I MISSIONARI PASSIONISTI ITALIANI IN INDONESIA

La presenza dei Passionisti in Indonesia risale al 1946. 
Provenivano dall'Olanda e iniziarono l'opera evangelizzatrice 
nella parte occidentale dell'isola del Borneo (Kalimantan Barat) 
e precisamente nelle zone di Ketapang e di Sekadau. 
Quindici anni più tardi furono inviati in quel lontano, immenso arcipelago, 
anche i Missionari passionisti italiani. 
Padre Cornelio Serafini e Padre Marcello Di Pietro furono i primi di una lunga serie. 
Partirono dal porto di Napoli il 25 febbraio 1961 e arrivarono in Missione 
il 15 aprile del medesimo anno. 

La decisione di inviare i missionari passionisti italiani in Indonesia 
per sostituire quelli olandesi presenti sin dal 1946, 
era stata presa dopo che i rapporti diplomatici tra Indonesia ed Olanda 
erano diventati talmente tesi che a nessun olandese veniva più dato il visto d'ingresso 
e a quelli presenti era negata la possibilità di uscire pena il non poter più rientrare in Indonesia. 
I Missionari italiani iniziarono a collaborare con gli olandesi 
nell'evangelizzazione delle popolazioni Dayak del Borneo occidentale. 
Le difficoltà furono immense a causa del clima caldo umido, del cibo scarso e poco vario 
nonché dell'assoluta mancanza di strade. 


I Dayak vivevano nella foresta, in misere capanne costruite su palafitte 
in villaggi composti da 20 a 200 famiglie. 
Per raggiungerli si risalivano e discendevano fiumi, spesso in piena, con fragili canoe. 
Le rapide e i massi affioranti erano un pericolo costante. 
I sentieri, quando c'erano, erano appena tracciati e si camminava sotto un sole cocente 
o sotto furiosi acquazzoni tropicali.

"Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, 
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. 
Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" 
(Mt 28,17-20).

Nei villaggi si viveva in maniera alquanto primitiva. La gente viveva di quanto offriva la foresta. 
Si coltivava il riso in risaie a secco. Si bruciava un pezzo di foresta 
e sulla cenere si seminava il riso che dava uno scarso raccolto. 
Altra attività era la raccolta del caucciù dall'albero della gomma. 
Ogni mattina si incidevano migliaia di alberi 
e poi si passava a raccogliere il liquido colato dentro a un contenitore 
fatto con il guscio della noce di cocco. 
Portato al villaggio si faceva rapprendere aggiungendovi un po' di acido fenico 
e i pani così ottenuti si portavano al mercato scambiandoli con quanto serviva per vivere. 
La gente era quasi tutta analfabeta a causa dell'assoluta mancanza di scuole 
e le malattie tropicali mietevano tante vittime. 
Nessun dottore si avventurava per i sentieri della foresta e l'unico ospedale 
era distante centinaia di chilometri.

Gli stregoni approfittavano della credulità della gente per i loro affari. 
La religione tradizionale era quella animista. 
Si onoravano e soprattutto si temevano gli spiriti. 
Nella vita dei Dayak la presenza degli spiriti esercitava un ruolo preponderante. 
Ogni azione quotidiana e ogni rapporto sociale era soggetto ad una serie di osservanze 
che si proponevano di non irritare gli spiriti. 
Superstizioni, tabù ed antiche credenze assoggettavano i più normali comportamenti della gente; 
unico possibile rimedio agli errori ed alle infrazioni erano i sacrifici di maiali, 
che rappresentavano l'elemento di purificazione e di riparazione 
ai torti fatti ed alle infrazioni alle regole di convivenza del villaggio. 
Grandi cerimonie si tenevano sotto grandi alberi abitati, si credeva, da spiriti. 

Si aveva grande paura dei morti. 
I cimiteri erano tutti al di là dei fiumi in modo che gli spiriti dei trapassati 
non potessero tornare al villaggio per disturbare i vivi. 
Quando si portava qualche defunto al cimitero, la salma non veniva fatta uscire dalla porta della capanna ma attraverso un'apertura nella parete posteriore. 
Tale apertura veniva poi richiusa cosicché lo spirito del 
defunto non poteva ritrovare la strada per ritornare alla sua casa.


La mancanza di ponti costringe P. Piergiorgio Bartoli a caricare la moto sulla canoa

I Missionari cominciarono il loro lavoro in questo ambiente difficile, 
però la gente era aperta ad accogliere il messaggio cristiano 
e tanti chiedevano di poter conoscere il Signore per poi ricevere il battesimo. 
La fede piano piano è arrivata anche nei luoghi più remoti 
grazie anche all'aiuto di coloro che per primi avevano conosciuto Gesù e il suo messaggio. 
L'adesione alla nuova religione, anche se permangono ancora alcuni riti ancestrali, 
rappresenta la liberazione dall'opprimente sottomissione alle superstizioni ed ai tabù atavici.

Nel frattempo altri Missionari si preparavano per andare a dare man forte ai primi. 
Arrivarono in Indonesia nel 1963. 
Erano i padri Raffaele Algenii, Carlo Marziali, Luca Spinosi e Fratel Carlo Ferrari.. 
Quest'ultimo, esperto in falegnameria, fu subito un punto di riferimento 
per la costruzione di scuole, cappelle, collegi ecc. 
I primi edifici della missione e tutta la suppellettile furono opera delle sue mani. 
In seguito i rapporti diplomatici tra l'Indonesia e l'Olanda si ristabilirono 
e i Missionari olandesi poterono essere nuovamente inviati in Indonesia. 
Questo fatto convinse Monsignor Gabriel Sillekens CP a dividere la Missione in due zone 
affidandone una agli Olandesi e una agli Italiani. 
Nel 1966 altri tre Missionari partirono per l'Indonesia 
e precisamente i padri Michele Di Simone, Bernardo Matani ed Efrem Di Pietro. 
La Missione dei Padri italiani con sede a Sekadau, 
dipendeva ancora economicamente e giuridicamente dai Passionisti olandesi 
e questo creava notevoli problemi a causa soprattutto delle 
distanze, cosicché si sentì la necessità di avere una propria autonomia. 
Questo avvenne nel 1968 quando la Santa Sede eresse la nuova Prefettura Apostolica di Sekadau. 
Il primo Prefetto Apostolico fu Monsignor Michele Di Simone.


L'attuale chiesa parrocchiale di Sekadau (Borneo Occidentale)

In quei giorni arrivarono in Indonesia altri tre Missionari, i padri Mario Bartolini, 
Sante Di Marco e Pio De Santis. 
Il territorio della Prefettura Apostolica era molto vasto e i problemi furono tanti. 
Tuttavia si svolse un enorme lavoro di evangelizzazione. 
I Missionari visitavano frequentemente i villaggi ove già c'erano dei battezzati o dei catecumeni 
e si costruirono i primi collegi e le prime scuole sia a Sekadau, centro della Missione, 
sia nelle varie stazioni missionarie. 

Nel 1970 arrivarono i padri Vincenzo Carletti, Gabriele Ranocchiaro 
e Umberto Di Natale che morì nel suo primo viaggio missionario a causa di una infezione ad un piede. 
Nel 1972 divenne Prefetto Apostolico Monsignor Luca Spinosi e arrivarono altri Missionari, 
precisamente i padri Paul Brian Maguire, Gabriele Antonelli, 
Paolo Aureli, Enzo Marini e Damaso Racinelli. 
Dal 1974 al 1984 altri 7 Missionari arrivarono in Indonesia. 
Erano: Giustino Del Rosso, Giuseppe Spinosi, Pietro Di Vincenzo, Alberto Landi, 
Giulio Mencuccini, Piergiorgio Bartoli e Giuseppe Dichiara.



Nel 1974 sono arrivate in Indonesia anche le Suore Passioniste di San Paolo della Croce 
e nel 1989 anche le Monache passioniste. 
L'8 giugno 1982 la Santa Sede elevò la Prefettura Apostolica a Diocesi con sede nella città di Sanggau. 
Per otto anni è stata guidata da un amministratore apostolico, 
il Cappuccino Monsignor Hieronimus Bumbun arcivescovo di Pontianak.
Il 3 giugno 1990 il missionario passionista Monsignor Giulio Mencuccini 
ne è diventato il primo Vescovo. 
Da allora la Missione con la nuova Diocesi si è sempre più ampliata. 
Il lavoro svolto dai Missionari è stato instancabile. Sono state fondate nuove parrocchie. 
I nuovi battezzati sono stati migliaia. 
La loro preparazione è stata spesso operata dai catechisti (guru agama) che, instancabili, 
hanno visitato le varie comunità cristiane sparse nella foresta. 
In ogni villaggio è stato eletto un "pemimpin", 
una guida religiosa, che tenesse i contatti col Missionario, 
guidasse la preghiera domenicale e fosse il punto di riferimento per ogni necessità dei fedeli.


La cattedrale di Sanggau e il  Vescovo,  Monsignor Giulio Mencuccini CP

Scuole di ogni ordine e grado sono state aperte ovunque 
e migliaia di giovani desiderosi di apprendere vi sono affluiti dai lontani villaggi 
a costo di immensi sacrifici. 
I primi insegnanti furono fatti venire dall'isola di Jawa ma in seguito sono stati formati sul posto. 
Nei centri parrocchiali sono stati aperti anche numerosi collegi. 
Ragazzi e ragazze hanno potuto così risparmiarsi ore e ore di viaggio per andare a scuola 
e nello stesso tempo la loro formazione umana, intellettuale e spirituale è stata meglio curata. 
La Suore hanno curato corsi di economia domestica 
e tante donne hanno imparato come gestire la loro famiglia, come far crescere sani i loro figli 
e come affrontare il futuro con un minimo di capacità organizzativa. 
Visitando i villaggi, i Missionari hanno anche curato gli ammalati portando zaini pieni di medicinali 
e spesso hanno provveduto al trasporto di quelli più gravi fino al lontanissimo ospedale.


Mons. Giulio Mencuccini in un villaggio della zona di Sungsong (confini con la Malesia)

Intanto i Missionari passionisti italiani, convinti di non poter continuare per sempre il loro ministero, 
si sono preoccupati di trovare sul posto giovani desiderosi di condividere la loro vita 
e di essere i continuatori della loro opera. 
I primi quattro furono inviati in Italia nel 1974 per il periodo del noviziato e in seguito, 
quando numerosi altri chiesero di condividere la loro esperienza, 
si provvide alla loro formazione nella nostra casa di Sekadau nell'isola del Borneo (Kalimantan) 
aprendovi lo studentato nel 1975. 
Per dare loro una formazione filosofica e teologica più completa 
si pensò poi di inviarli nell'isola di Jawa dove esistevano scuole appropriate (1977). 
Per un certo periodo furono ospiti dei Carmelitani finché non si riuscì a comprare 
e a ristrutturare una casa nella cittadina di Batu. 
L'inaugurazione avvenne il 19-10-1978. 
In questo primo convento passionista 
dell'Isola di Jawa furono radunati postulanti, novizi e teologi 
che frequentavano l'Istituto Teologico (STFT) di Malang. 
Ben presto questo convento si mostrò insufficiente ad accogliere tanti giovani 
e per questo se ne costruì uno nuovo per gli studenti di filosofia e teologia nella città di Malang - Tidar.


Si cominciò a fare promozione vocazionale in altre parti dell'indonesia come a Jawa, Flores e Sumatra. 
Ogni anno decine di giovani chiedevano di essere accolti per diventare Passionisti. 
Intanto i primi entrati stavano arrivando al sacerdozio e cominciavano a dare man forte ai missionari. 
Nel 1991 fu inaugurato un altro convento appena fuori la città di Malang (Loandeng), 
in una zona solitaria e tranquilla. 
I giovani teologi passionisti avevano finalmente un luogo adatto per la loro formazione. 
Nel 1993 fu aperta anche una casa nella capitale Jakarta. 
Qui si trova la sede centrale dei Passionisti in Indonesia. 


Il 20 marzo 2001, per far conoscere sempre meglio la spiritualità passionista 
si è aperto un centro di spiritualità vicino al nostro convento di Malang (Loandeng). 
Ora i Religiosi passionisti indonesiani (Sacerdoti, Fratelli e Teologi) sono più di cento 
e già gestiscono la maggior parte delle opere e guidano le parrocchie in diverse zone dell'Indonesia. Sacerdoti passionisti indonesiani sono stati inviati a lavorare in altre zone e diocesi dell'Indonesia 
e c'è in programma di inviarne qualcuno anche in Italia per dare una mano quassù ove, 
specialmente in alcune zone, la scarsità di vocazioni e di sacerdoti 
comincia a farsi sentire in maniera drammatica.

«Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo. 
Nell'andare, se ne va e piange, portando la semente da gettare, 
ma nel tornare, viene con giubilo, portando i suoi covoni» (Sal 125, 5-6).

Il 21 ottobre 2001 con una solenne celebrazione si è ricordato a Sekadau 
il 40° anniversario dell'arrivo dei primi Missionari passionisti italiani. 
Numerosi cristiani sono scesi a Sekadau anche dai villaggi più lontani 
per stringersi intorno ai loro Pastori ancora rimasti. 
C'era chi ricordava il tal Missionario; chi ricordava quell'altro. 
Tutti avevano debiti di riconoscenza nei confronti di coloro che avevano speso tante energie 
per portare loro il messaggio cristiano, per formarli intellettualmente, 
per curare le loro malattie e per dare loro anche un aiuto economico in tante occasioni. 
Ora la situazione è molto cambiata. 
Sono state aperte strade e il governo ha costruito numerose scuole un po' ovunque. 
Immense piantagioni di palma da olio richiedono la presenza di numerosi operai 
che hanno lasciato i loro villaggi. 
Molti valori si stanno perdendo a causa del mescolamento di 
razze causato dall'immigrazione interna. 
La Chiesa e la Missione passionista continuano ad operare in maniera costante e capillare. 
Le trasformazioni culturali sono una sfida che non colgono la Chiesa impreparata. 
Il messaggio cristiano viene sempre annunciato con metodi e mezzi adatti ai cambiamenti.