata ai lati, dove si trovavano
parecchi spettatori, ebbe un cedimento e si dovettero contare alcuni
contusi, e qualche ferito non grave. Al Tempio vi fu il discorso
dell’arcivescovo Bussolari alla presenza delle autorità cittadine e di
una gran folla che si era radunata sia all’interno sia all’esterno della
Chiesa, nonostante il tempo inclemente.
In quei giorni, dall’America, arrivò la notizia del crollo della borsa
di New York, che ebbe vastissime ripercussioni anche in Europa. Il
panico per la crisi di Wall Street attanagliò tutte le economie mondiali
e la situazione italiana, dopo gli sforzi che erano stati compiuti dal
fascismo negli anni precedenti, con la famosa quota 90 della lira, subì,
in qualche modo, uno scossone non indifferente. Si pensava che in
Italia, che non possedeva grandi risorse naturali, con l’economia che
andava gradualmente riprendendosi, quel tracollo americano potesse
portare a delle gravissime conseguenze. In realtà, malgrado questa
incidesse pesantemente sul mercato, con i prezzi che precipitavano e i
costi di produzione che rimanevano inalterati, la lira riuscì a reggere
sulle quotazioni che si erano fissate tre anni prima. Si trattava di
riequilibrare il rapporto tra costi e prezzi, senza che i sacrifici
delle classi più deboli del Paese superassero i limiti della
sopportabilità; il governo fascista intervenne con misure riparatrici
del dissesto industriale, oltre che a sostenere la situazione agricola
che fu pesantemente provata da quell’emergenza. Non solo, ma Mussolini
pretese, per attenuare i contraccolpi della crisi sui lavoratori,
l’immediato pagamento effettivo del debito pubblico. Ancor più
qualificante per la politica del regime fu che, proprio in corso di
crisi, il fascismo adottò provvedimenti quali la riforma daziaria che,
non solo riduceva il costo della vita, ma favoriva l’unità economica di
tutta la Nazione.
Il 1929 si chiuse con l’approvazione, da parte del Gran Consiglio, di un
altro Istituto che avrebbe avuto, in seguito, grande importanza per la
sua forza di rappresentanza integrale degli elementi professionali e
produttivi della Nazione, per i poteri regolamentari in materia di
economia e per i poteri normativi in materia di disciplina del lavoro.
Il 21 Dicembre entrò in campo, il “Consiglio Nazionale delle
Corporazioni”; nasceva così l’economia corporativa, e le rappresentanze
sindacali ottennero il potere di intervenire, con totale parità di
diritti, nelle varie questioni attinenti il mondo economico e del
lavoro.
In quei giorni, a Modena, veniva stilato il bilancio dei cittadini
iscritti alle varie organizzazioni fasciste che così si presentavano:
9.300 iscritti al Partito; 618 ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti);
8.500 ai fasci femminili; 9.771 erano i Balilla; 4.284 gli
Avanguardisti; 2.524 le Giovani Italiane; 5.112 le Piccole Italiane;
12.000 gli iscritti al Dopolavoro.
Nell’avvicendamento dei Podestà nella nostra Provincia,vi fu, il 19
Settembre, a Mirandola la nomina di Enrico Tabacchi, che rimase in
carica sino al 22 Aprile 1937.
ANNO 1930
Gli anni trenta, per Modena e per l’Italia, saranno quelli della
trasformazione fascista dello Stato. Nella storiografia del fascismo a
Modena, dal termine della guerra ad oggi, è prevalsa una visione
strumentale e manichea, basata su prospettive ideologiche e politiche,
oltre che essere impostata su interpretazioni, sempre e costantentemente,
derisorie e denigratrici. Gli storici locali, o semplicemente coloro che
si sono impegnati a descrivere quegli anni, si sono impegnati a
descriverli, contrariamente a quanto successo alla storiografia
italiana, molto più seria, che ha analizzato quel fenomeno con il
contributo di grandi autori quali Renzo De Felice, in primis, e via via,
Emilio Gentile, Giordano Bruno Guerri, Gianpaolo Pansa, per citarne solo
alcuni, orbene, quelli modenesi hanno dato delle limitate
interpretazioni, sempre rispettose del potere locale, sia esso radicale
o marxista. In questo modo si sono posti fuori dalla storia seria che,
finalmente, attraverso analisi approfondite e circostanziate, si è
accorta che il fascismo è stato un grosso fenomeno, non solo italiano,
ma europeo e mondiale ed è stato visto come un avvenimento politico
dotato di una propria individualità storica. Dice Emilio Gentile, che
non può essere ritenuto uno storico con grosse simpatie fasciste, nella
sua analisi sul ventennio:
“E’ ormai uno dei punti ferni della nuova storiografia che la vera
matrice del fascismo fu la prima guerra mondiale, con la crisi sociale,
economica e politica che essa produsse nella società europea, anche se
alcuni elementi, che contribuirono alla formazione e allo sviluppo del
fascismo, specialmente a livello della cultura e dello stile politico,
sono rintracciabili in tradizioni politiche preesistenti nel
nazionalismo giacobino, nei miti e nelle liturgie laiche dei movimenti
di massa dell’Ottocento, nel neoromanticismo, nell’irrazionalismo delle
varie “filosofie della vita”, nell’attivismo e nell’antiparlamentarismo
dei nuovi movimenti rivoluzionari antiliberali, di destra e di sinistra,
che operavano in Europa e in Italia alla vigilia della guerra. Il
fascismo ereditò queste tradizioni ma le fuse con i miti, le esperienze
degli stati d’animo generali dalla guerra, producendo una nuova sintesi
che milioni di uomini e donne considerarono accettabile ed entusiasmante
per far fronte ai conflitti della modernità. Il fascismo fu una forma
nuova ed inedita originaria di nazionalismo rivoluzionario, sorto dopo
la Grande Guerra, che derivava la sua identità originaria non da una
ideologia precostituita ma dall’eseprienza vissuta della guerra e dalla
sua mitizzazione come concreta attuazione mistica della comunità
nazionale, rappresentata dal cameratismo del fronte. Il fascismo nacque
dalla volontà di perpetuare l’esperienza bellica sublimata come una
nuova e inedita forma di misticismo nazionalista, istituzionalizzandola
attraverso la militarizzazione e la sacralizzazione della politica, per
la creazione di uno Stato nuovo, a opera di un movimento politico che
rivendicava unicamente per sé, in quanto incarnazione vivente della
nazione il monopolio del potere per condurre la collettività nazionale
verso nuove conquiste e nuova grandezza.”
Gli anni trenta, dunque, favorirono il potenziamento del regime
fascista, che aveva il consenso della maggioranza degli italiani e che,
attraverso il partito unico e sulla figura carismatica di un Mussolini,
sempre più DUCE, portò ad un’accelerazione del processo totalitario,
venendo così ad acquistare maggior potere ed autonomia, rispetto alle
istituzioni tradizionali.
Leggendo certe ricostruzioni storiche di alcuni autori antifascisti
locali, troviamo semplicemente valutazioni denigratorie, che fanno
apparire i modenesi dell’epoca, che avevano praticamente aderito in
massa al fascismo, come tanti burattini, sempre vestiti in orbace o in
camicia nera, capaci solo di correre in piazza quando venivano chiamati
dalle organizzazioni del partito per ascoltare le “truculente” parole
dei gerarchi e dei gerarchetti, o costretti “con la forza” a seguire le
innumerevoli manifestazioni fasciste, durante le ricorrenze delle date
obbligate del ventennio, oltre ad aver strappato ai modenesi la libertà
con la violenza, con la forza e con il sistema poliziesco, instaurato in
tutti gangli della società. E’ ovvio che tutte le generazioni dal
dopoguerra ad oggi, informate con questo sistema d’informazioni
unilaterali, basato sulle veline che uscivano dalle sedi del Partito
Comunista Italiano e che hanno inondato, attraverso le loro valutazioni
distorte e non veriteriere, i libri di testo scolastici di tante
generazioni, ritengano, quasi fossero dogmi, assolutamente giuste le
asserzioni che non hanno mai trovato una corretta controinformazione.
Gli sprovveduti autori locali, o semplicente i “lacchè” che servono il
nuovo regime, deridono e “prendono per i “fondelli”, quei giornalisti e
scrittori, fossero onesti o semplici “servitorelli” del regime, che
trovi sempre sotto tutte le bandiere, che scrivevano “ignobili articoli”
o erano solamente capaci di tratteggiare le situazioni dell’epoca,
attraverso le frasi roboanti, gli slogan prefabbricati e ripetuti in
ogni salsa, tipo “Saluto al Duce!” o con le frasi scritte a caratteri
cubitali suoi muri in tutti i paesi italiani, o che parlavano di
“adunate oceaniche”, di “vibranti manifestazioni”, e che tutti dovevano,
“Credere, Obbedire, Combattere”, oppure attraverso i roboanti slogan
mussoliniani del tipo, “Chi si ferma è perduto”, oppure, “Noi Tireremo
diritto” e tanti altri. Certo che oggi, a tutti, quelle manifestazioni o
certi atteggiamenti “duceschi”, che vediamo in alcune ricostruzioni
cinematografiche d’epoca, ci fanno sorridere o divertiti o increduli, ma
non possiamo dimenticare come si viveva all’epoca, e non solo in Italia:
eravamo effettivamente distanti anni luce dagli anni duemila e i
modenesi non erano, come oggi, assillati dal traffico, irreggimentati
dalla televisione, dal cinema, dai mass media in genere e nemmeno si
trovavano a doversi costantemente, quotidianamente, difendere, dai
furti, dalle rapine, dagli stupri, dal terrorismo, dalla paura di uscire
la sera senza dover fare incontri non graditi, insomma da quella
violenza a tutto campo, che troviamo ad ogni angolo di strada
I modenesi, negli anni trenta trovavano veramente il senso di fare le
cose, di partecipare ad una società che si sviluppava costantemente in
modo civile e corretto, si dedicavano alle attività quotidiane senza
l’assillo e la frenesia dell’attuale mondo capital-marxista, solamente
proiettato verso il consumismo e la totale distruzione della personalità
di ogni individuo.
Ancora, gli scribacchini antifascisti ci hanno fatto apparire quegli
anni come un periodo buio, come quelli dell’anticultura e della totale
mancanza di un’informazione, aperta e obiettiva, eppure questi signori
non possono dimenticare che il fascismo, di là dall’attivismo, del
vitalismo, della partecipazione all’azione, diede un incredibile impulso
alla cultura, in tutti i suoi aspetti. Tra i giornalisti e gli scrittori
dell’epoca, che si dichiaravano ferventi fascisti, troviamo innumerevoli
nomi d’uomini che hanno dominato la “cultura democratica” dagli anni dal
dopoguerra a oggi: dobbiamo ricordare, scrittori come, Curzio Malaparte,
Indro Montanelli, il littore Pietro Ingrao, Giorgio Prosperi, Paolo
Emilio Taviani, Alberto Mondadori, Luigi Preti, Felice Chilanti, Achille
Corona, Aldo Airoldi, Gianni Granzotto, Vittorio Zincone, Franco
Calamandrei, Giulio Vassalli, Giuseppe Codacci Pisanelli, Aldo Moro,
Amintore Fanfani, Luigi Preti, Aldo Airoldi, Gianni Granzotto, e tanti
altri che, in clima “democratico” si sono inseriti in tutti i partiti
politici, del cosiddetto “arco costituzionale”.
A Modena, nomi come quelli di: Pilade Lugli, del prof. Domenico Melli,
Sandro Bergonzoni, Leopoldo Amorth, Nino Saverio Basaglia, del Rettore
dell’Università Pio Colombini, di Ugo Guandalini (l’editore Guanda), lo
scrittore Antonio Delfini, tantissimi docenti Universitari e molti altri
che troveremo via via.
In campo letterario è sufficiente citare una serie di personaggi che
diedero il loro incondizionato appoggio al fascismo: Gabriele
D’Annunzio, Luigi Pirandello, Gioacchino Volpe, Berto Ricci, Julius
Evola, Filippo Tommaso Marinetti, Vitaliano Brancati, e quelli che poi,
a fascismo sconfitto, passarono dall’altra parte, come Enrico Falqui,
Mario Alicata, Mario Praz, Corrado Alvaro, Guido Aristarco, Mino Caudana,
Massimo Bontempelli, Piero Bargellini, e il pittore Renato Guttuso, e
ancora, Raffaele De Grada, il futuro deputato comunista Antonello
Trombadori, l’editore Edilio Rusconi, Carlo Cassola, Giorgio Bassani,
Luigi Gui, Emilia Granzotto, Milena Milani, Orio Vergani, e tantissimi
altri, che, o ai littoriali ai quali partecipavano entusiasticamente, o
in conferenze, o nei loro testi avevano parole a dir poco osannanti sul
Fascismo e su Mussolini.
La cultura fascista ebbe innumerevoli seguaci anche al di fuori dei
nostri confini, possiamo non ricordarci o dimenticarci alcuni dei più
grandi nomi della letteratura mondiale del novecento, come lo scrittore
norvegese, Premio Nobel per la letteratura, Knut Hamsun o dell’autore
dei “Cantos”, Ezra Pound e di Gottfried Benn, Ernst Junker, Alfhonse De
Chateaubriant, Drieu La Rochelle, Louis Ferdinand Celine, Josè Antonio
Primo de Rivera, Robert Brasillach?
Non perdiamoci la memoria poi, della costituzione, il 28 Ottobre 1929,
dell’Accademia d’Italia, concepita come la rappresentanza più alta della
cultura italiana; era costituita da sessanta accademici rappresentanti
la “summa” della cultura italiana. Essa fu presieduta, a lungo, dal 1930
al 1937, dal grande scienziato, Guglielmo Marconi e, tra gli
“accademici” vogliamo ricordare i grandi musicisti, Pietro Mascagni e
Umberto Giordano.
Ancora, la più “becera” storiografia antifascista locale, da sempre
trincerata dietro a formule totalmente denigratorie dell’operato di quel
regime, non puo, più di tanto, trascurare che, ”in fondo” qualchecosa il
fascismo l’ha fatto. D’altronde, quelle che erano chiamate le opere del
regime, che non sono riusciti ad abbattere, sono ancora lì, sul
territorio a testimonianza di quell’operosità.
All’inizio degli anni trenta numerosissime opere d’edilizia pubblica
ebbero inizio a Modena, malgrado si fosse ancora sotto “choc” per la
crisi economica causata dal crollo di Wall Street; crisi che angustiava
ancora l’Italia. In Viale Crispi, il viale prospiciente le Ferrovie
dello Stato, furono edificati i moderni palazzoni e la zona, oggi
considerata una delle più degradate della città per l’altissima
percentuale di extracomunitari e di persone dedite alle più turpi
attività, diventò, allora, una delle più eleganti della città. Si
costruì, in zona San Faustino, l’albergo dei senzatetto, chiamato anche,
“Palazzo Pitti”, fu rifatto, sempre in zona stazione, il “Pallamaglio”,
inoltre si diede inizio all’alberatura di Viale Vittorio Emanuele II e
del Viale Principessa di Piemonte. Furono asfaltati tutti i viali del
parco cittadino, furono costruiti padiglioni, in Piazza d’Armi,
destinati ad ospitare la Fiera di Modena, attualmente sono ancora
operativi come sede del Palazzetto dello Sport; in zona San Lazzaro,
furono edificate le scuole elementari del “Gambero”. In Provincia si
vide il completamento dell’impianto idroelettrico a Farneta di
Montefiorino, così come in tutti i Comuni si edificavano, via via, le
“Case del Fascio”, le scuole elementari, gli asili e gli impianti
sportivi, così com’erano incrementati i trasporti pubblici con linee
automobilistiche che partivano da tutti i centri della Provincia, per
raggiungere il capoluogo. In città, erano ampliate e ulteriormente
sviluppate, nuove linee tramviarie, gestite dall’Azienda del Comune.
Malgrado la crisi, com’è stato detto, Modena operava come è sempre stata
sua tradizione, con grande impegno per migliorare la vivibilità della
città: non possiamo però dimenticare che la “grande crisi del ‘29” non
colpiva solamente l’Italia, bensì era più grave in tanti paesi d’Europa,
basti pensare che la Gran Bretagna denunciava un milione e mezzo di
disoccupati, quando in Italia erano quattrocentomila, che in Germania si
succedevano scioperi su scioperi, con incidenti gravissimi, morti e
feriti in altissimo numero e i disoccupati erano oltre due milioni, e il
marco era diventata carta straccia; e ancora, la situazione era ben più
pesante che in Italia in Paesi quali, il Belgio, la Cecoslovacchia,
l’Austria, per non parlare degli Stati Uniti che si trovarono in una
situazione gravissima.
Mussolini prese provvedimenti rigorosi, anche attraverso la riduzione
degli stipendi e l’abbassamento dei prezzi, riuscendo così a far uscire
dignitosamente l’Italia dalla crisi internazionale.
Il 26 Marzo, dopo una lunga serie d’esperimenti e di prove, il grande
scienziato italiano, Guglielmo Marconi, da bordo della motonave
“Elettra”, riesce a comunicare per radiotelefono con l’Australia,
attraverso l’invio di un messaggio augurale al Sindaco di Sidney; colse
anche l’occasione per accendere, alla distanza di 9.700 miglia, le
lampadine dell’esposizione di quella città.
Come si muovevano, in pieno regime fascista, gli antifascisti modenesi?
L’opposizione al fascismo nella nostra città si riduceva a poche
proteste, così dichiara nella sua storia, uno storico antifascista
locale del dopoguerra; si racconta che il movimento antifascista
modenese avesse predisposta una manifestazione in occasione della prima
rivoluzione socialista, ai primi di Novembre, ma a quanto sembra, un
abile confidente della polizia, che militava nelle sparute file
comuniste, fece “saltare tutto” e 76 antifascisti furono arrestati: di
questi, 29 furono denunciati al Tribunale Speciale. Vi erano sì
infiltrati di parte fascista nelle file avversarie, così, come racconta
la storiografia antifascista, vi erano spie “rosse” all’interno del
movimento fascista. Indubbiamente, a Modena e Provincia, a quel tempo,
qualche resistenza al regime appariva, ma era realmente poca cosa,
qualche manifestazione di braccianti si verificò nella bassa modenese,
ma fondamentalmente dovute più a ragioni economiche che politiche;
qualche isolato antifascista fu anche condannato al “confino” (era,
praticamente, un allontanamento per qualche tempo dalla tua città e non
una prigione vera e propria) per azioni di poco conto, per frasi,
qualche manifestino e azioni similari. Vi era, sicuramente, da parte
fascista un’attenzione particolare nel reprimere, verosimilmente, anche
piccoli gesti e azioni insignificanti, ma assolutamente nulla a che
vedere a quanto era pesante e terrificante, la repressione, nei paesi
del “paradiso sovietico”.
Intanto la politica fascista cercava di stare al passo, in campo
internazionale, con le grandi potenze, anche attraverso una politica
navale che suscitò notevoli polemiche in alcuni paesi Europei, con
particolari accuse da parte dei francesi. Infatti, il 27 Aprile di
quell’anno, nell’ambito dello sviluppo di potenziamento della Marina,
che Mussolini considerava importante per l’Italia anche in funzione
della politica della Francia che rifiutava la parità degli armamenti
navali, furono varati quattro incrociatori: “Zara”, “Fiume”, “Alberto da
Giussano”e “Giovanni dalle Bande Nere” oltre al sommergibile “Delfino”,
e il giorno 30, il Consiglio dei Ministri approvò il programma navale di
quell’anno per la costruzione di due “Navi Esploratori”, il
“Montecuccoli” e il “Muzio Attendolo”, di un incrociatore da 10.000
tonnellate, il “Pola”, oltre a quattro cacciatorpediniere e ventidue
sommergibili. Mussolini pensava realmente che per l’Italia, un’eventuale
guerra si sarebbe avuta nel Meditteraneo e che sul mare stesse il suo
destino. Si trattava del “Mare Nostrum”.
La citazione di quest’aspetto della politica navale fascista, potrà
sembrare ai lettori fuori luogo per la storia di una città tipicamente
“padana”, molto lontana dal mare e dalla sua cultura, ma quello che si
vuol far apparire in questo testo, forse poco conosciuto dalla
maggioranza dei modenesi è l’altissima partecipazione, d’uomini delle
nostre terre e in particolare della “bassa”, alle forze militari della
marina ed anche dell’aereonautica, e sulle navi che abbiamo citato,
furono imbarcati tantissimi modenesi che cercheremo di ricordare.
Probabilmente ci si ricorderà dell’Ammiraglio Carlo Bergamini di San
Felice sul Panaro che, in qualità di comandante della Corazzata “Roma”,
una delle navi più prestigiose della nostra flotta, affondò, al largo
dell’isola Asinara, dopo che una bomba tedesca la centrò in pieno, il 9
Settembre 1943, subito dopo il famigerato armistizio di Cassibile,
mentre stava dirigendosi in un porto del sud per schierarsi, con il Re
fuggito a Brindisi, con gli angloamericani dopo aver tradito l’alleato
tedesco con il quale era entrato in guerra. Sono però, tanti altri i
cittadini di, Finale Emilia, di Concordia, di San Felice sul Panaro, di
Camposanto, di San Possidonio che si arruolarono in Marina e che si
trovarono a combattere sulle navi della flotta italiana, considerata una
delle più agguerrite del mondo, ma poi completamente disastrata in
particolare dai tradimenti di Super marina come ci raccontò, con dovizia
di particolari lo scrittore Antonino Trizzino nei suoi volumi, tra i
quali citiamo, “Navi e Poltrone”; nella ricostruzione di quel periodo
storico cercheremo di citarne alcuni, in ricordo anche di tutti gli
altri che lasciarono la loro vita nelle acque del Mediterraneo e degli
Oceani.
Ad esempio il Capo Cannoniere di 1° Classe, Gozzi Ferruccio di
Camposanto, che fu su parecchie navi, dalla Corazzata “Giulio Cesare”
all’incrociatore “Bari” per terminare la carriera sulla Corazzata “Caio
Duilio”; sempre di Camposanto è l’altro Capo cannoniere, Primo Panzanini,
imbarcato sul cacciatorpediniere “Legionario” e il Capo Aiutante di 1°
Classe, Vezzali Aldino attivo sulla Corazzata “Giulio Cesare” e sull
incrociatore “Cadorna”, oltre ai marinai di Camposanto, Bergamini
Giovanni, Bonfatti Valdomiro e Goldoni Remo.
Erano di Cavezzo il Capo cannoniere, Panini Alessio imbarcato
sull’incrociatore pesante “Fiume” e sul “Muzio Attendolo”, e con lo
stesso grado, Felice Zavatta imbarcato sull’esploratore, “Venezia” e
sull’incrociatore “San Giorgio”, oltre ai marinai, Baraldi Fabio, Calori
Elio, Covezzi Giovanni, Gagliardo Umberto e Malavasi Roberto.
Di Concordia era l’Ammiraglio di squadrta Casari Fazio, che si è trovato
sugli incrociatori “Pola” e “Diaz”, cosi come il Capitano di Fregata,
Baccarani Ugo, imbarcato su numerosi mezzi quali: la “Caracciolo”, la
“Minerva” ed altre, con le quali prese parte ad entrambe le guerre
mondiali; sempre di Concordia, i sottufficiali, Bulgarelli Fabio,
Cappelli Duilio, Falloni Mario, Serafini Ato, e Tioli Renato.
Concordiesi anche i marinai: Bernardini Giovanni, Burali Romolo, Botti
Armando, Coa Felice, Del Rio Prospero, Ferrari Ariodante, Gemelli
Alfredo, Gibertoni Medardo, Gozzi Mario, Lupi Guerrino, Mambrini Italo,
Marchesi Armando e Strazzi Libero.
A Finale Emilia troviamo il Sottotenente Battelli Ruggero che guidò
parecchie navi e imbarcato anche sul “Giovanni dalle Bande Nere”, oltre
ai sottufficiali: Battaglioli Giuseppe, Guerzoni Armando, Masi Umberto,
Moretti Mario che, dopo aver prestato servizio su varie navi, si trovò
sulla Corazzata “Roma” affondando con lei e il suo Ammiraglio Bergamini;
e ancora il capo silurista Pola Temistocle, operatore su varie navi; e
di Finale Emilia i capocannonieri, Braida Alfonso e Frassoldati Lino,
oltre ai marinai: Accorsi Renzo, Ghepardi Danilo, Marchetti Giulio,
Gherardi Remo, Paltrinieri Giuseppe, Pinca Nino, Polacchini Ermes,
Ragazzoni Antenore e Setti Angelo.
Di Medolla erano: il Capitano di Corvetta, Lentati Evaristo, e il
capocannoniere Giglioli Ennio.
Di Mirandola: il Guardiamarina, Furlani Vambo, imbarcato sulla corazzata
“Giulio Cesare” e sulla nave “Orion”; il Guardiamarina, Salvioli Ermete
Enzo; il 1° Tenente di Vascello, Silvestri Ulisse, il sottotenente di
Vascello, Tinchelli Silvano, il Capitano di Corvetta, Tomasini Umberto;
il Capo sommozzatore, Annoni Franco; il 2° Capo, Braglia Edmeo; il
Sergente segnalatore Cavazza Rino; il 2° Capo, Galavotti Irio, attivo
sulla Corazzata “Littorio”; il sergente Gatti Mario; il capo di 3°
classe, Neri Bruno; il capo di 2° Classe Concioni Dorino; il sergente di
Marina, Vincenti Osvaldo e il capo di 3° Classe, Zucchi Aldo; oltre ai
marinai mirandolesi: Amadei Aldo, Ascari Alfeo, Barbieri Walter,
Catarinella Mauro, Caleffi Garuti Enzo, Cimino Vincenzo, Francia
Alessandro, Geti Emilio, Guasti Vittorio, Luppi Erio, Marchi Giovanni,
Piva Ferrino, Righi Franco, Ruosi Pietro e Sabbatici Marino.
A San Felice su Panaro, oltre all’Ammiraglio Bergamini, troviamo:
Golinelli Renato, e il capo cannoniere telemetrista, Pedrazzi Silvestro,
il sergente segnalatore, Morselli Angiolino e Paltrinieri Angelo.
Di San Possidonio erano: i sottufficiali, Gasparini Pericle e il
capocannoniere, Salami Giulio, oltre ai marinai: Botti Armando, Bautti
Alfeo, Malaguti Giuseppe, Mantovani Alberto e Marazzi Federico. Furono
moltissimi anche nell’Aeronautica, gli uomini della bassa modenese, che
citeremo parlando più diffusamente dell’Arma Azzurra che, già in quel
1930 coglieva un altro prestigioso successo con la crociera aerea di 12
idrovolanti, del tipo Savoia-Marchetti 55, partita da Orbetello al
comando di Italo Balbo e che raggiunse il Brasile in sette tappe.
Come si è detto, gli anni trenta furono quelli della trasformazione
dello Stato Fascista e contemporaneamente della “mitizzazione” del
movimento e del Duce. Il fascismo si appropriò di molti miti
preesistenti come quelli “dell’uomo nuovo” e del “rinnovamento
Nazionale”, ma diventò, principalmente, il mito “del Capo” che Mussolini
incarnò, appropriandosi di quelle qualità, umane, morali, e
intellettuali, delle quali era particolarmente dotato, e che lo resero
l’assoluto interprete della Nazione, trasformandolo da Capo socialista a
salvatore della Patria. In questi anni trenta, con la “politica del
consenso” il fascismo e Mussolini stesso, portarono il DUCE alla logica
del “mito”, ma questa fu solamente una conferma, o se vogliamo
un’esasperazione, di quanto il mito Mussolini fosse già nato, ben prima
del fascismo. Nei suoi anni d’intensa partecipazione alla vita del
Partito Socialista Italiano, Mussolini era considerato, come disse
Filippo Corridoni nell’Ottobre del 1915,
“Nostro Duce spirituale”,
oppure, come lo descriveva Carlo Carrà, nel Novembre del 1914:
“In lui vi è il dramma di tutta la nostra generazione. Ammiriamolo se
non altro per il coraggio che và dimostrando”.
Altri suoi compagni di partito lo giudicavano:
“Uno spirito d’acciaio al servizio di una formidabile volontà”, “Uomo
invulnerabile”, “Un marxista colto e convinto”, l’”Homo novus” del
socialismo, “Cuore pulsante” del partito ed altri toni, sempre
trionfalistici.
Furono poi, con lui, dopo che ebbe abbandonato il neutralismo socialista
per l’interventismo, usati gli stessi aggettivi eccessivi, dagli uomini
provenienti dalle file del sindacalismo rivoluzionario, dal
nazionalismo, dal futurismo e da tutti coloro che ritevano necessario
uscire dall”impasse” giolittiano, passando pertanto da mito socialista,
a mito del “rinnovamento nazionale”, ma sin d’allora, si cominciava ad
intravedere che attorno a Mussolini si accalcavano troppi personaggi,
gerarchi e gerarchetti che in realtà si dimostrarono più opportunisti
che partecipi attivi e innovatori della “rivoluzione fascista”.
Alla fine di Dicembre del 1930 entrarono a far parte del Direttorio
Provinciale modenese, due nomi nuovi in sostituzione di Fausto Bianche e
Antonio Rizzi, quelli di Umberto Costanzini e Franco Spinelli. In
qualità di membri aggiunti furono inseriti: Guido Sandonnino, il
comandante della 72° Legione della MVSN, Fausto Vandelli, Ugo Mariani e
la delegata dei Fasci femminili, Raffaella Astarita.
Il cambio di Podestà, nei Comuni del modenese, vede in questo 1930, l’aavicendamento
al Comune di Sassuolo dove il 18 Luglio Antonio Vicini sostituisce Luigi
Pinetti, mentrer a Vignola il 3 Luglio, assume la carica di Podestà,
Ripandelli Martuzzi Paolo, dove vi rimerrà sino al 4 Agosto 1933.
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