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LA PERCEZIONE VISIVA NEI FENOMENI PARANORMALI
Uno degli argomenti che da sempre affascina l’Uomo è senza dubbio la fenomenologia paranormale. Il termine, coniato dal fisiologo francese CHARLES RICHET nel 1905, comprende il prefisso greco <<PARA’>>, che significa <<A FIANCO>> ed abbraccia tutto ciò che, pur inquadrato nella realtà oggettiva, sembra non rispondere alle leggi fisiche conosciute. Anche nel contesto paranormale un ruolo determinante è senz’altro giocato dalla percezione visiva, che costituisce la prima ed immediata via d’informazione tra il mondo esterno e l’individuo percepente (tabb. A e B). Ma prima di addentrarci nel campo del paranormale, consideriamo ciò che la Biologia, branca della Scienza cosiddetta "ufficiale", ci insegna a proposito del complesso fenomeno della percezione visiva. In un secondo momento andremo a vedere come, ipotizzando la manipolazione del centro visivo, potrebbero venire reinterpretate molte delle presunte "abductions", che emergono nelle sedute di regressione ipnotica cui vengono spesso sottoposti gli involontari protagonisti dei presunti <<incontri ravvicinati del 4° tipo>>.
IL MECCANISMO DELLA FUNZIONE VISIVA
Lo studio del sistema visivo è un’impresa dal carattere profondamente filosofico: si tratta infatti di stabilire in che modo il cervello acquisisca le informazioni dall’ambiente esterno e, in un secondo momento, le interpreti; una questione tutt’altro che semplice...Sappiamo che la corteccia cerebrale (lo strato esterno del cervello) analizza i messaggi sensoriali e li trasforma quasi simultaneamente in percezioni consapevoli, processo cui partecipano collettivamente diversi milioni di cellule neurali sparse in tutte le circonvoluzioni. Ma è solo in questi ultimi anni, grazie agli studi compiuti a Berkeley dall’Università di California, che si comincia a intravedere come si comporta il cervello dopo il riconoscimento delle caratteristiche del messaggio: cioè come riesce a combinare le percezioni sensoriali col proprio bagaglio di esperienze e di aspettative, al fine di identificare sia lo stimolo sia il particolare significato che esso rappresenta per l’individuo. Nelle figg. (a) e (b) possiamo osservare la rappresentazione, simulata al calcolatore, dell’EEG (elettroencefalogramma) dell’attività del sistema olfattivo (molto simile a quello visivo), rispettivamente in fase di riposo (a) e durante la percezione di un odore conosciuto (b). Entrambe assumono le sembianze di "matasse di filo a forma irregolare", tuttavia la disposizione più circolare evidenziata dalla fase percettiva corrisponde ad un maggior ordine rispetto a quella di riposo. Per comprendere i meccanismi della percezione visiva bisogna conoscere le proprietà dei neuroni, le cellule che ne costituiscono il tessuto-base. I neuroni che vengono eccitati dallo stimolo visivo scatenano potenziali d’azione, ossia micro-impulsi di cariche elettriche, che si propagano lungo i loro prolungamenti, gli assoni, fino a raggiungere una particolare area della corteccia. A questo proposito la fisiologia del sistema nervoso centrale ci insegna che le fibre dei due nervi ottici, provenienti dalla rètina dei bulbi oculari dx e sx, dopo essersi incrociate in parte nel chiasma ottico (fig. 1), si dirigono mediante le radiazioni ottiche alla corteccia cerebrale del lobo occipitale. Qui è localizzata l’area visiva primaria, situata lungo la scissura calcarìna (fig. 2, II) che separa gli emisferi cerebrali, di modo che all’emisfero di dx vengono trasmessi i segnali provenienti dalla metà sx del campo visivo, mentre a quello di sx giungono i segnali della metà dx. Tali coppie di segnali, opportunamente integrati, si fondono per comporre la rappresentazione totale e definitiva dell’immagine visiva. Sembra pertanto che alla corteccia visiva spetti un compito fondamentale: quello di riconoscere gli aspetti discriminativi del quadro visivo, quali la forma, il movimento, il colore delle immagini, ecc.
In altre parole, introducendo una similitudine facilmente comprensibile, potremmo paragonare la percezione della realtà ad una ripresa televisiva "in diretta", in cui la rètina dei bulbi oculari svolge la funzione della "telecamera", le fibre dei nervi ottici costituiscono i "cavi" attraverso cui fluiscono gli impulsi e la corteccia occipitale funge da "regia", decodificando i segnali provenienti dall’esterno e proiettandoli infine sullo "schermo psichico", pronti per essere interpretati e valutati dal soggetto percepente. Ciò equivale a dire che si "guarda" con gli occhi, ma si "vede" col cQuesto concetto è stato accettato dai neurologi solo negli ultimi vent’anni e recentemente è stato dimostrato con uno strumento computerizzato (Amplifon Amplaid Mark IV) in occasione delle numerose estasi mistiche di cui sono stati ciclicamente protagonisti i veggenti di Medjugorje. Com’è noto, i soggetti che cadono in "trance" estatica (traduzione inglese del termine latino <<transire>> = <<passare oltre>>) mantengono le palpebre spalancate per tutta la durata del fenomeno, fissando un punto non identificabile a circa 45° sopra il capo (cfr. iconografia sacra della religione cristiana), ma al loro rientro nel normale stato di coscienza riferiscono di non aver percepito nulla eccetto l’immagine dell’Entità trascendente. In effetti i test condotti durante le estasi di Medjugorje hanno dimostrato che la retina dei veggenti era normalmente sensibile alla stimolazione luminosa indotta sperimentalmente e che le vie visive erano normalmente libere fino alla stazione terminale. In altre parole, si potrebbe dire che gli estatici di Medjugorje "vedevano senza vedere" o, meglio, che i segnali sensoriali arrivavano regolarmente nelle aree corticali specifiche, ma non entravano nella coscienza.
A questo punto sarebbe legittima l’obiezione di qualcuno: <<Sì, va bene: ma che c’entra con le "abductions">> ?
Ci arriviamo: chiedo solo un attimo ancora di pazienza.
La corteccia cerebrale visiva, come si vede nella fig. 3, è divisa in tre aree, contraddistinte con i nn. 17,18 e 19.
Consultando le cartelle cliniche di molti pazienti ricoverati nei reparti ospedalieri di Neurochirurgia in seguito a trauma cranico, si è potuto osservare che lesioni localizzate in una o più aree tra quelle contrassegnate coi nn. 17, 18 e 19 provocano gravi disturbi della visione, quali, ad es., l’IMPOSSIBILITA’ DI UTILIZZARE LE INFORMAZIONI VISIVE: questo nonostante l’integrità sia dei bulbi oculari (le "telecamere") sia dei nervi ottici (i "cavi di trasmissione"). Ad esempio, un paziente che ha subìto danni alle vie corticali deputate alla percezione del colore disegna la banana, il pomodoro e le foglie d’albero tutti col medesimo colore, mentre un altro che ha subìto danni corticali causa avvelenamento da monòssido di carbonio risulta incapace di distinguere le forme (fig. 3/a). A conferma di tali reperti esistono anche i dati provenienti da sperimentazioni di laboratorio, effettuate sia su mammiferi (cane, gatto, coniglio) che su primati (scimmie): in entrambi i casi la lesione mirata di tali aree produce, grosso modo, gli stessi disturbi visivi osservati nell’uomo. Questo in accordo con le intuizioni del Prof. Henschen dell’Università di Uppsala, il quale già molti anni fa osservò che <<lesioni in una posizione qualsiasi della via che collega la retina con l’area V1 producono un campo di cecità assoluta, la cui estensione e posizione corrispondono esattamente alla grandezza e al sito della lesione>> (fig. 3/b).
Ma c’è di più.
La STIMOLAZIONE ELETTRICA dell’area 17, effettuata nell’uomo su alcuni volontari bendati, ha provocato la sensazione di "visioni luminose" puntiformi, localizzate e fisse. La stimolazione dell’area 18, invece, evoca nei soggetti la comparsa di configurazioni, quali FIAMME, FUMO, NEBBIA IN MOVIMENTO, ACQUA CHE SCORRE. Infine, elettrostimolando l’area 19, gli individui sottoposti hanno riferito d’aver distinto chiaramente STRANE LUCI CHE SI SPOSTANO DALLA PERIFERIA AL CENTRO DEL CAMPO VISIVO, oltre che ANIMALI E FIGURE UMANE IN MOVIMENTO (fig. 3).
E qui arriviamo al punto.
Se potessimo accettare per un attimo (ogni ipotesi è degna di fiducia, ancorché non in palese contraddizione con se stessa e finché non si provi il contrario) che una tecnologia superiore alla nostra attuale (che potremmo chiamare aliena senza la necessità di attribuirle il significato di extraterrestre) riesca a manipolare a distanza le aree corticali occipitali del cervello umano che abbiamo sopra descritte, ad esempio sottoponendole ad irradiamento elettromagnetico di opportuna frequenza, interferendo con le informazioni trasmesse dai nostri sensori esterni (gli occhi, alias "telecamere") e sostituendo sul nostro "schermo psichico" la visione della realtà oggettiva con un’altra indotta, potremmo spiegare (ANCHE SE, tengo a sottolineare, SOLO PARZIALMENTE) i resoconti spesso incredibili e contraddittori che i testimoni delle "abductions" riferiscono al termine delle loro drammatiche esperienze.
Vale la pena ricordare che già dalla fine del 1966 negli U.S.A. era in atto da parte dell’A.R.P.A. (Advanced Research Projects Agency) il Progetto <<Pandora>>: questo consisteva nell’irradiare con onde elettromagnetiche a bassa frequenza (5 milliwatts/cm.2) una scimmia, ottenendo come risposta il rallentamento prima e l’arresto poi, fino al sopraggiungere di un sonno profondo, delle consuete attività del primate in osservazione. Non v’è dubbio che in quel caso si era riusciti a penetrare nel sistema nervoso centrale della scimmia, modificandone il pensiero, le funzioni cerebrali ed il comportamento (fig. 3/c). In termini più specifici (e qui ci aiutano la Biochimica e la Neurobiologia), un campo energetico di tipo radiante, indotto dall’esterno e a distanza dal soggetto percepente, agirebbe sugli elettroni periferici degli amminoacidi delle molecole del DNA neurale, modificandone la posizione sterica, alterandone il comportamento elettrochimico ed innescando reazioni chimico-fisiche in grado di tradurre la perturbazione a livello cerebrale, ov’è sito, come detto, il centro visivo. E’ stato accertato a questo proposito che alcune sostanze endògene a spiccata azione mistico-mimetica, quali le encefaline e le endorfine, già sperimentate con successo sui ratti nel 1976, sono molto simili ai derivati dell’indolo, precursore di un importante mediatore chimico cerebrale, la serotonina. Questo amminoacido assume particolare importanza nel nostro discorso, in quanto recenti studi ne hanno rilevato un abnorme incremento nel sangue degli individui soggetti a reiterati episodi di "abduction".
Questa, ovviamente, è solo una teoria. Alcuni dati di fatto, tuttavia, la confortano: vediamo quali.
1) - Ammettiamo di considerare come "non utopistica" la correlazione, evidenziata da alcuni ufologi, tra fenomenologia UFO e apparizioni B.V.M. ed esaminiamo la VISIONE DEL "SOLE ROTANTE" IN OCCASIONE DI APPARIZIONI A CARATTERE RELIGIOSO A FATIMA E MEDJUGORJE.
Il fenomeno del cosiddetto "sole rotante" non è certo nuovo; anzi, è quasi una costante in occasione di apparizioni mariane o comunque di manifestazioni a carattere religioso: questo a partire dal secolo scorso e fino ai giorni nostri. A Fatima, per esempio, nel 1917 il fenomeno del "sole rotante" apparve in località <<Cova da Iria>>, gremita da oltre 50.000 persone. Tuttavia, come dimostrano i due ricercatori portoghesi Fernandes e D’Armada, lo straordinario effetto del <<disco solare roteante su se stesso e precipitante verso terra>> non fu recepito da tutti, bensì da quella parte di folla che si trovava ENTRO UNA FASCIA DI TERRENO BEN DELIMITATA, larga una settantina di metri, che tagliava la Cova da Iria da sud a nord e coincideva curiosamente con la traiettoria percorsa dal sole rotante nella fase di massimo avvicinamento al suolo. Anche nel caso, più recente, delle apparizioni di Medjugorje (anno 1981 e segg.), molti pellegrini asseriscono di aver osservato il prodigio del sole rotante, trovandosi in posizione FRONTALE rispetto al disco solare; mentre altri fedeli, che si trovavano a poca distanza dai primi ma che stavano osservando il sole da una posizione spostata di circa 90°, riferiscono di non essere riusciti a verificare lo stesso fenomeno. Questi ultimi allora, richiamati a gran voce dagli amici, si portavano anch’essi nella medesima posizione frontale rispetto al sole, riuscendo così a percepire il fenomeno; ma, una volta tornati alla primitiva posizione, il globo solare ritornava a manifestarsi "normale".
Che significa tutto questo?
Si potrebbe azzardare un’interpretazione del fenomeno, alla luce di quanto in precedenza esplicato a proposito delle aree corticali, ipotizzando che LA RADIAZIONE TENDENTE AD INFLUIRE SUI CENTRI VISIVI DEBBA PROPAGARSI PERPENDICOLARMENTE RISPETTO AL LOBO OCCIPITALE; vale a dire che, per essere efficace, deve colpire le zone corticali secondo l’asse corrispondente alla scissura calcarìna. Angolazioni diverse, quindi, non sortirebbero alcun effetto ai fini della "sovrapposizione" dell’immagine. (figg. 4, 5, 6 e 7).
2) - Altre conferme alla nostra ipotesi possono essere riscontrate in casi "ufologici" in senso stretto: ne citeremo, per brevità, solo due.
a) - Il giornalista e scrittore lionese Jean Pierre Chambraud, nel volume <<La Corse base d’OVNI>>, riferisce di uno strano episodio capitatogli insieme al protagonista del libro, il contattista còrso Michel Ange Mozziconacci. Riportiamo testualmente da pag. 89 e segg. (le parentesi sono del sottoscritto): <<...(Io e i miei amici) ci eravamo accorti che essi (gli E.T.) apparivano, sotto forma di sfere luminose che evoluivano nella macchia, quasi sempre nello stesso punto, in un perimetro di 2-3 kmq. Una notte (mentre effettuavamo lo sky-watch) erano talmente vicine a noi (le luci) che decidemmo di andar loro incontro, avendo ormai scoperto il luogo (in cui si manifestavano). Avevamo calcolato che (dal nostro punto d’osservazione) sarebbero occorsi circa 20’ per percorrere in auto la distanza che ci separava (la Corsica è caratterizzata da strade molto strette, costellate da una serie di curve e controcurve spesso a picco sul mare, che s’inerpicano tra i monti). Un’auto rimase in osservazione al "campo base", mentre con l’altra prendemmo la strada che scendeva nella valle. Giunti sul posto, scendemmo dalla vettura e ci incamminammo a piedi. MA NON PERCEPIMMO ASSOLUTAMENTE NULLA, né presenze luminose, né rumori di alcun genere, tranne quello dell’acqua di una sorgente che cadeva sui ciottoli. Delusi e sfiduciati, tornammo dagli amici che avevamo lasciato sulla montagna e che avevano potuto seguire i nostri movimenti, grazie alla luce dei fari della nostra auto. Essi tuttavia confermarono categoricamente di averci visto PROPRIO AL CENTRO delle manifestazioni luminose, in tutta la loro straordinaria e misteriosa "attività". Non era possibile: come avevamo potuto ingannarci? Ripartimmo di nuovo, d’accordo con gli amici che, se essi ci avessero visti in prossimità delle luci e se queste persistessero in nostra presenza, avrebbero fatto dei segnali luminosi nella nostra direzione con le torce elettriche. Giunti di nuovo nel medesimo punto di prima, ecco che dalla montagna i fasci di luce delle torce elettriche sciabolarono nel buio della notte, mentre noi, che ci dovevamo quindi trovare circondati dalle misteriose luci, continuavamo a non vedere proprio nulla: ciò che era visibile da lontano, non lo era più da vicino. E’ impossibile dare un’interpretazione logica al fenomeno e nessuna ipotesi razionale potrebbe spiegare questo singolare comportamento - commenta Chambraud -. Evidentemente bisogna ammettere che le entità responsabili di tali manifestazioni possiedano una tecnologia differente rispetto alla nostra e senz’altro superiore...>> (figg. 8 e 9).
b) - Il secondo "caso" di cui ci occuperemo, che rientra secondo la classificazione di Hynek negli incontri ravvicinati del 4° tipo o <<abduction>>, è quello notissimo del metronotte genovese Fortunato Zanfretta, il quale, fra il 1978 e il 1981, fu involontario protagonista di ben 9 "rapimenti", i cui particolari sconcertanti emersero durante le numerose sedute ipnotiche cui volle sottoporsi per confermare la genuinità di quanto gli stava accadendo (fig. 10).
L’episodio che illustreremo avvenne durante il 4° della lunga sequenza di "rapimenti" che il malcapitato dovette subire.
Era la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1979. Alle h.22 Zanfretta, mentre sta effettuando il proprio turno di vigilanza, fa benzina con l’auto di servizio a un self-service: fino a quel momento si era mantenuto in costante contatto radio con la Centrale Operativa. Ma improvvisamente la comunicazione, senza motivo, si interrompe; scatta allora il piano d’allarme e tutte le radiomobili convergono alla sua ricerca, dirigendosi sul luogo del precedente "rapimento": il monte Fasce, nel primo entroterra genovese (fig. 11). Giunti sul posto, i colleghi di Zanfretta scendono dalle auto e si sparpagliano nell’oscurità alla sua ricerca, chiamandolo a gran voce. Ma inutilmente: del metronotte nessuna traccia. Proprio quando stanno per abbandonare le ricerche, gli uomini dell’Istituto di Vigilanza vedono improvvisamente illuminarsi dall’interno di una NUVOLA (altra costante in occasione di <<abduction>>) due potenti fari, che indirizzano il loro fascio luminoso contro di essi, abbagliandoli completamente; il tutto nel silenzio più assoluto. Colto di sorpresa dall’insolito fenomeno, il Tenente che coordina le ricerche estrae la pistola e spara alcuni colpi contro quei "fari" in cielo, che subito si spengono, mentre la "nuvola" da cui provenivano SI ALZA VELOCEMENTE e scompare nel buio della notte. E Zanfretta? Non si trovava in quel luogo al momento dell’accaduto; fu rinvenuto dopo circa mezz’ora in un’altra località, non lontano dal punto in cui venne "prelevato" la prima volta, in evidente stato confusionale, a causa dello shock subìto nel corso del contatto con gli "alieni", che lo avevano appena "rilasciato".
Al termine di questa ricerca sorge d’istinto la domanda: allora il mistero delle <<abductions>> è svelato?
La risposta è una sola: ASSOLUTAMENTE NO.
La nostra ipotesi di lavoro non è risolutiva, semmai serve a fare un po’ di luce sull’enigmatico mosaico degli "incontri ravvicinati del 4° tipo". In effetti la tele-manipolazione dei centri corticali visivi delle persone coinvolte in eventi a carattere ufologico (che, come abbiamo esaminato, non è in teoria assurda) riuscirebbe a spiegare SOLO ALCUNI dei presunti casi di "abduction", ma non certo tutti, a cominciare dagli episodi in cui i testimoni, al termine del "contatto", presentino cicatrici e/o iperpigmentazioni cutanee che CON ASSOLUTA CERTEZZA non fossero preesistenti, non siano dovute a fenomeni di auto-lesione psicosomatica e sulla cui autenticità (in merito alla cicatrizzazione e alla tecnica chirurgica) gli specialisti non esprimano la benché minima riserva. Per non parlare dei presunti impianti di micro corpi estranei nelle cavità nasali, nel cervello e/o negli organi riproduttivi dei (per fortuna ancora pochi) testimoni... In altre parole, il problema viene solo spostato ma non risolto, perché a questo punto sorge inevitabilmente il quesito: a chi appartiene una tecnologia così sofisticata, causa inevitabile (se non impiegata entro certi limiti) di traumi psicofisici a volte devastanti a carico dei contattati? Perché puntualmente la psiche del "rapito" viene obnubilata, impedendogli il ricordo degli eventi relativi alle presunte sperimentazioni mediche subite, ricordo che riaffiora a stento (e a volte con drammatiche emozioni) solo mediante la tecnica dell’ipnosi regressiva? A quale scopo tutto questo? Non di certo a quello che i presunti "alieni" confidano ai malcapitati; a mio avviso, perlomeno.
Concludendo: a mio parere è limitativo ridurre il complesso enigma delle <<abductions>> alla semplicistica definizione di <<stato alterato di coscienza>>: su questo, una volta tanto, medici e ufologi sono d’accordo; ma è altrettanto vero che con questo termine si può dire tutto e il contrario di tutto. Anche perché in tal modo si prevaricherebbe il testimone, il quale (giustamente) esige di saperne di più e ha diritto ad un supporto psicoterapeutico adeguato. D’altronde anche il FENOMENO ONIRICO, ancora in buona parte non spiegato, pur non identificandosi con la realtà oggettiva, viene al contrario percepito dal dormiente come tale, con tutte le conseguenze psicofisiche ben conosciute dai neurologi: movimento rapido degli occhi (R.E.M.), tachicardia, iperventilazione, sudorazione, locuzioni incoerenti, ecc. Nonché, al risveglio, l’influenza positiva o negativa sull’umore del soggetto, influenza che può condizionarne l’attività anche per l’intera giornata: il tutto senza dover scomodare gli "alieni".
Il poeta William Blake scriveva: << Se le porte della percezione fossero eliminate, ogni cosa apparirebbe all’Uomo com’è in effetti: infinita >>. Ma - aggiungiamo noi - senza la "protezione" delle porte della percezione, gli esseri umani sarebbero sopraffatti dall’infinito...
GIORGIO PATTERA
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